“Hai sentito l’ultima? Si dice, con grandi bla bla, che da poco è stata inaugurata a Milano la prima statua dedicata a una donna, la Principessa Cristina Belgioioso.
E noi chi siamo? Il nostro corpo provocante aveva dato così scandalo, a inizio Novecento nel primo periodo Liberty, che ci hanno persino sfrattato dalla nostra casa, Palazzo Castiglioni, la cosiddetta Ca’ di ciapp, in corso Venezia.
Ora siamo alla clinica Columbus. Rappresentiamo la Pace e l’Industria, ma di noi tutti ricordano il nostro lato B.”
“Anche noi siamo un po’ discinte e abbiamo cambiato casa, dal ponte sul Naviglio a quello del Parco Sempione. Siamo melusine, come quella di Starbucks e abbiamo anche un cognome: le Sorelle Ghisini”.
“Ma voi siete sirenette… dicono che nella nostra città statue di donne vere non ce ne siano mai state, ma solo allegorie, figure mitologiche, come noi (le Tre Grazie di Salvatore Fiume in piazza Piemonte) …”
“Ciao, ci sono anch’io, sono Personaggio, la statua di donna in mezzo a via Vittor Pisani, scolpita da una donna, Rachele Bianchi, e mi trovo qui dal 2016.
Chi vi ha mai parlato di me? Che cosa rappresento? Ciascuno sembra dire la sua, per qualcuno sono la donna comune di Milano.. Certo che non sono una grande bellezza, però non ho le calze come le influencer di oggi”
” Anche noi siamo allegorie: siamo l’Italia Turrita (Giardini Montanelli), le Cinque Giornate (piazza Cinque Giornate), la Nuova Legge (ma forse sono stata il modello per la Statua della Libertà di New York e mi trovo sulla facciata del Duomo), il Dolore della Guerra che falcia giovani vite innocenti (Piccoli Martiri di Gorla)”
“Noi, invece, non siamo allegorie, le nostre vite erano vere e le abbiamo date anche per chi adesso neanche ci conosce, nè sa di noi. I nostri nomi di Donne Partigiane sono incisi sul monumento Fischiail Vento alla Barona.
E quante altre donne milanesi straordinarie non hanno mai avuto un monumento? Pensiamo alla Gaetana Agnesi, nata in via Pantano nel Settecento. Era coltissima, anticonformista, generosa. A scuola si studia ancora oggi un suo teorema, ha diretto con onestà la Baggina, ha vissuto con le “ultime” davvero, donne misere e considerate pazze. Le è stata dedicata una scuola, ma non ha ancora una statua nè un murale. Forse la sua modestia non è di moda?”
E poi c’èLei, la più conosciuta che tiene accanto a sè un’alabarda come una guerriera.
Sotto di Lei ci sono schiere di donne forti e tenere come il marmo di Candoglia di cui sono fatte, che, guarda caso, è rosa.
La Madonnina e il Biscione sono due simboli della nostra città, fanno Milano. Il nostro primo pensiero è a Lei. Ora che anche il Duomo è chiuso, sopra la guglia più alta, all’aria aperta, protettiva e armata di alabarda, pronta a difenderci, la nostra “bela Madunina” veglia su questa città deserta e sui nostri giorni molto più soli.
E poi c’è lui: il Biscione, attorno al quale ruotano interpretazioni e leggende. Mentre stiamo preparando un articolo su questo nostro simbolo ci siamo chiesti se, invece di ingoiare un uomo, non lo stia sostenendo mentre rinasce.
Stiamo vivendo tutti un momento veramente molto difficile, ma siamo sicuri che anche questa volta Milano riuscirà a venirne fuori e a trovare la forza per ricominciare.
PS: dato che i nostri passipermilano all’aria aperta sono vietati in questo periodo di quarantena, iniziamo una carrellata di brevi “Dove”, per ora solo da leggere, e da visitare poi, appena sarà possibile. È il nostro piccolo contributo per pensare già al futuro con fiducia.
Uno strano popolo di marmo vive tra le guglie del Duomo, statue che nascono, trovano un posto dove vivere, si ammalano, vanno in pensione e, talora, rimesse a nuovo, vengono esposte al Museo del Duomo.
Arrivano poi nuovi nati, alcuni cloni di statue precedenti; si rifanno parti deteriorate in una sorta di lifting ad opera di scultori-artisti, momenti dell’infinita Fabbrica del Duomo.
