Leonardo da Vinci, uno di noi?

Si torna a parlare, in questi giorni, di Caterina, la madre di Leonardo. Infatti, durante i lavori di ampliamento e ristrutturazione tra la caserma Garibaldi e l’Università Cattolica, sono stati ritrovati i resti di alcune cappelle appartenenti alla chiesa (demolita agli inizi dell’Ottocento) di San Francesco Grande, dove il genio l’avrebbe fatta seppellire.

Leggendo queste notizie, abbiamo ripensato a Leonardo e a come abbia vissuto, allora, problemi che ancora oggi noi affrontiamo e discutiamo. Era nato, fuori dal matrimonio, da una coppia mista (padre toscano, madre straniera immigrata per forza), genitori separati (il padre si era risposato quattro volte). Era cresciuto insieme ai fratellastri col nonno paterno, pur andando spesso a trovare la madre, sposata e con tanti altri figli avuti dal marito. Più famiglia allargata di così!!

Su-Caterina-madre-di-Leonardo_E.-Ulivi

Fu un adolescente un po’ scapestrato (rischiò la prigione a Firenze perchè era in cerca della propria identità di genere).

Autoritratto di Leonardo 1475

Dopo un po’ di apprendistato a bottega dal Verrocchio, si cercò un lavoro mandando (e barando) un curriculum a un big dell’epoca, Ludovico il Moro.

 

Anche allora Milano era attrattiva, offriva possibilità di carriera ed era anche glamour…

 

Quando giunse a Milano in cerca di fortuna, come molti giovani di oggi, Leonardo venne ospitato da un amico pittore, Giovanni Ambrogio de Predis, che non solo lo ospitò in una casa a Porta Ticinese, ma lo introdusse a corte e lavorò con lui alla Vergine delle Rocce, presso la chiesa di San Francesco Grande.

 

Da allora Leonardo cambiò diverse case, sempre più prestigiose fino ad abitare alla Corte Ducale, dove oggi c’è Palazzo Reale. Tanto di cappello, ne ha fatta di strada!

 

Amava le feste, il look trasgressivo, il buon cibo (abbiamo anche delle sue ricette) e il buon vino, tanto da produrlo nella sua vigna accanto a Santa Maria delle Grazie, a Km 0.

 

Probabilmente Leonardo era bisex, ma, molto riservato, non ha dato mai pubblicità alla cosa.

Salai, suo allievo

 

Secondo una studiosa tedesca Leonardo si sarebbe sposato in segreto con Isabella di Aragona, vedova di Gian Galeazzo Maria Sforza, dalla quale avrebbe avuto anche dei figli.

 

Aveva molti interessi, si occupava dell’ambiente e di nuove tecnologie, andava a piedi al lavoro…

 

e, forse per questo, aveva progettato una specie di bicicletta.

 

Leonardo era di una spiritualità intensa, ma molto personale.

 

Inoltre, come si legge anche oggi, si è occupato della madre anziana, assistendola con amore fino alla fine. Un affettuoso caregiver del Rinascimento.

 

Leo, sei uno di noi o i problemi sono sempre gli stessi?

 

A presto…

Santa Maria della Pace, una chiesa difficile da visitare

Oggi è la festa dell’Immacolata che, con Sant’Ambrogio, rappresenta per tutti i milanesi l’inizio del periodo natalizio.

 

Siamo in un momento non facile, tormentato da guerre in atto, dure repressioni e violenze in molti paesi del mondo. Per questo, oggi, parliamo della chiesa di Santa Maria della Pace, bellissima, dalla storia tribolata, difficile da vedere… come la Pace.

 

Questa chiesa si trova in via San Barnaba, alle spalle del Palazzo di Giustizia. Sembra quasi in disparte, chiusa da un cancello che la esclude dalle visite dei fedeli.

 

Da alcuni anni è in uso, con alcuni bassi edifici di pertinenza, all’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme e viene aperta al pubblico solo il primo giovedì del mese con orario piuttosto limitato.

 

Non è facile dunque visitarla, anche se ha tanta storia di Milano da raccontare. Venne, infatti, fatta costruire, assieme all’adiacente convento (oggi Chiostri dell’Umanitaria) nel XV secolo grazie alle donazioni di Bianca Maria Visconti e del figlio Galeazzo Maria Sforza per Amedeo Menez da Silva, frate francescano portoghese, non sempre ortodosso, con fama di taumaturgo, oggi Beato.

