Quattropassi nel Liberty: il Quartiere Umanitaria di via Solari 40

Una fresca ventata di novità soffia su Milano con il Liberty che, in circa quindici anni (1900/1914), fa crescere fiori, frutti, decorazioni su nuovi edifici della nostra città utilizzando ferro, vetro, ghisa e cemento.

Milano, tra Ottocento e Novecento, era in grande fermento tra nuove fabbriche, lavori pubblici (acquedotti e fognature) e riqualificazioni urbanistiche; vennero demoliti vecchi quartieri, come il Cordusio, e create nuove strade, tra cui via Dante. Per questi lavori era richiesta molta manodopera, spesso proveniente dalla campagna, e di conseguenza erano necessari più alloggi, scuole per imparare nuovi mestieri (da contadini a operai) e adeguate risposte ai bisogni sociali crescenti. La nostra città si era messa in moto.

L’Esposizione Internazionale del 1906 le offrì la possibilità di confrontarsi con i Paesi d’Oltralpe e mostrare il meglio di sè. Il tema erano i trasporti, per l’apertura del Traforo del Sempione, che parlava di movimento e di scambio tra le nazioni, ma il movimento era soprattutto quello delle idee e delle iniziative per lo sviluppo.

Di questa Esposizione ci restano due strutture di sapore Liberty, molto diverse tra loro, ma che fanno parte dell’anima milanese: l’Acquario Civico e il Quartiere Umanitaria.

L’Acquario Civico

Due parole sull‘Acquario, del quale abbiamo già parlato. È stato uno dei primi al mondo e non poteva che essere così:  pur senza mare o grandi fiumi, la nostra è comunque una città d’acqua, presente nel suo DNA più profondo fino dai tempi della dea celtica Belisama

Il Quartiere Umanitaria

Se l’Acquario parlava di cultura e di nuovi interessi e conoscenze scientifiche, il Quartiere Umanitaria è un esempio della solidarietà civile e concreta tutta meneghina.

La storica Società che lo aveva voluto era stata fondata alla fine dell’Ottocento allo scopo “di mettere i diseredati, senza distinzione, in condizione di rilevarsi da se medesimi, procurando loro appoggio, lavoro e istruzione” (punto 2 dello Statuto della società). Per Expo aveva realizzato un proprio padiglione e il quartiere di edilizia popolare in via Solari.

https://archiviodelverbanocusioossola.com/2015/04/21/il-padiglione-dellumanitaria-1906-dallexpo-ad-anzola-dossola-%C2%A7-3/

Questo quartiere era stato costruito in un solo anno, primo esperimento milanese di housing sociale, su progetto dell’architetto Giovanni Broglio, che da piccolo muratore orfano era riuscito a studiare e a raggiungere alti livelli. Un’altra storia milanese.

Il complesso comprendeva ben undici edifici di quattro piani ciascuno, suddivisi in appartamenti da uno a tre locali, tutti dotati di acqua corrente, wc, condotto per l’immondizia e, sotto le finestre, di bocche d’aria regolabili per il ricambio senza dispersione di calore.

Innovativi anche gli spazi comuni: un asilo (metodo Montessori), luoghi di riunione, docce per l’igiene e persino una sala per l’allattamento.

Ovviamente l’architetto Broglio aveva lavorato con budget e, soprattutto, con finalità diversi rispetto a quelli degli eleganti palazzi Liberty del tempo. Le decorazioni erano prodotte in serie, ma il risultato è bello, armonioso e funzionale.

Questo quartiere si trova vicino alla stazione di Porta Genova, in una zona di ex-fabbriche diventata ora distretto per la moda e il design.

Mai come in questo caso il destino era già scritto: tra gli insegnanti dei vari corsi serali e domenicali che si tenevano all’Umanitaria, erano stati chiamati anche Rosa Genoni, la “sarta” che vide nella moda una cosa “seria” e Alessandro Mazzucotelli, l’artigiano artista liberty del ferro battuto. Quest’ultimo faceva parte anche della giuria del concorso indetto per la creazione di un arredamento “semplice, funzionale e di qualità” per gli appartamenti di questo quartiere.

Veduta della cucina-pranzo progettata da Augusto Ghedini da “L’Esposizione Illustrata del 1906”, Milano 1906
Veduta della camera da letto progettata da Emilio Dozio da “L’Esposizione illustrata del 1906”, Milano, 1906

Era nato il desing italiano che porterà al Salone del Mobile e agli eventi del Fuori Salone.

A presto…

Riciclando in verde: i libri sono semi ….

La Biblioteca Sormani dedica uno spazio pieno di luce e di piante a libri sulle tematiche del verde e della sostenibilità.

E’ un angolo tutto green dove, insieme ad un libro preso in prestito, verrà donata una bustina di semi, i “semi di gioia”, per far germogliare nuovi pensieri.

