Anche questo breve itinerario, che congiunge piazza Missori con la chiesa di San Nazaro e la Statale, offre squarci di luoghi, di tempi e di vite milanesi molto diversi tra loro.

Il “dente rotto” di piazza Missori è una delle tante “stranezze” di Milano: sacrificata una bella chiesa, piena di storia e di opere d’arte (per fortuna in parte conservate al museo del Castello) in nome di un moderno progetto di viabilità, la cosiddetta Racchetta, la nostra città mostra un rudere, piuttosto brutto, che cela, però, al suo interno una splendida, impensabile cripta.
Passiamo accanto al monumento equestre di Giuseppe Missori, ora in restauro.

Il generale fu accanto a Garibaldi, al quale salvò anche la vita, in tante battaglie. Dopo una vita eroica, morì poi a Milano, travolto da un tram e ora riposa al Famedio del Cimitero Monumentale.

|
 Missori salva la vita a Garibaldi nella battaglia di Milazzo
|
Il monumento è noto anche per il cavallo dall’aspetto così stanco, tanto da essere soprannominato el caval de brum, ossia il cavallo da tiro delle carrozze pubbliche.
Lasciata piazza Missori, facciamo quattro passi per corso di porta Romana e raggiungiamo un piccolo slargo, quasi nascosto ed anonimo, dove si trova la Torre Velasca, che prende il nome dalla via dedicata al governatore spagnolo di Milano, Don Juan Fernandez de Velasco.
La torre fu costruita tra il 1956 e il 1959 su progetto dello Studio BBPR ed è adibita parte ad uffici e, nella parte più larga, in alto, ad abitazioni.

Per vederla tutta, quasi non si sa dove andare: lo spazio orizzontale di questa piazzetta, chiusa da palazzi, è piuttosto piccolo, tanto che bisogna stare col naso all’insù per poter ammirare il grande fungo che vi è cresciuto.
Viene chiamata Torre, e non grattacielo, come il Pirellone, costruito negli stessi anni; questo ci darà modo di fare un breve excursus sul vecchio e nuovo skyline di Milano.

La Torre Velasca ha suscitato molti dibattiti tra chi la trova bellissima e chi orrenda.
http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/12_aprile_3/torre-velasca-brutta-parere-architetti-milanesi-sgarbi-boeri-daverio-2003934701378.shtml
Ai noi, personalmente, piace, forse anche per quel suo elevarsi improvviso, quasi in modo inaspettato, tra i palazzi.

E ci piace questo disegno di Buzzati con le streghette che ballano sopra questa torre…un po’ di mistero c’è sempre nel nostro blog.

Usciamo dalla piazzetta per andare in via Pantano, dedicata non a qualche personaggio famoso, ma proprio a quella sorta di laghetto stagnante che c’era qui tanto, tanto tempo fa, in epoca romana.

Era una zona di acqua e boschetti; niente di meno strano che vi crescesse, secoli dopo, un fungo gigantesco di 26 piani!

La via Pantano era una zona residenziale molto bene della Milano del Sei-Settecento. Vi si trovavano dimore di famiglie illustri e anche ora ha mantenuto un’aria elegante e riservata.

Dietro alle facciate un po’ severe ci sono cortili molto belli, con “ricordi” artistici di secoli passati.
Al numero 1 di via Pantano, più o meno dove ora c’è l’Assolombarda, nacque nella prima metà del Settecento, da famiglia molto ricca, Gaetana Agnesi, dottissima donna ed esempio del “buon fare” milanese.

Fu una donna straordinaria: semplice, colta, religiosissima, fine matematica di successo, abbandonò completamente gli studi per dedicarsi alla cura degli ultimi, in particolare delle donne “pazze” di famiglia povera, vivendo in mezzo a loro.

A lei toccò in seguito l’amministrazione di opere sociali come la Baggina appena nata.

l’attuale “Baggina”
Ben altri inquilini ebbe il palazzo al numero 26 di via Pantano.

Vi prese dimora, alla fine del Seicento, la famiglia Settala, tra cui l’illustre Protomedico Lodovico e lo strambo scienziato Manfredo, suo figlio.
 Lodovico |
 Manfredo |
Di Lodovico sappiamo anche, dal Manzoni, che “cooperò a far torturare, tanagliare e bruciare, come strega, una povera infelice sventurata, perchè il suo padrone soffriva di dolori di stomaco”. Parleremo di lui, del suo paziente e della sventurata Caterina in un prossimo articolo.

Molto originale, tipo scienziato pazzo, era il figlio Manfredo. Era amante dei viaggi e delle cose insolite che raccolse, secondo la moda dell’epoca, nelle sale del palazzo di famiglia.

Ecco qualche esempio di ciò che aveva raccolto:
 cranio di ippopotamo gigantesco
|
 pesce palla
|
Probabilmente questo canonico di San Nazaro si dilettava anche con esperimenti nel proprio laboratorio, ma poco sappiamo di queste ricerche che hanno alimentato molte fantasie.

D’altra parte cosa c’è di strano in questa sua creazione, conservata al museo del Castello Sforzesco?

È un automa che sghignazza e sputa tra un fragore di catene di ferro e ruote; il busto in legno sarebbe quello di un Cristo alla colonna, ma la testa è diabolica.
Di Manfredo si racconta che a volte si aggiri ancora in questa zona.

Se vedete un religioso col cappuccio alzato, che si reca verso San Nazaro, fate quattro passi con lui e intanto ammirate le splendide case di via Pantano.