Nella calza della Befana 2019 troviamo… la chiesetta dei Re Magi di via Palmanova

È tempo di Epifania che tutte le feste porta via. Il magico periodo del Natale sta per terminare e si torna alla vita e ai problemi di tutti i giorni.

Abbiamo trovato nella chiesa di Santo Stefano un quadro dolcemente emblematico: la Famigliola di Betlemme, dopo l’incanto della Natività e l’accorrere di uomini buoni e semplici, è costretta, dopo poco tempo, a lasciare le proprie cose per sfuggire alla crudeltà di Erode.

L’Epifania, però, è anche tempo di Magi, figure misteriose, e secondo noi molto moderne, che ci parlano del rapporto tra Scienza e Fede (erano studiosi ai massimi livelli) e ci fanno anche riflettere sul senso della nostra vita.

Milano è da sempre legata ai Magi che l’avevano “scelta”, secondo la tradizione, come luogo dove fermarsi per sempre. I buoi che trainavano il carro con le reliquie si erano impantanati dove sorge ora la Basilica di Sant’Eustorgio, che venne eretta per custodire le spoglie dei Tre Re.

I Magi, però, avevano il cammino nel proprio destino e le loro spoglie vennero trafugate dal Barbarossa e portate a Colonia.

Infine una piccola parte delle reliquie tornò a casa, a Sant’Eustorgio, mentre altre reliquie (alcune falangi delle dita, invece) non hanno mai lasciato Brugherio, dove viveva Santa Marcellina che le aveva ricevute in dono dal fratello Sant’Ambrogio.

Sant’Eustorgio – Milano

S. Bartolomeo – Brugherio

Alcuni piccoli suggerimenti: in questi giorni è esposta, in Sant’Eustorgio, la teca con le reliquie e, nella mattina dell’Epifania si svolge il tradizionale corteo in costume (risalente al Medioevo) da piazza Duomo.

http://www.santeustorgio.it/corteo_dei_magi.html

Inoltre in questo periodo si possono ammirare due opere famose a Palazzo Marino e al Museo Diocesano.

Palazzo Marino

Museo Diocesano

Non solo: abbiamo scoperto che nella nostra città esiste un’antica chiesetta dedicata proprio ai Santi Re Magi. Si trova in una zona a Nord Est di Milano, vicino all’antico borgo di Crescenzago, in una frazione chiamata Corte Regina.

Siamo in via Palmanova, anzi, per la precisione, in via Regina Teodolinda. Dolce e severa nel suo gotico lombardo, la chiesetta ha un aspetto semplice, quasi un mattoncino rosso tra il klinker dei palazzi.

Sul portone ci accoglie una formella con Madonna e Bambino sotto una finestra circolare.

Le diverse finestrelle sulle pareti laterali ci riportano a tempi e stili diversi, così come il campanile a base romanica.

L’interno della chiesetta è altrettanto semplice: ad una sola navata, ha mattoni a vista e, sospesa, un’immagine di Cristo di grande impatto espressivo.

Una targa ci racconta la storia di questa chiesetta che fu fatta edificare nel 1352 ai tempi della Signoria di Bernabò Visconti, probabilmente su una preesistente chiesa più antica, descritta già nel XII secolo. Un’ipotesi è che sia stata voluta dalla moglie di Bernabò, Regina Della Scala, alla quale si deve anche la chiesa demolita per costruire il nostro massimo teatro che ne tramanda il nome.

Un tempo la chiesa dei Magi era dedicata alla Vergine e aveva intorno un Lazzaretto per il ricovero degli appestati, prima che fosse costruito quello di viale Tunisia a Porta Orientale.

La storia ci dice che i Borromei, in successive visite pastorali alla chiesetta di Corte Regina, vi incontrarono delle monache devote ai Re Magi. Così successivamente la chiesa fu intitolata ufficialmente ai “Santi Re Magi in Corte Regina”. Oggi il nome della chiesa viene ricordato da un moderno affresco dietro l’altare.


Questa chiesetta incontrò molti ostacoli sul suo cammino. A fine Settecento passò al Demanio, venne sconsacrata e diventò abitazione e deposito per i contadini della zona. Anche le bombe della seconda guerra mondiale contribuirono al suo declino, tanto che si parlava di abbatterla, sacrificata allo sviluppo edilizio.

Ma i Magi fecero il miracolo; la chiesetta venne donata al parroco della vicina parrocchia di San Giuseppe, che, grazie ad offerte di fedeli e benefattori, la fece restaurare, riconsacrare e riaprire il 6 gennaio 1967.

https://www.sangiuseppe.info/la-chiesa-dei-santi-re-magi/

Purtroppo è un po’ difficile visitare questo piccolo tassello della storia di Milano. Viene aperta solo il sabato pomeriggio alle 17 e nei festivi alle 9.30 per le Sante Messe. Come i Magi mettiamoci in cammino e andiamo a visitarla.

