Fotoarca di Passipermilano (seconda puntata: i cavalli)

Tra poco Milano si accenderà con le luci del Natale e diventerà il palcoscenico di tutti noi che, di corsa, come puledri, cavalli rampanti o ronzini stanchi faremo acquisti e porteremo pacchi e pacchetti, borse e borsoni, figlioletti o nipotini.

Con un sorriso dedichiamo i nostri quattropassi di fine novembre al cavallo, questo nobile animale che nei secoli al passo, al trotto o al galoppo ha trasportato uomini e cose. Lo cercheremo tra i monumenti della nostra città per la seconda puntata della Fotoarca di Passipermilano.

Iniziamo la nostra passeggiata dai Cavalli Alati, bianchi e giganteschi, “parcheggiati” sul tetto della Stazione Centrale. Alti quasi 8 metri, ci ricordano che qui si va veloci, si arriva e si parte quasi volando (forse i pendolari non sono sempre d’accordo). Due palafrenieri, Intelligenza e Progresso, tengono le loro redini.

I cavalli da sempre sono stati una delle “sedute” preferite da Re e generali, che amavano essere immortalati fieramente in groppa a destrieri. Nei monumenti antichi i cavalli sono di solito rappresentati, per motivi tecnici, per lo più al passo; se invece sono dipinti,  vengono raffigurati più liberamente al trotto, al galoppo o addirittura rampanti.

Vittorio Emanuele II forse è giunto al galoppo in piazza Duomo e deve frenare il suo cavallo, lanciato… verso il portone centrale della nostra cattedrale. Conflitto Stato – Chiesa?

Accanto al monumento si riunivano i tifosi quando una delle squadre milanesi vinceva lo scudetto… ahimè, da parecchi anni è il torinese Vittorio Emanuele che festeggia.

Un altro cavaliere illustre è Napoleone III che, al Parco Sempione, saluta chi passa, come un vecchio gentiluomo un po’ bislacco. Il suo cavallo lo accompagna con pazienza.

Un famoso quadro immortala l’Imperatore, con Vittorio Emanuele II, sotto lArco della Pace, mentre, vittoriosi, entrano in Milano liberata.

Una curiosità: i cavalli della sestiga sopra l’Arco, risalenti a Napoleone I, furono fatti ruotare di circa 180° dagli Austriaci, quando tornarono a Milano, perchè voltassero il fondoschiena alla Francia… e da allora sono rimasti così.

prima

dopo

In largo Cairoli il cavallo di Giuseppe Garibaldi è finalmente fermo dopo tante battaglie col suo cavaliere e ha un aspetto forte e fiero. Non così quello del generale Missori, nella omonima piazza, tanto accasciato da essere entrato in un modo di dire milanese: “te me paret el caval del Missori”. Il modello fu un povero cavallo da tiro, che oscurò, nel tempo, il suo cavaliere.

Un cavallo, invece, pieno di vigore è quello che salta un ostacolo nel monumento alle “Voloire” in piazzale Perrucchetti, davanti all’ex-caserma dell’Artiglieria a Cavallo.

Questa volta il cavaliere non è un illustre personaggio, ma il simbolo di chi ha rischiato o dato la vita in guerra. Chissà se il suo cavallo, fedele compagno di tante ore di battaglia o di solitudine, lo avrà dovuto vegliare “in un campo di grano… sotto mille papaveri rossi” come cantava Fabrizio De Andrè.

Due monumenti celebrativi ci riportano a secoli lontani. In piazza Mercanti, sul Broletto, ora in ristrutturazione, si trova  l’altorilievo di Oldrado da Trèsseno (podestà di Milano – 1233), che, nell’epigrafe, si vanta di aver fatto costruire il palazzo e di aver mandato al rogo i Catari.

Al Museo del Castello, invece, c’è il monumento funebre del feroce Bernabò Visconti, impettito in groppa al suo destriero. Gli animali avranno avuto più cuore dei loro padroni? Povere bestie…

Nei nostri passipermilano stiamo cercando di far vedere quanto la nostra città sia piuttosto insolita e misteriosa. A questo proposito abbiamo scoperto che a Milano c’è anche il monumento “I Quattro Cavalieri dell’Apocalisse e il Cavallo Bianco della Pace”. Ebbene, questo poco noto gruppo di cavalli e cavalieri si trova nel luogo più impensabile che si possa immaginare: i Giardini Pubblici “Indro Montanelli”.

Entrando da piazza Cavour, in una grande aiuola, vicino alla statua del giornalista, c’è un gruppo di stilizzate figure in bronzo, che passano quasi inosservate, forse perchè piuttosto basse e smilze. La scena rappresentata è molto drammatica, con cavalieri e cavalli in action.

 

Quasi in disparte c’è un cavallo bianco, senza cavaliere, che sta brucando, distante anni luce dagli altri: è il “Cavallo Bianco della Pace”.

Questo monumento, quasi sconosciuto e assolutamente da andare a vedere, è opera di Harry Rosenthal, uno scultore austriaco che ha attraversato il Novecento con i suoi tanti e contrastanti avvenimenti.

Infine ecco “IL” cavallo; senza cavaliere, imponente, maestoso ha un passato illustre e un presente che genera discussioni.

È conosciuto come “il Cavallo di Leonardo” e si trova davanti all’ippodromo del galoppo di San Siro, in una posizione con poca visibilità turistica, almeno per ora. L’anno prossimo, infatti, ci saranno le celebrazioni per i cinquecento anni dalla morte del Maestro e questo cavallo diventerà protagonista di eventi e manifestazioni. Ne parleremo anche noi tra qualche settimana.

A presto…

Itinerario Castello Sforzesco (Parte Seconda)

Il Castello non vive solo di memorie, ma è ben presente nella vita di oggi.

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allestimento per un evento – ottobre 2015

Al Castello ci si incontra per manifestazioni, eventi, appuntamenti culturali all’ora dell’aperitivo; la location, specialmente di sera, diventa quanto mai intrigante e suggestiva.

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luci alla Rocchetta

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caffetteria Calicantus

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happy “hart”

Agli eventi, in genere, sono riservati spazi all’aperto o strutture a tempo.