 

Di lui sappiamo che ispirò non poco anche l’opera di Leonardo da Vinci, presente a quei tempi a Milano.

 

 

Erano anni molto importanti per l’architettura milanese che vide nascere la Ca’ Granda, Santa Maria delle Grazie e San Pietro in Gessate, con i loro caldi mattoni a vista, così milanesi.

San Pietro in Gessate

 

Santa Maria della Pace fu realizzata in circa trent’anni (1466/97) ed ha un’unica navata con diverse cappelle; nel Cinquecento le fu aggiunto il campanile.

 

Ora appare piuttosto spoglia, se si escludono gli affreschi sopra l’altare, che, però, si possono guardare da piuttosto lontano.

In passato aveva altri affreschi molto importanti, poi spostati in altre sedi o andati perduti. Ora sui capitelli rimangono ancora gli stemmi del Ducato e, se guardiamo verso l’alto, possiamo vedere ciò che resta di alcuni dipinti e le parole PAX e IHS ripetute sulla volta, quasi un invito alla preghiera.

La storia di questa chiesa è stata molto tribolata durante l’Ottocento. Venne sconsacrata da Napoleone, utilizzata come magazzino, ospedale, scuderia. Infine venne acquistata da una importante famiglia e trasformata in una sala per concerti di musica sacra, il famoso Salone Perosi, che poteva contare sullo splendido organo di Pietro Bernasconi del 1891.

 

Agli inizi del Novecento la chiesa venne riconsacrata e passò alle Suore di Santa Maria Riparatrice, che vi restarono fino a metà degli anni Sessanta. Poco dopo venne acquistata dall’Ordine del Santo Sepolcro, che trasferì, negli edifici adiacenti, la propria Luogotenenza per l’Italia Settentrionale.

 

Quest’Ordine, che risale ai tempi della Prima Crociata, era stato fondato da Goffredo da Buglione nel 1099 per la difesa dei valori cristiani. Attualmente si occupa di sostenere scuole interreligiose in Terra Santa e altre opere sociali.

 

Chiudiamo questa breve “visita” sostando davanti a Lei, la Madonna della Pace. Posto in una cappella, il dipinto mostra il Bambino in una mandorla dorata come culla, vegliato da Maria con un abito tempestato dalla parola PAX, un bene prezioso dal valore inestimabile.

A presto…

 

 

 

 

L’antico rito della “Nivola” in Duomo

Un lunedì pomeriggio di metà settembre in piazza Duomo: milanesi di corsa, indaffarati come sempre, turisti che passeggiano in attesa della Fashion Week, suoni della quotidianità… Lontano pochi passi persone raccolte intente ad ascoltare antichi salmi: nella nostra Cattedrale si sta celebrando lo storico rito liturgico della “Nivola” che conclude il Triduo dell’Esposizione ai fedeli del Sacro Chiodo della Croce.

 

 

Secondo la tradizione, questo Chiodo, insieme ad alcuni altri, venne rinvenuto a Gerusalemme da Sant’Elena e donato al figlio, l’Imperatore Costantino, come prezioso morso per il suo cavallo.

 

 

Andato perduto, venne poi ritrovato a Milano da Sant’Ambrogio presso la bottega di un fabbro che inutilmente cercava di lavorarlo. La reliquia venne collocata prima nella basilica di Santa Tecla e, quando questa venne demolita, nel Duomo. Era molto venerato dai milanesi, tanto che nel 1575 San Carlo lo portò in processione alla chiesa di Santa Maria presso San Celso, per invocare la fine della pestilenza.

 

La preziosa reliquia è custodita, in una teca di argento e cristallo di rocca, a oltre 40 metri di altezza sopra l’altare maggiore, sempre illuminata da una piccola luce rossa.

 

 

A metà settembre di ogni anno, però, (il 14 settembre si celebra la ricorrenza liturgica) il Sacro Chiodo viene posto su una sorta di “ascensore” con quattro sacerdoti e fatto scendere fino all’altare maggiore. Qui, in un Crocifisso dorato, è esposto alla venerazione dei fedeli.

 

 

Al termine del Triduo, con una solenne cerimonia, la “nivola” lo riporta, in una nuvola d’incenso, alla sommità della navata per un altro anno.

