Nella calza della Befana 2019 troviamo… la chiesetta dei Re Magi di via Palmanova

È tempo di Epifania che tutte le feste porta via. Il magico periodo del Natale sta per terminare e si torna alla vita e ai problemi di tutti i giorni.

Abbiamo trovato nella chiesa di Santo Stefano un quadro dolcemente emblematico: la Famigliola di Betlemme, dopo l’incanto della Natività e l’accorrere di uomini buoni e semplici, è costretta, dopo poco tempo, a lasciare le proprie cose per sfuggire alla crudeltà di Erode.

L’Epifania, però, è anche tempo di Magi, figure misteriose, e secondo noi molto moderne, che ci parlano del rapporto tra Scienza e Fede (erano studiosi ai massimi livelli) e ci fanno anche riflettere sul senso della nostra vita.

Milano è da sempre legata ai Magi che l’avevano “scelta”, secondo la tradizione, come luogo dove fermarsi per sempre. I buoi che trainavano il carro con le reliquie si erano impantanati dove sorge ora la Basilica di Sant’Eustorgio, che venne eretta per custodire le spoglie dei Tre Re.

I Magi, però, avevano il cammino nel proprio destino e le loro spoglie vennero trafugate dal Barbarossa e portate a Colonia.

Infine una piccola parte delle reliquie tornò a casa, a Sant’Eustorgio, mentre altre reliquie (alcune falangi delle dita, invece) non hanno mai lasciato Brugherio, dove viveva Santa Marcellina che le aveva ricevute in dono dal fratello Sant’Ambrogio.

Sant’Eustorgio – Milano

S. Bartolomeo – Brugherio

Alcuni piccoli suggerimenti: in questi giorni è esposta, in Sant’Eustorgio, la teca con le reliquie e, nella mattina dell’Epifania si svolge il tradizionale corteo in costume (risalente al Medioevo) da piazza Duomo.

http://www.santeustorgio.it/corteo_dei_magi.html

Inoltre in questo periodo si possono ammirare due opere famose a Palazzo Marino e al Museo Diocesano.

Palazzo Marino

Museo Diocesano

Non solo: abbiamo scoperto che nella nostra città esiste un’antica chiesetta dedicata proprio ai Santi Re Magi. Si trova in una zona a Nord Est di Milano, vicino all’antico borgo di Crescenzago, in una frazione chiamata Corte Regina.

Siamo in via Palmanova, anzi, per la precisione, in via Regina Teodolinda. Dolce e severa nel suo gotico lombardo, la chiesetta ha un aspetto semplice, quasi un mattoncino rosso tra il klinker dei palazzi.

Sul portone ci accoglie una formella con Madonna e Bambino sotto una finestra circolare.

Le diverse finestrelle sulle pareti laterali ci riportano a tempi e stili diversi, così come il campanile a base romanica.

L’interno della chiesetta è altrettanto semplice: ad una sola navata, ha mattoni a vista e, sospesa, un’immagine di Cristo di grande impatto espressivo.

Una targa ci racconta la storia di questa chiesetta che fu fatta edificare nel 1352 ai tempi della Signoria di Bernabò Visconti, probabilmente su una preesistente chiesa più antica, descritta già nel XII secolo. Un’ipotesi è che sia stata voluta dalla moglie di Bernabò, Regina Della Scala, alla quale si deve anche la chiesa demolita per costruire il nostro massimo teatro che ne tramanda il nome.

Un tempo la chiesa dei Magi era dedicata alla Vergine e aveva intorno un Lazzaretto per il ricovero degli appestati, prima che fosse costruito quello di viale Tunisia a Porta Orientale.

La storia ci dice che i Borromei, in successive visite pastorali alla chiesetta di Corte Regina, vi incontrarono delle monache devote ai Re Magi. Così successivamente la chiesa fu intitolata ufficialmente ai “Santi Re Magi in Corte Regina”. Oggi il nome della chiesa viene ricordato da un moderno affresco dietro l’altare.


Questa chiesetta incontrò molti ostacoli sul suo cammino. A fine Settecento passò al Demanio, venne sconsacrata e diventò abitazione e deposito per i contadini della zona. Anche le bombe della seconda guerra mondiale contribuirono al suo declino, tanto che si parlava di abbatterla, sacrificata allo sviluppo edilizio.

Ma i Magi fecero il miracolo; la chiesetta venne donata al parroco della vicina parrocchia di San Giuseppe, che, grazie ad offerte di fedeli e benefattori, la fece restaurare, riconsacrare e riaprire il 6 gennaio 1967.

https://www.sangiuseppe.info/la-chiesa-dei-santi-re-magi/

Purtroppo è un po’ difficile visitare questo piccolo tassello della storia di Milano. Viene aperta solo il sabato pomeriggio alle 17 e nei festivi alle 9.30 per le Sante Messe. Come i Magi mettiamoci in cammino e andiamo a visitarla.

A presto…

Fotoarca di Passipermilano (seconda puntata: i cavalli)

Tra poco Milano si accenderà con le luci del Natale e diventerà il palcoscenico di tutti noi che, di corsa, come puledri, cavalli rampanti o ronzini stanchi faremo acquisti e porteremo pacchi e pacchetti, borse e borsoni, figlioletti o nipotini.

Con un sorriso dedichiamo i nostri quattropassi di fine novembre al cavallo, questo nobile animale che nei secoli al passo, al trotto o al galoppo ha trasportato uomini e cose. Lo cercheremo tra i monumenti della nostra città per la seconda puntata della Fotoarca di Passipermilano.

Iniziamo la nostra passeggiata dai Cavalli Alati, bianchi e giganteschi, “parcheggiati” sul tetto della Stazione Centrale. Alti quasi 8 metri, ci ricordano che qui si va veloci, si arriva e si parte quasi volando (forse i pendolari non sono sempre d’accordo). Due palafrenieri, Intelligenza e Progresso, tengono le loro redini.

I cavalli da sempre sono stati una delle “sedute” preferite da Re e generali, che amavano essere immortalati fieramente in groppa a destrieri. Nei monumenti antichi i cavalli sono di solito rappresentati, per motivi tecnici, per lo più al passo; se invece sono dipinti,  vengono raffigurati più liberamente al trotto, al galoppo o addirittura rampanti.

Vittorio Emanuele II forse è giunto al galoppo in piazza Duomo e deve frenare il suo cavallo, lanciato… verso il portone centrale della nostra cattedrale. Conflitto Stato – Chiesa?

Accanto al monumento si riunivano i tifosi quando una delle squadre milanesi vinceva lo scudetto… ahimè, da parecchi anni è il torinese Vittorio Emanuele che festeggia.