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Gli interni, invece, proteggono capolavori e raccolte di grande valore.

mappa dei musei del castello

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La Corte Ducale è una specie di Expo permanente di arte e cultura, che richiede una visita di diverse ore, magari suddivisa in più itinerari. Qui si trova la biglietteria per tutti i Musei, “padiglioni” che espongono le diverse eccellenze di arti e produzioni differenti.

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Una grande porta, la Pusterla dei Fabbri, accoglie i visitatori ed invita ad entrare. Non è il portone di un nobile palazzo quello che apre la strada ai tesori del Castello, ma l’arco di una Pusterla delle mura medievali.

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Questo arco, situato in una zona della Milano delle botteghe e popolare, fu portato al Castello ai primi del Novecento, in occasione di trasformazioni urbanistiche che ne prevedevano la demolizione. Ora si trova all’ingresso del Museo d’Arte Antica, quasi un omaggio al lavoro dei milanesi che ha fatto grande la nostra città.

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fabbri corriere

Entrati nella Corte Ducale, residenza rinascimentale dei Duchi, ciò che colpisce in primo luogo sono gli spazi: grandi, aperti, con ampie vetrate, che mostrano “scenografie” inaspettate.

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Il Museo d’Arte Antica è il primo “padiglione” che incontriamo. La varietà di ciò che contiene rende la visita molto ricca di scoperte. All’inizio di ogni sala si può ritirare una piccola guida gratuita che illustra, in più lingue, quanto esposto.

Ecco qualche “assaggio”:

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mausoleo di Bernabò Visconti

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Madonna Lia

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pietra tombale di Gaston de Foix

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gonfalone di Milano

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bassorilievo della “fanciulla impudica”

Le sale ducali sono esse stesse museo e gli ambienti, talora, rubano la scena.

sala verde

sala verde

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sala delle colombine

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Sala delle Asse

Dalle vetrate delle sale ci appaiono anche scorci antichi ed indimenticabili: il fossato, la Ghirlanda, la Ponticella del Bramante, dove Ludovico il Moro si ritirò a piangere, in tre salette “vestite” a lutto (le salette Nigre), la scomparsa della moglie Beatrice. Ci restò, dicono, “ben” quindici giorni!

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ponticella del Bramante

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ponticella del Bramante

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portico della Ponticella

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fossato e Ghirlanda

Fino a pochi mesi fa, in questo “padiglione” era ospitata anche la Pietà Rondanini, in una sorta di cappella votiva, realizzata dallo Studio BBPR, lo stesso cui si deve, tra l’altro, il progetto della Torre Velasca.

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gli architetti Banfi, Balgiojoso, Peressutti e Rogers

Per raggiungere il prossimo “padiglione” museo, dobbiamo scendere e passare sopra un ponticello sospeso.

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In questa nostra avventura, inaspettatamente, sotto di noi, appare una fontanella in un verde “prato” di muschio.

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La storia di questa fontanella del Castello Sforzesco è piuttosto curiosa: gli Sforza non l’hanno mai vista in questo posto! Infatti l’originale si trovava al Castello di Vigevano da dove fu traslocata per diventare un’acquasantiera nella Collegiata di Bellinzona.

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Bellinzona

Al Beltrami questa fontana piacque così tanto che ne fece costruire ben tre identiche. Una è quella dell Castello, un’altra è a Seregno.

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Seregno

La terza si trova, sempre a Milano, a Villa Mirabello, in una dimora di campagna del Quattrocento. Era soprannominata magiabagaj (mangiabambini) per l’immagine classica dell’inquietante biscione.

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Villa Mirabello

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Villa Mirabello

Sopra la fontana del Castello c’è una delle finestre originali, che ha fatto da modello per i restauri geniali e “creativi” del Beltrami.

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Raggiungiamo la Loggia di Galeazzo Maria con un ampio scalone a gradoni bassi, fatto per salire… a cavallo!

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Prima di iniziare un nuovo percorso museale fermiamoci sulla Loggia, magari seduti su questa deliziosa panchettina, per guardare il panorama.

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Siamo al primo piano della Corte Ducale e il “padiglione” da visitare è una sorta di Salone del Mobile attraverso i secoli. Qui regnano insieme storia e design.

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Anche la Pinacoteca, successivo “padiglione” di questa Expo speciale, offre una raccolta di capolavori che lascia frastornati.

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una delle sale

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Bernardino Luini

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Canaletto

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Andrea Mantegna

Con un passaggio coperto sulle mura si passa alla Rocchetta, dove si trovano il Museo delle Arti Decorative e quello degli Strumenti Musicali.

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Come all’Expo, assaggiamo qualche piatto speciale di questi padiglioni per…stuzzicare l’appetito.

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Entriamo nella Sala della Balla; accanto agli Arazzi dei Mesi, del Bramantino, si può utilizzare una postazione multimediale per leggere qualche pagina di Leonardo.

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Il percorso museale ci riconduce, attraverso un camminamento all’interno della Porta Giovia, alla sala della biglietteria.

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Ma la nostra “Expo” non finisce qui.

All’esterno, sotto il portico della Corte Ducale sostiamo un attimo “a bordo piscina”, accanto all’Affresco dell’Elefante, uno degli animali esotici che erano ospitati nella riserva dei Duchi, oggi Parco Sempione.

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Davanti a questo affresco è stata collocata la lapide a Gian Giacomo Mora, vittima dell’ignoranza e della superstizione, di manzoniana memoria.

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Da qui possiamo scendere nei sotterranei per visitare altri due “padiglioni”: il Museo della Preistoria e Protostoria e quello Egizio, sezioni distaccate del Museo Archeologico di corso Magenta.

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Che ci fa una gatta rock, venuta dal lontano Egitto, nei sotterranei del Castello? Quali misteri vi si nascondono?

gatta dea

Continua…

Itinerario Castello Sforzesco (Parte Prima)

La visita al Castello è veramente un’esperienza ricca di emozioni, scoperte e avventure, quasi un’impresa come quella degli antichi cavalieri che ricordavano un episodio esaltante della loro vita con uno stemma e un motto personali, diversi dallo stemma del casato.

