Votiamo per Milano!

Mancano ancora pochi giorni per votare la città europea che sarà scelta come migliore destinazione turistica per il 2017, tra le venti selezionate.

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La competizione è organizzata da Ebd (European best destination), l’associazione degli Uffici Turistici, con sede a Bruxelles, allo scopo di promuovere la cultura e il turismo in Europa. Milano ha partecipato altre volte a questa gara, piazzandosi sempre tra le prime dieci. La città vincitrice avrà il titolo di “Best Destination 2017”  e godrà di una campagna di promozione turistica a cura di Ebd.

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La votazione è esclusivamente on line e terminerà il 9 febbraio 2017.

Ecco il link per votare:

http://www.europeanbestdestinations.com/best-of-europe/european-best-destinations-2017/

Abbiamo pensato di dare il nostro piccolo contributo a questa corsa verso il titolo con un testimonial d’eccezione: Bonvesin de la Riva, un milanese DOC, che nel lontano 1288 scrisse un libro De Magnalibus Mediolani per raccontare le “meraviglie” della nostra città.

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Era una persona seria, un intellettuale, insegnante di latino e cultura generale e, soprattutto, un innamorato di Milano.

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Magari era un tantino “baùscia” e, qualche volta, anche un po’ “casciaball”, cioè uno che le spara un po’ grosse e qualche volta non proprissimamente vere, ma il suo amore per la nostra città era autentico, persino sfacciato.

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il GGG milanese dell’epoca

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Scrisse questa “guida” di Milano “…poichè mi sono accorto che non solo gli stranieri, ma anche i miei concittadini, dormono… e non conoscono le meraviglie di Milano; ho pensato che si dovesse aiutarli a farsene un’opinione, in modo che, aprendo gli occhi, vedano e, vedendo, capiscano che città sia la nostra e quanto sia degna di ammirazione”.

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Abbiamo riletto questo libro e con lo stesso entusiasmo presenteremo la Milano di oggi partendo da diversi suoi spunti e accompagnandoli con  foto contemporanee.

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campanile della chiesa di via Giannone, amministrata da Bonvesin, ora demolita

Cercheremo di essere obiettivi, ma il cuore ha le sue ragioni come per il nostro testimonial, che è stato raffigurato con Milano che pulsa nel suo petto, quasi gli desse vita.

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Due parole sulla nostra celebrity e sulla Milano di allora. Era nato prima del 1250 e vissuto a Ripa di Porta Ticinese, da cui il suo “nome”. Due le mogli di cui rimase vedovo, ma nessun figlio. Sua era la scuola dove insegnava ed era piuttosto agiato.

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Fu terziario degli Umiliati, “impegnato nel sociale” e faceva parte di quella città del bene e del fare, della solidarietà e del volontariato, che è una caratteristica importante di Milano.

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Amministrò infatti diverse istituzioni di assistenza come ospedali per i poveri, ma soprattutto contribuì finanziariamente alla costruzione di quello della Colombetta, a Porta Ticinese.

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Milano viveva tempi molto difficili; l’epoca dei Comuni stava tramontando e due ricche famiglie, i Torriani e i Visconti, si contendevano il potere sulla città con lotte sanguinose e crudeli.

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stemma Torriani

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Bonvesin visse queste drammatiche vicende, ma non perse mai la speranza. Amava la nostra città, ne aveva fiducia e credeva alla sua capacità, alla sua civiltà, e, in fondo, al suo futuro. Anche in mezzo alle tante difficoltà, non si è mai lasciato condizionare da ciò che era brutto o contingente. E i Milanesi da sempre hanno fatto come lui.

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Cosa far vedere in breve ai turisti o a chi vuol iniziare a conoscere meglio Milano? Bonvesin sta scegliendo le immagini da mettere nel prossimo articolo sulle “Meraviglie di Milano” di ieri e di oggi.

Ci vorrà qualche giorno… Intanto, se volete:

Votate per Milano!

Milano – Monza andata e ritorno: la tragica vita di una monaca famosa (Parte Terza)

Milano, convento di Santa Valeria, 25 settembre 1622.

La porta della cella, dove era stata rinchiusa per tredici anni Suor Virginia, viene abbattuta.

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La monaca ha ricevuto un provvedimento di clemenza da parte del Cardinale. La priora del convento di Santa Valeria, luogo di detenzione per prostitute convertite e monache peccatrici, aveva più volte scritto a Federigo Borromeo per mettere in luce il cammino spirituale di preghiera e penitenza di Virginia.

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La monaca ha 45 anni, è debole e malandata e non c’è più traccia della bellezza e del fascino di un tempo. È profondamente cambiata dopo aver trascorso la lunga prigionia in una cella buia e maleodorante, sempre con lo stesso abito e su un pagliericcio buttato sul pavimento che veniva cambiato ogni sei mesi, ma che dopo due era già logoro e sudicio.