 

 

Questa “nivola” (forse ideata da Leonardo) fu dipinta da Landriani nel 1612 con angeli e cherubini avvolti in soffici nubi. Al termine della cerimonia viene poi avvolta in teli e collocata sopra una porta laterale del Duomo. E’ un vero peccato che la si possa ammirare solamente “in azione” da lontano e durante il rito.

 

 

Purtroppo abbiamo poche foto, un po’ “rubate” durante la funzione religiosa, ma, se lo desiderate, non mancate il prossimo anno a questo appuntamento, forse un po’ dimenticato, di fede e tradizione milanese.

A presto…

 

 

 

 

Buon 2020!!!

Oggi nasce il Nuovo Anno. È giovane, scintillante, pieno di progetti e speranze, ma anche di ombre. Lo accogliamo con queste parole di Leonardo da Vinci che fanno da festone luminoso in via Ruffini, da finestra a finestra, da casa a casa.

Questa strada conduce alla chiesa di Santa Maria delle Grazie e al Cenacolo, grande capolavoro del Genio. Passo dopo passo possiamo riflettere su questa scritta e adoperarci perchè il 2020 cresca via via in “sapienza” per diventare un’ “opera” straordinaria di tutti noi.

A presto…

Una fantastica vetrina immobiliare per le strade della nostra città – Parte prima

Come in un incontro bello e improvviso ci siamo talvolta imbattuti, durante i nostri passipermilano, in edifici un po’ particolari. Li abbiamo via via fotografati per raccoglierli in una stravagante “vetrina immobiliare” da proporre, come in un gioco, a “clienti” fantastici e scoprire così altri angoli della nostra città.

Abbiamo scelto come ingresso di questa nostra insolita “agenzia” un portone veramente speciale, quello del Palazzo di piazza Erculea 11.

È una immagine che fa molto Milano: vecchio e nuovo accostati e conviventi. Le bombe avevano colpito pesantemente il centro cittadino e anche due antiche dimore alle spalle di corso di Porta Romana erano poco più che macerie.

C’era molto da ricostruire, perché non salvare il bel portone e una colonna d’angolo e costruirci intorno due nuovi palazzi?

Alla nostra “agenzia” sono già pervenute alcune richieste da parte di strani “clienti”, riusciremo a soddisfarle?

“Genio del Quattrocento cerca abitazione lontana dal traffico”

Cascina Bolla, via Paris Bordone 9 – Un altro intarsio tra vecchio e nuovo per abitare un antico edificio dove, si dice, abbia vissuto anche Leonardo. Dell’antico palazzo resta ben poco, ma che bello guardare le sue finestre e immaginare la vita di cinquecento anni fa.

“Cavaliere medievale cerca castello in pieno centro storico, dotato di tutti i confort moderni”

Castello Cova, via Carducci 36 – A vederlo, di fronte a Sant’Ambrogio, sembra quasi più vero di altri autentici, ma molto rimaneggiati. Questo castello “medievale” del 1915 è stato realizzato dall’architetto Adolfo Coppedè, che vi ha inserito anche doccioni a forma di animali fantastici.

Una curiosità molto milanese: la torre di questo castello ha ispirato, sembra, la Torre Velasca coi tiranti che sostengono il “fungo”… Wow!

“A proposito di funghi… Folletto cerca grattacielo in un bosco”

Case fungo e Bosco Verticale di Porta Nuova – Sono due icone dell’architettura milanese. Un tempo, nel Quartiere Maggiolina, c’erano due casette che sembravano uscite da un libro di fiabe. Non ci sono più, ma poco distante è stato costruito il pluripremiato Bosco Verticale, tra i più ammirati al mondo.

“Cercasi casa disperatamente, bella o brutta che sia, zona Repubblica”

Casa delle Rondini, via Carlo Porta 5 e Ca’ Brutta, via Moscova 12 – così vicine, così lontane… La Casa delle Rondini, voluta dal pittore Ernesto Treccani, è coperta da oltre 2000 piastrelle azzurre e nere che formano la bella immagine di un volo di rondini nel cielo.

Poco distante c’è, invece, quella che i milanesi avevano soprannominato la “Ca’ Brutta”. È una delle prime opere dell’architetto Giovanni Muzio, realizzata tra 1919 e il 1922 in uno stile nuovo, lontano da quello dei palazzi monumentali o Liberty.

