Fotoarca di Passipermilano (seconda puntata: i cavalli)

Tra poco Milano si accenderà con le luci del Natale e diventerà il palcoscenico di tutti noi che, di corsa, come puledri, cavalli rampanti o ronzini stanchi faremo acquisti e porteremo pacchi e pacchetti, borse e borsoni, figlioletti o nipotini.

Con un sorriso dedichiamo i nostri quattropassi di fine novembre al cavallo, questo nobile animale che nei secoli al passo, al trotto o al galoppo ha trasportato uomini e cose. Lo cercheremo tra i monumenti della nostra città per la seconda puntata della Fotoarca di Passipermilano.

Iniziamo la nostra passeggiata dai Cavalli Alati, bianchi e giganteschi, “parcheggiati” sul tetto della Stazione Centrale. Alti quasi 8 metri, ci ricordano che qui si va veloci, si arriva e si parte quasi volando (forse i pendolari non sono sempre d’accordo). Due palafrenieri, Intelligenza e Progresso, tengono le loro redini.

I cavalli da sempre sono stati una delle “sedute” preferite da Re e generali, che amavano essere immortalati fieramente in groppa a destrieri. Nei monumenti antichi i cavalli sono di solito rappresentati, per motivi tecnici, per lo più al passo; se invece sono dipinti,  vengono raffigurati più liberamente al trotto, al galoppo o addirittura rampanti.

Vittorio Emanuele II forse è giunto al galoppo in piazza Duomo e deve frenare il suo cavallo, lanciato… verso il portone centrale della nostra cattedrale. Conflitto Stato – Chiesa?

Accanto al monumento si riunivano i tifosi quando una delle squadre milanesi vinceva lo scudetto… ahimè, da parecchi anni è il torinese Vittorio Emanuele che festeggia.

Un altro cavaliere illustre è Napoleone III che, al Parco Sempione, saluta chi passa, come un vecchio gentiluomo un po’ bislacco. Il suo cavallo lo accompagna con pazienza.

Un famoso quadro immortala l’Imperatore, con Vittorio Emanuele II, sotto lArco della Pace, mentre, vittoriosi, entrano in Milano liberata.

Una curiosità: i cavalli della sestiga sopra l’Arco, risalenti a Napoleone I, furono fatti ruotare di circa 180° dagli Austriaci, quando tornarono a Milano, perchè voltassero il fondoschiena alla Francia… e da allora sono rimasti così.

prima

dopo

In largo Cairoli il cavallo di Giuseppe Garibaldi è finalmente fermo dopo tante battaglie col suo cavaliere e ha un aspetto forte e fiero. Non così quello del generale Missori, nella omonima piazza, tanto accasciato da essere entrato in un modo di dire milanese: “te me paret el caval del Missori”. Il modello fu un povero cavallo da tiro, che oscurò, nel tempo, il suo cavaliere.

Un cavallo, invece, pieno di vigore è quello che salta un ostacolo nel monumento alle “Voloire” in piazzale Perrucchetti, davanti all’ex-caserma dell’Artiglieria a Cavallo.

Questa volta il cavaliere non è un illustre personaggio, ma il simbolo di chi ha rischiato o dato la vita in guerra. Chissà se il suo cavallo, fedele compagno di tante ore di battaglia o di solitudine, lo avrà dovuto vegliare “in un campo di grano… sotto mille papaveri rossi” come cantava Fabrizio De Andrè.

Due monumenti celebrativi ci riportano a secoli lontani. In piazza Mercanti, sul Broletto, ora in ristrutturazione, si trova  l’altorilievo di Oldrado da Trèsseno (podestà di Milano – 1233), che, nell’epigrafe, si vanta di aver fatto costruire il palazzo e di aver mandato al rogo i Catari.

Al Museo del Castello, invece, c’è il monumento funebre del feroce Bernabò Visconti, impettito in groppa al suo destriero. Gli animali avranno avuto più cuore dei loro padroni? Povere bestie…

Nei nostri passipermilano stiamo cercando di far vedere quanto la nostra città sia piuttosto insolita e misteriosa. A questo proposito abbiamo scoperto che a Milano c’è anche il monumento “I Quattro Cavalieri dell’Apocalisse e il Cavallo Bianco della Pace”. Ebbene, questo poco noto gruppo di cavalli e cavalieri si trova nel luogo più impensabile che si possa immaginare: i Giardini Pubblici “Indro Montanelli”.