A presto…

Quattropassi aspettando Natale 2018 – seconda parte

Iniziamo la seconda parte dei nostri quattopassi verso il Natale 2018 con un incontro un po’ controcorrente: il vecchio, caro Sant’Ambrogio, che ci appare ancora più bello nella sua luce consueta.

Rimasto solo dopo il trasloco della tradizionale fiera degli Oh Bej – Oh Bej, è come un anziano amico, saggio e senza fronzoli, che ha capito ciò che conta veramente e osserva pacato, pronto ad accogliere in un abbraccio chi vive le inquietudini del nostro tempo.

Con un fantastico volo, grazie a due mezzi parcheggiati in attesa di un’altra festa, passiamo ora sopra Milano per vederne angoli illuminati da condividere.

Il Castello ha due volti: nel primo luci chiare sottolineano con eleganza l’architettura, nel secondo vivaci luci rosse e verdi propongono fantastiche scenografie.

Ecco alcune immagini dei Navigli; poi via Dante, piazza Cordusio, via Mercanti...

Infine arriviamo all’Ottagono della Galleria, splendido splendente con l’albero Swarovski e la cupola piena di luci.

Le vetrine intorno sfoggiano idee, classe e glamour.

Piazza della Scala e l’ingresso della Galleria quest’anno sono vestiti di rosso cupo per omaggiare lo sponsor, un profumo francese.

Anche Palazzo Marino è tutto rosso. Come da tradizione ospita un’opera d’arte che è possibile vedere gratuitamente e un bel Presepe umbro nel cortile.

Quasi infuocati, e poco natalizi, sono gli alberi intorno alla statua di Leonardo; anche gli gnomi del Quadrilatero sembrano alquanto perplessi.

Forse cercheranno rifugio sotto alberi più rassicuranti.

Palazzo Carmagnola

Darsena

piazza XXIV Maggio

CityLife

Ecco l’albero più alto di questo Natale 2018 a Milano. Quasi una cometa, con una stella dalla coda blu cielo, si trova sulla Torre Galfa, un grattacielo caduto in disgrazia e abbandonato, che ora si illumina e riprende vita, quasi un augurio per tutti noi.

Molti animali hanno letto della nostra Fotoarca e si sono fatti belli per essere fotografati.

Un dinosauro, alla Stazione Centrale, si è fermato solo pochi giorni. Sembra incavolato, ma anche lui ha avuto il suo attimo di celebrità.

Alcuni animali sono pronti a giocare con i bambini sul ghiaccio.

Milano, con le sue tante piste di pattinaggio, diventa un po’ il mondo incantato di Frozen.

Bagni Misteriosi

Palazzo Lombardia

In una di queste piste abbiamo trovato l’immagine del tradizionale dolcetto creato, secondo la leggenda, da un pasticcere per ricordare Nostro Signore: solido ma dolce , a forma di bastone da pastore che, capovolto, diventa la J di Jesus, bianco come la purezza, rosso come il sacrificio, con un pizzico di menta piperita perchè faccia memoria di una pianta anticamente usata per le purificazioni.

piazza Beccaria

Questi dolcetti si trovano spesso sulle bancarelle dei mercatini dove comprare qualche regalo o un ultimo pensierino. Come resistere?

Bagni Misteriosi

Bagni Misteriosi

piazza Duomo

San Celso

Milano ha il cuore grande e non dimentica chi è in difficoltà.

Diverse iniziative raccolgono offerte per chi sta vivendo un momento difficile. Ecco “Regalami”, alla Darsena, a favore dell’Ospedale Pediatrico Buzzi.

Questi nostri passipermilano non possono dimenticare i Presepi. Eccone alcuni molto diversi fra loro: uno fatto di pane, un altro di legno e carta del grande Londonio al Pirellone, il terzo esposto in una mostra di presepi etnici presso i Padri Cappuccini di piazzale Cimitero Maggiore. e l’ultimo di  moderno disegn.

Siamo tornati in piazza Duomo. davanti a noi c’è la nostra Cattedrale con la nuova illuminazione voluta dalla Veneranda Fabbrica. Che si accendano anche le nostre speranze, come tante luci!

Nella notte avvistato Babbo Natale venuto anche lui a guardare!

Buona Luce a tutti e Buon Natale!