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asse

Sala delle Asse

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una delle segrete

Uno degli stemmi scelti da Ludovico il Moro rappresenta un mare in tempesta e due fari che indicano il porto da raggiungere.

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Rocchetta

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Santa Maria delle Grazie

Questo stemma si trova sia al Castello, su un capitello nel portico della Rocchetta, sia in Santa Maria delle Grazie, voluta dal Duca come cappella di famiglia.

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Forse indicavano il travaglio della sua vita per giungere al potere terreno e alla pace eterna.

sarcofago di Ludovico e Beatrice (Certosa di Pavia)

Tal trabalio mes places, por tal thesaurus non perder” (tale fatica mi è gradita per non perdere un tale tesoro). Il motto che accompagnava l’impresa di Ludovico ci ha fatto pensare alla “vita” del Castello, giunto fino a noi in grande splendore dopo le tempeste della sua storia.

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Castello degradato

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Castello ora

Godiamoci questo tesoro conoscendo meglio la complessa varietà di quanto mostra, senza dimenticare, però, quanto nasconde o c’è ancora da scoprire.

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Il Castello è nel cuore della città, vasto quadrilatero di mura in mattoni definite da due torri rotonde sul davanti e quadrate verso il Parco Sempione.

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Non è del tutto originale, ma è stato ricostruito da Luca Beltrami, l’architetto milanese che, a fine Ottocento, riuscì a compiere l’impresa di salvare e restaurare il Castello e, insieme, la memoria dei milanesi rispetto alla loro Storia.

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Ecco la mappa del Tesoro:

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Passare sotto la Torre del Filarete è come varcare il portale verso il passato del Castello.

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Su di essa, ricostruita in maniera avventurosa dal Beltrami attraverso studi, ricerche e ritrovamenti fortunosi, spiccano un grande orologio, misura umana del tempo, la statua di Sant’Ambrogio e quella di Umberto I, al quale la torre è dedicata.

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La vasta Piazza d’Armi, che ci accoglie appena entrati, non fa pensare ai cortei cavallereschi o alle esercitazioni militari che qui avvenivano durante le varie dominazioni straniere.

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Ora sembra un giardino sul quale si affacciano sedi culturali o di capolavori come la Pietà Rondanini nell’ex-Ospedale Spagnolo.

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Ospedale Spagnolo

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Sul lato di fronte al Museo della Pietà, alcuni resti sono memoria della città che abitiamo e fanno da panchina per qualche gatto fermo, come noi, forse a meditare.

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gatto tra i resti

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La statua di san Giovanni Nepomuceno, patrono dei soldati austriaci e… protettore degli ubriachi caduti in acqua (una sua statua era situata anche a Porta Romana, quando vi scorreva il Naviglio) è davanti al cosiddetto fossato morto, completamente asciutto, dove spesso gatti sornioni ci guardano con felino e signorile distacco, accanto a palle di cannone in pietra.

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Statua e Naviglio a Porta Romana

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fossato morto

gatto e palle di cannone

L’antica Porta Giovia, che si apre sulla Piazza d’Armi, fa quasi da cartello indicatore verso i capolavori di Michelangelo e Leonardo contenuti nel Castello.

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torrione di Porta Giovia

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Entriamo ora nella seconda parte del Castello, dove si affacciano la Rocchetta, il luogo più protetto, al quale si accedeva solo da un ponte levatoio sopra il fossato morto, e la Corte Ducale, residenza del Duca e centro politico di Milano.

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Rocchetta col ponte levatoio

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Corte Ducale

Davanti alla Rocchetta possiamo fermarci per una sosta in un moderno luogo di ristoro.

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Accanto al bar, possiamo invece dissetarci, con la fantasia, alla piccola fontana su cui sono riportate cinque imprese dei Visconti e degli Sforza.

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Dalla fontana non sgorga acqua, ma si sa che i gatti non la amano; un inquietante gatto nero fa da guardiano a chissà quali misteri.

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Nell’elegante cortile della Rocchetta possiamo passeggiare sotto i portici ai quali lavorò anche il Bramante.

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Sui capitelli stemmi araldici, mentre sullo sfondo appare la Torre di Bona di Savoia, rifugio della infelice vedova di Galeazzo Maria Sforza.

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Da questa torre sembrano provenire, talvolta, gemiti e lamenti. Saranno quelli di Bona o di un gatto rimasto solo?

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gatto come fantasma al castello

Nel cortile della Rocchetta si apre anche la Torre Castellana, dove si trovava la Sala del Tesoro, purtroppo non sempre visitabile.

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Era il forziere che custodiva il tesoro dello Stato e quello privato del Duca.

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deposito di Paperon de’ Paperoni

Secondo l’ambasciatore di Ferrara, la quantità di ricchezze era tale che un cerbiatto non sarebbe riuscito a superarle con un balzo.

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In questa sala è possibile ammirare l’affresco, opera del Bramantino, raffigurante Argo. Questa figura mitologica dai cento occhi vegliava sul Tesoro, affiancata da due splendidi pavoni.

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La finestrella accanto conteneva un ingegnoso antifurto: nel vano erano contenute delle lampade ad olio che proiettavano la loro luce nella sovrastante stanza del Castellano; l’apertura non programmata della porta della sala avrebbe creato una corrente d’aria tale da farle spegnere, dando così l’allarme.

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Al primo piano si può passeggiare nel Museo degli Strumenti Musicali e nella Sala della Balla, dove sono esposti altri capolavori quali gli Arazzi dei Dodici Mesi, commissionati al Bramantino da Gian Giacomo Trivulzio, che appare in quello del mese di Settembre, con un falco sulla mano; un gigantesco selfie di stoffa dell’epoca.

Sala della Balla e Arazzi dei Mesi

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mese di Settembre

E come non pensare che in questa Sala, dove si giocava anche alla pallacorda, avvenne un dramma pubblico e privato? Dopo una notte di danze, per le feste del Nuovo Anno, Beatrice d’Este, giovanissima moglie del Moro, morì di parto insieme al suo bambino. Si dice che il fantasma della giovane Duchessa non abbia mai abbandonato queste sale.

Beatrtice d'Este

Quante altre storie conoscono i gatti del Castello?

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A tra poco…continua.