Come parlare delle circa 3400 statue (cioè una al giorno per quasi dieci anni!) che vivono sul/nel/col Duomo?
Ci sembra di ricordare che sia stato il nostro Arcivescovo Giovanni Battista Montini, poi Papa Paolo VI, a dire che le guglie e le statue sono un “candelabro mistico dalle visioni di leggenda, dalle centomila braccia rivolte al cielo con milioni di voci confuse in un osanna solo” (siamo andati un po’ a memoria…).
Sulla guglia più alta la Madonnina, unica dorata tra tante statue di marmo, è la candela più luminosa che Milano ha acceso per chiedere protezione.
Le statue che ornano il Duomo sono così tante che quasi è impossibile vederle una per una, creature di marmo diverse che “al lume della luna… discutono… e vengono con noi sulla piazza e ci bisbigliano nell’orecchio delle vecchie storie, bizzarre e sante, storie tutte segrete…” (Heinrich Heine).
Non solo il romantico poeta tedesco, ma anche il più duro Ernst Hemingway, le ha sentite: “c’era nebbia nella piazza e quando vi arrivammo vicino, la facciata della Cattedrale ci parve enorme, con tutte le sue statue che parlavano…”.
Che cosa si diranno queste statue? Quali storie, confidenze si faranno l’Homo Selvadego, tutto coperto di peli e con la clava, ed Eva nuda e languida?
Perchè Primo Carnera e Erminio Spalla combattono eternamente un match di boxe mai avvenuto, senza il suono di un gong?
Chi userà la racchetta? Chi si prepara a fare climbing?
Chi ascolterà Arturo Toscanini dirigere un’orchestra e un coro fatti di santi, demoni e mostri?
Quanti animali sono saliti su quest’arca di marmo a godersi il sole raggiato dell’abside, sotto l’aquila imperiale?
A quanti turisti la nostra “Statua della Libertà” racconterà di essere la sorella più vecchia di quella icona pop a stelle e strisce di Auguste Bartholdi?
La nostra è nata in epoca napoleonica, circa 60 anni prima della sorella americana, da Camillo Pacetti, un docente di Brera. Rappresenta la Legge Nuova ed è lì sul balcone centrale del Duomo, come una severa Giulietta senza trecce.
Sotto di lei, a fianco del portone centrale, che tutti, per scaramanzia, vanno ad accarezzare, sorride il nostro piccolo dinosaurino (o forse cucciolo di un animale che non c’è), legame con un passato molto remoto.
Preistorico e appena nato, osserva le file di persone che entrano in Duomo senza guardarlo, magari ignorandone l’esistenza, quasi immagine ancestrale di una città antica e giovanissima, misteriosa e un po’ fantastica: Milano.
È di qualche giorno fa la notizia che la nostra città è più che mai al centro di richieste per girare film, serie televisive, servizi e spot pubblicitari. Le zone più gettonate vanno da quelle tradizionali alle più nuove, dal Duomo a Porta Nuova, dai Navigli a CityLife.
“Poveri ma ricchi”
“So Young” (serie televisiva cinese)
Milano infatti ha fatto da sfondo, fin dalla nascita del cinema, a centinaia di film, dalle zone più popolari a quelle più eleganti.
Diamo un’occhiata al Duomo, protagonista di molti film, attraverso alcune immagini.
“Ratataplan”
Abbiamo scavato nel passato ed ecco una sorta di Techetechete dedicato alla nostra Cattedrale. Ciak… si gira!
Il primo omaggio cinematografico al Duomo risale ai fratelli Lumiere, alla fine dell’Ottocento. La nostra Cattedrale è lo sfondo della piazza, piena di gente bella ed elegante, in movimento, accentuato anche dal passaggio di un tram e di una carrozza.
La vivacità e il dinamismo di Milano, ieri come oggi, fatto di lavoro e di svago, di creatività e di impegno, sono i protagonisti di un bellissimo documentario del 1929 di Corrado D’Errico intitolato “Stramilano”.
Il filmato termina con l’immagine del Duomo e di due locomotive pronte a partire, quasi la Cattedrale fosse il punto di partenza di un viaggio verso il futuro e il simbolo dello spirito trainante di Milano.