“Vorrei una casa molto colorata, anzi un villino…”

Villette di via Lincoln e Villino Maria Luisa di via Tamburini 8 – Non solo “giallo Milano”; ecco alcune villette dipinte con colori accesi: sono le famose villette di via Lincoln, costruite, a fine Ottocento, per un quartiere giardino destinato a operai, artigiani e impiegati. Unifamiliari, furono le uniche a essere costruite e oggi sono molto ricercate.

Il Villino Maria Luisa, invece, è ricoperto da un mosaico azzurro e dorato. Realizzato ai primi del Novecento ha importanti ferri battuti del celebre Mazzucotelli.

“Famiglia tutta casa e lavoro nel campo dei laterizi, cerca abitazione di rappresentanza”

Casa Candiani, via Matteo Bandello 20 – La famiglia Candiani era proprietaria di una fabbrica di laterizi per edilizia e desiderava una casa campionario della propria produzione. Si affidò all’architetto Luigi Broggi che nel 1885 progettò questo palazzo, su precisa richiesta dei committenti, con decorazioni in cotto uscite dallo stabilimento. Casa e bottega: molto milanese, no?

“Gatto nero cerca palazzo stiloso da condividere”

Casa di corso Monforte 43 – Ecco una vera leccornia in questo street food immobiliare un po’ stravagante: una casa in stile Liberty con figure femminili sulla facciata. Da una finestra del seminterrato ci osserva un gatto in ferro battuto, opera, si dice, del grande Mazzucotelli.

Sembra avesse vicino un topolino sempre in ferro battuto; ora non c’è più, forse è riuscito a sfuggire…

Continua…

Quattropassi ieri e oggi nella Milano che vide nascere la “Vergine delle Rocce”

Com’era Milano quando vi nacque la “Vergine delle Rocce”? Cosa rimane, sia pure con i “ritocchi” avvenuti in oltre cinquecento anni di storia? Facciamo quattropassi per andare a vedere la nostra città di fine Quattrocento seguendo le indicazioni della nostra Guida.

Milano, al tempo di Ludovico il Moro, era una città in grande fermento ed espansione. Aveva forma circolare, era ricca di corsi d’acqua naturali e artificiali (i Navigli). Leonardo collocò, in un suo disegno, il centro cittadino presso la chiesa di San Sepolcro nel cuore di Mediolanum.

Aveva un Broletto, a pochi passi dal Duomo che si stava costruendo utilizzando il marmo rosa più pregiato, ricordo delle conchiglie di antichi mari.

Accanto, dove ora c’è Palazzo Reale, si trovava Corte Vecchia, storica dimora dei Visconti. Ancora oggi, qua e là, qualche antica finestra si affaccia sul veloce via vai del nostro mondo.

Raggiungiamo la chiesa di San Gottardo in Corte. Ha il più bel campanile di Milano, sulla cui cima veglia un angelo, “discendente” da quello abbattuto, secondo la leggenda, dal “Bombarda” ai tempi dell’invasione francese. La chiesa non ha la facciata, inglobata nel Palazzo, ma l’interno è un gioiello tutto da scoprire, accedendovi dal Museo del Duomo.

Senz’altro Leonardo passò davanti alla chiesa di Santo Stefano, presso la quale era stato ucciso da congiurati il Duca Galeazzo Maria Sforza, e si fermò a guardare la Ca’ Granda, ospedale pubblico dove, probabilmente, fu ricoverata anche Caterina, madre dell’artista.

La Ca’ Granda era stata voluta da quel Francesco Sforza (padre di Galeazzo Maria e di Ludovico il Moro) al cui monumento equestre tanto lavorò il Maestro proprio in Corte Vecchia. Oggi il Cavallo, dono americano ispirato al progetto di Leonardo, si trova, un po’ in disparte, all’Ippodromo di San Siro.

A pochi passi dalla Ca’ Granda, Leonardo avrà certamente visto la Basilica di San Nazaro, ovviamente senza il Mausoleo Trivulzio, costruito dopo.

Poco più in là, in piazza Missori, possiamo scendere nell’antichissima cripta di San Giovanni in Conca e fermarci nella vicina San Satiro per vedere l’illusoria abside del Bramante, contemporaneo di Leonardo.

Milano, anche allora, era densamente popolata e tanti erano i bei palazzi, le torri, le chiese, dentro e fuori le mura.