Entrando da piazza Cavour, in una grande aiuola, vicino alla statua del giornalista, c’è un gruppo di stilizzate figure in bronzo, che passano quasi inosservate, forse perchè piuttosto basse e smilze. La scena rappresentata è molto drammatica, con cavalieri e cavalli in action.

 

Quasi in disparte c’è un cavallo bianco, senza cavaliere, che sta brucando, distante anni luce dagli altri: è il “Cavallo Bianco della Pace”.

Questo monumento, quasi sconosciuto e assolutamente da andare a vedere, è opera di Harry Rosenthal, uno scultore austriaco che ha attraversato il Novecento con i suoi tanti e contrastanti avvenimenti.

Infine ecco “IL” cavallo; senza cavaliere, imponente, maestoso ha un passato illustre e un presente che genera discussioni.

È conosciuto come “il Cavallo di Leonardo” e si trova davanti all’ippodromo del galoppo di San Siro, in una posizione con poca visibilità turistica, almeno per ora. L’anno prossimo, infatti, ci saranno le celebrazioni per i cinquecento anni dalla morte del Maestro e questo cavallo diventerà protagonista di eventi e manifestazioni. Ne parleremo anche noi tra qualche settimana.

A presto…

Passipermilano? Terzo itinerario nel cuore della nostra città per chi viene la prima volta

È una Milano un po’ meno nota quella che vedremo in questo itinerario per il centro della nostra città.

Dal Lirico raggiungiamo piazza Missori con i resti dell’antica chiesa di San Giovanni in Conca. Sotto questo mozzicone di muro, che fa da “spartitraffico”, possiamo visitare gratuitamente la suggestiva e sorprendente cripta, ricca di storie, leggende e… traslochi di statue e facciate.

Questa piazza è molto cambiata nel tempo: possiamo scoprirlo guardando sulla sua pavimentazione il vecchio perimetro della chiesa.

Ecco di fronte a noi la statua di Giuseppe Missori. Il vero “protagonista” di quest’opera è, però, il cavallo, curvo, stanco e affaticato; il modello non fu un maestoso destriero, ma un povero cavallo da tiro. “Te me paret el caval del Missori” dicono a Milano quando si è giù di tono e ci vorrebbe un ginseng.

Povero Missori, partecipò ai moti del Quarantotto e alla Spedizione dei Mille, salvò la vita a Garibaldi, combattè con valore nelle guerre d’Indipendenza ed ora fa da spalla al suo cavallo. C’est la vie!

Ora raggiungiamo la vivacissima via Torino per visitare la chiesa di San Satiro un po’ defilata, quasi uno scrigno dove si conservano le illusioni.

Entriamo e guardiamo dietro l’altare… ecco la grande trovata dell’illusionista Bramante: l’abside sembra profonda, ma misura meno di un metro.

Via Torino è una delle tante vie di negozi della Milano modaiola. Anche questa è una illusione. Le vetrine (tra l’altro quanti negozi di scarpe per i nostri quattropassi!) sviano l’attenzione da una seconda lettura di questa via.

E’ come un tessuto di fili diversi; ci sono le vetrine (da sempre la zona ha vocazione commerciale: via Spadari, via Speronari, via Orefici…), ma anche vicoli, chiese poco conosciute, improvvise piazzette dove sostare per un gelato e dirsi: “ma non sembra di essere a Milano”. Troppo interessante… ve la racconteremo in un’altra passeggiata.

Da via Torino andiamo verso piazza Affari. Ci sono tante vie piccole e tortuose; si può passare anche da piazza Santa Maria Beltrade, con il palazzo d’angolo del Portaluppi, la chiesa che non esiste più ma dà il nome alla piazza e un portalino del Cinquecento quasi nascosto.

Da qui si può raggiungere quello che per Leonardo era il vero centro di Milano, la chiesa di San Sepolcro, dove si trovava il Foro di Mediolanum, con l’incrocio di cardo e decumano.

Cosa scegliere di vedere: la chiesa dell’anno Mille, la cripta che mozza il fiato con le moderne mostre poggiate sull’antica pavimentazione romana, la Torre Littoria del Portaluppi, palazzo Castani, una grata misteriosa?

Di fianco alla chiesa ecco l’Ambrosiana con la statua dal Cardinale Federico Borromeo, che l’ha realizzata.

Volutamente non proponiamo in questo itinerario visite ai vari musei, ma come non ricordare che qui ci sono la “Canestra di Frutta” di Caravaggio, il “Ritratto di Musico” e numerose pagine del “Codice Atlantico” di Leonardo, il cartone della “Scuola di Atene” di Raffaello? Non solo, c’è anche una ciocca di capelli della bionda Lucrezia Borgia!