Il Duomo e la sua piazza sono veramente il “centro” di Milano, dalle tante sfaccettature, vantaggi e problemi. In diversi film e documentari il Duomo è diventato palcoscenico di storia e di storie. È stato di volta in volta noir, drammatico, sorridente, amaro e persino fantastico.
occupazione nazista
funerali delle vittime di Piazza Fontana
“Gli uomini che mascalzoni” remake
“Ratataplan”
I tempi che cambiano sono passati, e continuano a passare, sotto la Madonnina, che ha visto Milano crescere sempre più. L’immigrazione di ieri e di oggi è stata raccontata dal Duomo con lo stupore dei fratelli Capone, con il dramma di Rocco e dei sui fratelli, con la “trasferta” dei Soliti Ignoti, con la comicità pensante di Checco Zalone.
“Totò, Peppino e la malafemmina”
“Rocco e i suoi fratelli”
“Audace colpo dei soliti ignoti”
“Che bella giornata”
C’è anche un Duomo “ecologista” con immagini e installazioni che hanno fatto, e fanno discutere.
“Oh Serafina”
“L’ultimo pastore della città”
La mela rigenerata
le palme
Il Duomo ci mette le ali: ecco alcune immagini, di tempi diversi, del cielo sopra Milano, della nostra voglia di spiccare il volo e di volare alto.
Bartolomeo Cattaneo – volo sul Duomo
“Miracolo a Milano”
evento pubblicitario
performance del gruppo musicale Sonohra
Chiunque arrivi nella nostra città passa da piazza Duomo, per un selfie o una foto ricordo.
E come non ricordare qualche mese fa Papa Francesco in questa piazza?
Era il 30 dicembre 1774: quel giorno la Madonnina salì sulla guglia più alta del Duomo.
Da allora e per oltre 180 anni, gli edifici di Milano, nonostante i progressi nel campo tecnico, non superarono per “rispetto” i 108,50 metri della Madonnina del Duomo.
Torre Branca (1933)
Torre Rasini (1933)
Torre Snia (1937)
Centro Svizzero (1952)
Inizieremo questo itinerario dall’edificio che, per primo, andò oltre quest’altezza: il Grattacielo di Milano, o Torre Breda, in piazza della Repubblica 32, alto 117 metri.
Palazzo per uffici ed abitazioni per i “sciuri”, fu il primo anche per altre innovazioni: l’aria condizionata centralizzata, i bagni ciechi ad aerazione forzata, le cucine all’americana, le vasche da bagno a controllo termico.
Sulla terrazza di questo grattacielo, ora diventata parco di antenne, è ambientata una scena del film “Ragazze di oggi” di Luigi Zampa.
Siamo negli anni Cinquanta e Milano voleva ricominciare, ritrasformarsi e darsi un volto nuovo. Piazza della Repubblica offriva lo spazio a questa città, che voleva diventare alta: guardiamo le Torri Turati 1 e 2, quasi una porta di ingresso verso il centro, per chi viene dalla Centrale.
Torna il nome di “Torre”, legame con la tradizione e, forse, simbolo di “difesa” dell’autonomia e dell’identità ambrosiana.
Torre Turati 1 (1960)
Torre Turati 2 (1969)
Un piccolo suggerimento per ammirare un esempio di quel museo diffuso e un po’ sconosciuto che è nella nostra città. In uno spazio verde di piazza della Repubblica, quasi in disparte, tanto da passare spesso inosservato, si trova il monumento a Giuseppe Mazzini, di P. Cascella, inaugurato nel 1974. È un monumento da percorrere passo dopo passo. Questo percorso, di circa 30 metri, è concluso da una statua in bronzo di Mazzini, opera di G. Monteverde, del 1874.
Sculture simboliche in pietra, opera di Cascella, rappresentano il cammino che ha portato al Risorgimento Italiano.
la cospirazione
il fiore della gioventù ribelle
patrioti famosi
la Medusa simbolo della tirannia
Lasciamo piazza della Repubblica, con i suoi begli alberghi, anticipati da spazi verdi e con la metro “gialla” andiamo alla Centrale.
Si potrebbe fare anche una passeggiata, ma, per una volta, vi consigliamo una fermata di metro, per meglio gustare la vista di un grattacielo fondamentale per Milano: il Grattacielo Pirelli, ma per tutti il “Pirellone”.
Realizzato dal geniale ed eclettico architetto milanese Gio Ponti, è stato il secondo edificio ad infrangere il limite dei 108,50 metri, arrivando a quota 127.
Il Pirellone e la Torre Velasca, quasi contemporanei, rappresentano due esempi molto diversi della “via milanese all’edificio alto”.