Un altro cavaliere illustre è Napoleone III che, al Parco Sempione, saluta chi passa, come un vecchio gentiluomo un po’ bislacco. Il suo cavallo lo accompagna con pazienza.

Un famoso quadro immortala l’Imperatore, con Vittorio Emanuele II, sotto lArco della Pace, mentre, vittoriosi, entrano in Milano liberata.

Una curiosità: i cavalli della sestiga sopra l’Arco, risalenti a Napoleone I, furono fatti ruotare di circa 180° dagli Austriaci, quando tornarono a Milano, perchè voltassero il fondoschiena alla Francia… e da allora sono rimasti così.

prima

dopo

In largo Cairoli il cavallo di Giuseppe Garibaldi è finalmente fermo dopo tante battaglie col suo cavaliere e ha un aspetto forte e fiero. Non così quello del generale Missori, nella omonima piazza, tanto accasciato da essere entrato in un modo di dire milanese: “te me paret el caval del Missori”. Il modello fu un povero cavallo da tiro, che oscurò, nel tempo, il suo cavaliere.

Un cavallo, invece, pieno di vigore è quello che salta un ostacolo nel monumento alle “Voloire” in piazzale Perrucchetti, davanti all’ex-caserma dell’Artiglieria a Cavallo.

Questa volta il cavaliere non è un illustre personaggio, ma il simbolo di chi ha rischiato o dato la vita in guerra. Chissà se il suo cavallo, fedele compagno di tante ore di battaglia o di solitudine, lo avrà dovuto vegliare “in un campo di grano… sotto mille papaveri rossi” come cantava Fabrizio De Andrè.

Due monumenti celebrativi ci riportano a secoli lontani. In piazza Mercanti, sul Broletto, ora in ristrutturazione, si trova  l’altorilievo di Oldrado da Trèsseno (podestà di Milano – 1233), che, nell’epigrafe, si vanta di aver fatto costruire il palazzo e di aver mandato al rogo i Catari.

Al Museo del Castello, invece, c’è il monumento funebre del feroce Bernabò Visconti, impettito in groppa al suo destriero. Gli animali avranno avuto più cuore dei loro padroni? Povere bestie…

Nei nostri passipermilano stiamo cercando di far vedere quanto la nostra città sia piuttosto insolita e misteriosa. A questo proposito abbiamo scoperto che a Milano c’è anche il monumento “I Quattro Cavalieri dell’Apocalisse e il Cavallo Bianco della Pace”. Ebbene, questo poco noto gruppo di cavalli e cavalieri si trova nel luogo più impensabile che si possa immaginare: i Giardini Pubblici “Indro Montanelli”.

Entrando da piazza Cavour, in una grande aiuola, vicino alla statua del giornalista, c’è un gruppo di stilizzate figure in bronzo, che passano quasi inosservate, forse perchè piuttosto basse e smilze. La scena rappresentata è molto drammatica, con cavalieri e cavalli in action.

 

Quasi in disparte c’è un cavallo bianco, senza cavaliere, che sta brucando, distante anni luce dagli altri: è il “Cavallo Bianco della Pace”.

Questo monumento, quasi sconosciuto e assolutamente da andare a vedere, è opera di Harry Rosenthal, uno scultore austriaco che ha attraversato il Novecento con i suoi tanti e contrastanti avvenimenti.

Infine ecco “IL” cavallo; senza cavaliere, imponente, maestoso ha un passato illustre e un presente che genera discussioni.

È conosciuto come “il Cavallo di Leonardo” e si trova davanti all’ippodromo del galoppo di San Siro, in una posizione con poca visibilità turistica, almeno per ora. L’anno prossimo, infatti, ci saranno le celebrazioni per i cinquecento anni dalla morte del Maestro e questo cavallo diventerà protagonista di eventi e manifestazioni. Ne parleremo anche noi tra qualche settimana.

A presto…

Passipermilano? Terzo itinerario nel cuore della nostra città per chi viene la prima volta

È una Milano un po’ meno nota quella che vedremo in questo itinerario per il centro della nostra città.

Dal Lirico raggiungiamo piazza Missori con i resti dell’antica chiesa di San Giovanni in Conca. Sotto questo mozzicone di muro, che fa da “spartitraffico”, possiamo visitare gratuitamente la suggestiva e sorprendente cripta, ricca di storie, leggende e… traslochi di statue e facciate.

Questa piazza è molto cambiata nel tempo: possiamo scoprirlo guardando sulla sua pavimentazione il vecchio perimetro della chiesa.

Ecco di fronte a noi la statua di Giuseppe Missori. Il vero “protagonista” di quest’opera è, però, il cavallo, curvo, stanco e affaticato; il modello non fu un maestoso destriero, ma un povero cavallo da tiro. “Te me paret el caval del Missori” dicono a Milano quando si è giù di tono e ci vorrebbe un ginseng.

Povero Missori, partecipò ai moti del Quarantotto e alla Spedizione dei Mille, salvò la vita a Garibaldi, combattè con valore nelle guerre d’Indipendenza ed ora fa da spalla al suo cavallo. C’est la vie!

Ora raggiungiamo la vivacissima via Torino per visitare la chiesa di San Satiro un po’ defilata, quasi uno scrigno dove si conservano le illusioni.

Entriamo e guardiamo dietro l’altare… ecco la grande trovata dell’illusionista Bramante: l’abside sembra profonda, ma misura meno di un metro.

Via Torino è una delle tante vie di negozi della Milano modaiola. Anche questa è una illusione. Le vetrine (tra l’altro quanti negozi di scarpe per i nostri quattropassi!) sviano l’attenzione da una seconda lettura di questa via.

E’ come un tessuto di fili diversi; ci sono le vetrine (da sempre la zona ha vocazione commerciale: via Spadari, via Speronari, via Orefici…), ma anche vicoli, chiese poco conosciute, improvvise piazzette dove sostare per un gelato e dirsi: “ma non sembra di essere a Milano”. Troppo interessante… ve la racconteremo in un’altra passeggiata.

Da via Torino andiamo verso piazza Affari. Ci sono tante vie piccole e tortuose; si può passare anche da piazza Santa Maria Beltrade, con il palazzo d’angolo del Portaluppi, la chiesa che non esiste più ma dà il nome alla piazza e un portalino del Cinquecento quasi nascosto.

Da qui si può raggiungere quello che per Leonardo era il vero centro di Milano, la chiesa di San Sepolcro, dove si trovava il Foro di Mediolanum, con l’incrocio di cardo e decumano.

Cosa scegliere di vedere: la chiesa dell’anno Mille, la cripta che mozza il fiato con le moderne mostre poggiate sull’antica pavimentazione romana, la Torre Littoria del Portaluppi, palazzo Castani, una grata misteriosa?

Di fianco alla chiesa ecco l’Ambrosiana con la statua dal Cardinale Federico Borromeo, che l’ha realizzata.

