Quattropassi nella Milano del “fare” di ieri e di oggi: piazza Olivetti con vista Fondazione Prada

Ci si può andare con l’autobus 65 per meglio assaporare alcuni scorci inconsueti della nostra città.

Dal ponte di corso Lodi diamo uno sguardo allo Scalo Romana, dove, tra qualche anno, sorgerà parte del Villaggio Olimpico tra grandi spazi verdi. Se l’ora lo consente, fermiamoci a guardare da lontano la Torre Prada in un incantevole tramonto milanese.

Siamo ora in largo Isarco, in una zona della vecchia Milano del “fare”, caratterizzata da fabbriche dismesse. muri sbrecciati, verde incolto e tanto lavoro, che ora sta trasformandosi in una delle più cool ed emergenti, soprattutto grazie alla presenza della Fondazione Prada.

Questa zona entra nel futuro e mette in connessione vecchio e nuovo, spazi per il lavoro di oggi e luoghi d’arte, come la Fondazione ICA (Istituto Contemporaneo per le Arti); nascono piazze accanto a fabbriche rinate e a costruzioni d’autore.

Facciamo quattropassi nella nuovissima piazza Adriano Olivetti, di fianco alla Fondazione Prada, tra via Orobia e via Adamello.

La piazza è un omaggio a Milano, città d’acqua senza mare o grande fiume, di cemento e mattoni, di lavoro e di verde, che cambia e conserva, che “fa” e ama la bellezza di ieri ma anche quella di dopodomani.

In questa grande piazza (circa 13.000 metri quadri) una vasca d’acqua quasi ferma fa pensare alle rogge, alle marcite e riflette i palazzi intorno tra ninfee galleggianti.

Una passerella in ferro (no tacco 12, non usa più!) attraversa un altro spazio d’acqua e ci porta ai palazzi dei nuovi lavori.

L’acqua e il palazzo a specchio riflettono e moltiplicano, in un rimando continuo, gli edifici intorno: la vecchia distilleria diventata Prada, le torri di Rem Koolhaas, quella bianca e avveniristica e quella d’oro, quasi per ribadirne la preziosità.

Nella piazza troviamo panchine, spazio per eventi, alberi in attesa di tante primavere per crescere, un cavallo alato, omaggio contemporaneo a quello di Leonardo, aiuole di verde ruderale.

Ad una prima occhiata la vegetazione, tipica delle nostre parti, sembra incolta, cresciuta spontaneamente e un po’ dimenticata.

L’ambientazione è opera, invece, di un paesaggista, Carlo Masera, che ha voluto ricreare un ambiente naturale di erbe e piante autoctone, da ammirare in un percorso lungo i muri perimetrali della Fondazione Prada.

E perché, prima di tornare a casa, non stupirci facendo un giro alla Fondazione stessa che, come dice un suo foglio illustrativo, “…mette in contatto arte, architettura, cinema, filosofia, design e moda, sottolineandone l’aspetto culturale…”?

Infine possiamo fermarci a gustare un buon caffè al bar Luce di Prada, dove dialogano stili diversi e, guardando le pareti e il soffitto, ci sentiamo anche un po’ in Galleria.

A presto…

Quattropassi ieri e oggi nella Milano che vide nascere la “Vergine delle Rocce”

Com’era Milano quando vi nacque la “Vergine delle Rocce”? Cosa rimane, sia pure con i “ritocchi” avvenuti in oltre cinquecento anni di storia? Facciamo quattropassi per andare a vedere la nostra città di fine Quattrocento seguendo le indicazioni della nostra Guida.

Milano, al tempo di Ludovico il Moro, era una città in grande fermento ed espansione. Aveva forma circolare, era ricca di corsi d’acqua naturali e artificiali (i Navigli). Leonardo collocò, in un suo disegno, il centro cittadino presso la chiesa di San Sepolcro nel cuore di Mediolanum.

Aveva un Broletto, a pochi passi dal Duomo che si stava costruendo utilizzando il marmo rosa più pregiato, ricordo delle conchiglie di antichi mari.

Accanto, dove ora c’è Palazzo Reale, si trovava Corte Vecchia, storica dimora dei Visconti. Ancora oggi, qua e là, qualche antica finestra si affaccia sul veloce via vai del nostro mondo.

