La chiesa più corta di Milano… restando a casa

A due passi da via Dante, in via Giulini 1, si trova la chiesa più corta di Milano, dedicata, però, a ben tre Santi: Sergio, Serafino e Vincenzo. È una piccola parte di ciò che resta della chiesa di un convento benedettino fondato, sembra, nell’anno 770 dalla moglie del Re longobardo Desiderio.

Nel corso dei secoli le dominazioni straniere ridussero l’edificio a magazzino. Dopo averne passate tante il complesso, però, non riuscì a salvarsi dagli anni del boom economico, anche per la sua posizione centralissima, molto appetibile.

Oggi del convento sono sopravvissute solo alcune colonne del chiostro, che si trovano nel giardino di una casa in via Camperio.

La chiesa dell’antico convento aveva due facciate. Una, barocca, era rivolta verso la strada e l’altra, tardogotica e molto più semplice, si apriva sul chiostro. Il loro destino è stato molto differente. Furono salvate entrambe e, come capita spesso alle “pietre” della nostra città, vennero spostate ambedue. La facciata barocca ebbe un destino laico e fu anche l’ingresso del cinema Dante, l’altra, invece, divenne quella della nostra chiesetta.

Dietro la facciata si trova un piccolo locale profondo solo 6 metri e largo 12. L’altare non è, come di consueto, di fronte alla porta, ma sul lato corto alla destra di chi entra.

Negli anni Novanta la chiesetta fu presa in affitto dalla comunità ortodossa russa e restaurata per adattarla alle loro tradizioni liturgiche. Ora ospita fedeli provenienti dall’Est europeo, che assistono alle funzioni anche all’aperto, per il poco spazio interno. Pur non essendoci un campanile, non manca però il suono delle campane.

In mezzo ai vivaci colori del folklore russo è quasi difficile ammirare gli affreschi di Aurelio Luini e, sembra, del Bergognone.

In uno di questi affreschi, alcuni personaggi guardano l’interno della chiesa dall’alto, quasi non avessero trovato posto tra i fedeli. Abbiamo preso in prestito alcune foto dal sito della Chiesa Ortodossa Russa ma speriamo di poterci tornare di persona appena sarà possibile uscire di casa.

Accanto a questa chiesetta ci sono altre due piccole curiosità. La prima è un mini-anfiteatro di fronte ad essa dove si può sostare seduti sulle basse gradinate.

Da qui possiamo  voltarci e guardare stupiti una delle tante case strane della nostra città. Questa è tagliata in orizzontale (forse dopo i bombardamenti), con  portone d’ingresso, cancello e numero civico. Gli abitanti di questa insolita casa sono automobili, infatti oggi è un parcheggio.

A presto…

Cinque Giornate contro il virus… restando a casa

Oggi, 18 marzo, iniziano le Cinque Giornate di Milano e il coronavirus vorrebbe scatenare il suo attacco per raggiungere il picco di infezioni proprio in questi giorni. Come le Cinque Giornate sono state per Milano l’inizio del Risorgimento contro il nemico, così oggi dobbiamo combattere contro il Covid-19.

Ci siamo ricordati di alcuni canti che ci hanno tramandato i nostri nonni: “Varda Gyulai” e la “Bella Gigogin“.
Nella prima si ricorda al generale Gyulai, comandante delle truppe austro-ungariche in Lombardia, che: “Varda (guarda) Gyulai che ven la primavera“, la stagione della Libertà.

La “Bella Gigogin“, invece, scritta nel 1858 dal milanese Paolo Giorza, è un invito a Vittorio Emanuele II perchè “daghela avanti un passo” per la liberazione della Lombardia, che è rappresentata dalla Gigogin, una bella ragazza che non vuole mangiare polenta, gialla come la bandiera austriaca di allora.

Infine risentiamo la struggente “Ma mi“. di Giorgio Strehler, che parla di ben altri “quaranta dì, quaranta nott” rispetto al nostro restare chiusi in casa.

Volete sentirli? Questi canti si possono ascoltare su YouTube.

Mettiamocela tutta, verrà la primavera!

A presto…

La “gesetta di lusert”… restando a casa

Sullo spartitraffico all’inizio di via Lorenteggio troviamo una piccola chiesetta, poco più di una cappella, dalla storia millenaria e dalle tante leggende.

È dedicata a San Protaso, ottavo Vescovo di Milano (da non confondere con il Santo omonimo che, col gemello Gervaso, riposa nella cripta di Sant’Ambrogio), e risalirebbe a prima dell’anno Mille, quando la zona era aperta campagna, molte miglia lontano dalle mura di Milano. E’ da sempre conosciuta come la “gesetta di lusert” (ovvero “chiesetta delle lucertole”) per l’abitudine di questi animaletti di sostare sulle sue pareti a godersi il tepore del sole.

Si racconta che, durante l’assedio di Milano, mentre il suo esercito era accampato in questa zona ricca di acqua (una manna per i soldati e per i cavalli), l’Imperatore Federico Barbarossa andasse a pregare in questa chiesetta, per ottenere la vittoria. Purtroppo per Milano, fu esaudito, distrusse la città, ma risparmiò la piccola chiesa in segno di gratitudine.