A presto…

 

Passipermilano? Secondo itinerario nel cuore della nostra città per chi viene la prima volta

Siamo in piazza della Scala, piuttosto nuova (è stata completata agli inizi del Novecento da Luca Beltrami) e che potremmo quasi definire “laica”. Vi troviamo, infatti, palazzi della politica, della cultura e dell’economia.

piazza della Scala

Palazzo Marino, sede del Comune

Teatro alla Scala

Banca Commerciale – Gallerie d’Italia

Non solo: per costruire alcuni di questi edifici sono state demolite, in tempi diversi, ben due chiese, Santa Maria alla Scala e San Giovanni Decollato alle Case Rotte. Una piccola curiosità: la facciata di quest’ultima è stata “spostata” in via Ariosto, come entrata laterale della chiesa di Santa Maria Segreta.

 

Iniziamo da piazza della Scala la seconda parte della nostra passeggiata nella quale ci faremo guidare da alcune statue, silenziose presenze dei nostri passipermilano. Di fianco al teatro incontriamo la statua dedicata a un sorridente Giulio Ricordi, il grande editore musicale.

Il monumento, creato nel 1922, è stato da poco ricollocato proprio dove si trovava la storica sede della Ricordi, oggi diventata Museo della Scala.

Quasi di fronte, al centro della piazza, giganteggia la ben più imponente statua di Leonardo da Vinci, con quattro allievi, tra verde, panchine e una “vedovella”.

La prossima statua che incontriamo in questa passeggiata è quella di un incavolatissimo Alessandro Manzoni, che trovò la morte battendo la testa contro i gradini della bella chiesa di San Fedele.

Voluta da San Carlo Borromeo, fu costruita sopra una precedente chiesetta dedicata a Santa Maria in Solariolo e a San Fedele. Quando la vicina chiesa di Santa Maria alla Scala venne demolita, il nome e alcune opere più importanti furono trasferite  nella chiesa che oggi si chiama, per accontentare un po’ tutti, “Santa Maria alla Scala in San Fedele”. Come sempre a Milano è bello ritrovare le tracce del passato nel nuovo.

autore anonimo

Simone Peterzano

Questa chiesa oggi propone un itinerario tra arte e fede. Al suo interno non solo opere classiche, ma anche di Lucio Fontana e di altri autori contemporanei che creano riflessioni e aprono un dialogo con la spiritualità del nostro tempo.

Lucio Fontana

Nicola de Maria

Entriamo per una breve visita nel Museo di San Fedele (ingresso 2 Euro). Dopo l’imponente sagrestia soffermiamoci su una trecentesca Madonna del Latte; sopra il suo piccolo altare un libro di cristallo e specchio che riflette e fa riflettere.

opera di Christian Megert

Siamo nella Cappella delle Ballerine, opera di Mimmo Paladino, decorata con tante scarpine d’argento; qui le artiste della Scala venivano per una preghiera prima dello spettacolo.

La cappella è collegata all’altare da una serie di specchi. che sorprende per i giochi di immagine tra sacro ed umano.

Usciamo da San Fedele e raggiungiamo ora la Rinascente percorrendo via Santa Radegonda, dove si potrebbe incontrare non una statua ma il fantasma della figlia di Bernabò Visconti. Alzando gli occhi possiamo vedere le statue, un po’ insolite e sconosciute,  sulla facciata del cinema Odeon.

Sono un omaggio al mondo dello spettacolo, dal cinema al teatro, dalla musica alla danza.

cinema

teatro

danza

musica

Siamo ora in corso Vittorio Emanuele e possiamo zigzagare tra le vetrine dell’isola pedonale e, dando un’occhiata a piazza del Liberty, dove sorgerà il nuovo complesso della Apple, andiamo a trovare il “Scior Carera”.

L’ “Omm de Preja”, chiamato anche “Scior Carera” per una storpiatura dell’epigrafe, è una statua romana del III secolo d.C., con testa cambiata attorno al Mille, che abita al numero 13 di corso Vittorio Emanuele, vicino alla coloratissima Zara.

I milanesi erano soliti appendere a questo “Pasquino” ambrosiano anonimi biglietti satirici contro il governo austriaco. Sembra che proprio da via San Pietro all’Orto, dove abitava in quel periodo el Scior Carera, partì l’idea dello sciopero dei sigari che sfociò nelle Cinque Giornate del 1848.

Questa zona è sempre stata al centro della vita milanese: infatti ci troviamo dove, ai tempi della Mediolanum imperiale si estendevano, per circa 15.000 metri quadri, le imponenti e lussuose Terme Erculee, una sorta di SPA, dotate di palestra, sauna, bagni caldi e freddi, luogo di svago, benessere e aggregazione per i milanesi dell’epoca.

Per molto tempo non si seppe con precisione nemmeno dove le Terme fossero situate. Poi, mentre Milano cresceva abbattendo case fatiscenti e scavando per costruire infrastrutture e metropolitane, ecco il passato riaffiorare appena sotto il nuovo.

Come per magia (e chissà quanto è andato perduto) sono riapparsi via via, tra corso Europa, piazza San Babila e corso Vittorio Emanuele, tratti di mura e reperti delle Terme, dal busto di Ercole a pavimenti a mosaico, ora conservati al Museo Archeologico.