Raggiungiamo la chiesa di San Gottardo in Corte. Ha il più bel campanile di Milano, sulla cui cima veglia un angelo, “discendente” da quello abbattuto, secondo la leggenda, dal “Bombarda” ai tempi dell’invasione francese. La chiesa non ha la facciata, inglobata nel Palazzo, ma l’interno è un gioiello tutto da scoprire, accedendovi dal Museo del Duomo.

Senz’altro Leonardo passò davanti alla chiesa di Santo Stefano, presso la quale era stato ucciso da congiurati il Duca Galeazzo Maria Sforza, e si fermò a guardare la Ca’ Granda, ospedale pubblico dove, probabilmente, fu ricoverata anche Caterina, madre dell’artista.

La Ca’ Granda era stata voluta da quel Francesco Sforza (padre di Galeazzo Maria e di Ludovico il Moro) al cui monumento equestre tanto lavorò il Maestro proprio in Corte Vecchia. Oggi il Cavallo, dono americano ispirato al progetto di Leonardo, si trova, un po’ in disparte, all’Ippodromo di San Siro.

A pochi passi dalla Ca’ Granda, Leonardo avrà certamente visto la Basilica di San Nazaro, ovviamente senza il Mausoleo Trivulzio, costruito dopo.

Poco più in là, in piazza Missori, possiamo scendere nell’antichissima cripta di San Giovanni in Conca e fermarci nella vicina San Satiro per vedere l’illusoria abside del Bramante, contemporaneo di Leonardo.

Milano, anche allora, era densamente popolata e tanti erano i bei palazzi, le torri, le chiese, dentro e fuori le mura.

Proprio per una chiesa vicino alla Pusterla di Sant’Ambrogio, una delle porte delle mura, nacque la Vergine delle Rocce.

Leonardo era giunto a Milano pieno di speranze per cercare fama e fortuna alla corte del Moro, preceduto da un curriculum a 360°.

Dopo un paio di anni, però, non gli erano ancora arrivati incarichi di prestigio e il Maestro doveva pur sbarcare il lunario. Così, quando i Confratelli della chiesa di San Francesco Grande gli commissionarono una pala d’altare per illustrare ai fedeli l’Immacolata Concezione, Leonardo accettò questo incarico, il primo al di fuori della corte sforzesca.

Il “contratto” tra i committenti e l’artista è miracolosamente giunto fino a noi ed è conservato presso gli archivi cittadini.

Secondo le richieste, Maria avrebbe dovuto essere vestita di “broccato d’oro e azurlo (sic!)” con il Bimbo tra le braccia, volo d’angeli, sotto lo sguardo di Dio Padre, come era nella tradizione e come l’avevano dipinta anche i contemporanei Botticelli e  Perugino.

Leonardo, però, spiazza e interpreta. Non è l’artigiano che esegue, ma un artista che crea, vicino forse anche alle teorie poco ortodosse di un francescano, Amedeo Mendes da Silva.

I Confratelli avevano chiesto per la pala uno sfondo roccioso. Leonardo fa svolgere la sacra scena in una grotta (il ventre materno? Il grembo della Natura?) così come in una grotta Gesù era venuto alla luce e da un sepolcro di pietra era uscito con la Resurrezione (dal buio scaturisce la luce?).

Non solo: l’artista rappresenta l’incontro, narrato nei Vangeli apocrifi, tra i piccoli Gesù e Giovanni Battista avvenuto durante la Fuga in Egitto. Uriel è l’arcangelo al quale, secondo la leggenda, Maria aveva affidato il piccolo Giovanni dopo la morte della madre. I personaggi non avevano le aureole; l’angelo, senza ali, sembra voglia “dirci” qualcosa. guardandoci enigmatico e suadente.

Poveri Confratelli! Questo capolavoro, accompagnato ai lati da angeli dipinti dai De Predis (tra cui Ambrogio, quello della Vergine di Affori?) era molto diverso da come l’avrebbero voluto. Ne nacque un lungo contenzioso economico, che durò circa vent’anni, ieri come oggi! Alla fine Leonardo dipinse per la Confraternita la seconda versione riveduta dell’opera.

Al posto della chiesa di San Francesco Grande, abbattuta agli inizi dell’Ottocento, ora vediamo la caserma della Polizia di Stato. Una bella copia della Vergine delle Rocce, prima maniera, è però esposta di fronte a Sant’Ambrogio, nella antica chiesetta di San Michele sul Dosso. Sembra quasi che questo capolavoro abbia voluto restare in qualche modo vicino alla propria casa.

Il nostro giro per guardare oggi ciò che vide allora Leonardo proseguirà tra breve…

 

A presto…