Sembra poi che la gesetta sia stata frequentata dai Visconti, che qui avevano dei terreni di caccia e secoli dopo dai  Carbonari che si riunivano a cospirare, anche per la presenza, si dice, di un passaggio segreto che conduceva all’interno delle mura cittadine.

La piccola chiesa andò incontro poi ad anni difficili e, dopo essere stata incorporata in una cascina, successivamente divenne fienile e deposito degli attrezzi da lavoro dei contadini.

Dopo la seconda guerra mondiale, durante la ricostruzione della città, il Piano Regolatore decise che via Lorenteggio  dovesse essere allargata. La cascina fu abbattuta, ma si dice che la ruspa si sia guastata più volte senza riuscire a demolire la chiesetta! Considerato un segno del cielo, si decise di risparmiarla, allargando in quel punto lo spartitraffico della via, così come è ora.

Nella chiesetta si conservano alcuni affreschi, tra cui uno della Madonna del Divino Aiuto che, secondo la tradizione, sarebbe riapparso ben tre volte dopo essere stato ricoperto da intonaco. Interessante anche un altro bell’affresco del 1428, che raffigura Santa Caterina da Siena.

Accanto alla chiesa è stato ricollocato il vecchio cippo di confine tra il Comune di Lorenteggio e quello dei Corpi Santi che, fino alla metà dell’Ottocento, come una ciambella circondava la  Milano di allora.

La chiesetta, ridotta ad un rudere, fu restaurata e rinacque a nuova vita nel 1987 grazie agli abitanti del quartiere e alle loro associazioni. Oggi, purtroppo, è quasi sempre chiusa, anche se ben curata dai volontari. Viene aperta solo in occasione delle feste di via che si tengono nella prima domenica di maggio e nell’ultima di novembre. In queste occasioni vi si celebrano ancora alcune Messe.

Auguriamoci di poter andare, la prima domenica di maggio, a vedere, come ha scritto una poetessa dialettale, questo “bonbonin de gesa…

A presto…

Virus: Milano ne verrà fuori!

La Madonnina e il Biscione sono due simboli della nostra città,  fanno Milano. Il nostro primo pensiero è a Lei. Ora che anche il Duomo è chiuso, sopra la guglia più alta, all’aria aperta, protettiva e armata di alabarda, pronta a difenderci, la nostra “bela Madunina” veglia su questa città deserta e sui nostri giorni molto più soli.

E poi c’è lui: il Biscione, attorno al quale ruotano interpretazioni e leggende. Mentre stiamo preparando un articolo su questo nostro simbolo ci siamo chiesti se, invece di ingoiare un uomo, non lo stia sostenendo mentre rinasce.

Stiamo vivendo tutti un momento veramente molto difficile, ma siamo sicuri che anche questa volta Milano riuscirà a venirne fuori e a trovare la forza per ricominciare.

A presto…

PS: dato che i nostri passipermilano all’aria aperta sono vietati in questo periodo di quarantena, iniziamo una carrellata di brevi “Dove”, per ora solo da leggere, e da visitare poi, appena sarà possibile. È il nostro piccolo contributo per pensare già al futuro con fiducia.

Tredesin de Marz 2020

Quest’anno anche il nostro “Tredesin de Marz” è in quarantena. Vediamo la primavera solo dalle finestre o nei limitati tragitti casa/lavoro. Vogliamo festeggiare ugualmente il nostro tradizionale inizio della bella stagione con una foto scattata lo scorso anno nel Parco di Villa Finzi a Gorla.

A tutti un affettuoso augurio di tornare quanto prima a guardare la Primavera da vicino!

A presto…

 

Parte seconda – “Stile Milano” a Palazzo Morando: un viaggio attraverso la moda e l’eleganza della nostra città

Riprendiamo il viaggio all’interno della mostra “Stile Milano” dagli anni 50 ai giorni nostri, a Palazzo Morando. Avremmo voluto rivederla per fare altre foto, ma il decennio “ventiventi” ci è venuto incontro con la mascherina e i musei chiusi.

Le varie stanze della mostra sono dedicate, via via, ai diversi decenni di alta moda e oreficeria, mettendo in luce un’eleganza sobria che potrebbe, a volte, sembrare senza tempo, quasi al di là delle tendenze del momento.

In questo percorso di eleganza abbiamo incontrato abiti e gioielli di lusso. È stato un po’ come entrare in una sontuosa cabina-armadio per scegliere l’abito e il gioiello per una grande serata.

I pannelli alle pareti ci riportano ai decenni passati; non ci sono, però, foto del “come eravamo tutti i giorni”. Così abbiamo cercato in rete e nei nostri ricordi qualche immagine flashback.

Gli anni 60 sono stati anni di profondo cambiamento nella storia della società e del costume: sono iniziati coi giovani vestiti da adulti e terminati con gli adulti che hanno indossato gli abiti dei giovani e non li hanno più abbandonati.