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Lei, la “Signora”, era sopravvissuta senza impazzire alla fame e alla sporcizia, al freddo e al caldo e, soprattutto, alla solitudine; sola con una Bibbia per tredici anni, abbandonata da tutti, in primo luogo dalla sua famiglia.

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Al processo si era dichiarata vittima del padre che aveva anteposto l’interesse del casato alla vita della figlia. Quando fu arrestata e venne processata, la potente famiglia De Leyva l’aveva disconosciuta, cancellandola persino dall’albero genealogico, pur non rinunciando ai suoi beni. Per difendere l’onore del casato le avevano persino fatto avere una fialetta di veleno, che era stata sostituita in carcere con un’altra non letale.

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Anche i Marino, la ricca famiglia della madre, avevano chiuso il cuore e la porta del palazzo dove era cresciuta.

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Erano tempi difficili. Virginia era vissuta in un’epoca complessa, quella della Controriforma, dove convivevano opere di moralizzazione religiosa e l’efferatezza dell’Inquisizione. Di questi anni sono il Compedium Maleficarum di Francesco Guazzo (1630), con l’Imprimatur del Cardinale, e i supplizi di tanti disperati, come Caterina Medici (1617) e Gian Giacomo Mora (1630), contemporanei quindi di Virginia.

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La monaca aveva pagato caro sia l’amore per Paolo, il padre di sua figlia, che le aveva usato violenza… trascinandola in un vortice di passione e dolore, sia il potere feudale, che aveva ingolosito chi la compiaceva per il proprio vantaggio.

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Quanto fu vittima e quanto colpevole? In un’opera di Giovanni Testori, Virginia arriva a inveire anche contro la propria madre che aveva generato un mostro: lei.

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Forse Virginia aveva affrontato, durante la prigionia, una lettura interiore più profonda della propria vita e non sappiamo, possiamo solo immaginare, quali fantasmi, quali ombre, quali visioni abbiano affollato la sua mente e le abbiano tenuto compagnia per non farla impazzire. Forse anche il ricordo della figlia?

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Le monache del convento di Santa Valeria parlavano di lei quasi come di una santa, dedita alla preghiera e alla penitenza; non fu però una creatura fragile e vinta quella graziata, tanto da avere la forza di chiedere e ottenere un colloquio col Cardinale Federigo.

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Il loro  rapporto all’inizio fu diffidente e difficile tanto che  il Cardinale arrivò ad apostrofarla con durezza: “Come mai non ti vergogni, impudica, di accostarti al tuo Pastore?… Tu, degna di ogni supplizio, di morire in prigione… vuoi che ordini per te punizioni anche più terribili? Non sei tu colei che tanti anni fa eri così altera e sdegnosa?” Dopo queste dure parole, però, il Cardinale, mosso a compassione, fece anche acquistare per lei una nuova veste e quanto le occorreva.

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Ci furono altri incontri ed un fitto carteggio. Non solo, Virginia volle ed ottenne l’assoluzione proprio da Federigo. Era profondamente pentita, ma non doma e le restava, forse, un po’ dell’antica fierezza dei suoi antenati.

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Federigo divenne via via talmente convinto del pentimento di Virginia che ne avrebbe voluto scrivere la biografia, ma la morte di lui, nel 1631, non lo rese possibile.

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Virginia non volle mai lasciare la cella della sua prigionia e si adoperò fino alla fine per essere vicina e aiutare le recluse. La vita religiosa, un tempo subita e odiata, era diventata una scelta di fede e un cammino verso Dio. Morì il 17 gennaio 1650, a 75 anni

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La vita di Virginia si divide tra il convento di Monza, della quale fu la “Signora”, nel periodo più noto della sua esistenza, e Milano, dove nacque (nientepopodimeno che a Palazzo Marino!) e visse fino alla fine dei suoi giorni. Il convento di Santa Valeria non esiste più, demolito nel Settecento, e rimane solo il ricordo di questa antica storia.

Oggi si possono fare quattro passi in via Santa Valeria, alle spalle di Sant’Ambrogio, e nei dintorni.

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Alcune lettere del carteggio tra Virginia e l’Arcivescovo sono custodite all’Ambrosiana, voluta dallo stesso Borromeo. In una di queste il Cardinale scrisse “ormai era una donna che non apparteneva più al mondo, ma a qualcosa che dava pace solo a guardarla”.

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Riposa in pace, Marianna, tuo vero nome, donna che hai avuto il coraggio e la forza di vivere tempi ostili.