Anche gli scavi in corso della linea blu della metropolitana stanno facendo ritrovare altri ricordi del passato, quasi questi volessero essere presenti al nuovo sviluppo.

Le Terme furono distrutte da un incendio (Attila?) e la terra venne adibita via via a pascolo pubblico, come per fare ricominciare la vita. In mezzo a questi pascoli sorse, attorno all’anno Mille, la piccola chiesa di San Vito al Pasquirolo, rifatta in epoca barocca e oggi di rito russo-ortodosso.

Poco lontano dalla chiesetta, in una piccola e triste Walk of Fame (Largo Corsia dei Servi 21), troviamo non statue, ma impronte delle mani di celebri personaggi dello spettacolo di ieri.

La statua di un sornione Carlo Porta, nel vicino Verziere, ci invita a entrare in una zona dall’atmosfera completamente diversa. Ci troviamo nelle viuzze intorno all’Università Statale, a San Bernardino alle Ossa e a Santo Stefano, in un itinerario ricco di storia, fascino e mistero, ma anche di piccoli locali dove fermarci per uno spuntino.

Ci ritroviamo tra qualche giorno davanti al Teatro Lirico, ora in rifacimento, per continuare il nostro giro nel cuore di Milano.

“Com’è bella la città” – opera di Antonio Marras

A presto…

Le origini di Palazzo Marino tra storia e leggenda

La notizia è apparsa il 29 dicembre 2016 sul Corriere della Sera: “C’è un folletto maligno che si aggira per Palazzo Marino… un dibbuk burlone che sembra aver preso di mira il sindaco…”. L’articolo riportava di alcuni “incidenti” ad antichi arredi avvenuti nella sede del nostro Comune.

Questa strana nostra città non finisce mai di stupirci: tra qualche giorno si vestirà di novità per il Salone del Mobile e sarà ancora una volta sotto i riflettori per il design più innovativo. A luci spente, invece, Milano racconta di antichi arredi presi di mira da qualche spiritello dispettoso, nella sede ben sorvegliata del Comune.

Diamo un’occhiata a una vecchia storia, intrico di fili tra verità e leggenda, avvenuta qualche secolo fa proprio a Palazzo Marino. Ci sarà qualche legame col nostro spiritello?

Iniziamo a raccontarla partendo, come in alcuni romanzi, da un vecchio manoscritto, anzi, in questo caso, da una filastrocca, quasi dimenticata, per le “conte” dei bambini.


“Ara, bell’Ara discesa Cornara, de l’or fin, del cont Marin strapazza bardocch, dent e foeura trii pitocch, trii pessitt e ona massoeura, quest l’è dent e quest l’è foeura” (Ara, bell’Ara della famiglia Cornaro, dai capelli di oro fino, appartieni al conte Marino strapazza preti, dentro e fuori ci sono tre “bravi”, tre pesciolini e una mazza, questo è dentro e questo è fuori).

Chi sono i protagonisti? Lei, Arabella Cornaro (o Corner), era una giovane, bellissima veneziana di nobili origini (discendeva dalla famiglia di Caterina Cornaro, Regina di Cipro). Aveva i capelli biondi come l’oro fino. Perchè non darle il volto di Marilyn?

Lui, Tommaso Marino, era un anziano banchiere genovese che aveva accumulato fortune e potere con l’appalto del sale, prestando denaro ad usura anche al governatore spagnolo di Milano e persino all’imperatore Carlo V.

Vedovo, con figli già grandi, la leggenda racconta che, a 78 anni, vide Arabella in piazza San Fedele (o come si chiamava allora) e se ne innamorò perdutamente.

Forse la chiese in sposa, forse no; la fece comunque rapire dai suoi “bravi” e mise la famiglia di lei davanti al fatto compiuto. I Cornaro chiesero per Arabella un palazzo bellissimo a Milano, simile a quelli a cui la novella sposa era abituata a Venezia.

Ca’ Corner della Regina

Il vecchio conte Marino chiamò un famoso architetto che aveva già lavorato a Genova, Galeazzo Alessi.

Nel 1550 venne posta la prima pietra del nuovo palazzo dopo che il conte aveva acquistato e fatto abbattere un edificio in San Fedele insieme ad altri, che aveva espropriato, diroccati e abitati da povera gente nella vicina via Case Rotte.

L’ingresso principale era in piazza San Fedele in quanto rivolto verso il Duomo, o forse era un omaggio romantico al primo incontro con Arabella.

Avete notato come Palazzo Marino non abbia il tetto spiovente, ma dei terrazzi come si usa nelle città di mare?

Non sappiamo quale sia stata la vita della giovane donna, a quali soprusi sia stata sottoposta, cosa abbia fatto per ritagliarsi uno spicchio di vita.