Le ispirazioni della moda venivano dall’arte e dal design: pensiamo alla moda optical del bianco e nero. Le gonne si accorciano (Mary Quant) e il corpo della donna si assottiglia ridiventando quello di un’adolescente che deve ancora crescere.

Verso fine decennio Mila Schön crea completi sartoriali con pantaloni. Le donne “volevano i pantaloni”, li hanno messi e questi non usciranno più  dall’abbigliamento femminile, sportivo o elegante.

Gli anni 70 sono stati i tempi dell’austerity, degli anni di piombo e degli scontri in piazza. Per le strade trionfavano lo stile hippy e casual: lunghe gonnellone arricciate, un po’ zingaresche, nei cortei femministi, eskimo per i maschi, colletti a punta, jeans, tuniche etniche, indumenti fatti a crochet dalle nonne di casa. Ecco come l’alta moda ha interpretato questa tendenza.

A metà degli anni 70 nasce la prima collezione Armani e con lui un pret-a-porter di gran classe. Il suo stile è classico e innovativo insieme, sobrio ed elegante: un vero “stile Milano”.

Con una sua giacca, indossata da Richard Gere in “American gigolo” entriamo negli anni 80.

Le sartorie di lusso affrontano la concorrenza dei nuovi stilisti. Nel Quadrilatero della Moda cominciano ad arrivare via via le più famose firme alle quali si rivolgono non più solo le signore dell’alta borghesia, ma anche le donne che si affermano in proprio nel lavoro.

In questi anni alcuni marchi vengono scelti dai ragazzi della “Milano bene” dando luogo al fenomeno tutto milanese dei “paninari”.

Trionfano gli yuppies, giovani rampanti in carriera, mentre le donne vestono abiti dalle spalle oversize e mettono in evidenza corpo e capigliatura.

Negli anni 90, con la Guerra del Golfo, le stragi di mafia e lo scandalo Mani Pulite, finisce l’esuberante periodo precedente. Le grandi sartorie creano abiti unici e speciali per lo più per matrimoni e grandi eventi, come le prime della Scala.

I diversi stilisti consolidano la loro importanza. In questi anni Versace farà sfilare anche personaggi dello spettacolo e diventerà amico di icone del jet set, Prada inizierà la sua ascesa diventando un simbolo internazionale, Dolce e Gabbana porteranno la sicilianità nel mondo.

Prima di entrare nel nuovo millennio, fermiamoci davanti ai preziosi gioielli della mostra.

Anche l’oreficeria di lusso è cambiata nella seconda metà del Novecento. L’oro giallo, talvolta con pietre e smalti colorati, completa gli abiti di giorno, mentre gioielli di oro bianco e diamanti (o altre pietre preziose) illuminano la sera.

Le resine, nuovi materiali e molta creatività entrano nel mondo dorato dell’oreficeria. Molte Case oggi si ispirano a questi gioielli inarrivabili con creazioni più accessibili. Un vero lusso più vicino alla gente.

Infine, come una giacca Armani ci ha condotto nella decade dell’ottimismo, entriamo nel nuovo millennio con un abito Versace (“Jungle Dress”) indossato da Jennifer Lopez per la prima volta nel 2000 e ripresentato nelle sfilate di quest’anno. È un inno alla natura e al riciclo anche nel campo della moda.

Le Torri Gemelle, i fenomeni migratori, la ricerca di nuovi equilibri e il pericolo di qualche pandemia hanno segnato i giorni di questi primi vent’anni. Le distanze geografiche si sono ridotte, i movimenti per il clima e per la salvaguardia del pianeta sono fenomeni globali.

Anche la moda lancia un messaggio di sostenibilità con la ricerca di materiali ecofriendly; stilisti affermati e giovani designer credono nell’upcycling, un riciclo creativo per riutilizzare quanto sarebbe da buttare.

Armani, quest’anno, ha fatto sfilare a porte chiuse nella Settimana della Moda influenzata dal coronavirus. In una intervista ha parlato di libertà nel vestire (“corto, lungo, stretto, morbido per ridisegnare il corpo, esaltare i pregi e nascondere i difetti a qualsiasi età”) e di una linea, per Emporio, di riciclo dei tessuti.

Le sartorie di lusso forniscono pezzi unici, su misura, esplorando anche materiali inesplorati nella Moda. Ecco un incredibile abito di Federico Sangalli: 12 metri di organza, smerigliata a mano e “cablata” con elementi di fibra ottica ogni 50 centimetri. Il modello, creato per questa mostra, è stato realizzato a mano e con una macchina da cucire a pedali.

Anche nella moda vecchio e nuovo si legano insieme. Quante volte abbiamo detto, sfogliando qualche rivista di moda, “questo l’ho già visto”. Ecco qualche esempio: di ieri o di oggi o magari anche di domani.

Concludiamo questo viaggio nello Stile Milano con l’ “Ago, Filo e Nodo” in piazza Cadorna, un omaggio alla moda e alla creatività milanesi e alla nostra capacità di “cucire” insieme le varie anime della nostra città.


A presto…