La Strada delle Abbazie: quinta tappa, Calvenzano

Questa Abbazia, poco lontano dall’ospedale di Vizzolo Predabissi, è un “dono” di Italia Nostra e del Rotary Club che ne hanno fermamente voluto – e realizzato – il suo ritorno al bene culturale comune.

 

Abbiamo ritrovato questo vecchio articolo del Corriere della Sera (1972) in cui si parlava del gravissimo stato di degrado di Santa Maria di Calvenzano. Lo proponiamo come un “techetechete” e un bell’esempio di recupero architettonico da parte di privati.

 

Oggi l’abbazia è stata ben restaurata e fa memoria di antiche storie. Si trova lungo la strada Pandina (forse di origine romana?) che venne fatta costruire da Bernabò Visconti per collegare con un rettilineo i suoi castelli di Melegnano e Pandino e per compiere quelle scorribande di “caccia”, che lo fecero ricordare come una sorta di “padre” dell’Oltrepò (infatti un vecchio detto affermava “di qua, di là dal Po, son tutti figli di Bernabò”).

 

 

La storia ci racconta anche che in questa zona, in agro Calventiano, sorgeva una cella memoriae che divenne forse la chiesa presso il cui battistero fu incarcerato, nella prima metà del 500 d.C., Severino Boezio. Accusato di alto tradimento da Teodorico, Re degli Ostrogoti, durante la prigionia trovò conforto scrivendo il ponderoso tomo “De Consolatione Philosophiae”.

 

Sulla fiancata della attuale chiesa (che in realtà a quel tempo non esisteva ancora) una lapide riporta che qui avvenne l’esecuzione del filosofo.

 

Questa ingiusta sentenza di morte, secondo varie leggende, ricadde su Teodorico stesso. Una di queste, infatti, racconta che il Re morì durante un banchetto atterrito dagli occhi sporgenti di un pesce che gli ricordavano quelli delle sue vittime; altre leggende narrano che venne rapito da un cavallo nero che attraversò tutta l’Italia in un galoppo sfrenato e, dopo aver saltato con un sol balzo lo stretto di Messina, scaraventò il Re nel cratere dell’Etna, direttamente all’Inferno.

 

Vecchie storie prive di fondamento? Certamente, come quella di una leggenda pavese che invita a non vagabondare in questa zona dove si aggirerebbe ancora oggi il fantasma senza testa di Severino Boezio. Noi, comunque, vi abbiamo avvertito…

 

Queste le fosche leggende che aleggiano intorno all’abbazia di Calvenzano. La Storia riporta che il terreno dove sorge la chiesa venne donato alla fine dell’Anno Mille (1090, o forse, 1093) da tre ricchi possidenti di Marignano (antico nome di Melegnano) ai monaci dell’Abbazia di Cluny, un ordine di origine francese fondato da San Bernone.

 

Questi monaci erano dediti alla preghiera, allo studio e al silenzio. Le abbazie cluniacensi erano collegate tra loro in Priorati e questo consentiva un più ampio scambio culturale. I monaci non si dedicavano al lavoro dei campi, ma alla studio e alla trascrizione di testi antichi, anche profani o di altre religioni. A loro si deve la traduzione in latino, per confutarlo, del Corano. Questo non ci ricorda forse l’ambiente del monastero dove si svolge “Il nome della rosa”?

 

Un particolare distingue subito queste abbazie da quelle cistercensi: in esse non c’è la scala che conduce direttamente dalla chiesa alle camere comuni. Infatti i cluniacensi erano monaci più “solitari” e avevano celle singole nell’adiacente monastero. Erano forse meno legati al territorio; certamente, però, attorno all’abbazia sorgevano le cascine dove lavoravano i contadini.

 

Anche questa abbazia, intitolata a Santa Maria Assunta, è fatta dei tradizionali mattoni rossi tipici del nostro territorio. Qui, però, all’interno e all’esterno, sono messi a spina di pesce con aggiunta di pietre riciclate provenienti da chissà dove.

 

All’abbazia si accede da un bel portone sopra il quale ci sono sculture di scuola comasca risalenti al XII secolo.

Si tratta di un ciclo scultoreo insolito e molto interessante con episodi dell’infanzia di Gesù.

 

La chiesa è suddivisa in tre navate, due delle quali più basse, come si vede anche dalla facciata.

 

La ricca decorazione di affreschi è andata quasi totalmente perduta. Resta il bellissimo dipinto sopra l’altare maggiore, con l’Incoronazione della Vergine, attribuita allo stesso autore che lavorò anche a Viboldone, forse il fiorentino Giusto de’ Menabuoi, allievo di Giotto. Piccola riprova dei legami fra le diverse abbazie, anche di Ordini diversi.

 

Anche Santa Maria di Calvenzano, come le altre abbazie della Strada che stiamo percorrendo, è un luogo nel quale si può “scavare” non solo per riportare alla luce intriganti storie un po’ dimenticate, ma anche per conoscere luoghi, forse inconsueti, che fanno parte della nostra cultura e che hanno contribuito a forgiare noi e il nostro territorio.

A presto…

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