Volutamente non proponiamo in questo itinerario visite ai vari musei, ma come non ricordare che qui ci sono la “Canestra di Frutta” di Caravaggio, il “Ritratto di Musico” e numerose pagine del “Codice Atlantico” di Leonardo, il cartone della “Scuola di Atene” di Raffaello? Non solo, c’è anche una ciocca di capelli della bionda Lucrezia Borgia!

Nella nostra passeggiata possiamo, inoltre, dare un’occhiata ai balconi liberty di via Spadari e magari anche alla supergastronomia del Peck e ai diversi negozi golosi.

Andando verso piazza Affari guardiamo due targhe: l’una ricorda il milanesissimo “Tiremm innanz” di Amatore Sciesa, l’altra racconta che qui nacque l’amore  tra Ernest Hemingway e l’infermiera di “Addio alle Armi”. “Sapessi come è strano sentirsi innamorati a Milano”…

Non è finita qui. Abbiamo raggiunto piazza Affari, col Palazzo Mezzanotte, sede della Borsa, e un’altra statua: il Dito di Maurizio Cattelan.

Anche questa è una piazza con un sopra e un sotto: sopra un palazzone di epoca fascista, tutto bianco e così diverso da quelli, dai colori soft, che sono cresciuti nel tempo in questa zona, e una statua (un saluto romano con dita mozzate?) altrettanto bianca, quasi ciò che resta di una scultura gigantesca tornata alla luce.

Su un lato di Palazzo Mezzanotte però, vediamo la pianta del Teatro Romano i cui resti si trovano proprio sotto i nostri piedi. Era un megateatro, quasi un Palaforum dell’epoca per spettacoli ed eventi.

In questa zona oggi c’è il Gotha della finanza, ma i nomi delle vie ricordano che anche secoli fa qui c’erano i danee.

Ci sono, però, anche strade col nome di antiche chiese: San Vittore al Teatro, Santa Maria alla Porta, dove troviamo una bella sorpresa: è ciò che resta di una antica cappella con un affresco della Madonna con Bambino di fronte a un pavimento grigio di cemento.

Viene chiamata “la Madonna del Grembiule”. Nel lontano 1600 un muratore stava lavorando alle pareti della vecchia chiesa quando venne alla luce, tra le macerie e le picconate, l’affresco. L’uomo lo pulì devotamente col suo grembiule di lavoro e guarì all’improvviso dalla sua zoppia.

La cappella fu poi distrutta dai bombardamenti dell’ultima guerra mondiale, ma “rivenne” alla luce col suo bellissimo pavimento, oggi coperto per proteggerlo in attesa di un costoso restauro. Ci vorrebbe un altro grembiule…

Tornando verso piazza Affari diamo un altro sguardo al Dito, il cui nome ufficiale è L.O.V.E., acronimo di Libertà, Odio, Vendetta, Eternità. Ma a chi è rivolto il gesto provocatorio? Alla Borsa o è la Borsa che lo rivolge a noi? Meglio lasciare all’immaginazione di ciascuno…

Lasciamo la nostra Wall Street e, attraversata via Orefici, approdiamo in quel gioiello, in parziale restauro, che è piazza Mercanti. Era una piazza laica, dominata dal Broletto, dove nel Medioevo si tenevano le contrattazioni economiche, una sorta di antica Borsa.

Poi Maria Teresa mise un “cappellaccio” sopra il Broletto, quasi per schiacciarlo.

Ci voleva ben altro, però, per abbattere la cinghialessa legata alle leggendarie origini di Milano. Dopo secoli è sempre lì, su una arcata del Broletto, piccola come era allora la nostra città, ma solida come la roccia.

A presto…

Passipermilano? Primo itinerario nel cuore della nostra città per chi viene la prima volta

È una bella passeggiata dedicata a chi viene nella nostra città e si ferma solo poche ore; certamente possiamo anche noi accompagnare questo amico per riscoprire luoghi tanto familiari che quasi non li “vediamo” più.

La mattinata di questo giorno da turisti possiamo dedicarla al “centro” e fare quattropassi nella Milano di oggi, tra luci e ombre, lussi e povertà, palme e dissuasori, per cercare tracce del suo passato, dalle origini leggendarie alla civiltà romana e cristiana, dalle cadute alle rinascite, che ci hanno portato fin qui.

Troviamoci, ovviamente, in Piazza del Duomo, luogo simbolo e cuore di Milano (per la sua storia rimandiamo agli articoli precedenti, per gli interni… lavori in corso).

Se la giornata è bella, ma anche il cielo grigio ha il suo fascino tra le guglie, possiamo salire a piedi (Euro 9, ridotto 4,50) o con l’ascensore (Euro 13, ridotto 7) sulle terrazze del Duomo, camminare sul tetto in pendenza e guardare la nostra città dall’alto, come fanno le tremila statue tra angeli e demoni, santi e peccatori, animali e cose.

Un tempo sulle terrazze si facevano anche scampagnate, ora non più, ma il cielo è proprio lì, da toccare con un dito e i suoni della città sono echi lontani.

Se, invece, di andare in alto, preferite esplorare i sotterranei, si può scendere, dall’interno del Duomo (Euro 7, ridotto 3 – con visita anche degli interni e del Museo), al Battistero di San Giovanni alle Fonti dove il “tedesco” Ambrogio, nostro protettore, battezzò, alla vigilia della Pasqua del 387, il nordafricano Agostino d’Ippona; erano entrambi cittadini dell’Impero Romano e al melting pot noi milanesi siamo abituati.

Scesi, o risaliti, dal Duomo, andiamo verso la Galleria, il Salotto in vetro, ferro e marmo intitolata a Vittorio Emanuele II, primo Re dell’Italia unita.

A lui sono dedicati anche la statua sulla piazza e il corso che ci accompagna verso San Babila.

I milanesi, però, un po’ indipendenti per carattere, sono soliti fare tre giri scaramantici col tacco sugli attributi del toro, simbolo della Torino capitale di un tempo, nell’Ottagono della Galleria.

Due piccoli consigli prima di raggiungere piazza della Scala: 1) date uno sguardo verso il lato Duomo per vedere l’Arengario fare da cornice alla Torre Martini di piazza Diaz; 2) per una visione insolita della Galleria potete salire da via Silvio Pellico n. 2 sulla passerella in ferro, di circa 550 mq, dalla quale si vedono la struttura del Salotto e un bel panorama coi tetti della nostra città.

https://www.highlinegalleria.com/

Se è tempo per una pausa caffè con brioches fermiamoci da Cracco (al banco circa 3 Euro, ben spesi) e guardiamo sopra le vetrine i due occhi, diversi per colore e genere.