Proprio per una chiesa vicino alla Pusterla di Sant’Ambrogio, una delle porte delle mura, nacque la Vergine delle Rocce.

Leonardo era giunto a Milano pieno di speranze per cercare fama e fortuna alla corte del Moro, preceduto da un curriculum a 360°.

Dopo un paio di anni, però, non gli erano ancora arrivati incarichi di prestigio e il Maestro doveva pur sbarcare il lunario. Così, quando i Confratelli della chiesa di San Francesco Grande gli commissionarono una pala d’altare per illustrare ai fedeli l’Immacolata Concezione, Leonardo accettò questo incarico, il primo al di fuori della corte sforzesca.

Il “contratto” tra i committenti e l’artista è miracolosamente giunto fino a noi ed è conservato presso gli archivi cittadini.

Secondo le richieste, Maria avrebbe dovuto essere vestita di “broccato d’oro e azurlo (sic!)” con il Bimbo tra le braccia, volo d’angeli, sotto lo sguardo di Dio Padre, come era nella tradizione e come l’avevano dipinta anche i contemporanei Botticelli e  Perugino.

Leonardo, però, spiazza e interpreta. Non è l’artigiano che esegue, ma un artista che crea, vicino forse anche alle teorie poco ortodosse di un francescano, Amedeo Mendes da Silva.

I Confratelli avevano chiesto per la pala uno sfondo roccioso. Leonardo fa svolgere la sacra scena in una grotta (il ventre materno? Il grembo della Natura?) così come in una grotta Gesù era venuto alla luce e da un sepolcro di pietra era uscito con la Resurrezione (dal buio scaturisce la luce?).

Non solo: l’artista rappresenta l’incontro, narrato nei Vangeli apocrifi, tra i piccoli Gesù e Giovanni Battista avvenuto durante la Fuga in Egitto. Uriel è l’arcangelo al quale, secondo la leggenda, Maria aveva affidato il piccolo Giovanni dopo la morte della madre. I personaggi non avevano le aureole; l’angelo, senza ali, sembra voglia “dirci” qualcosa. guardandoci enigmatico e suadente.

Poveri Confratelli! Questo capolavoro, accompagnato ai lati da angeli dipinti dai De Predis (tra cui Ambrogio, quello della Vergine di Affori?) era molto diverso da come l’avrebbero voluto. Ne nacque un lungo contenzioso economico, che durò circa vent’anni, ieri come oggi! Alla fine Leonardo dipinse per la Confraternita la seconda versione riveduta dell’opera.

Al posto della chiesa di San Francesco Grande, abbattuta agli inizi dell’Ottocento, ora vediamo la caserma della Polizia di Stato. Una bella copia della Vergine delle Rocce, prima maniera, è però esposta di fronte a Sant’Ambrogio, nella antica chiesetta di San Michele sul Dosso. Sembra quasi che questo capolavoro abbia voluto restare in qualche modo vicino alla propria casa.

Il nostro giro per guardare oggi ciò che vide allora Leonardo proseguirà tra breve…

 

A presto…

 

La Vergine delle Rocce di Affori, una tavola tra misteri ed enigmi

La Vergine delle Rocce è uno dei quadri più belli ed enigmatici di Leonardo. Ne realizzò due versioni, la prima è esposta al Louvre, l’altra alla National Gallery di Londra.

“Nacquero” entrambe a Milano a circa venticinque anni di distanza; nella nostra città ora ne esistono due copie, poco valorizzate ma molto importanti, probabilmente realizzate in co-working da Leonardo ed altri artisti.

È possibile andare a vedere queste opere con una certa facilità; la prima riprende la versione del Louvre e si trova nella chiesa di San Michele sul Dosso, presso le Suore Orsoline di via Lanzone. L’altra, invece, è visibile ancora più liberamente, senza necessità di appuntamento, recandoci presso la Parrocchia di Santa Giustina ad Affori.

La “Vergine” di Affori riprende la seconda versione dell’opera leonardesca, quella in cui l’angelo ha riavuto le ali ed osserva la scena che si svolge nella grotta senza puntare l’indice e senza lo sguardo ammiccante che ‘guarda verso chi guarda’.

Soffermiamoci davanti alla tavola della Vergine di Santa Giustina e osserviamola anche con l’aiuto del bel libro che si trova in vendita in Parrocchia.