Un giorno la trovarono morta in un palazzo di famiglia a Gaggiano, impiccata al baldacchino del letto. Fu una morte misteriosa e tragica e Arabella, come Marilyn, portò con sè i segreti della sua fine.

Rumors sussurravano che ad ucciderla, o a farla uccidere, fosse stato l’anziano marito; altri, invece, sostengono che tutta la storia sia stata inventata e che, invece, ad uccidere la propria moglie, una nobile spagnola, fosse stato uno dei figli del Marino. Quante bambole ci sono oggi sul muro di Porta Ticinese, a ricordo dei femminicidi di ogni epoca!

Si dice anche che i parenti di Arabella, o le tante persone rovinate dal conte, scagliarono una maledizione contro Palazzo Marino:
“Congeries lapidum multis constructa rapinis, aut ruet, aut uret, aut alter raptor rapiet (Mucchio di pietre, costruito con molte rapine, o crollerà, o brucerà, o un altro ladro lo ruberà)”

Ovviamente sono solo leggende, ma… i guai arrivarono a frotte. Il palazzo non fu finito nè dal Marino nè dall’Alessi, che morirono entrambi nel 1572; il vecchio conte cadde in disgrazia e perse molti dei suoi averi, tra cui quasi tutto il Palazzo, che fu espropriato; una sua figlia, Virginia, morì di peste lasciando una bimba, Marianna, nata proprio a Palazzo Marino, in un appartamentino rimasto alla famiglia. Questa bambina diventerà la Monaca di Monza.

Il palazzo andò via via in rovina e venne restaurato solo a fine Ottocento da Luca Beltrami, che lo ribaltò costruendo la facciata principale, col nuovo ingresso, verso piazza della Scala.

Cosa resta oggi di questa storia? Un palazzo autorevole che porta il nome del primo proprietario, il salone d’onore, dedicato all’Alessi, una misteriosa filastrocca e, forse, uno spiritello dispettoso che ogni tanto torna a Palazzo Marino.

A presto…

Tiziano a Palazzo Marino

Ultimi giorni per ammirare la “Sacra Conversazione” di Tiziano nella Sala Alessi di Palazzo Marino, nell’ambito del tradizionale appuntamento con un’opera d’arte durante le Feste natalizie.

Questa è la prima opera con data e firma dell’autore come si può vedere nel cartiglio in basso sul dipinto. Quando dipinge, nel 1520, questa pala, per l’altare maggiore della chiesa di San Francesco ad Ancona, Tiziano ha circa trent’anni ed è già affermato Pittore Ufficiale della Serenissima.

Il committente dell’opera, ritratto nel dipinto a mani giunte, era Alvise Gozzi, un ricco mercante di Ragusa (oggi Dubrovnik), che si era trasferito ad Ancona.

Questa pala di grandi dimensioni (circa 3 metri per 2) è stata dipinta su una tavola di legno di quercia, come è possibile vedere nel’insolito allestimento di Palazzo Marino che permette anche di osservarne il retro con gli schizzi preparatori.

Tiziano è cadorino e conosce l’uso del legno, anche nella pittura. Nasce un’opera monumentale, fatta per essere guardata dai fedeli sopra l’altare. Oggi la pala si trova presso la Pinacoteca Civica di Ancona, dove tornerà dopo il prestito a Milano.

Nella Sacra Conversazione o “Pala Gozzi” viene rappresentato un muto dialogo tra Cielo e Terra, fatto di sguardi e di gesti. Maria volge lo sguardo verso il basso mentre il Bambino guarda direttamente verso i fedeli, quasi per farli partecipare alla Conversazione.

In basso la scena è dominata dal gesto di San Biagio, patrono di Dubrovnik, che indica al Gozzi il Cielo; a lato la figura di San Francesco, a cui la chiesa di Ancona era dedicata.

Sullo sfondo il morbido paesaggio veneziano all’ora del tramonto e un tralcio di fico, simbolo di rinascita, che spunta da un tronco. Anticamente questa pianta era considerata sacra e simbolo di collegamento tra Cielo e Terra, tanto che le sue foglie venivano usate per la divinazione.

Una piccola curiosità: San Biagio è legato a Milano da una antica tradizione molto sentita ancora oggi; la racconteremo il giorno della sua festa.

La “Sacra Conversazione” resterà esposta a Palazzo Marino fino al 14 gennaio, dalle ore 9.30 alle 20 (giovedì fino alle 22.30). L’ingresso è gratuito a piccoli gruppi con guida.

https://www.comune.milano.it/wps/portal/ist/it/news/primopiano/Tutte_notizie/cultura/tiziano_sacra_conversazione_1520

A presto…

Milano – Monza andata e ritorno: la tragica vita di una monaca famosa (Parte Prima)

Quando attraversiamo piazza della Scala o passeggiamo in quella bolla fuori dal tempo che è la tranquilla piazza San Fedele, non dimentichiamoci la lunga storia di Marianna de Leyva, che nacque a Palazzo Marino verso la fine del 1575.