Benvenuti al Castello, una storia lunga 650 anni

È più vecchio del Duomo, è stato amato ed odiato dai milanesi, potenziato, abbellito, distrutto e ricostruito; tra i suoi tanti abitanti Signori e soldataglia, tra i suoi visitatori turisti, scolaresche in visita e fantasmi in attesa.

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turisti verso il castello

Come si può raccontare il Castello nei suoi diversi aspetti passati e attuali senza essere come frastornati dal pensiero di Ludovico e Leonardo che camminavano per queste stanze, davanti a tutte le opere d’arte che i suoi Musei contengono, esplorando i sotterranei e le vie segrete, pensando alle vite interrotte di chi è diventato fantasma e aspetta ancora pace?

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Leonardo e Ludovico il Moro

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i sotterranei

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Michelangelo – Pietà Rondanini

L’invito è quello di lasciarsi andare, di “sentire” quello che vediamo visitando il Castello, le sue stanze, i suoi Musei, i suoi angoli carichi di arte, storia, aneddoti e suggestioni.

Quattro passi nel tempo: i Visconti

Facciamo quattro passi nella storia di questo Castello, così da leggere sulle pietre, che lo formano, un po’ di vita passata della città nella quale viviamo e lavoriamo adesso.

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I Visconti, un po’ serpenti, un po’ baüscia

Il Castello Sforzesco, uno dei luoghi-cartolina di Milano, non è sempre stato così e ha cambiato persino il nome.

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L’inizio della sua costruzione, dovuta all’amore per il potere che animava i membri della famiglia Visconti, risale alla seconda metà del 1300. Alla morte dello zio, Giovanni Visconti, arcivescovo e Signore di Milano, i suoi tre nipoti dovevano spartirsi il potere: Galeazzo e Bernabò si allearono tra loro uccidendo il fratello Matteo; poi si divisero potere e città.

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Giovanni

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Galeazzo II

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Bernabò

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Matteo

A Bernabò toccò la parte sud, a Galeazzo l’altra e, per difenderla, iniziò la costruzione di una fortezza a cavallo delle mura con la duplice funzione di consentire difesa e protezione di Milano e di garantire una eventuale via di fuga dalla città…e di se stesso dal fratello.

Questa rocca prese il nome di Castrum Portae Jovis, in quanto inglobava una porta, o meglio una pusterla, chiamata Giovia. Pertanto ancora oggi ci si riferisce al primo nucleo di quello che diventerà il Castello Sforzesco, come Castello di Porta Giovia.

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Secondo alcune versioni nelle vicinanze di questa rocca sorgeva, in epoca romana, un tempio dedicato a Giove. Proverrà da questo tempio la testa monumentale del dio, conservata al Museo Archeologico e ritrovata nei dintorni di piazza Cadorna?

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Stemma della famiglia Visconti è il Biscione, immagine talmente presente nel DNA di Milano da essere stata, per così dire, “adottata” da alcuni gioielli della città, come l’Alfa Romeo, Canale 5 e… l’Inter! (Anche nel nostro blog ci suddividiamo il tifo calcistico tra Biscione e Diavolo).

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Il significato del Biscione dei Visconti è molto controverso e ovviamente… misterioso. Forse risale all’impresa leggendaria di un cavaliere, divenuto capostipite della famiglia viscontea, che liberò le terre padane da Tarantasio, un enorme serpente dalla testa di drago, che infestava il Lago Gerundo e faceva strage soprattutto di bambini.

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Il cavaliere uccise il serpente, che stava inghiottendo un bambino, e fece di questa impresa lo stemma della sua famiglia.

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La storia dei parenti-serpenti della famiglia Visconti fece molte altre vittime. Bernabò venne incarcerato a vita e avvelenato dal nipote Gian Galeazzo, che era anche suo genero, nel Castello di Trezzo.

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Gian Galeazzo

Bernabò è riuscito però a tornare da vincitore nel Castello Sforzesco: suo è il monumentale mausoleo, dove è raffigurato a cavallo, che ci accoglie nelle sale del Museo d’Arte Antica, dove è stato traslato dalla demolita chiesa di San Giovanni in Conca.

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Milano era a quel tempo una città molto ricca: le marcite permettevano una raccolta di fieno due mesi prima di quella naturale, questo consentiva alla cavalleria viscontea di avere “carburante” per i cavalli in anticipo sugli altri e alle mucche di produrre più latte e quindi più alimenti per gli abitanti.

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erba e neve – una “marcita”

Cavalleria

L’industria bellica, fatta di armorari e di spadari, era fiorente. Il tutto produceva denaro, il denaro banche, le banche ulteriore ricchezza.

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Gian Galeazzo, con queste ricchezze, comprò, per centomila fiorini d’oro, il titolo di Duca di Milano dall’Imperatore e il Biscione si mise in testa la corona.

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incoronazione di Gian Galeazzo in Sant’Ambrogio

Biscione

Forse è un po’ il capostipite dei baüscia milanesi: dopo essersi comprato il titolo, voleva crearsi uno status di signore e mostrare, agli altri potenti, la ricchezza accumulata.

Per dare lustro ed immagine al nuovo blasone iniziò la costruzione del Duomo, in marmo pregiato.

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cave di marmo di Candoglia

data di inizio del Duomo

lapide commemorativa nel Duomo

Intraprese anche una politica di alleanze matrimoniali, dando, tra l’altro, in sposa la figlia Valentina a Luigi d’Orleans, accompagnata da una dote sontuosa di denaro e gioielli.

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Luigi

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Valentina

Milano era infatti all’avanguardia anche nel campo della gioielleria, come ci conferma l’Altare d’Oro di Sant’Ambrogio.

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altare d'oro

Al momento della morte, Gian Galeazzo controllava un territorio vastissimo, da Belluno ad Asti, da Bellinzona a Pisa, da Siena ad Assisi; forse la sua intenzione era quella di unire la penisola, o almeno il Nord Italia, in un’unica monarchiacartina ducato

Per mostrare una corte degna del casato, sotto i successori di Gian Galeazzo, il Castello di Porta Giovia venne ampliato in forma quadrata, con lati di circa duecento metri e una torre ad ogni angolo. Filippo Maria, figlio di Gian Galeazzo, divenuto Duca alla morte del fratello maggiore, vi trasferì in modo definitivo la propria residenza.