La tavola è più piccola e luminosa della pala di Londra e, probabilmente, venne realizzata anche da un “copittore” di Leonardo, forse quell’Ambrogio De Predis con il quale il Maestro aveva già lavorato più volte dipingendo tra l’altro anche il “Ritratto di Musico” dell’Ambrosiana.

Una indicazione sul nome dell’autore potrebbe venire dal copricapo della Vergine, dove sembrano vedersi alcune lettere dell’alfabeto: P, R, E, D. Sono una “firma” (Predis) o un riferimento a “predestinata”?

Il dipinto, che doveva rappresentare l’Immacolata Concezione, non è una copia identica all’originale. Se la osserviamo più da vicino, notiamo una serie di “novità” piuttosto intriganti, quasi una tavola da guardare con la lente o un gioco enigmistico per solleticare le nostre menti.

Iniziamo con un “cos’è” riferito a Milano. Sotto il cielo minaccioso che si intravvede dalla grotta, vediamo in lontananza un paesaggio con una chiesa, “anacronistica” rispetto alla scena. A noi, guardandola, pare la basilica di San Lorenzo, prima della ricostruzione della cupola. Sappiamo che il De Predis e lo stesso Leonardo avevano abitato non lontano dalla Basilica. C’è forse aria di casa in questo dipinto?

Un altro enigma: dietro il capo della Vergine, la roccia sembra prendere le sembianze di un volto di uomo anziano, con la lunga barba e un copricapo deja-vu. È uno scherzo della nostra immaginazione o Leonardo ha voluto far apparire il suo volto, col suo cappello, anche in questa tavola?

Ancora: sullo sfondo si vede una piccola figura sdraiata, il misterioso “dormiente”. È forse San Giuseppe e la scena riguarda la Fuga in Egitto? E cosa indica il ramo secco, dietro questa figura?

La leggenda, ripresa poi da Raffaello nello “Sposalizio della Vergine” (Pinacoteca di Brera), narra che il ramo portato da Giuseppe fosse fiorito miracolosamente per indicare, tra i diversi pretendenti, lo sposo di Maria prescelto da Dio. Perché il ramo della tavola di Affori rimane spoglio?

Altri “intrusi” da decifrare sono un uccellino e il muso, quasi nascosto, di un asinello. Sono stati dipinti con grande cura forse in un secondo momento e cosa indicano?

Anche i fiori e le piante che compaiono nella grotta sono ricchi di significati simbolici. Dipinti con cura meticolosa ci sono ranuncoli, arnica, felci, edera… Ma ecco, vicino a San Giovannino, spunta l’aquilegia, che rappresenta. tra l’altro, l’unione tra umano e divino. I due Bambini potrebbero anche rappresentare  la duplice natura di Gesù, umana e divina?

Simbolismo e natura già da allora erano un groviglio inestricabile per la mente e ancora oggi sono presenti in alcuni moderni logo di prodotti o eventi.

Abbiamo scoperto molte altre cose a proposito della “Vergine delle Rocce” e della Milano che la vide nascere. In fondo, come scrisse Leon Battista Alberti nel 1400, “bisogna che la pittura faccia pensare più di quel che lascia vedere..”

A presto…

LEONews – Alla ricerca del vero volto di Leonardo

È di  questi  giorni  l’app  “Face Challenge”  che  ci  permette  di vedere come saremo da grandi.

Lavorando su Leonardo ci è venuto da pensare che conosciamo il volto del Maestro quasi solo da vecchio. Il suo più famoso autoritratto è stato, infatti, realizzato tra il 1515 e il 1517, quando aveva meno di 65 anni, un’età che oggi, peraltro, consideriamo quasi una seconda giovinezza.

In questo autoritratto, conservato a Torino alla Biblioteca Reale, la lunga barba e la folta capigliatura, un look eccentrico per l’epoca, fanno quasi da maschera al volto ma creano il personaggio.

Leonardo è un uomo di spettacolo, che svela e nasconde, illudendoci con le sue magie e i suoi enigmi. Anche Raffaello, qualche decennio dopo, lo dipinge come un vecchio saggio, un guru, facendogli interpretare Platone, in veste rossa, nella Scuola di Atene.

Come era Leonardo prima di diventare un vecchio Maestro? Ecco un presunto autoritratto del Genio durante gli anni della giovinezza, a Firenze. Era un bel giovane, con i lunghi capelli, eccentrico, provocatorio e persino già un po’ teatrale.