“Lusso” (Prada, Armani, Gucci, Vuitton…), “cultura” (librerie, museo interattivo di Leonardo, Urban Center con info, materiale illustrativo e mostre itineranti gratuiti) e “gusto” di ieri e di oggi (Cracco, Marchesi, il Camparino, Savini, Biffi…) sono in vetrina nella Galleria. Qui i selfie impazzano per essere in una cartolina di Milano.

Eccoci in Piazza della Scala, altro luogo simbolo della nostra città, centro del primitivo insediamento celtico, di forma ellittica, quasi l’uovo da cui sarebbe nata Milano.

La storia del teatro alla Scala è quanto mai interessante e, ovviamente, un po’ misteriosa (ci sarebbe anche “una” fantasma molto famosa. La riconoscete?).

Questo teatro sembra sia nato per una storia di potenti, amanti, forse anche per un delitto. Si racconta, infatti, che nella notte di Sabato Grasso del 1776 il Teatro di allora, sito nel Palazzo Ducale (ora Palazzo Reale), fosse andato a fuoco per la gelosia dell’Arciduca Ferdinando, figlio dell’Imperatrice Maria Teresa, nei confronti della moglie.

Egli aveva, infatti, scoperto un biglietto della consorte ad un nobile per un appuntamento notturno in un palco dopo la festa in maschera. L’Arciduca, infuriato, fece chiudere le porte e appiccare il fuoco al teatro, che era interamente costruito in legno; non si sa come e perchè, però, al posto del rivale abbia trovato la morte nel palco un amico e fidato confidente di Ferdinando…

Lui, Lei

L’altro

L’Imperatrice Maria Teresa, per mettere a tacere lo scandalo e per venire incontro ai milanesi, fece demolire la trecentesca chiesa di Santa Maria alla Scala, voluta dalla moglie di Bernabò Visconti, e, al suo posto, in soli due anni, fu costruito, su progetto del Piermarini, un nuovo teatro, appunto La Scala.

Da allora il teatro è sempre stato al centro della vita culturale e sociale milanese. Entrò anche nella storia del nostro Risorgimento quando i milanesi erano soliti inneggiare “Viva Verdi!” (Viva Vittorio Emanuele Re DItalia!), contro gli austriaci.

La Scala divenne il teatro della borghesia milanese e vide, via via, la nascita della piazza, l’ampliamento dei propri spazi, la ricostruzione post-bellica e, infine, l’attuale ristrutturazione.

Nei suoi 240 anni di vita è riuscita a evolversi nella lettura e nell’allestimento degli spettacoli, contribuendo alla cultura, ai gusti e alle mode a livello internazionale.

La sua Prima, il giorno di Sant’Ambrogio, resta per noi milanesi uno spettacolo-evento e il suo palcoscenico diventa quello di tutta Milano.

Continua…

Il Duomo, da sempre il centro di Milano – (parte seconda bis – altre piccole storie)

Una di queste prostitute era una certa Marta, venuta a Milano da Padova in cerca di fortuna. Era diventata molto ricca; possedeva case, gioielli, abiti eleganti come una grande dama, ma non aveva dimenticato gli “ultimi”.

Artemisia Gentileschi – Maddalena

Faceva donazioni a poveri e conventi; aveva inoltre “adottato” Venturina, una bimbetta abbandonata dalla madre sulla ruota degli esposti.

Marta aveva poi lasciato la professione e un giorno, sapendo di avere ancora poco da vivere a causa di una malattia legata al lavoro di un tempo, fece testamento a favore della Veneranda Fabbrica, alla quale lasciò tutti i suoi averi senza però scordarsi di chi era stato meno fortunato di lei.

Venturina venne affidata, con una cospicua dote, alla tutela della Fabbrica perchè si occupasse di lei per ogni sua necessità; ad una ex-collega, una certa Novella, Marta lasciò un’ingente somma perchè cambiasse vita e diventasse honesta.

Infine dispose che nel giorno della sua morte, il 3 marzo 1394, si facesse ogni anno una cerimonia religiosa e fossero distribuiti ai poveri frumento e ceci come in una grande festa.

Grazie ai diversi lasciti il Duomo crebbe, pietra su pietra, con l’aiuto di tutti coloro che, nonostante i propri errori e manchevolezze, volevano partecipare alla sua edificazione.

Ecco ora un’altra storia molto diversa, un po’ più misteriosa ma ancora attuale. A metà della navata esterna di sinistra del Duomo troviamo un altare di marmo diventato lucido, tra due lapidi con iscrizioni. Spesso vi sono appoggiati dei contenitori metallici, quasi per impedire la “strusciadina”, una sorta di strofinio contro la pietra da parte dei fedeli più anziani.

Questo altare fu dedicato alla Vergine da un certo Alessio della Tarchetta, capitano di Francesco Sforza, come ringraziamento dei doni ricevuti. Era giunto a Milano, ancora bambino, dall’Albania, diventando un valoroso uomo d’armi alla corte del Duca.

Paolo Uccello

Anche allora Milano era pronta ad accogliere uomini di paesi diversi e questi diventavano “milanesi” contribuendo alla vita della nostra città. Alessio partecipò generosamente alla costruzione del Duomo e non solo… Fonti milanesi non scritte parlano di lui come di un guaritore. Ancora oggi si dice che basti strofinare la parte del corpo dolorante contro la lapide e… passano i dolori articolari. Provare per credere (ma non troppo!).

Le offerte per il Duomo venivano impiegate anche per chi lo aveva servito ed era in difficoltà. Venne stabilita, ad esempio, una donazione alla famiglia di un operaio morto sul lavoro e diversi sussidi furono assegnati ad anziani in difficoltà economiche che avevano lavorato per la Cattedrale.

Molti erano i lasciti testamentari e le donazioni. Un ricchissimo mercante, Marco Carelli, che aveva commerciato in lana, spezie, pietre preziose e “schiave” con Venezia, donò tutti i suoi beni alla Veneranda Fabbrica, morendo in povertà assoluta. In suo onore venne realizzato il sarcofago della quarta campata destra del Duomo e, soprattutto, a lui fu dedicata la prima guglia.

guglia Carelli

Ecco infine la storia tenera di una vecchietta che aiutava la costruzione del Duomo portando mattoni da mattina a sera. Non possedeva altro che uno scialletto di logora pelliccia, con il quale si riparava dal freddo. Un giorno la Veneranda Fabbrica annotò l’offerta di questo misero indumento da parte di Caterina.

Giorgione

Era il freddo novembre del 1387. Di fronte a questo gesto di estrema generosità, la pelliccetta fu ricomperata da un certo Manuele e restituita alla poverissima donna. Inoltre la Fabbrica la rese felice fecendole realizzare il suo desiderio di recarsi a Roma per il Giubileo.