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Il Manzoni aveva parlato con estremo pudore di lei, la suor Gertrude dei Promessi Sposi. Un filo di vita e di morte sembra quasi legare i due personaggiLa statua dello scrittore si trova in piazza San Fedele, di fianco al palazzo in cui nacque Marianna e davanti ai gradini della chiesa sui quali egli cadde trovando poi la morte.

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La bimba aveva antenati  veramente VIP. Il bisnonno paterno era stato il primo governatore spagnolo di Milano e il padre era un noto condottiero dalla sfolgorante carriera alla corte del Re di Spagna.

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Antonio, bisnonno di Marianna

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Martino, padre di Marianna

Da parte di madre, Marianna discendeva da una prestigiosa famiglia di banchieri genovesi, da quel Tomaso Marino ricchissimo e tanto chiacchierato da essere addirittura vittima di una maledizione che si “sarebbe” dovuta perpetuare nel tempo. Di quest’uomo, al quale si deve Palazzo Marino, sede del nostro Comune, parleremo in un piccolo cameo a lui dedicato, tanto intrigante è la sua vicenda umana.

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Tomaso Marino, nonno materno di Marianna

Torniamo alla piccola Marianna. Per poco tempo potè conoscere il calore di una famiglia.

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dal fumetto di A. La Monica (in arte Alexader Tripood)

Il Fato, infatti, le tolse subito la madre Virginia, morta di peste quando la bimba aveva pochi mesi. La piccola crebbe affidata alle zie in un “appartamento” di Palazzo Marino. Eccone la planimetria:

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Non sappiamo molto di questo periodo; l’ambiente in cui visse la sua infanzia era piuttosto bigotto e, forse, infelice. Sembra che una zia avesse avuto dal proprio matrimonio poco amore, tanti figli e… la sifilide. Il Manzoni ci dice che Marianna crebbe condizionata dal suo futuro di monaca, succube di un padre autoritario.  Probabilmente non fu così, perché il padre era spesso assente preso dalla sua carriera prestigiosa.

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Alla sua morte Virginia aveva lasciato eredi di ingenti sostanze la bimba e il figlio maschio nato da un primo matrimonio. Le altre quattro figlie del primo marito intentarono causa alla piccola sorellastra. L’eredità di Marianna ne uscì ridimensionata, ma comunque tanto sostanziosa da far gola anche a suo padre.

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Quando questi si risposò con una nobildonna spagnola e si ritrovò in difficoltà finanziarie, la strada della dodicenne Marianna fu segnata: doveva diventare monaca. Nonostante avesse trovato il coraggio di manifestare al padre il proprio desiderio di una vita diversa, il genitore fu sordo e irremovibile; non le rivolse più la parola finché la ragazzina accettò il proprio destino, sperando di essere “nuovamente” amata.

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Così le porte del prestigioso convento di Santa Margherita a Monza, che era parte del feudo dei de Leyva, si richiusero alle spalle dei desideri di Marianna e la sua eredità rimase al padre.

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Come avrebbe potuto la ragazza fare diversamente? Il monacandato era spesso la sorte che toccava a molte giovani donne di nobili natali, per non disperdere il patrimonio familiare. E le loro aspirazioni?… non contavano nulla.

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Le cronache ci presentano una Suor Virginia (Marianna aveva preso il nome della madre), altera contessa di Monza attenta ai suoi obblighi di Signora verso il feudo e severa nell’educare le fanciulle a lei affidate.

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Il Fato ci mise, però, di nuovo lo zampino. Il convento confinava con il palazzo di una prestigiosa famiglia, gli Osio. Il più giovane rampollo di questa, insieme ai suoi amici, usava stuzzicare le educande del convento.

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Giovanni Paolo, lo “sciagurato Egidio” del Manzoni, aveva adocchiato la quindicenne Isabella, una allieva di Marianna. Il giovane la “tentò”: baciò una mela e gliela lanciò. Isabella la raccolse.

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A. Tripood

Suor Virginia vide, la richiamò e, forse, cominciò ad insinuarsi in lei stessa il desiderio di assaggiare il frutto avvelenato della “conoscenza”.

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Suor Virginia avvertì i genitori della fanciulla che intervennero subito; la tolsero dal convento e la punirono crudelmente dandola in sposa, dopo solo quindici giorni, a un anziano e ricco signore. Per Isabella era finito “il Tempo delle mele”.