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Filippo Maria

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Alla sua morte, senza eredi maschi, venne proclamata la Repubblica Ambrosiana e il Castello, ritenuto simbolo della passata tirannia, fu saccheggiato e in parte distrutto. La città, dopo un assedio, si consegnò a Francesco Sforza, valoroso capitano di ventura, marito di Bianca Maria Visconti, figlia dell’ultimo Duca, Filippo Maria.

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Francesco Sforza

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Bianca Maria

Siamo nel 1450, l’Aquila si affianca al Biscione. Il capostipite della nuova casata ricostruirà il Castello, dandogli nome, lustro e fama.

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stemma degli Sforza

continua…

Itinerario Velasca – (Parte Seconda: quattro passi verso Sant’Antonio Abate)

Continuiamo il nostro itinerario andando, dopo largo Richini, verso via Sant’Antonio, anche questa fuori dai consueti giri turistici. È un vero peccato: la splendida chiesa col chiostro bramantesco e, di fronte, l’austero Palazzo Greppi lasciano stupiti i visitatori.

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palazzo Greppi

Forse sarebbero ancora più meravigliati pensando a quando i maiali avevano, in questa zona, assoluta libertà, come le Vacche Sacre indiane.

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Infatti, qui, fin dal 1200, alcuni frati dell’Ordine di Sant’Antonio Abate ottennero la direzione di uno dei primi ospedali milanesi, per la cura del Fuoco di Sant’Antonio. Questa malattia era molto diffusa e si curava con un unguento ottenuto dal grasso di maiale. Nell’iconografia tradizionale Sant’Antonio Abate veniva rappresentato con un bastone terminante con una Tau e con un maiale vicino.

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Per aumentare la produzione di questo unguento i frati allevavano i maiali, che venivano marchiati con una Tau, simbolo dell’Ordine, liberi di razzolare ovunque, protetti da quel “logo”.

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La Tau, che corrisponde all’ultima lettera dell’alfabeto ebraico, fu usata anche dai Francescani ed in alcuni mappamondi simbolici.

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I frati ricevevano cospicue offerte per questo allevamento, avevano a disposizione tutta la carne, che consumavano nell’interno del convento e facevano commercio di indulgenze.

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la “cassoeula”, piatto tipico lombardo a base di carne suina

Dante stigmatizza tutto ciò in una terzina del Paradiso (Canto XXIX).

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L’ “Hospitale Porcorum” si trovava dunque non lontano dall’odierna chiesa di Sant’Antonio, costruita successivamente, nella prima metà del Seicento. quando ormai i malati ricorrevano alle cure della vicina Ca’ Granda.

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Questa chiesa è un vero gioiello milanese, anche se poco conosciuto e merita assolutamente una visita.

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Vi segnaliamo in particolare un’opera di Fede Galizia, figlia d’arte, una delle poche pittrici, donna fra tanti uomini.

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A cavallo tra il Cinquecento ed il Seicento, dipinse soprattutto nature morte, ritratti e personaggi celebri dei quali curò in particolare costumi e ornamenti.

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In questa chiesa, tenuta aperta dai volontari del Touring, abbiamo scoperto una piccola chicca: la tomba di un fratello di quel Ludovico Acerbi, conosciuto come “il Diavolo di Porta Romana”, nella Cappella Acerbi, commissionata e finanziata dallo stesso Ludovico.

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Accanto alla chiesa si conserva il chiostro bramantesco dell’antico convento, mentre un altro chiostro, attiguo, è stato coperto e viene utilizzato come sede di convegni.

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Oltre a questo gioiello, visitabile al numero 5 di via Sant’Antonio, si ammira anche lo splendido campanile, capolavoro dell’arte lombarda, che reca in cima la croce a Tau degli Antoniani.

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Quasi di fronte alla chiesa, al numero 12, si trova il Palazzo Greppi, progettato dal Piermarini alla fine del Settecento, per mettere in evidenza il potere di un nuovo ricco, Antonio Greppi, industriale della lana, banchiere e appaltatore delle tasse.

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La sontuosa dimora e le feste che vi si svolgevano, ottennero l’effetto desiderato e Antonio Greppi, nominato conte dall’Imperatrice Maria Teresa, fu accettato dal Gotha milanese. In seguito, specialmente con i suoi tre figli, il palazzo divenne centro della vita sociale milanese.

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La facciata appare piuttosto austera, come consuetudine delle ricche dimore milanesi dell’epoca, mentre gli interni sono fastosi.

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Oggi Palazzo Greppi ospita uffici dell’Università Statale e, nei suoi bellissimi saloni, convegni e conferenze.

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Una curiosità: tra la chiesa e Palazzo Greppi si trovava una colonna con prezioso capitello, rimasta unica in mezzo alla strada e ora custodita al Castello Sforzesco. Costituiva un notevole intralcio per le carrozze ed i pedoni e i passanti dovevano scansarsi in fretta per non “impastass sul mur come una Madonna”, forse riferendosi alla Madonnina dipinta sul muro d’angolo con via Chiaravalle.

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Il nostro itinerario, che parla di tesori quasi sconosciuti, di vecchie storie e di antiche dimore milanesi, è terminato. Sta a voi, come ad Alice nel Paese delle Meraviglie, decidere quale direzione prendere: siamo a due passi dalla Statale, da San Bernardino alle Ossa, dal Verziere e da Porta Romana.

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Itinerario Velasca – (Parte Prima: quattro passi da San Giovanni in Conca)

Anche questo breve itinerario, che congiunge piazza Missori con la chiesa di San Nazaro e la Statale, offre squarci di luoghi, di tempi e di vite milanesi molto diversi tra loro.

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Il “dente rotto” di piazza Missori è una delle tante “stranezze” di Milano: sacrificata una bella chiesa, piena di storia e di opere d’arte (per fortuna in parte conservate al museo del Castello) in nome di un moderno progetto di viabilità, la cosiddetta Racchetta, la nostra città mostra un rudere, piuttosto brutto, che cela, però, al suo interno una splendida, impensabile cripta.