Vincent Van Gogh

Accanto a queste povere offerte ci furono nel tempo quelle ingentissime da parte dei Duchi, che diedero impulso anche a opere pubbliche di grande importanza per Milano, come i Navigli.

Angelo Inganni

Chiudiamo queste piccole storie del Bene legate al Duomo con la leggenda di un albero antichissimo.

A Mergozzo, vicino alle cave di Candoglia, da dove proviene il marmo rosa del Duomo, c’è un olmo, che la tradizione vuole essere stato piantato all’inizio della costruzione della Cattedrale. La leggenda dice che l’olmo vivrà finchè esisterà il Duomo. Gli auguriamo una storia infinita!

A presto!

Il Duomo, da sempre il centro di Milano – (parte seconda – piccole storie -1)

Quando nacque il Duomo? Secondo la tradizione la sua nascita risale al 1386, come riporta una lapide sulla parete della navata destra.

La sua storia è dunque molto lunga e ricca; per capire perché il Duomo sia ancora oggi il cuore della città racconteremo  alcune piccole e semplici storie di tanto tempo fa, che spesso hanno riguardato  gente comune.

Si dice che due “voti” siano all’origine del Duomo. Il primo riguarda le donne milanesi della seconda metà del Trecento. Non nascevano più figli maschi e si pensava a qualche “tremendo” sortilegio, aspettando invano la cicogna dal fiocco azzurro.

Si fece un voto: se fossero di nuovo nati dei maschietti, sarebbe stata edificata una nuova Cattedrale dedicata a Santa Maria Nascente ed i bambini avrebbero portato anche il nome Maria. A questo voto partecipò anche Gian Galeazzo Visconti, Signore, e poi Duca, di Milano. I risultati, anche per lui, non si fecero attendere e gli nacquero due figli maschi.

Giovanni Maria Visconti

Filippo Maria Visconti

Un altro presunto voto legherebbe Gian Galeazzo, uomo assetato di potere come suo zio Bernabò, terribile quanto lui, alla costruzione del Duomo.

Gian Galeazzo Visconti

Bernabò Visconti

Una notte il Diavolo gli sarebbe apparso in sogno e gli avrebbe chiesto, in cambio del potere, una chiesa piena di simboli demoniaci.

Così, all’improvviso, nel 1387, Gian Galeazzo intervenne nella appena iniziata costruzione della Cattedrale, facendone cambiare completamente lo stile. In effetti qualche statua poco “angelica” si vede tra le guglie…

Per fortuna la Veneranda Fabbrica, l’organismo nato insieme al Duomo allo scopo di raccogliere fondi e provvedere alla sua costruzione e manutenzione, ha nel suo stemma la Madonna che protegge col suo manto la Cattedrale.

L’ente esiste ancora oggi, vecchio di oltre seicento anni, e dalla sua sede alle spalle dell’abside si occupa di tutti i lavori di cui il Duomo ha bisogno. Questi sembra non abbiano mai termine, tanto che a Milano di qualcosa che non finisce mai si dice “lungo come la fabbrica del Duomo”.

Il Duomo fu veramente un’opera collettiva e tutti i milanesi lavorarono insieme alla sua realizzazione. Il potere civile e quello religioso, nobili e gente comune, ricchi notabili e poveracci fecero la loro parte per costruire questa Cattedrale, pur sapendo che non l’avrebbero mai vista terminata. Vollero il Duomo per Milano e ancora oggi è il centro della nostra città.

Le tracce di questo antico lavoro comune sono conservate negli Archivi della Veneranda Fabbrica che ha annotato minuziosamente le entrate e le uscite e tutto quanto riguardava la nostra Cattedrale.

Di alcuni benefattori conosciamo il nome e la storia, di molti, invece, non sappiamo nulla. Per un attimo, magari passando frettolosamente davanti al Duomo, dedichiamo a questi sconosciuti (donatori, ma anche scalpellini, muratori, operai, gente comune, ecc.) un pensiero per la fatica, il sudore, il sacrificio che hanno donato anche a tutti noi.

Alla Fabbrica veniva offerto di tutto: proprietà, monete, gioielli, arredi, abiti (persino quelli dei defunti), utensili, cibo e vino, utilizzato anche come pagamento. Inoltre venivano effettuate raccolte anche con l’incentivo di indulgenze e giubilei.

Le associazioni di mestieri e professioni erano tenute a prestare dei lavori gratuiti e ad effettuare offerte obbligatorie; invece i barconi che trasportavano il marmo erano esentati dai dazi (da qui la sigla AUF, Ad Usum Fabricae, tradotta nell’attuale “a ufo” cioè a sbafo). C’è chi dice che anche “uffa” avrebbe origine da AUF per l’esasperante lentezza dei barconi che trasportavano i blocchi di marmo dal lago Maggiore fino a Milano percorrendo il Naviglio.

un “barcone” in piazza Duomo durante l’Expo

Tutto ciò che veniva raccolto per il Duomo era catalogato, riutilizzato o rivenduto dalla Fabbrica che annotava ogni cosa con la massima “onestà” e controllo incrociato.

C’era chi donava alla luce del sole (la moglie di Gian Galeazzo donò anelli con pietre così preziose da non poter essere rivendute e vennero perciò incastonate in una tavola votiva) e chi, invece, lo faceva un po’ di nascosto come le prostitute, che portavano le offerte alla Madonna quando era ancora buio.

Una di queste era una certa Marta che…

Continua…

Aspettando Natale: i colori della Luce – itinerario tra San Fedele e le vie del centro

Iniziamo un itinerario tra le strade e le giornate che ci porteranno al Natale 2015.

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Troppe sono le luci spente nella città, che appare meno luminosa, forse anche per l’austerity. O, magari, in qualche cuore c’è meno luce…

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Ma insieme aspettiamo il ritorno della Luce facendo quattro passi per il centro di Milano.

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Il “Natale”, la festa del Solstizio d’Inverno, è sempre stata la vittoria della luce sulle tenebre, del Sol Invictus e l’abbiamo festeggiata da sempre con le candele, la luce e le luminarie.

calendario celtico

calendario celtico

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Sol Invictus

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Vi proponiamo un piccolissimo itinerario di pochi passi tra l’Adorazione dei Pastori, di Rubens, esposta a Palazzo Marino, e la piccola piazza San Fedele, situata appena dietro il nostro Municipio.

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Mettiamoci in attesa, tralasciando Scala, Gallerie d’Italia, Leonardo, eccetera. Entriamo nella sala dell’Alessi a vedere il capolavoro, giunto da Fermo, del pittore fiammingo. Qui è la Luce del Bambinello che illumina e vince il buio circostante.

