Il “noir” di via Bagnera… restando a casa

Fino a qualche tempo fa non era considerata neanche “via”, ma solo “stretta”, tanto questo vicolo è angusto. Si trova in pieno centro storico, a due passi da via Torino, e unisce via Santa Marta con via Nerino. Inoltre, a metà circa della stradina, c’è una curva che la restringe ancora di più e impedisce di vederne l’uscita dall’altra parte.

La stretta Bagnera ha nobili origini: il nome ricorda i “bagni”, cioè le terme del Palazzo Imperiale Romano, come confermano anche alcuni ritrovamenti in questa zona. Ancora oggi lastre in pietra formano la pavimentazione che risale a metà Ottocento, veramente quaterpass sulla Storia.

Questo vicolo, dove il sole non riesce quasi a entrare, sembra evocare cupe vicende del passato.

Qui, infatti, si è svolta, a metà Ottocento, la storia di un efferato serial killer milanese, il nostro Jack lo Squartatore: Antonio Boggia. Nato nel 1799 sul Lago di Como, era venuto a Milano dove lavorava come muratore e carpentiere in proprio. Abitava con la famiglia in via Nerino e frequentava assiduamente la chiesa di San Giorgio a Palazzo, benvoluto dalla gente del quartiere per la sua bonarietà e affidabilità.

Il Tribunale lo descrive di ” …modi calmi, con un esteriore aspetto quasi di bonarietà, esatto osservatore delle pratiche religiose, estraneo, almeno apparentemente, da viziose tendenze.”.

Diversi romanzi raccontano la storia truce di quest’uomo che uccideva persone dopo averne carpito la fiducia per impossessarsi dei loro beni. “Fa’ minga el Bogia!” dice un vecchio proverbio milanese per indicare come dietro una apparente bontà, si possano celare, invece, animo perverso e azioni malvagie.

Ed il Boggia ebbe ben quattro omicidi sulla coscienza. Dopo aver colpito le vittime alla testa, le murava nella cantina del suo magazzino di muratore che si trovava nella stretta Bagnera. Era un vero killer dalla mente lucida e determinata, tanto da riuscire ad aggirare anche, attraverso inganni e complicità, diversi notai indotti a legittimare le donazioni e le deleghe falsificate.

Gli fu fatale l’ultimo omicidio: il figlio di una vedova, padrona di casa del Boggia, sporse denuncia per la sparizione della madre con la quale, però, non aveva buoni rapporti. La donna, secondo lettere falsificate, risultava essersi trasferita al lago e aver dato incarico al Boggia di amministrare tutto lo stabile dove abitava.

Sembra un giallo ricco di colpi di scena: un giudice volle vederci chiaro e, dopo diverse indagini, dispose un sopralluogo nei locali della stretta Bagnera, dove furono trovati documenti falsificati, vecchie denunce e… i resti delle vittime accuratamente murati.

Durante il processo, il Boggia tentò l’arma dell’infermità mentale sostenendo di aver ucciso la vedova per futili motivi dopo una banale discussione politica “c’era una scure e una sega… lì mi saltò un estro”. L’aveva quindi uccisa, fetta a pezzi e nascosta nel sottoscala.

Nell’inchiesta, però, i suoi delitti risultarono lucidamente premeditati, spinti dal desiderio di denaro e anche di possesso. Era passato, infatti, via via da manovale a piccolo imprenditore edile e, infine, ad  amministratore e  quasi “proprietario” dello stabile.

Fu giudicato colpevole e condannato a morte per impiccagione; Milano, però, non aveva i boia e dovette farli arrivare da Torino e da Parma. Per ironia della sorte, poco dopo la sua esecuzione, a Milano venne abolita la pena capitale. La sua testa fu poi staccata dal corpo e affidata a Cesare Lombroso per i suoi studi sulla fisiognomica dei criminali.

La via Bagnera ha dunque diversi strani primati: non solo è la via più stretta di Milano, ma qui visse e compì i suoi efferati delitti il primo serial killer italiano, che fu anche l’ultimo condannato a morte nella nostra città.

http://www.storiadimilano.it/Personaggi/cronaca_nera/boggia.htm

In questo vicolo, dove sembra non voglia entrare nemmeno il sole, talvolta si leva una folata di vento gelido. Si dice sia lo spirito del Boggia che vaga in cerca di nuove vittime… meglio restare a casa.

A presto…