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Milano – Monza andata e ritorno: la tragica vita di una monaca famosa (Parte Seconda)

Milano, Pia Casa delle Convertite di Santa Valeria, 17 ottobre 1608.

La piccola cella di tre metri per uno e ottanta si apre davanti a Suor Virginia, la monaca peccatrice giudicata “colpevolissima” di “plurima, gravia… et atrocissima delicta” negli Atti del Tribunale Ecclesiastico.

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Sarà murata viva per sempre, collegata al mondo solo da uno sportello per il cibo e da una finestrella per far entrare un filo di cielo.

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Le passioni e gli orrori della sua vita resteranno un ricordo e Virginia avrà tempo per ripensare al suo passato ed espiare le proprie colpe. Quali colpe? La monaca, al processo, aveva dichiarato di essere sempre stata vittima e che il Male doveva essere cercato fuori, non dentro di lei. Aveva firmato la sua deposizione, una mano storpiata dalla tortura.

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Forse l’orgoglio di casta, che l’aveva portata anche a ribellarsi all’arresto sguainando una spada, era stato ferito più della mano sottoposta al tormento dei sibilli per il “tempo di due Miserere”.

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Si sentiva vittima del padre, che l’aveva malmonacata a undici anni e rinchiusa nel convento di Monza, feudo familiare, per godersi l’eredità lasciata a Virginia dalla madre.

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Nel convento era considerata la “Signora”, riverita e potente; alcuni, però, avevano via via saputo leggere in lei una sorta di inquietudine interiore e l’avevano quasi guidata, passo a passo, allo scopo di rendersela amica ed ottenere vantaggi, verso le braccia di Paolo Osio, il nobile che viveva nel palazzo accanto al convento.

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Si sentiva vittima anche di Don Arrigone, il curato della chiesa vicina. Egli, che già aveva un’amante in canonica, aveva tessuto una trama diabolica, conducendo la monaca con bugie, stratagemmi e “incantamenti” (anche una calamita benedetta, fatta baciare ai due innamorati) a cedere al desiderio di Paolo, amico e benefattore del religioso.

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Il parroco, che forse desiderava anche per sè Virginia, per interesse o trofeo sociale, sarà condannato dal Tribunale a tre anni di remi su una nave spagnola nel Regno di Napoli.

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Virginia aveva cercato in ogni modo di allontanare Paolo dalla sua vita: aveva gettato le chiavi con le quali il nobile entrava in convento, grazie anche alla complicità non disinteressata di alcune monache. Aveva fatto voti, si era sottoposta perfino a sortilegi e filtri contro la propria passione, fatti anche con gli escrementi dell’amato.

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Le monache che le vivevano accanto coprivano quanto stava accadendo, anche per raccogliere le briciole del vigore di Paolo, quando Virginia si rifiutava o cadeva ammalata, forse per il senso di colpa.

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Le consorelle l’avevano anche aiutata quando Virginia aveva partorito prima un bimbo nato morto, successivamente la piccola Alma, frutto di quelle due anime piene di amore e di tormenti. Paolo aveva riconosciuto la bimba, che era vissuta nel palazzo accanto al monastero. Forse il ricordo di questa figlia, un sacchettino con un ricciolo, accompagnò Virginia nei pensieri della sua lunga prigionia.

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A Monza lo “strano” matrimonio tra Paolo e la “Signora” era sulla bocca di tutti e troppi sapevano e parlavano. Caterina, una conversa, cameriera di Virginia, minacciò di svelare tutta la tresca ai superiori della Diocesi.

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Forse sarebbe bastato comperare il suo silenzio; Paolo, invece, in un estremo tentativo di difendere l’onore dell’amata, fece tacere per sempre la conversa, inscenandone la fuga. Certi delitti sono ancora gli stessi dopo secoli…

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A questo omicidio ne seguirono altri. Furono uccisi dai suoi bravi lo speziale e il fabbro che avevano parlato troppo.

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Tutto precipitò: Virginia, che non aveva voluto ascoltare per tempo gli ammonimenti del Cardinale, Federigo Borromeo, venne arrestata e condotta a Milano presso il monastero di Sant’Ulderico al Bocchetto a Porta Vercellina.

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resti del chiostro durante la demolizione

Osio, accusato di omicidio, si era nascosto in convento su consiglio di Don Arrigone. A questo punto non poté far altro che fuggire rifugiandosi nella Bergamasca, allora sotto la Repubblica di Venezia.

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Durante la fuga Paolo cercò di liberarsi con la violenza delle due monache che lo avevano seguito, spaventate dalle accuse che avrebbero potuto esser loro rivolte. Tuttavia Suor Ottavia e Suor Benedetta riuscirono a sopravvivere. Furono arrestate e confessarono sotto tortura quanto era avvenuto al convento di Monza, dando conferma dei delitti commessi. Suor Ottavia morì per le ferite, mentre Suor Benedetta venne murata viva come altre due consorelle complici dell’accaduto.