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Non sono i Magi a essere raffigurati nell’atto dell’Adorazione, ma i pastori, così come nel presepio (lo scriviamo alla lombarda) mettiamo, prima dei Tre Re, che giungeranno per l’Epifania, la gente semplice e gli animali della vita quotidiana di un tempo.

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Il capolavoro sarà esposto fino al 6 gennaio 2016, con ingresso gratuito.

Continuiamo il nostro breve itinerario andando verso piazza San Fedele, dove ci accoglie la statua di Don Lisander.

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Il Manzoni, per restare in clima natalizio, e la moglie, erano molto amanti del panettone e “panatonavano”, come scrive la donna al figlio Stefano, con gusto e piacere.

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Il loro fornitore di fiducia era l’antico “Prestin di Scansc” (Forno delle Grucce), citato anche ne I Promessi Sposi.

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targa posta all’inizio di corso Vittorio Emanuele

Entriamo nella chiesa di Santa Maria della Scala in San Fedele, comunemente nota solo come “San Fedele”.

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L’antica chiesa di Santa Maria della Scala, fatta costruire da Regina della Scala, moglie di Bernabò Visconti, fu demolita per costruire il nostro teatro e il suo titolo è passato alla vicina San Fedele.

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San Fedele si è recentemente arricchita di affreschi di Nicola De Maria. Alle spalle dell’altare maggiore, sulla volta del Sancta Sanctorum, il piccolissimo sacrario  dove sono custodite le reliquie dei martiri, c’è una girandola di colori.

Foto della due opere realizzate da Nicola De Maria nella chiesta di San Fedele. Foto della due opere realizzate da Nicola De Maria nella chiesta di San Fedele.

http://www.incrocinews.it/arte-cultura/la-gioia-della-gerusalemme-celeste-br-nei-colori-di-nicola-de-maria-1.117471

Come sono belli i colori della Luce!

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Sul fondo della chiesa c’è un’altra opera, dove luce e colore si incontrano: sono i tre pannelli monocromatici di David Simpson, che cambiano tonalità col variare della luce del giorno.

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http://www.centrosanfedele.net/easyne2/LYT.aspx?Code=ccsf&IDLYT=2716&ST=SQL&SQL=ID_Documento=2760

In questa chiesa, tutta da visitare e da “pensare”, torneremo ancora in un altro piccolo itinerario.

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Oggi giriamo, invece, per le vie del centro, guardando i colori della luce.

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Ecco le belle vetrine della Rinascente, con l’opera “Let it Shine, Let it Shine, Let it Shine. It’s Xmas again”, dell’artista svizzero John Armleder, dove i colori pittorici incontrano le scintillanti decorazioni natalizie.

vetrine

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Speriamo si accendano presto anche le vetrate del Duomo con i colori della Luce!

vetrate del Duomo

A presto… andando per mercatini di Natale.

Benvenuti al Castello, una storia lunga 650 anni

È più vecchio del Duomo, è stato amato ed odiato dai milanesi, potenziato, abbellito, distrutto e ricostruito; tra i suoi tanti abitanti Signori e soldataglia, tra i suoi visitatori turisti, scolaresche in visita e fantasmi in attesa.

castello in milano

turisti verso il castello

Come si può raccontare il Castello nei suoi diversi aspetti passati e attuali senza essere come frastornati dal pensiero di Ludovico e Leonardo che camminavano per queste stanze, davanti a tutte le opere d’arte che i suoi Musei contengono, esplorando i sotterranei e le vie segrete, pensando alle vite interrotte di chi è diventato fantasma e aspetta ancora pace?

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Leonardo e Ludovico il Moro

segrete

i sotterranei

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Michelangelo – Pietà Rondanini

L’invito è quello di lasciarsi andare, di “sentire” quello che vediamo visitando il Castello, le sue stanze, i suoi Musei, i suoi angoli carichi di arte, storia, aneddoti e suggestioni.

Quattro passi nel tempo: i Visconti

Facciamo quattro passi nella storia di questo Castello, così da leggere sulle pietre, che lo formano, un po’ di vita passata della città nella quale viviamo e lavoriamo adesso.

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I Visconti, un po’ serpenti, un po’ baüscia

Il Castello Sforzesco, uno dei luoghi-cartolina di Milano, non è sempre stato così e ha cambiato persino il nome.

cartolina castello

L’inizio della sua costruzione, dovuta all’amore per il potere che animava i membri della famiglia Visconti, risale alla seconda metà del 1300. Alla morte dello zio, Giovanni Visconti, arcivescovo e Signore di Milano, i suoi tre nipoti dovevano spartirsi il potere: Galeazzo e Bernabò si allearono tra loro uccidendo il fratello Matteo; poi si divisero potere e città.

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Giovanni

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Galeazzo II

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Bernabò

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Matteo

A Bernabò toccò la parte sud, a Galeazzo l’altra e, per difenderla, iniziò la costruzione di una fortezza a cavallo delle mura con la duplice funzione di consentire difesa e protezione di Milano e di garantire una eventuale via di fuga dalla città…e di se stesso dal fratello.

Questa rocca prese il nome di Castrum Portae Jovis, in quanto inglobava una porta, o meglio una pusterla, chiamata Giovia. Pertanto ancora oggi ci si riferisce al primo nucleo di quello che diventerà il Castello Sforzesco, come Castello di Porta Giovia.

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Secondo alcune versioni nelle vicinanze di questa rocca sorgeva, in epoca romana, un tempio dedicato a Giove. Proverrà da questo tempio la testa monumentale del dio, conservata al Museo Archeologico e ritrovata nei dintorni di piazza Cadorna?

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Stemma della famiglia Visconti è il Biscione, immagine talmente presente nel DNA di Milano da essere stata, per così dire, “adottata” da alcuni gioielli della città, come l’Alfa Romeo, Canale 5 e… l’Inter! (Anche nel nostro blog ci suddividiamo il tifo calcistico tra Biscione e Diavolo).

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biscione inter 1

Il significato del Biscione dei Visconti è molto controverso e ovviamente… misterioso. Forse risale all’impresa leggendaria di un cavaliere, divenuto capostipite della famiglia viscontea, che liberò le terre padane da Tarantasio, un enorme serpente dalla testa di drago, che infestava il Lago Gerundo e faceva strage soprattutto di bambini.

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drago Tarantasio

Il cavaliere uccise il serpente, che stava inghiottendo un bambino, e fece di questa impresa lo stemma della sua famiglia.

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La storia dei parenti-serpenti della famiglia Visconti fece molte altre vittime. Bernabò venne incarcerato a vita e avvelenato dal nipote Gian Galeazzo, che era anche suo genero, nel Castello di Trezzo.