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Passiamo accanto al monumento equestre di Giuseppe Missori, ora in restauro.

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Il generale fu accanto a Garibaldi, al quale salvò anche la vita, in tante battaglie. Dopo una vita eroica, morì poi a Milano, travolto da un tram e ora riposa al Famedio del Cimitero Monumentale.

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Missori salva la vita a Garibaldi nella battaglia di Milazzo

Il monumento è noto anche per il cavallo dall’aspetto così stanco, tanto da essere soprannominato el caval de brum, ossia il cavallo da tiro delle carrozze pubbliche.

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Lasciata piazza Missori, facciamo quattro passi per corso di porta Romana e raggiungiamo un piccolo slargo, quasi nascosto ed anonimo, dove si trova la Torre Velasca, che prende il nome dalla via dedicata al governatore spagnolo di Milano, Don Juan Fernandez de Velasco.

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La torre fu costruita tra il 1956 e il 1959 su progetto dello Studio BBPR ed è adibita parte ad uffici e, nella parte più larga, in alto, ad abitazioni.

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Per vederla tutta, quasi non si sa dove andare: lo spazio orizzontale di questa piazzetta, chiusa da palazzi, è piuttosto piccolo, tanto che bisogna stare col naso all’insù per poter ammirare il grande fungo che vi è cresciuto.

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Viene chiamata Torre, e non grattacielo, come il Pirellone, costruito negli stessi anni; questo ci darà modo di fare un breve excursus sul vecchio e nuovo skyline di Milano.

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La Torre Velasca ha suscitato molti dibattiti tra chi la trova bellissima e chi orrenda.

http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/12_aprile_3/torre-velasca-brutta-parere-architetti-milanesi-sgarbi-boeri-daverio-2003934701378.shtml

Ai noi, personalmente, piace, forse anche per quel suo elevarsi improvviso, quasi in modo inaspettato, tra i palazzi.

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E ci piace questo disegno di Buzzati con le streghette che ballano sopra questa torre…un po’ di mistero c’è sempre nel nostro blog.

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Usciamo dalla piazzetta per andare in via Pantano, dedicata non a qualche personaggio famoso, ma proprio a quella sorta di laghetto stagnante che c’era qui tanto, tanto tempo fa, in epoca romana.

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Era una zona di acqua e boschetti; niente di meno strano che vi crescesse, secoli dopo, un fungo gigantesco di 26 piani!

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La via Pantano era una zona residenziale molto bene della Milano del Sei-Settecento. Vi si trovavano dimore di famiglie illustri e anche ora ha mantenuto un’aria elegante e riservata.

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Dietro alle facciate un po’ severe ci sono cortili molto belli, con “ricordi” artistici di secoli passati.

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Al numero 1 di via Pantano, più o meno dove ora c’è l’Assolombarda, nacque nella prima metà del Settecento, da famiglia molto ricca, Gaetana Agnesi, dottissima donna ed esempio del “buon fare” milanese.

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Fu una donna straordinaria: semplice, colta, religiosissima, fine matematica di successo, abbandonò completamente gli studi per dedicarsi alla cura degli ultimi, in particolare delle donne “pazze” di famiglia povera, vivendo in mezzo a loro.

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A lei toccò in seguito l’amministrazione di opere sociali come la Baggina appena nata.

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l’attuale “Baggina”

 Ben altri inquilini ebbe il palazzo al numero 26 di via Pantano.

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Vi prese dimora, alla fine del Seicento, la famiglia Settala, tra cui l’illustre Protomedico Lodovico e lo strambo scienziato Manfredo, suo figlio.

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Lodovico

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Manfredo

Di Lodovico sappiamo anche, dal Manzoni, che “cooperò a far torturare, tanagliare e bruciare, come strega, una povera infelice sventurata, perchè il suo padrone soffriva di dolori di stomaco”. Parleremo di lui, del suo paziente e della sventurata Caterina in un prossimo articolo.

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Molto originale, tipo scienziato pazzo, era il figlio Manfredo. Era amante dei viaggi e delle cose insolite che raccolse, secondo la moda dell’epoca, nelle sale del palazzo di famiglia.

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Ecco qualche esempio di ciò che aveva raccolto:

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cranio di ippopotamo gigantesco

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pesce palla

Probabilmente questo canonico di San Nazaro si dilettava anche con esperimenti nel proprio laboratorio, ma poco sappiamo di queste ricerche che hanno alimentato molte fantasie.

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D’altra parte cosa c’è di strano in questa sua creazione, conservata al museo del Castello Sforzesco?

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È un automa che sghignazza e sputa tra un fragore di catene di ferro e ruote; il busto in legno sarebbe quello di un Cristo alla colonna, ma la testa è diabolica.

Di Manfredo si racconta che a volte si aggiri ancora in questa zona.

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Se vedete un religioso col cappuccio alzato, che si reca verso San Nazaro, fate quattro passi con lui e intanto ammirate le splendide case di via Pantano.

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via pantano

  Continua

San Giovanni in Conca, il “dente rotto” di piazza Missori – (dove)

Lo chiamano il “dente rotto”.

dente rotto

A ridurre così la chiesa di San Giovanni in Conca non sono stati i vandali o i bombardamenti dell’ultima guerra, bensì i cazzotti che ha preso dai progetti urbanistici che avrebbero voluto demolirla per realizzare ampie strade nel centro cittadino…riuscendoci quasi del tutto.

dente rotto

Sembra quasi che il cavallo del monumento di piazza Missori, senta tutto il peso e la stanchezza, non solo delle battaglie risorgimentali, ma anche dei mutevoli voleri che hanno continuamente cambiato faccia a questa piazza.

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la statua “el caval de brum”

Fortunatamente si è salvata, sotto il “dente”, la cripta dove ci sono radici romane e, probabilmente, quelle di un Mitreo, un luogo di culto sotterraneo dedicato al dio persiano Mitra.

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Anche il termine “conca” potrebbe far pensare a un avvallamento primitivo del terreno, una conca appunto, e questo potrebbe confermare l’ipotesi di un antichissimo Mitreo.

mitra grotta

https://www.youtube.com/watch?v=Xbe0OjxXYOA

Ancora oggi è visitabile, grazie ai volontari del TCI, la cripta romanica della chiesa, che contiene alcuni reperti di una Domus romana; altri sono conservati al Civico Museo Archeologico, come il bel pavimento decorato a mosaico con animali.