La Torre Velasca è in pieno centro storico e vuole mantenere un legame con la storia di Milano; il Pirellone, invece, è “rottura” totale e vuole essere un grattacielo “del Mondo” nel centro direzionale.
Soffermiamoci ad osservarlo appena usciti dalla Stazione: come una lama taglia lo spazio e la sua “pelle” è liscia e trasparente, tutta in vetro e metallo.
Il Pirellone era la prima immagine di Milano anche per chi arrivava in treno, in cerca di fortuna e di una vita migliore, con la valigia e qualche scatola di cartone.
foto di U. Lucas
Forse il “neomilanese” aveva visto qualche grattacielo sulle cartoline inviate da altri migranti e gli sembrava di essere arrivato nel Nuovo Mondo.
Molto americano, il Pirellone è stato di ispirazione e ha fatto da modello per altri grattacieli del mondo.
New York
Barcellona
Basilea
Berlino
Gio Ponti, con gli ingegneri Danusso e Nervi, progettò questo grattacielo largo solo 18,50 metri e lungo 70, a pianta poligonale, quasi a forma di uno scafo, sostenuto da quattro pilastri di cemento armato che si assottigliano via via che si sale.
Nel progetto la struttura avrebbe dovuto essere aperta alle estremità, ma i calcoli di staticità imposero i “balconcini”.
Questo grattacielo di 31 piani fuori terra, si dimostrò ben solido, quando, nel 2002, un aereo da turismo colpì il 26° piano, causando anche delle vittime.
Costruito dove sorgeva, prima della guerra, uno stabilimento Pirelli, ora è sede del Consiglio Regionale della Lombardia.
In cima al grattacielo è stata collocata una minicopia della Madonnina del Duomo.
Differente dagli edifici circostanti, tra cui l’hotel Gallia e la Centrale stessa, ha una sorta di “gemello diverso” nella Torre Galfa, poco distante, oggi tristemente abbandonata.
Nel Centro Direzionale sorge anche il nuovo Palazzo Lombardia, sede della Giunta Regionale.
Costruito tutto nel nuovo secolo, con grande attenzione alle più avanzate tecnologie, ha una forma mossa, ricca di riferimenti al paesaggio lombardo, fatto di pianura, fiumi, laghi, valli e montagne, e alla tradizione della verticalità milanese.
L’attacco a terra, la “pianura”, forma una grande piazza coperta, una delle più grandi d’Europa, dove si aprono bar, ristoranti, un asilo nido, l’auditorium. Vengono ospitati anche manifestazioni ed eventi artistici e culturali.
Vi proponiamo una visita virtuale al Palazzo Lombardia e al suo Belvedere da dove si può godere, tutte le domeniche, il panorama di Milano a 360°:
Per costruire Palazzo Lombardia è stato abbattuto, nonostante vibrate proteste, il Bosco di Gioia, un vivaio dismesso e cresciuto libero, che avrebbe potuto essere un piccolo parco nel cuore del centro direzionale.
Il “bosco” più vicino è quello Verticale progettato dall’architetto Boeri, a Porta Nuova-Isola, quasi confermando le parole di Gio Ponti: “A Milano…superficie di terra, il paesaggio urbano è tutto da fare dagli architetti”.
In questi nuovi itinerari, i nostri passipermilano ci porteranno a vedere alcuni edifici “alti” e “altissimi” della nostra città, che diventa sempre più verticale.
Ci fermeremo davanti a qualcuno di essi, mentre passeggiamo, per guardare anche come sono inseriti nello spazio urbano circostante, edifici tra gli edifici, e come sono vissuti, abitati, attraversati dalla gente.
Iniziamo il nostro primo itinerario “all’insù” dalla Torre Velasca, che coi suoi 106 metri di altezza e 25 piani di uffici e abitazioni, supera di molto tutti gli edifici vicini.
Si trova in piazza Velasca 5, in pieno centro storico, a due passi da piazza Missori, dalla Ca’ Granda e poco lontana dal Duomo.