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Gian Galeazzo

Bernabò è riuscito però a tornare da vincitore nel Castello Sforzesco: suo è il monumentale mausoleo, dove è raffigurato a cavallo, che ci accoglie nelle sale del Museo d’Arte Antica, dove è stato traslato dalla demolita chiesa di San Giovanni in Conca.

mausoleo bernabo

Milano era a quel tempo una città molto ricca: le marcite permettevano una raccolta di fieno due mesi prima di quella naturale, questo consentiva alla cavalleria viscontea di avere “carburante” per i cavalli in anticipo sugli altri e alle mucche di produrre più latte e quindi più alimenti per gli abitanti.

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erba e neve – una “marcita”

Cavalleria

L’industria bellica, fatta di armorari e di spadari, era fiorente. Il tutto produceva denaro, il denaro banche, le banche ulteriore ricchezza.

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Gian Galeazzo, con queste ricchezze, comprò, per centomila fiorini d’oro, il titolo di Duca di Milano dall’Imperatore e il Biscione si mise in testa la corona.

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incoronazione di Gian Galeazzo in Sant’Ambrogio

Biscione

Forse è un po’ il capostipite dei baüscia milanesi: dopo essersi comprato il titolo, voleva crearsi uno status di signore e mostrare, agli altri potenti, la ricchezza accumulata.

Per dare lustro ed immagine al nuovo blasone iniziò la costruzione del Duomo, in marmo pregiato.

marmo per il duomo

cave di marmo di Candoglia

data di inizio del Duomo

lapide commemorativa nel Duomo

Intraprese anche una politica di alleanze matrimoniali, dando, tra l’altro, in sposa la figlia Valentina a Luigi d’Orleans, accompagnata da una dote sontuosa di denaro e gioielli.

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Luigi

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Valentina

Milano era infatti all’avanguardia anche nel campo della gioielleria, come ci conferma l’Altare d’Oro di Sant’Ambrogio.

cofanetto prezioso

altare d'oro

Al momento della morte, Gian Galeazzo controllava un territorio vastissimo, da Belluno ad Asti, da Bellinzona a Pisa, da Siena ad Assisi; forse la sua intenzione era quella di unire la penisola, o almeno il Nord Italia, in un’unica monarchiacartina ducato

Per mostrare una corte degna del casato, sotto i successori di Gian Galeazzo, il Castello di Porta Giovia venne ampliato in forma quadrata, con lati di circa duecento metri e una torre ad ogni angolo. Filippo Maria, figlio di Gian Galeazzo, divenuto Duca alla morte del fratello maggiore, vi trasferì in modo definitivo la propria residenza.

Filippo_Maria_Visconti

Filippo Maria

castello giovia

Alla sua morte, senza eredi maschi, venne proclamata la Repubblica Ambrosiana e il Castello, ritenuto simbolo della passata tirannia, fu saccheggiato e in parte distrutto. La città, dopo un assedio, si consegnò a Francesco Sforza, valoroso capitano di ventura, marito di Bianca Maria Visconti, figlia dell’ultimo Duca, Filippo Maria.

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Francesco Sforza

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Bianca Maria

Siamo nel 1450, l’Aquila si affianca al Biscione. Il capostipite della nuova casata ricostruirà il Castello, dandogli nome, lustro e fama.

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stemma degli Sforza

continua…

La strana storia della figlia di Bernabò Visconti – (Tanto tempo fa)

A fianco della chiesa di San Giovanni in Conca c’era il palazzo di uno dei due Signori di Milano, Bernabò Visconti.

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Questi si era diviso il potere con il fratello Galeazzo II, dopo che insieme avevano avvelenato l’altro fratello, Matteo.

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Bernabò aveva sposato la nobildonna veronese Beatrice Regina Della Scala, alla quale dobbiamo il nome del nostro maggior teatro.

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Infatti la Signora fece costruire la chiesa di Santa Maria alla Scala, che fu demolita nel Settecento per realizzare il tempio della lirica. Perciò, quando parliamo della Scala, ricordiamo l’antica Signora di Milano, moglie di Bernabò.

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scala

Il Visconti era probabilmente molto legato alla moglie, il cui mausoleo si trova ora al Castello Sforzesco, accanto a quello del marito.

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Da lei ebbe diciassette figli…ma molti di più furono quelli naturali, almeno venti riconosciuti. Il numero è per difetto!

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Due furono le passioni private di Bernabò: le donne e…i cani. Il suo palazzo, che si trovava dove ora ci sono in parte l’Hotel dei Cavalieri e la sede dell’INPS, in piazza Missori, era conosciuto come la Ca’ di Can.

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demol ca can

Bernabò aveva più di cinquemila cani e molti vivevano, appunto, nel suo palazzo.

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Altri erano dati “in affido” ai sudditi perché fossero nutriti e curati, con pene severissime per chi non li avesse trattati bene. Servivano prevalentemente per la caccia ai cinghiali, molto diffusi nelle campagne attorno a Milano, ma anche come deterrente feroce per i sudditi.

Caccia medievale

cane pericoloso

L’altra passione del Signore erano le donne, tanto che si diceva “de chi e de là del Po tôt fioi del Bernabò”.

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Da una di queste amanti, Giovannola, nacque, nel 1353, una figlia, riconosciuta dal Signore e cresciuta a Palazzo, protagonista di una misteriosa storia della Milano del Trecento.

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Bernarda, questo il nome della bimba, crebbe senza la madre, allontanata per una presunta liason con un nobile.

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Molto bella e seducente, con i capelli biondo-oro e un temperamento vivace e impertinente come quello materno (e forse oggetto di un interesse non solo paterno da parte di Bernabò), fu fatta sposare a quattordici anni con un nobile signorotto della Bergamasca, Giovanni Suardo, del Castello di Bianzano.

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Non fu un matrimonio felice e la ragazza tornò a Milano, dove visse nella Rocca di Porta Romana. Fu scoperta. però, tra le braccia di un certo Antoniolo, dalle cronache descritto come un seduttore più bello che intelligente.

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Bernabò, accecato dall’ira (temeva di perdere l’alleato bergamasco o la figlia?), fece impiccare lui e incarcerare, dopo tortura, nella rocca di Porta Nuova, lei, per farla morire di stenti, nutrita solo con poco pane e acqua.

Milano,_Porta_Nuova_dove era rinchiusa Bernarda 1

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Le fu messa accanto sua cugina Andreola, figlia di Matteo e badessa del Monastero Maggiore, anch’essa condannata a morte per aver avuto una relazione amorosa, come avverrà anni dopo per la Monaca di Monza.

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Riuscirono a sopravvivere sette mesi, nutrite di nascosto da mani caritatevoli. Infine morirono di consunzione e di stenti, in completa solitudine, separate infine, perchè la morte fosse ancora più disperata.

Is This a Real Ghost?

Fine della tragica storia di Bernarda? Assolutamente, no! Il mistero inizia ora.