I libri sono semi che fanno crescere in noi idee, storie, sentimenti, riflessioni … Ecco come ho pensato di “legare” piante e libri in una realizzazione che lascerà sbalorditi (anche se non troppo difficile).
Occorreranno:
– un libro letto, riletto, non germogliato, comprato su una bancarella per salvarlo dal macero
– colla vinilica, taglierino, righello, pennello, vaschetta di plastica più bassa del libro
– un po’ di argilla e di terra
– piccole piantine grasse o altre dall’apparato radicale ridotto
– una siringa per innaffiare

Procediamo passo a passo.
Incolliamo i bordi esterni del libro sui tre lati (escluso ovviamente la copertina) per farli diventare compatti (vedi foto). Un piccolo consiglio: facciamo molta attenzione alla pagina iniziale perché sarà quella che si vedrà a lavoro finito.
Prendiamo la misura della vaschetta e “centriamola” sulle pagine del libro lasciando un piccolo bordo intorno (vedi foto). Aiutandoci con un righello, incidiamo con il taglierino tutte le pagine poco alla volta.

Prepariamo la vaschetta portafiori: facciamo un piccolo strato di argilla e ricopriamolo di terra.
Mettiamo a dimora le piantine secondo il nostro gusto e l’effetto che si vuol ottenere.
Infine inseriamo la vaschetta nel libro e sistemiamo la pagina iniziale perchè sia bella da vedere (si può aggiungere del muschio per nascondere i bordi).
La composizione va bagnata ogni tanto con una siringa per evitare ristagni o muffe.

Vi è piaciuta? Se volete possiamo incontrarci il 15 maggio al mercatino degli hobbisti a Cologno Monzese.
Vi aspetto per far crescere qualcosa insieme.

A presto…

Quattropassi nel Liberty: il Trianon

Il Liberty arriva a Milano agli inizi del Novecento in un periodo pieno di fermento sociale e creativo e di vigore economico e produttivo. La nostra città, sempre aperta alle novità e al rinnovamento, accoglie questo stile cosmopolita, già diffuso in America e in Europa, decisa a mostrare la propria modernità
Gli edifici Liberty milanesi erano in genere destinati al mondo economico, al commercio, allo svago e alle abitazioni dalle più semplici alle più eleganti e piene di fascino.


Faremo quattropassi in diversi quartieri per scoprire il frutto della creatività di architetti e artigiani del primo Novecento. Un altro piccolo tassello per conoscere, o riscoprire, la nostra città e le nostre radici più o meno lontane.

Il Trianon (piazza del Liberty 8)

La prima tappa di questo itinerario inizia, da milanesi DOC, dal luogo dove è nata la nostra canzone simbolo: “O mia bela Madunina“.

Corso Vittorio Emanuele, primi del Novecento: un tram elettrico sta passando tra due edifici Liberty, quasi dirimpettai, rispettivamente al numero 8 e al numero 15.

corso vitt emanuele vecchio

Cosa rimane oggi? Non più il tram, sostituito dalla metropolitana; e, finita la pandemia, la gente tornerà a riempire l’isola pedonale, senza la paura degli assembramenti.

Al numero 8 troviamo ancora la facciata con elementi Liberty in ferro, ghisa e vetro dell’edificio che  ospitò, a inizio Novecento, i Magazzini Bonomi. Era stato progettato ad uso commerciale con uffici e vetrine al piano terreno, che rimangono ancora oggi.

Costruito nel 1902, è stato ben inserito, negli anni Sessanta, in un isolato ad opera di Giovanni e Lorenzo Muzio.

Quasi di fronte, al numero 15, tra il 1902 e il 1904, venne costruito, invece, l’Hotel Corso, dalla bianca facciata Liberty di sapore un po’ parigino.

Era sorto dove si trovava il vecchio “Teatro Milanese”, nel quale, tra l’altro, il 30 settembre 1896, aveva fatto il suo esordio a Milano un filmato dei fratelli Lumière.

Anche nel nuovo Hotel Corso, al piano terra, fu realizzato un grande salone per gli spettacoli, il teatro “Trianon”.

Nel sotterraneo, poi, un locale notturno, il “Pavillon dorè”, offriva musica, ballo e champagne. Qui, nel 1934, durante una serata dedicata alla canzone romana e napoletana, un giovane musicista, Giovanni D’Anzi, intonò per la prima volta “O mia bela Madunina” che aveva composto poco tempo prima.

La nostra canzone simbolo, dunque, vide la luce in un locale notturno, immagine del nostro spirito milanese profondamente laico e religioso insieme. Da allora la Madonnina accompagna chi vive e lavora nella nostra città.

Venne la seconda guerra mondiale e le sue bombe fecero strage del nostro centro storico. Si salvò, ovviamente, la Madunina e fu risparmiata anche la facciata dell’Hotel Corso.

Perduto per sempre? No di certo! Come abbiamo già visto anche le pietre a Milano si spostano. La bianca facciata dell’albergo venne inserita, nel 1956, nel palazzo della Reale Mutua Assicurazioni nella nuova piazzetta che venne dedicata allo stile Liberty.

Se mettiamo a confronto una vecchia foto con una di oggi, vediamo alcune differenze. Un piccolo aiuto: contiamo le finestre della facciata, ma soprattutto …… andiamo a vedere la bellezza delle decorazioni Liberty.

A presto…