La Torre Branca del Parco Sempione ci racconta una storia di imprenditorialità e cultura tutte meneghine.

Questo traliccio d’autore, di 108,6 metri, venne costruito nel 1933 dagli architetti Cesare Chiodi e Gio Ponti, nel clima di una Milano in espansione industriale.

Fu realizzata in soli 68 giorni lavorativi, utilizzando tubi di acciaio speciale della Dalmine, flange e bulloni; ha una base esagonale di 6 metri per lato, che si stringe a 4,45 a 100 metri d’altezza. È insieme leggerezza e solidità, novità ed eleganza, tradizione e innovazione, come nel DNA di Milano.
Poi cadde in disgrazia e, diventata inagibile, venne chiusa al pubblico nel 1972. Nel 2002 la famiglia milanese Branca, nota per i liquori, tra cui il celebre Fernet, intervenne per renderla di nuovo accessibile e restituirla alla città. La Torre Branca, ormai conosciuta col nome dell’azienda, è un esempio tangibile di quel novare serbando, che è stato, dall’Ottocento, il motto della ditta.

|
 un prodotto di oggi col vecchio motto |
La storia di questa industria, tutta milanese, che ha compiuto 170 anni nel 2015, si può ripercorrere visitando la “Collezione Branca” ospitata in oltre 1000 mq all’interno del complesso di via Resegone, vicino a piazza Maciachini, da più di un secolo sede dello stabilimento, luogo di produzione tra storia e attualità.
La visita inizia con le immagini dei fondatori, tra i quali il capostipite, lo speziale autodidatta Bernardino Branca, la moglie, i loro figli e la nuora, Maria Scala, che molta parte ebbe nello sviluppo dell’azienda.

Il più famoso prodotto, il Fernet, fu creato nel 1845, su ricetta ancora oggi segreta, come bevanda medicinale a base di erbe, cortecce e radici per combattere colera, malaria, febbre, dolori e spossatezza. Padre Nappi, l’allora direttore dell’Ospedale Fatebenefratelli di Porta Nuova, vicino alla sede del primo laboratorio, fu testimonial della validità del fernet per la cura del colera.

Il fondatore utilizzò ben 27 erbe “internazionali” per formulare questo prodotto noto come Fernet-Branca e lo restituì al Mondo.
Sull’origine del termine “Fernet” aleggia un’aria di mistero: secondo alcuni il Sig. Fernet sarebbe stato un farmacista svedese che avrebbe collaborato alla formulazione dell’elisir, continuando a berlo fino a ben 104 anni, esempio vivente dei benefici del prodotto.

Un’altra “storia” narra, invece, di un abate francese, padre Fernet, che avrebbe messo a frutto le sue conoscenze in campo erboristico; secondo altri, ancora, fer net, che significa ferro pulito in milanese, indicherebbe il materiale utilizzato nella preparazione e, forse, si potrebbe aggiungere, la forza e la potenza pulita del liquore corroborante.
Nella Collezione, in un grande cestone, la ruota delle spezie, sono raccolte, come in una gigantesca erboristeria, le erbe, le radici, le cortecce, gli aromi, le spezie che sono utilizzate per la produzione; tra queste c’è anche il milanesissimo zafferano.

Sono esposti diversi manifesti pubblicitari, calendari e gadgets storici che indicano l’attenzione dei Branca per la comunicazione pubblicitaria, di alta qualità.
Il logo, usato ancora oggi, dell’aquila che tiene tra gli artigli una bottiglia di fernet sopra il globo terrestre, ad esempio, fu firmato dal grande Leopoldo Metlicovitz, autore anche di scenografie, locandine e manifesti.
Tra i manifesti e i calendari esposti, molto spazio è riservato a figure femminili mentre bevono il fernet, quasi un elisir nero per quote rosa.
La nuora del fondatore, Maria Scala, diffuse questo elisir tra le signore della Milano bene.

Infatti questo “liquore” era visto come un medicinale a base di erbe, in grado di aiutare anche in caso di malesseri femminili e curare lo spleen, quel senso di malinconia di baudelairiana memoria.

Sappiamo dai giornali dell’epoca che anche la Rosetta, la povera “lucciola” vittima di un caso di malagiustizia, aveva bevuto un fernet prima di essere uccisa.
Ai milanesi il fernet piacque subito, tanto che, nel linguaggio popolare, l’espressione “Fratelli Branca” indicava i Carabinieri, vestiti di nero, che andavano in gruppo per acciuffare (“brancare”) i malfattori.
Proseguendo la visita vediamo le ricostruzioni di ambienti di lavoro esistenti in passato all’interno dell’azienda, quali uffici, laboratori, sartoria, falegnameria, quasi una produzione a chilometro zero.
Punto di contatto tra ieri e oggi è la grande botte in legno di rovere di Slavonia, da 84.000 litri, la più grande d’Europa, usata ancora oggi per l’invecchiamento del brandy, altro prodotto dell’azienda. Fu portata dal vecchio stabilimento e si dovette costruirle attorno il locale che la ospita.
La Branca, nel corso del tempo, ha acquisito anche altri marchi storici. La visita è un percorso tra botti, alambicchi, mortai antichi e moderni macchinari, tra aromi e profumi di caffè, camomilla, erbe, arance, distillati.
Col fernet, in letteratura, si fa anche un particolare gelato: ecco la ricetta del gelato all’aglio e fernet, per sorridere ma non provare!
http://www.vivavoceonline.it/articoli.php?id_articolo=748
Una rivisitazione d’autore propone una ricetta del gelato all’aglio su una zuppetta di pomodoro. Per finire… ci vuole davvero un fernet!
I protagonisti di questo museo d’impresa non sono solo reperti storici e sistemi produttivi. Lupi, lumache, rane di plastica colorata sono disseminati tra i vari ambienti, esempi di cracking art esposti in questo periodo nella collezione.
Uscendo, non dimentichiamo di lanciare un’occhiata all’alta ciminiera tutta a colori, decorata nello stile della street art.
Arte e produzione ancora insieme come un tempo!
La visita è gratuita e prenotabile telefonando al numero 02/8513970