Abbiamo scavato ancora, cercando tra i presunti ritratti o suoi o di qualche suo apprendista che lo conosceva bene. Questa è la copia di un autoritratto del Maestro andato perduto. Realizzata da un suo discepolo, Francesco Melzi,  mostra un Leonardo maturo, di circa cinquant’anni.

In tempi recenti i Carabinieri dei RIS, con le tecniche usate per le proprie indagini, hanno ricostruito un identikit di Leonardo eseguendo un lifting al computer, spianando le rughe ma mantenendo le caratteristiche principali: un bell’uomo davvero.

Andiamo oltre per cercare lo sguardo di Leonardo. Sembra che nell’ “Adorazione dei Magi” (1481-82), l’artista si sia ritratto nel giovane sulla destra, quello che non guarda la scena.

Se lo osserviamo con attenzione troviamo qualche somiglianza col “Ritratto di Musico” e con l’ “Uomo vitruviano”. Che Leonardo, come Hitchcock, facesse delle “apparizioni” nelle proprie opere?

Recentemente una ricercatrice ha fatto una scoperta sensazionale. Analizzando il ritratto di fanciulla del foglio 399 v. del Codice Atlantico, conservato all’Ambrosiana, ha osservato come sotto l’ascella della giovane (forse Giovanna Bianca Sforza, primogenita del Moro) sia mimetizzato il profilo capovolto di Leonardo.

“Ogni dipintore dipinge sè” come si sosteneva nel Rinascimento oppure Leonardo aveva creato una sorta di automimetismo enigmatico come si ritiene oggi? In questo caso prenderebbe forza l’ipotesi di chi sostiene che quello della beffarda Gioconda sia un viso fusion con quello di Leonardo.

E ora, augurandovi Buone Vacanze, una piccola anticipazione. Nella Vergine delle Rocce di Affori, che stiamo preparando per la fine di agosto, si può intravvedere, mimetizzato tra le rocce…

A presto…

Quattropassi ad Affori per vedere la Vergine delle Rocce

Per tuffarci nella bellezza e nel mistero di un’opera d’arte, la cui presenza è ancora oggi poco conosciuta al di fuori del quartiere,  andiamo verso la periferia nord di Milano, nella chiesa di Santa Giustina ad Affori.

La chiesa è stata edificata a metà Ottocento anche con la partecipazione attiva degli afforesi che dedicavano il proprio tempo libero alla sua costruzione.

Al suo interno, sopra il ricco altare di una cappella, è esposta una preziosa tavola raffigurante la leonardesca Vergine delle Rocce. Chi fu il grande, ma ignoto, pittore?

Viene definita “preclaris pictoris opus”. Cerchiamo una serie di indizi e notizie per scoprire questo tesoro un po’ sconosciuto della nostra città.

Questa tavola fu lasciata in eredità alla Parrocchia di Affori a metà Ottocento da un generoso benefattore, Luigi Taccioli, perchè fosse esposta alla devozione dei fedeli.

Luigi aveva comperato ad un’asta la splendida Villa Litta di Affori, che aveva visto nel tempo susseguirsi diversi e nobili proprietari.

Tra questi ci fu anche Barbara Melzi dei conti di Magenta, una nobildonna discendente da quel pittore, Francesco Melzi, che aveva ereditato dal suo Maestro, Leonardo da Vinci, gran parte delle opere rimaste.

Barbara aveva, probabilmente, portato in dote la preziosa tavola quando, nel 1683, aveva sposato Pietro Paolo Corbella, futuro marchese del feudo di Affori, che fece costruire la villa accanto ai ruderi di un’antica dimora dei Visconti risalente al 1350.

Ora questa villa e il suo parco, i cui alberi furono in parte tagliati nella seconda guerra mondiale, per “fare legna” e riscaldare le case, è di proprietà del Comune e ospita, tra l’altro, una ricca Biblioteca e saloni per eventi.

Tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento a Villa Litta si teneva un vivace “salotto letterario” al quale partecipava la colta nobiltà milanese, tra cui Alessandro Manzoni e il pittore Francesco Hayez, quello del “Bacio” di Brera.

Avranno visto il quadro della Vergine custodito nella Villa? Senza dubbio sì, tanto che Hayez fece anche una perizia testamentaria nel 1853 su incarico degli eredi Taccioli.