Qualche mese dopo la sua morte, la ragazza venne vista in diverse zone di Milano e in altre città, tra le quali Bologna e Firenze.

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Bernabò, sconvolto da queste notizie a dir poco inquietanti, fece riesumare il corpo di Bernarda, per accertarsi della sua morte.

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Il corpo, già in decomposizione, viene riconosciuto come quello della giovane. In seguito però ella riappare dicendo di essere Bernarda Visconti. Molti la riconoscono ed è tanto viva da sposarsi a Firenze con un uomo presentatole da una sua cugina.

matrimonio

Fine della storia? Assolutamente, no!

Nel frattempo Bernabò è morto, imprigionato dal nipote Gian Galeazzo, figlio di Galeazzo II, nel Castello di Trezzo, ultima dimora tanto inquietante da essere stata visitata dalla troupe di “Mistero”.

trezzo

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http://www.video.mediaset.it/video/mistero/puntate/215514/il-castello-di-bernabo-visconti.html

Il “fantasma” di Bernarda, invece, nel 1407 compare a Dalmine dove, davanti ad un notaio che ne accerta l’identità, cede alcuni beni, portati in dote, ai parenti del suo ex marito in cambio di una cospicua somma di denaro.

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Anni dopo si parlò di una clamorosa truffa, ma della donna (un’antenata di Eva Kant?) non si seppe più nulla.

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Si dice che qualche volta Bernarda esca ancora per le strade di Milano e passeggi per Santa Radegonda e Porta Romana.

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Fine della storia? Assolutamente non lo sappiamo!

San Giovanni in Conca, il “dente rotto” di piazza Missori – (dove)

Lo chiamano il “dente rotto”.

dente rotto

A ridurre così la chiesa di San Giovanni in Conca non sono stati i vandali o i bombardamenti dell’ultima guerra, bensì i cazzotti che ha preso dai progetti urbanistici che avrebbero voluto demolirla per realizzare ampie strade nel centro cittadino…riuscendoci quasi del tutto.

dente rotto

Sembra quasi che il cavallo del monumento di piazza Missori, senta tutto il peso e la stanchezza, non solo delle battaglie risorgimentali, ma anche dei mutevoli voleri che hanno continuamente cambiato faccia a questa piazza.

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la statua “el caval de brum”

Fortunatamente si è salvata, sotto il “dente”, la cripta dove ci sono radici romane e, probabilmente, quelle di un Mitreo, un luogo di culto sotterraneo dedicato al dio persiano Mitra.

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Anche il termine “conca” potrebbe far pensare a un avvallamento primitivo del terreno, una conca appunto, e questo potrebbe confermare l’ipotesi di un antichissimo Mitreo.

mitra grotta

https://www.youtube.com/watch?v=Xbe0OjxXYOA

Ancora oggi è visitabile, grazie ai volontari del TCI, la cripta romanica della chiesa, che contiene alcuni reperti di una Domus romana; altri sono conservati al Civico Museo Archeologico, come il bel pavimento decorato a mosaico con animali.

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La nostra chiesa sorse quindi sopra precedenti edifici e fu molto grande e importante: infatti serviva anche, nel primo periodo comunale, per le assemblee del popolo, che si tenevano preferibilmente in luoghi sacri e coperti.

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Ma le continue scosse del terremoto, che sconvolse per quaranta giorni Milano nel 1107, fecero ritenere più prudente riunirsi all’aperto, nei diversi, successivi Broletti.

Palazzo della Ragione con successivo sopralzo austrico

Broletto Nuovo di piazza Mercanti

 

San Giovanni in Conca fu una chiesa molto importante anche sotto l’aspetto religioso e politico. Venne dedicata a San Giovanni Evangelista che, secondo la tradizione, fu gettato in una conca piena di olio bollente, che però venne raffreddato da un improvviso, violento acquazzone, tanto che il Santo potè uscirne illeso. Da qui l’uso, che ricorda un po’ quello dell’acqua a San Calimero, di far bollire sul sagrato pentoloni di olio per propiziare la pioggia nei periodi di siccità.

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Questa chiesa ricoprì anche un importante ruolo ai tempi di Bernabò Visconti, Signore di Milano. Quando, verso la metà del 1300, si spartì la città col fratello, a Bernabò toccò la parte sud-est con l’intero sestiere di Porta Romana.

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Bernabò Visconti

Bernabò elesse la chiesa a cappella gentilizia, essendo molto vicina al suo palazzo, che divenne famoso col nome di Ca’ di Can (nel prossimo “Tanto Tempo Fa” racconteremo delle due passioni del Signore: le donne e i…cani).

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la chiesa e, a destra, la Ca’ di Can

All’interno della chiesa fece porre il proprio monumento funebre equestre, che oggi possiamo ammirare al Castello Sforzesco, proprio accanto all’altare, in quanto Bernabò si riteneva: “Papa et Imperator ac Dominus in omnibus terris meis”...un tantino bauscia!!

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Il nostro bel San Giovanni, poi, non fu risparmiato dagli interventi umani: dopo vari rifacimenti minori, venne sconsacrato e spogliato dei vari, preziosi arredi da Napoleone; il suo campanile fu utilizzato dal medico Pietro Moscati come osservatorio astronomico e meteorologico, per studiare gli effetti delle condizioni ambientali sulla salute. Il suo ritratto è conservato nella Quadreria dei Benefattori della Ca’ Granda di via Francesco Sforza.

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Divenne quindi prigione e poi “garage” per le carrozze del Vicerè austriaco, distrutte poi durante le Cinque Giornate.

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A ridurlo un dente rotto, furono poi, come già detto, i piani regolatori di fine Ottocento e e di metà del Novecento; la chiesa venne dapprima accorciata, per aprire l’attuale via Mazzini, e venduta alla comunità Valdese.

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S Giovanni in conca 1925

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Nei primi anni Cinquanta, infine, fu deciso di abbatterla per aprire la via Albricci.

lavori per aprire via Carlo Alberto da piazza Missori demolizione S Giiovanni 1949

La facciata fu smontata e rimontata sulla nuova chiesa Valdese di via Francesco Sforza (dove si trova tuttora), mentre di San Giovanni si sono salvati solo la cripta sotterranea, l’unico esempio di cripta romanica originale esistente a Milano, e i pochi resti dell’abside, che vediamo nello spartitraffico.

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https://www.youtube.com/watch?v=Z-AwIwQ_ozY

E ora il “dente” è lì, carico di storia, in mezzo ai tram di piazza Missori.

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Ma se scendete nella sua cripta vi sembrerà di entrare in un altro mondo.

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Apertura dal martedì al sabato dalle 9.30 alle 17.30. Ingresso gratuito.

http://www.apertipervoi.it