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La Signora di Monza aveva deciso di  condannare all’esilio il nobile, accusato anche di aver ucciso in duello un uomo dei de Leyva. La Superiora del convento, però, amica della famiglia Osio, con la madre del giovane, fece pressioni su Suor Virginia e la convinse a ritirare la condanna. Paolo, così tornò di nuovo nel palazzo vicino al convento.

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A. Tripood

Dopo qualche tempo il giovane scrisse a Suor Virginia una lettera. Fu per ringraziarla, per sfida, per capriccio, per attrazione? Non lo sappiamo.

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Come in una sorta di antico Social, a questo punto entrarono in gioco gli “amici”, a conoscenza di quanto stava avvenendo. Gioca un ruolo di primo piano Don Arrigone, parroco della vicina chiesa, il più abbietto e subdolo personaggio della vicenda. Amico di Paolo, gli consigliò  come scrivere le lettere indirizzate a Suor Virginia per farla cedere (la voleva anche per sé?).

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La Signora fu sempre più avviluppata in una ragnatela di persone spinte da legami di interesse, di compiacenza, di passioni. In lei s’intrecciarono solitudine e scelte subite, tentazioni, desiderio e senso di colpa, sicurezza del potere, menzogne e superstizioni…

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Questo è solo l’inizio di una storia tragica e intrigante, che inizia e si conclude a Milano. Il seguito alla prossima puntata, dopo le Feste.

Continua… 

Draghi verdi e vedovelle a Milano

Draghi verdi e vedovelle non sono i protagonisti di un racconto fantasy, ma i nomi dati dalla gente alle fontanelle pubbliche di Milano.

La Donna ed il Drago

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Anche in altre città, le fontanelle hanno soprannomi popolari che riprendono, in modo scherzoso, alcune loro caratteristiche. Così a Roma vengono chiamate “nasoni” e a Torino “toretti”.

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toretto

toretto

A Milano le fontanelle hanno ben due soprannomi. Abbiamo cercato le origini di questo binomio, ma non siamo riusciti a trovare molto. Forse i due diversi nomi risalgono a quartieri differenti, forse a piccole storie andate perdute. Se qualcuno fosse a conoscenza di qualche notizia, ce la mandi, per favore! Sarebbe un tassello in più nella storia della nostra città.

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Come siano nati, dunque, questi nomi poco si sa e molto si immagina. Le fontanelle di Milano non hanno rubinetto di chiusura e un piccolo getto d’acqua continua a scorrere, irrefrenabile come il pianto di una giovane vedova per il suo perduto amore. Questo fece nascere l’affettuoso e gentile termine di “vedovelle”.

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Ad altri, invece, la fontanella di colore verde scuro, con l’erogatore a forma di strana testa di animale, aveva ricordato un “drago”.

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Sarà stato, forse, un ricordo ancestrale di Tarantasio o di qualche altra mala bestia che circolava nelle nostre pianure atterrendo la gente? Non lo sappiamo, ma il drago verde non ci fa paura:  a tenerlo a bada, sulle fontanelle, c’è lo stemma del Comune di Milano con la croce di San Giorgio, che coi draghi ci sapeva fare.

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Il disegno di queste fontanelle risale a circa cento anni fa. È opera di Luca Beltrami, l’architetto che salvò e fece ricostruire il Castello Sforzesco, ci lasciò i disegni del Lazzaretto prima della demolizione, firmò il progetto di piazza della Scala e tanto tanto altro.

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Banca Commerciale – Gallerie d’Italia

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Palazzo Marino – facciata di L. Beltrami

Proprio in piazza della Scala apparve (e c’è ancora!) la prima fontanella, tutta in bronzo, con una bella greca alla base.

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Ancora oggi, dietro alla statua di Leonardo e dei suoi quattro allievi (detta dai milanesi un liter in quater), la vedovella offre gratuitamente a tutti acqua fresca e potabile.

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Le fontanelle di Milano sono un piccolo esempio di tradizione, la loro struttura è codificata e uguale da sempre.

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Fatte in ghisa, sono alte circa un metro e mezzo e una sorta di pigna fa da cappello.

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Elemento mistery è l’erogatore con la testa di bestia mostruosa.

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A noi più che un drago (nel nostro DNA c’è il biscione col muso allungato) sembra ispirato ai doccioni del Duomo. Una meneghinitudine in più…

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I piccoli “bar del Drago Verde”, come venivano chiamate le fontanelle quando la Milano da Bere era molto più povera e ruspante, offrono ristoro… e non solo.

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ieri

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oggi… sempre acqua fresca

Le fontanelle  di Milano sono tantissime (oltre 450!) e disseminate in diverse zone della città. Esiste persino una mappa interattiva della loro collocazione per chi, magari pedalando o passeggiando nel caldo afoso, volesse fermarsi a bere o a rinfrescarsi un po’.