Questa Vergine delle Rocce fu solennemente collocata nella chiesa nel maggio del 1870 e subito venne venerata dai fedeli, ma poco considerata dagli storici d’arte. Non per molto. A cavallo tra Ottocento e Novecento molti studiosi la presero in esame, quasi “sorpresi” da questa opera.

Da allora la tavola è stata esposta in diverse mostre leonardesche.

In tempi più recenti è stata anche sottoposta a indagini scientifiche dalle quali risulterebbe eseguita a più mani intorno al 1520, con aggiunte e interventi di restauro nei secoli successivi. Nel tempo ha persino cambiato un po’ le misure, forse per essere adattata alla cornice. Ora la tavola misura 86,5 per 65,5 centimetri, mentre Hayez l’aveva misurata in braccia milanesi e risultava di circa un metro per 80 centimetri, più piccola quindi delle pale esposte a Londra, a Parigi e nella milanesissima chiesa di San Michele sul Dosso.

Chi è dunque l’autore di questa “sorellina”? C’è chi parla di un’opera di Leonardo stesso (tra questi il nostro Luca Beltrami, quello che ha rifatto il Castello e piazza della Scala!), c’è chi propende per un’opera della sua scuola, chi pensa che l’autore sia Bernardino Luini. L’autore di quest’opera resta ancora oggi avvolto in una nuvola di mistero e il dipinto contiene molti altri enigmi da scoprire insieme.

A presto…  

 

LEONews – Un Hair Stylist d’eccezione

Come porteremo i capelli questa estate? Meglio il raccolto o il riccio naturale? E il colore? Un biondo dorato o un castano caldo?

Chissà se le signore milanesi al tempo di Ludovico il Moro avranno avuto i nostri stessi “dilemmi”. Avevano a disposizione un Coiffeur “geniale”, il grande Leonardo che nella sua poliedrica attività si occupava anche di acconciature e tinture per capelli.

A Bologna, nel marzo scorso, si è tenuto il Cosmoprof, una manifestazione di cosmesi, quest’anno con uno spazio dedicato alla bellezza rinascimentale e agli studi di Leonardo su questo tema. A fine settembre, poi, anche a Milano si parlerà, nella sua vigna, la Casa degli Atellani, di vino e profumi. Un evento senza dubbio inebriante, a cui non mancare.

Com’era la bellezza ai tempi di Leonardo? Andava il viso naturale, senza alcuna traccia di rossetto e, ovviamente, senza abbronzatura. La pelle era trattata con cipria e idratata con creme spesso a base di bava di lumaca, un prodotto adatto anche a dare lucentezza alla chioma. Lo avrà usato anche Monna Lisa? La signora sorride ma non conferma.

E ora veniamo ai capelli. La fronte doveva restare scoperta senza frangia o ciuffo, con sopracciglia molto delicate o quasi inesistenti.

All’epoca erano di moda diverse sfumature dorate, ottenute con prodotti e miscele naturali: il biondo veneziano,  quello fiorentino e quello alla napoletana.

Nei suoi codici Leonardo parla di capelli “neri e gialli”; ama il tanè, un colore castano con sfumature che ricordano le castagne o il cuoio. Per le signore più “in”, come Cecilia Gallerani, sceglie acconciature raccolte che incorniciano il volto senza scoprire le orecchie.

Non manca, però, qualche vezzo sbarazzino o intrigante, come un gioiello sulla fronte. A noi ricorda un po’ il mondo hippy, ma qui ci sono lusso e potere. Una curiosità: da allora questo ornamento si chiama ancora ferronière.

Le dame talvolta raccoglievano i capelli in una grande treccia, ornata da un nastro.

Leonardo, però, nei suoi disegni amava i ricci, liberi, naturali, come mossi dal vento.

E come copricapo? Chissà se Grace Kelly, icona di stile, si è ispirata a questo disegno di Leonardo?

Bei visi di giovani donne hanno attraversato i secoli e ancora oggi mostrano con naturalezza semplici acconciature senza tempo uscite dal “salone” rinascimentale di Leonardo.

“Fa’ tu adunque alle tue teste i capelli scherzare col finto vento intorno ai giovanili volti e con diverso rivoltare graziosamente ornarli…”. In un’epoca di corpetti, gonnone e acconciature composte, Leonardo libera la femminilità della donna coi capelli e l’abito leggero mossi dal vento.

A presto…