Nella nostra passeggiata possiamo, inoltre, dare un’occhiata ai balconi liberty di via Spadari e magari anche alla supergastronomia del Peck e ai diversi negozi golosi.

Andando verso piazza Affari guardiamo due targhe: l’una ricorda il milanesissimo “Tiremm innanz” di Amatore Sciesa, l’altra racconta che qui nacque l’amore  tra Ernest Hemingway e l’infermiera di “Addio alle Armi”. “Sapessi come è strano sentirsi innamorati a Milano”…

Non è finita qui. Abbiamo raggiunto piazza Affari, col Palazzo Mezzanotte, sede della Borsa, e un’altra statua: il Dito di Maurizio Cattelan.

Anche questa è una piazza con un sopra e un sotto: sopra un palazzone di epoca fascista, tutto bianco e così diverso da quelli, dai colori soft, che sono cresciuti nel tempo in questa zona, e una statua (un saluto romano con dita mozzate?) altrettanto bianca, quasi ciò che resta di una scultura gigantesca tornata alla luce.

Su un lato di Palazzo Mezzanotte però, vediamo la pianta del Teatro Romano i cui resti si trovano proprio sotto i nostri piedi. Era un megateatro, quasi un Palaforum dell’epoca per spettacoli ed eventi.

In questa zona oggi c’è il Gotha della finanza, ma i nomi delle vie ricordano che anche secoli fa qui c’erano i danee.

Ci sono, però, anche strade col nome di antiche chiese: San Vittore al Teatro, Santa Maria alla Porta, dove troviamo una bella sorpresa: è ciò che resta di una antica cappella con un affresco della Madonna con Bambino di fronte a un pavimento grigio di cemento.

Viene chiamata “la Madonna del Grembiule”. Nel lontano 1600 un muratore stava lavorando alle pareti della vecchia chiesa quando venne alla luce, tra le macerie e le picconate, l’affresco. L’uomo lo pulì devotamente col suo grembiule di lavoro e guarì all’improvviso dalla sua zoppia.

La cappella fu poi distrutta dai bombardamenti dell’ultima guerra mondiale, ma “rivenne” alla luce col suo bellissimo pavimento, oggi coperto per proteggerlo in attesa di un costoso restauro. Ci vorrebbe un altro grembiule…

Tornando verso piazza Affari diamo un altro sguardo al Dito, il cui nome ufficiale è L.O.V.E., acronimo di Libertà, Odio, Vendetta, Eternità. Ma a chi è rivolto il gesto provocatorio? Alla Borsa o è la Borsa che lo rivolge a noi? Meglio lasciare all’immaginazione di ciascuno…

Lasciamo la nostra Wall Street e, attraversata via Orefici, approdiamo in quel gioiello, in parziale restauro, che è piazza Mercanti. Era una piazza laica, dominata dal Broletto, dove nel Medioevo si tenevano le contrattazioni economiche, una sorta di antica Borsa.

Poi Maria Teresa mise un “cappellaccio” sopra il Broletto, quasi per schiacciarlo.

Ci voleva ben altro, però, per abbattere la cinghialessa legata alle leggendarie origini di Milano. Dopo secoli è sempre lì, su una arcata del Broletto, piccola come era allora la nostra città, ma solida come la roccia.

A presto…

Itinerario Velasca – (Parte Prima: quattro passi da San Giovanni in Conca)

Anche questo breve itinerario, che congiunge piazza Missori con la chiesa di San Nazaro e la Statale, offre squarci di luoghi, di tempi e di vite milanesi molto diversi tra loro.

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Il “dente rotto” di piazza Missori è una delle tante “stranezze” di Milano: sacrificata una bella chiesa, piena di storia e di opere d’arte (per fortuna in parte conservate al museo del Castello) in nome di un moderno progetto di viabilità, la cosiddetta Racchetta, la nostra città mostra un rudere, piuttosto brutto, che cela, però, al suo interno una splendida, impensabile cripta.

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Passiamo accanto al monumento equestre di Giuseppe Missori, ora in restauro.

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Il generale fu accanto a Garibaldi, al quale salvò anche la vita, in tante battaglie. Dopo una vita eroica, morì poi a Milano, travolto da un tram e ora riposa al Famedio del Cimitero Monumentale.

Missori

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Missori salva la vita a Garibaldi nella battaglia di Milazzo

Il monumento è noto anche per il cavallo dall’aspetto così stanco, tanto da essere soprannominato el caval de brum, ossia il cavallo da tiro delle carrozze pubbliche.