Cortile della Ca’ Granda
È stata progettata negli anni Cinquanta dallo Studio BBPR (Belgiojoso, Peressutti, Rogers), rimasto orfano di uno dei suoi soci fondatori, quel Banfi morto nel campo di Mauthausen – Gusen.
lo Studio BBPR al completo
monumento ai Caduti nei campi di sterminio (BBPR – Cim. Monumentale)
Ripresa l’attività nel dopoguerra, gli architetti dello Studio BBPR hanno mantenuto sempre vivo il legame con la storia, partecipando alla ricostruzione, ristrutturazione e allestimenti di tanti edifici come il Castello Sforzesco, la Ca’ Granda…
allestimento vecchia sede Pietà Rondanini (BBPr – Castello Sforzesco)
Se guardiamo la Torre Velasca, vediamo come la memoria entri nell’architettura; nell’insolita struttura a fungo ritroviamo echi della Torre di Bona di Savoia del Castello.
Anche il nome “torre” vuole rendere omaggio alla tradizione milanese e creare continuità col passato. Guardiamo questa foto: la Velasca sembra la torre di un nuovo spazio urbano dove le mura sono altri edifici.
La Torre Velasca è lontana dall’idea dei grattacieli americani. È un grattacielo milanese.
I pilastri, che la percorrono a vista, si piegano e si allargano per sorreggere la parte superiore più ampia, destinata ad abitazioni, tanto da essere soprannominati dai vecchi Milanesi “giarrettiere”.
La Torre Velasca ha ricevuto consensi, ma anche tante critiche, fin dalla sua realizzazione. Ha “partecipato” a diversi film, tra i quali “Milano calibro 9″ e “Il vedovo”, con Alberto Sordi.
Guardiamo questa foto e ci accorgiamo che la Velasca non è la sola torre del centro storico, vicino al Duomo.
Poco lontano, in piazza Diaz, sulle macerie di un quartiere vecchio, colorito, malfamato, il Bottonuto, sorge infatti, dalla fine degli anni Cinquanta, la Torre Martini.
Palazzo per uffici, ha in cima una bella Terrazza Bar, quasi un anticipo della Milano da Bere degli anni Ottanta. Ora vi si organizzano eventi e si può guardare la città dall’alto, bevendo qualcosa.
Questa torre, che sembra ispirata al Rockefeller Center di NY, dà il meglio di sè se viene inquadrata dalla Galleria.
Milano
New York
Alta 80 metri per 15 piani, chiude la piazza, circondata su tre lati da portici, sotto i quali si aprono negozi, locali, e una palestra. La seconda domenica di ogni mese, poi, vi si tiene la mostra mercato di libri antichi, vecchi, curiosi, da collezione e bancarelle di articoli vintage.
Piazza Diaz, nata a partire dagli anni Trenta, avrebbe dovuto essere il perno della city direzionale in pieno centro storico. Vi si trovano palazzi importanti come l’Istituto Nazionale delle Assicurazioni (piazza Diaz 6) di P. Portaluppi, con un corpo più basso e una torre porticata.
In mezzo alla piazza, ora sotto un’aiuola verde, si trova il primo parcheggio sotterraneo di Milano, costruito tra il 1953 e il ’56. Allora in Centro si andava in macchina!
ieri
oggi
Il monumento ai Carabinieri, in acciaio, opera di L. Minguzzi, si perde un po’ in questa grande piazza, nascosto in parte dal verde.
Piazza Diaz ha un che di squadrato, un rettangolo con vie laterali che danno movimento. Era stata soprannominata “il robottino”: la piazza rappresenta il busto, le braccia sono le vie Giardino e Rastrelli, le gambe le vie Gonzaga e Baracchini.
Sul lungo collo, via Marconi, si trova l’ingresso del Museo del Novecento, in uno degli edifici dell’Arengario, con opere imperdibili del Secolo Breve.
E la testa di questo robot? Non poteva essere che piazza del Duomo, con le sue guglie e la Madonnina. I suoi 108,50 metri sono stati per molto tempo l’altezza insuperata e insuperabile dei grattacieli di Milano.
Finalmente, dopo tante polemiche e trattative, una copia della Madonnina, in grandezza naturale, sarà esposta all’Expo.
La Madonnina è sempre stata con noi, con una bella alabarda di fianco, e ora proteggerà anche questa manifestazione così importante per Milano e per l’Italia.
La nonna di uno di noi si ricordava una filastrocca, dedicata alla Madonnina, che, in tempo di guerra (la Prima!!!), era stata protetta da un telo grigioverde, come le divise dei soldati, per nasconderla ai bombardamenti dei dirigibili nemici, nelle notti di luna, e per continuare a vegliare sulla città.
“…e gli Zeppelin fuggenti / diranno tra le genti: / la Madonna lassù in aria / si è arruolata volontaria…”