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La nostra chiesa sorse quindi sopra precedenti edifici e fu molto grande e importante: infatti serviva anche, nel primo periodo comunale, per le assemblee del popolo, che si tenevano preferibilmente in luoghi sacri e coperti.

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Ma le continue scosse del terremoto, che sconvolse per quaranta giorni Milano nel 1107, fecero ritenere più prudente riunirsi all’aperto, nei diversi, successivi Broletti.

Palazzo della Ragione con successivo sopralzo austrico

Broletto Nuovo di piazza Mercanti

 

San Giovanni in Conca fu una chiesa molto importante anche sotto l’aspetto religioso e politico. Venne dedicata a San Giovanni Evangelista che, secondo la tradizione, fu gettato in una conca piena di olio bollente, che però venne raffreddato da un improvviso, violento acquazzone, tanto che il Santo potè uscirne illeso. Da qui l’uso, che ricorda un po’ quello dell’acqua a San Calimero, di far bollire sul sagrato pentoloni di olio per propiziare la pioggia nei periodi di siccità.

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Questa chiesa ricoprì anche un importante ruolo ai tempi di Bernabò Visconti, Signore di Milano. Quando, verso la metà del 1300, si spartì la città col fratello, a Bernabò toccò la parte sud-est con l’intero sestiere di Porta Romana.

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Bernabò Visconti

Bernabò elesse la chiesa a cappella gentilizia, essendo molto vicina al suo palazzo, che divenne famoso col nome di Ca’ di Can (nel prossimo “Tanto Tempo Fa” racconteremo delle due passioni del Signore: le donne e i…cani).

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la chiesa e, a destra, la Ca’ di Can

All’interno della chiesa fece porre il proprio monumento funebre equestre, che oggi possiamo ammirare al Castello Sforzesco, proprio accanto all’altare, in quanto Bernabò si riteneva: “Papa et Imperator ac Dominus in omnibus terris meis”...un tantino bauscia!!

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Il nostro bel San Giovanni, poi, non fu risparmiato dagli interventi umani: dopo vari rifacimenti minori, venne sconsacrato e spogliato dei vari, preziosi arredi da Napoleone; il suo campanile fu utilizzato dal medico Pietro Moscati come osservatorio astronomico e meteorologico, per studiare gli effetti delle condizioni ambientali sulla salute. Il suo ritratto è conservato nella Quadreria dei Benefattori della Ca’ Granda di via Francesco Sforza.

campanile demolendo

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Divenne quindi prigione e poi “garage” per le carrozze del Vicerè austriaco, distrutte poi durante le Cinque Giornate.

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A ridurlo un dente rotto, furono poi, come già detto, i piani regolatori di fine Ottocento e e di metà del Novecento; la chiesa venne dapprima accorciata, per aprire l’attuale via Mazzini, e venduta alla comunità Valdese.

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Nei primi anni Cinquanta, infine, fu deciso di abbatterla per aprire la via Albricci.

lavori per aprire via Carlo Alberto da piazza Missori demolizione S Giiovanni 1949

La facciata fu smontata e rimontata sulla nuova chiesa Valdese di via Francesco Sforza (dove si trova tuttora), mentre di San Giovanni si sono salvati solo la cripta sotterranea, l’unico esempio di cripta romanica originale esistente a Milano, e i pochi resti dell’abside, che vediamo nello spartitraffico.

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https://www.youtube.com/watch?v=Z-AwIwQ_ozY

E ora il “dente” è lì, carico di storia, in mezzo ai tram di piazza Missori.

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Ma se scendete nella sua cripta vi sembrerà di entrare in un altro mondo.

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Apertura dal martedì al sabato dalle 9.30 alle 17.30. Ingresso gratuito.

http://www.apertipervoi.it

La Basilica di San Nazaro a Porta Romana – (dove)

Il luogo dove sorge questa Basilica è davvero importante: Sant’Ambrogio la volle, infatti, sulla via romana che conduceva o accoglieva chi era diretto o proveniva da Roma.

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Dedicata prima agli Apostoli, poi a San Nazaro, un martire cristiano qui sepolto, ha visto passare dal 382, nel corso dei secoli, cortei imperiali, viaggiatori e pellegrini; ha subito l’attacco dei barbari di Uraia, un incendio disastroso e la resa dei milanesi al Barbarossa.

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Barbarossa a Milano

Nel Cinquecento la sua facciata “scomparve” dietro al Mausoleo Trivulzio, fatto edificare, proprio davanti alla chiesa, su progetto del Bramantino, da Gian Giacomo Trivulzio.

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Prima capitano di ventura, divenne poi Maresciallo di Francia al tempo di Luigi XII e, per qualche tempo, anche governatore di Milano per conto del re francese, che si era impossessato del Ducato, scacciando gli Sforza, in virtù della sua ascendenza materna dalla famiglia Visconti.

Gian Giacomo Trivulzio

Gian Giacomo Trivulzio

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Luigi XII

In questo Mausoleo il Trivulzio cercava una grandiosa sepoltura, per sè e la sua famiglia, dopo tante vicissitudini, come indica la scritta sotto la sua arca. Il Mausoleo, oggi, però, non contiene più i resti di Gian Giacomo, che si sono mescolati nella cripta con quelli dei morti di peste.

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In vita ebbe alterne fortune e conobbe i fasti del successo: memorabile fu un banchetto sontuoso, che si svolse all’aperto tra via Rugabella e la chiesa di San Nazaro, nel maggio del 1507, dato in onore del re francese. Di questa tavolata da Guinness rimangono i preziosi Arazzi dei Mesi, disegnati dal Bramantino, che adornavano la strada e che ora sono esposti nei Musei del Castello Sforzesco: uno street food veramente regale!

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Arazzi al Castello Sforzesco

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mese di Maggio

Dal Mausoleo scendiamo qualche gradino ed entriamo nelle vera e propria Basilica, a croce latina e di ampio respiro.