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http://www.fontanelle.org/Mappa-Fontanelle-Milano-Lombardia.aspx

Dopo tanti anni di dissetante lavoro, alcune fontanelle sono un po’ malandate. Recentemente è stato indetto un concorso per un progetto di restyling.

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oggi in piazza Duomo

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domani?

http://milano.corriere.it/foto-gallery/cronaca/16_aprile_14/vedovella-ridisegnata-studenti-naba-c00b6bd8-023d-11e6-9f07-f0b626df35ca.shtml

Magari “vedovelle” e “draghi verdi” cederanno alla voglia di  un ritocchino al viso o al corpo… Comunque da bere offre sempre Belisama, antica dea delle acque e delle fonti, che ha scelto con cura dove far nascere Milano.

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Aspettando Natale: i colori della Luce – itinerario tra San Fedele e le vie del centro

Iniziamo un itinerario tra le strade e le giornate che ci porteranno al Natale 2015.

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Troppe sono le luci spente nella città, che appare meno luminosa, forse anche per l’austerity. O, magari, in qualche cuore c’è meno luce…

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Ma insieme aspettiamo il ritorno della Luce facendo quattro passi per il centro di Milano.

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Il “Natale”, la festa del Solstizio d’Inverno, è sempre stata la vittoria della luce sulle tenebre, del Sol Invictus e l’abbiamo festeggiata da sempre con le candele, la luce e le luminarie.

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calendario celtico

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Sol Invictus

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Vi proponiamo un piccolissimo itinerario di pochi passi tra l’Adorazione dei Pastori, di Rubens, esposta a Palazzo Marino, e la piccola piazza San Fedele, situata appena dietro il nostro Municipio.

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Mettiamoci in attesa, tralasciando Scala, Gallerie d’Italia, Leonardo, eccetera. Entriamo nella sala dell’Alessi a vedere il capolavoro, giunto da Fermo, del pittore fiammingo. Qui è la Luce del Bambinello che illumina e vince il buio circostante.

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Non sono i Magi a essere raffigurati nell’atto dell’Adorazione, ma i pastori, così come nel presepio (lo scriviamo alla lombarda) mettiamo, prima dei Tre Re, che giungeranno per l’Epifania, la gente semplice e gli animali della vita quotidiana di un tempo.

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Il capolavoro sarà esposto fino al 6 gennaio 2016, con ingresso gratuito.

Continuiamo il nostro breve itinerario andando verso piazza San Fedele, dove ci accoglie la statua di Don Lisander.

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Il Manzoni, per restare in clima natalizio, e la moglie, erano molto amanti del panettone e “panatonavano”, come scrive la donna al figlio Stefano, con gusto e piacere.

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Il loro fornitore di fiducia era l’antico “Prestin di Scansc” (Forno delle Grucce), citato anche ne I Promessi Sposi.

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targa posta all’inizio di corso Vittorio Emanuele

Entriamo nella chiesa di Santa Maria della Scala in San Fedele, comunemente nota solo come “San Fedele”.

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L’antica chiesa di Santa Maria della Scala, fatta costruire da Regina della Scala, moglie di Bernabò Visconti, fu demolita per costruire il nostro teatro e il suo titolo è passato alla vicina San Fedele.

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San Fedele si è recentemente arricchita di affreschi di Nicola De Maria. Alle spalle dell’altare maggiore, sulla volta del Sancta Sanctorum, il piccolissimo sacrario  dove sono custodite le reliquie dei martiri, c’è una girandola di colori.

Foto della due opere realizzate da Nicola De Maria nella chiesta di San Fedele. Foto della due opere realizzate da Nicola De Maria nella chiesta di San Fedele.

http://www.incrocinews.it/arte-cultura/la-gioia-della-gerusalemme-celeste-br-nei-colori-di-nicola-de-maria-1.117471

Come sono belli i colori della Luce!

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Sul fondo della chiesa c’è un’altra opera, dove luce e colore si incontrano: sono i tre pannelli monocromatici di David Simpson, che cambiano tonalità col variare della luce del giorno.

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http://www.centrosanfedele.net/easyne2/LYT.aspx?Code=ccsf&IDLYT=2716&ST=SQL&SQL=ID_Documento=2760

In questa chiesa, tutta da visitare e da “pensare”, torneremo ancora in un altro piccolo itinerario.

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Oggi giriamo, invece, per le vie del centro, guardando i colori della luce.

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Ecco le belle vetrine della Rinascente, con l’opera “Let it Shine, Let it Shine, Let it Shine. It’s Xmas again”, dell’artista svizzero John Armleder, dove i colori pittorici incontrano le scintillanti decorazioni natalizie.

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Speriamo si accendano presto anche le vetrate del Duomo con i colori della Luce!

vetrate del Duomo

A presto… andando per mercatini di Natale.