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Paolo, ormai braccato, tentò con ogni mezzo di salvare Virginia, tornando a Milano e mettendo a repentaglio la propria vita. Si rifugiò nel palazzo dell’amico conte Taverna e qui sarà fatto uccidere a tradimento dal nobile, legato al governatore spagnolo e allettato dalla taglia.

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Si dice che ancora oggi, in quello che ora si chiama Palazzo Isimbardi, in corso Monforte, si sentano misteriosi rumori provenire dai sotterranei, dove fu ucciso il nobile.

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continua…

Epifania: tempo di stelle, di Magi e di calze appese

Da Capodanno all’Epifania è tempo di astrologi, oroscopi e previsioni per l’anno che verrà fatte guardando le stelle.

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Il CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), fondato da Piero Angela nel 1989, ogni anno tuona contro la credulità popolare e gli imbrogli da parte dei presunti maghi, riportando i flop delle previsioni sbagliate.

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Chi di noi, però, non ha dato una sbirciatina all’oroscopo del proprio segno zodiacale o non ha ascoltato cosa avverrà, secondo le stelle, nel 2017?

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Non è questione di cultura o superstizione; gli amanti dell’astrologia sono democraticamente diffusi e diversi sono coloro, ancora oggi, che studiano le stelle, le congiunzioni astrali e i relativi influssi su di noi.

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Chi, meglio dei Magi, ha saputo leggere e interpretare  il messaggio delle stelle?

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Le stelle, però, hanno custodito bene il mistero dei Tre Re e non ci hanno mai rivelato chi fossero, nè quanti, nè la loro provenienza e nemmeno la loro sorte.

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Tutto di loro, dopo duemila anni, resta avvolto nella leggenda e nel  mistero. Quale altra città, se non Milano così ricca di segreti, avrebbe potuto accogliere per l’eternità le loro “reliquie”?

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sarcofago dei Magi in Sant’Eustorgio

Nella Basilica di Sant’Eustorgio, sotto il campanile con la stella, una parte delle loro “reliquie” (le altre furono trafugate dal Barbarossa e si trovano a Colonia) è ancora custodita in un tabernacolo.

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Ogni anno, all’Epifania, si rinnova il legame dei Magi con la nostra città: un corteo in costume parte da piazza Duomo e, attraverso le vie del Centro, raggiunge il Presepe vivente allestito davanti a Sant’Eustorgio.

http://www.linkavelbus.com/blog-post/corteo-dei-re-magi-2017-milano/

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Non solo: quest’anno nei chiostri del Museo Diocesano, accanto alla Basilica, possiamo perderci davanti all’ “Adorazione dei Magi” di Albrecht Dürer. Quest’opera è un “prestito” degli Uffizi e possiamo ammirarla come un singolo gioiello fino al 5 febbraio, pensando ai misteri che ci sono accanto, sotto il nostro cielo stellato.

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Il legame dei Magi con Milano viene riproposto anche in una piccola, raffinata mostra di miniature rinascimentali nella Sala del Tesoro del Castello Sforzesco. Aperta fino al 21 gennaio è gratuita ed è un’occasione anche per visitare gli interni e i vari Musei del Castello.

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L’Epifania, che tutte le feste si porta via, è anche tempo di calze appese in attesa della Befana.

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Una gentile leggenda ci racconta che i Magi, sulla strada per Betlemme, bussavano alle porte delle case per chiedere informazioni e invitare la gente ad andare con loro portando doni al Bambinello.

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In una di queste case viveva una vecchietta che si era rifiutata di seguirli. Si era poi pentita e, con una gerla piena di dolci e piccoli doni, si era messa da sola alla ricerca di Gesù Bambino. L’anziana donna andò bussando ad ogni casa per lasciare un dono a ciascun bambino che vi abitava, sperando che uno di questi fosse il piccolo Gesù.

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All’Epifania potremo trovare questa vecchietta in tante iniziative benefiche: in corso Sempione, dove partirà la Befana dei Motociclisti, alla Darsena dove incontrerà i bambini sull’acqua a bordo del Corsaro dei Navigli con una cioccolata calda e un’immancabile calza piena di dolcetti; ci sarà anche nei diversi “villaggi” e mercatini natalizi.

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E se dovessero arrivare il gelo e questa temuta bufera dell’Epifania, secondo le previsioni meteo?

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Niente di meglio di un buon tè caldo allo Spazio Alda Merini di via Magolfa 32, dove, alle ore 17, ci sarà una tombola benefica a base anche di… poesia.

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Buona Epifania 2017 a tutti!