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Lasciata piazza Missori, facciamo quattro passi per corso di porta Romana e raggiungiamo un piccolo slargo, quasi nascosto ed anonimo, dove si trova la Torre Velasca, che prende il nome dalla via dedicata al governatore spagnolo di Milano, Don Juan Fernandez de Velasco.

Velasca tra i merli

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La torre fu costruita tra il 1956 e il 1959 su progetto dello Studio BBPR ed è adibita parte ad uffici e, nella parte più larga, in alto, ad abitazioni.

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Per vederla tutta, quasi non si sa dove andare: lo spazio orizzontale di questa piazzetta, chiusa da palazzi, è piuttosto piccolo, tanto che bisogna stare col naso all’insù per poter ammirare il grande fungo che vi è cresciuto.

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Viene chiamata Torre, e non grattacielo, come il Pirellone, costruito negli stessi anni; questo ci darà modo di fare un breve excursus sul vecchio e nuovo skyline di Milano.

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La Torre Velasca ha suscitato molti dibattiti tra chi la trova bellissima e chi orrenda.

http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/12_aprile_3/torre-velasca-brutta-parere-architetti-milanesi-sgarbi-boeri-daverio-2003934701378.shtml

Ai noi, personalmente, piace, forse anche per quel suo elevarsi improvviso, quasi in modo inaspettato, tra i palazzi.

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E ci piace questo disegno di Buzzati con le streghette che ballano sopra questa torre…un po’ di mistero c’è sempre nel nostro blog.

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Usciamo dalla piazzetta per andare in via Pantano, dedicata non a qualche personaggio famoso, ma proprio a quella sorta di laghetto stagnante che c’era qui tanto, tanto tempo fa, in epoca romana.

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Era una zona di acqua e boschetti; niente di meno strano che vi crescesse, secoli dopo, un fungo gigantesco di 26 piani!

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La via Pantano era una zona residenziale molto bene della Milano del Sei-Settecento. Vi si trovavano dimore di famiglie illustri e anche ora ha mantenuto un’aria elegante e riservata.

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Dietro alle facciate un po’ severe ci sono cortili molto belli, con “ricordi” artistici di secoli passati.

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Al numero 1 di via Pantano, più o meno dove ora c’è l’Assolombarda, nacque nella prima metà del Settecento, da famiglia molto ricca, Gaetana Agnesi, dottissima donna ed esempio del “buon fare” milanese.

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Fu una donna straordinaria: semplice, colta, religiosissima, fine matematica di successo, abbandonò completamente gli studi per dedicarsi alla cura degli ultimi, in particolare delle donne “pazze” di famiglia povera, vivendo in mezzo a loro.

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A lei toccò in seguito l’amministrazione di opere sociali come la Baggina appena nata.

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l’attuale “Baggina”

 Ben altri inquilini ebbe il palazzo al numero 26 di via Pantano.

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Vi prese dimora, alla fine del Seicento, la famiglia Settala, tra cui l’illustre Protomedico Lodovico e lo strambo scienziato Manfredo, suo figlio.

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Lodovico

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Manfredo

Di Lodovico sappiamo anche, dal Manzoni, che “cooperò a far torturare, tanagliare e bruciare, come strega, una povera infelice sventurata, perchè il suo padrone soffriva di dolori di stomaco”. Parleremo di lui, del suo paziente e della sventurata Caterina in un prossimo articolo.

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Molto originale, tipo scienziato pazzo, era il figlio Manfredo. Era amante dei viaggi e delle cose insolite che raccolse, secondo la moda dell’epoca, nelle sale del palazzo di famiglia.

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Ecco qualche esempio di ciò che aveva raccolto:

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cranio di ippopotamo gigantesco

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pesce palla

Probabilmente questo canonico di San Nazaro si dilettava anche con esperimenti nel proprio laboratorio, ma poco sappiamo di queste ricerche che hanno alimentato molte fantasie.

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D’altra parte cosa c’è di strano in questa sua creazione, conservata al museo del Castello Sforzesco?

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È un automa che sghignazza e sputa tra un fragore di catene di ferro e ruote; il busto in legno sarebbe quello di un Cristo alla colonna, ma la testa è diabolica.

Di Manfredo si racconta che a volte si aggiri ancora in questa zona.

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Se vedete un religioso col cappuccio alzato, che si reca verso San Nazaro, fate quattro passi con lui e intanto ammirate le splendide case di via Pantano.

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via pantano

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