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Diverse sono le cose da vedere: ve ne suggeriamo solo alcune, lasciando alla curiosità di ciascuno gli approfondimenti.

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antico organo

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resti dalla pavimentazione originale

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il Presepio gioiello in ebano

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una piccola colomba per contenere le Ostie

Per saperne di più:

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Basilica S. Nazaro -b

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Questa Basilica ha anche un interessante Sito Archeologico, che si trova sia nel sotterraneo sia all’esterno.

Il percorso archeologico -a

il percorso archeologico -b

Anche in questo caso vi consigliamo di seguire le indicazioni dei pannelli illustrativi durante la visita. Mettiamo solo qualche immagine, per non togliervi il piacere della scoperta personale, durante la visita, che vi porterà proprio accanto a questi resti.

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Usciamo a visitare il parco archeologico: qui si trovano alcuni sarcofagi e delle colonne provenienti dalla Basilica.

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Lasciamo la Basilica e torniamo sulla piazzetta: diamo un’occhiata alla statua, piuttosto trascurata, di Sant’Ulderico, in abiti pontificali.

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Percorriamo, accanto alla chiesa, lo strettissimo vicolo Santa Caterina, su cui si apriva la chiesetta omonima, ora diventata cappella della Basilica.

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Questa cappella, attualmente in ristrutturazione, contiene un raro organo e un grande affresco che raffigura il martirio della Santa, che abbiamo già “incontrato” in San Maurizio, col viso di Bianca Maria di Challant.

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Diamo, infine, un’occhiata al vasto complesso absidale della Basilica che è, come sempre, molto articolato e vivace.

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Entriamo, subito a sinistra, nella piccola via Osti e ammiriamo un bellissimo portoncino rococò, un esempio della Milano che deve sempre essere scoperta e che non finisce mai di stupirci.

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Il Barbarossa e le rinascite di Milano – (Tanto tempo fa)

Milano, nel corso dei secoli, è stata più volte conquistata e distrutta, ma altrettante volte è rinata.

Dopo la distruzione di Milano da parte degli Unni di Attila e quella dei Goti di Uraia, anche l’Imperatore tedesco Federico I Barbarossa, non si limitò a conquistare la nostra città, dopo un lungo assedio, ma, spinto e “aiutato” dai comuni lombardi suoi alleati e nemici dei milanesi, distrusse quanto più possibile, per affermare la propria supremazia e impedire che Milano potesse tornare potente.

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http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-ba4c39fd-d605-400c-98d0-5e12dadc5aac.html

http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-404e2a11-096f-4624-a16f-32162037e561.html#p=

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I principali edifici, tranne quelli religiosi, vennero rasi al suolo e tutti i milanesi furono costretti all’esilio. Siamo nel 1162, ma già cinque anni dopo, al loro ritorno, i nostri antichi concittadini, non solo ricostruirono la città, ma la cinsero di mura ben più solide e nel 1176 si batterono nella Lega Lombarda contro l’Imperatore, sconfiggendolo in modo definitivo a Legnano.

Frederick Barbarossa is wounded at the battle of Legnano, 1176

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https://www.youtube.com/watch?v=09TmaAkEgKY

Queste nuove mura furono costruite su una cinta più esterna di quella romana, con diverse porte che si aprivano verso l’esterno. Secondo il cronista Bonvesin da la Riva (della fine del 1200) le mura compivano un cerchio quasi perfetto attorno alla città.

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Porta Romana era una di queste, sull’antica via che conduceva verso Roma.

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Si trovava all’altezza dell’odierno incrocio tra corso di Porta Romana e le vie Santa Sofia e Francesco Sforza, che allora costituivano il fossato difensivo  che, col tempo, diventerà il Naviglio interno.

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Per ricordare l’esilio dei milanesi e l’epica impresa che portò all’autonomia comunale, su Porta Romana furono poste “illustrazioni di pietra” che riguardavano l’esilio ed il ritorno dei milanesi.

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Questi bassorilievi sono ora esposti al Civico Museo d’Arte Antica del Castello Sforzesco (sala 6), dove si trova anche una presunta immagine dell’Imperatore e dove mostra le sue nudità una figura femminile impudica, detta anche Sconcia Fanciulla.

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Secondo alcuni sarebbe una raffigurazione oltraggiosa di Beatrice di Borgogna, moglie del Barbarossa, nell’atteggiamento di radesi il pube, come facevano le prostitute; secondo altri, invece, ricorderebbe l’anonima ragazza che, durante l’assedio, salì su una torre e insultò con un gesto volgarmente derisorio le truppe tedesche. In ogni caso la lunga veste e l’acconciatura a corona non fanno pensare ad una prostituta.

Cosa resta oggi delle mura medievali? Ne rimane visibile un breve tratto in via San Damiano, con la targa celebrativa, diventato muro di cinta di un palazzo.

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Se guardate, inoltre, con attenzione in corso di Porta Romana, sul lato opposto alla Pasticceria Panarello, vedrete un piccolo tratto di strada con pietre diverse: non è un pessimo rattoppo stradale… ma indica dove si trovava una parte della porta medievale!!!

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Come si vede, a volte è difficile trovare i resti del passato di Milano, dato che numerose volte è ricresciuta, per così dire, su se stessa, trasformando e inglobando quello che era rimasto: un  esempio è la torre romana del Carrobbio, inserita ora in un ristorante.

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Un simbolo di questa vitalità e della voglia di trasformazione è il nostro più grande e rappresentativo “magazzino” che si chiama, appunto, La Rinascente, dal nome che Gabriele D’Annunzio volle dargli dopo che un incendio lo distrusse.

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Rinascente e contiguo Odeon 1950

La Rinascente fu distrutta e ricostruita più volte ed ora, ampliata e ristrutturata, è uno dei più importanti  e glamour general store europei.

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Istallazione Rinascente

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A volte, infatti, sono i milanesi stessi che, ammalati di “progresso”, di “moderno” e di “nuovo”, distruggono e ricostruiscono parti della città, poi, ammalati di nostalgia, vorrebbero tornare all'”antico”: il caso dei Navigli è emblematico.

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Forse è anche per questo che Milano è la capitale della moda, che ogni anno propone novità e revival? Quest’anno si torna agli anni ’70!

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