Immagini dal Fuorisalone 2018: una festa per la creatività e per Milano (parte prima)

Siamo saliti al 39° piano di Palazzo Lombardia, durante il Fuorisalone, per dare uno sguardo a questa nostra Milano che sale in alto, ma conserva radici solide e profonde, che accosta scenari diversi di antico e tanto nuovo da essere già futuro, che pensa all’economia e allo sviluppo, ma non solo.

Infatti a piano terra, un gigantesco gonfiabile ha il cuore in mano, immagine della nostra città aperta e solidale, dando un divertente benvenuto ai visitatori del Fuorisalone.

I diversi district hanno accolto, come in una grande festa collettiva della creatività, migliaia di turisti e tanti milanesi, tutti alla ricerca di idee, progetti. innovazioni e installazioni capaci di suscitare emozioni, stupore, divertimento, discussioni e anche affari.

Impossibile, in questa festa, poter vedere tutto e partecipare alle diverse manifestazioni ed eventi. Abbiamo raccolto in un piccolo album alcune immagini del Fuorisalone 2018, occasione anche per rivedere luoghi di Milano in una prospettiva diversa.

Eccole:

L’Università Statale di via Festa del Perdono appare più bella e vivace che mai e unisce il passato al futuro con idee, spunti e provocazioni sul tema dell’abitare e dello spostamento. C’è persino una “casa” viaggiante in valigia!

I portoni per salire al loggiato, dove si viene avvolti in nuvole profumate di policarbonato rosa, sono decorati in modo completamente diverso: uno ha un’anima green, l’altro luci pop. Ci faranno entrare nel futuro?

Il “gorillone” che, con una torcia, guida un gruppo di conigli rosa, forse pensa al buio.

Ma le luci alla sera rendono ancora più suggestive le installazioni e tutto diventa spettacolo.

Poco lontano antichi edifici ospitano allestimenti modernissimi; sembra quasi che passato e presente ricevano entrambi energia, vitalità e bellezza dal loro contrasto. Ecco alcuni interni di via Sant’Antonio e i salotti open-air nei chiostri e nella sala Affreschi dell”Umanitaria.

 

La Biblioteca Umanistica dell’Incoronatain corso Garibaldi, propone arredi di design. Che ve ne pare?

L’austero chiostro di San Simpliciano si è vestito di tessuti per diventare una sorta di salotto all’aperto.

In via Meravigli, Palazzo Turati è in fiore e viene voglia di fare capriole.

Poco più avanti, nel cortile di Palazzo Littain corso Magenta, ci accoglie il “Tempietto nel bosco”. Sottili colonne rosso-ciliegia ricordano la verticalità del Duomo e sono quasi legate tra loro da riposanti amache che sembrano invitare all’otium, a fermarsi un momento prima di ripartire.

Saliamo l’imponente scalone dove spicca una moto di rame, immagine aerodinamica di movimento e velocità.

Negli splendidi saloni di questo palazzo, purtroppo raramente aperto al pubblico, sono esposti, tra l’altro, moderni vetri dalle linee pulite, che sembrano colori senza materia e sfere bianche che riflettono l’ambiente circostante.

In un’altra sala un progetto, che sembra quasi un gioco, è un invito a riflettere sulle innovazioni nel campo di abitazione, movimento e sostenibilità, temi al centro del Fuorisalone 2018.

A presto per la seconda parte di questo album…

Le origini di Palazzo Marino tra storia e leggenda

La notizia è apparsa il 29 dicembre 2016 sul Corriere della Sera: “C’è un folletto maligno che si aggira per Palazzo Marino… un dibbuk burlone che sembra aver preso di mira il sindaco…”. L’articolo riportava di alcuni “incidenti” ad antichi arredi avvenuti nella sede del nostro Comune.

Questa strana nostra città non finisce mai di stupirci: tra qualche giorno si vestirà di novità per il Salone del Mobile e sarà ancora una volta sotto i riflettori per il design più innovativo. A luci spente, invece, Milano racconta di antichi arredi presi di mira da qualche spiritello dispettoso, nella sede ben sorvegliata del Comune.

Diamo un’occhiata a una vecchia storia, intrico di fili tra verità e leggenda, avvenuta qualche secolo fa proprio a Palazzo Marino. Ci sarà qualche legame col nostro spiritello?

Iniziamo a raccontarla partendo, come in alcuni romanzi, da un vecchio manoscritto, anzi, in questo caso, da una filastrocca, quasi dimenticata, per le “conte” dei bambini.


“Ara, bell’Ara discesa Cornara, de l’or fin, del cont Marin strapazza bardocch, dent e foeura trii pitocch, trii pessitt e ona massoeura, quest l’è dent e quest l’è foeura” (Ara, bell’Ara della famiglia Cornaro, dai capelli di oro fino, appartieni al conte Marino strapazza preti, dentro e fuori ci sono tre “bravi”, tre pesciolini e una mazza, questo è dentro e questo è fuori).

Chi sono i protagonisti? Lei, Arabella Cornaro (o Corner), era una giovane, bellissima veneziana di nobili origini (discendeva dalla famiglia di Caterina Cornaro, Regina di Cipro). Aveva i capelli biondi come l’oro fino. Perchè non darle il volto di Marilyn?

Lui, Tommaso Marino, era un anziano banchiere genovese che aveva accumulato fortune e potere con l’appalto del sale, prestando denaro ad usura anche al governatore spagnolo di Milano e persino all’imperatore Carlo V.

Vedovo, con figli già grandi, la leggenda racconta che, a 78 anni, vide Arabella in piazza San Fedele (o come si chiamava allora) e se ne innamorò perdutamente.

Forse la chiese in sposa, forse no; la fece comunque rapire dai suoi “bravi” e mise la famiglia di lei davanti al fatto compiuto. I Cornaro chiesero per Arabella un palazzo bellissimo a Milano, simile a quelli a cui la novella sposa era abituata a Venezia.

Ca’ Corner della Regina

Il vecchio conte Marino chiamò un famoso architetto che aveva già lavorato a Genova, Galeazzo Alessi.

Nel 1550 venne posta la prima pietra del nuovo palazzo dopo che il conte aveva acquistato e fatto abbattere un edificio in San Fedele insieme ad altri, che aveva espropriato, diroccati e abitati da povera gente nella vicina via Case Rotte.

L’ingresso principale era in piazza San Fedele in quanto rivolto verso il Duomo, o forse era un omaggio romantico al primo incontro con Arabella.

Avete notato come Palazzo Marino non abbia il tetto spiovente, ma dei terrazzi come si usa nelle città di mare?

Non sappiamo quale sia stata la vita della giovane donna, a quali soprusi sia stata sottoposta, cosa abbia fatto per ritagliarsi uno spicchio di vita.

Un giorno la trovarono morta in un palazzo di famiglia a Gaggiano, impiccata al baldacchino del letto. Fu una morte misteriosa e tragica e Arabella, come Marilyn, portò con sè i segreti della sua fine.

Rumors sussurravano che ad ucciderla, o a farla uccidere, fosse stato l’anziano marito; altri, invece, sostengono che tutta la storia sia stata inventata e che, invece, ad uccidere la propria moglie, una nobile spagnola, fosse stato uno dei figli del Marino. Quante bambole ci sono oggi sul muro di Porta Ticinese, a ricordo dei femminicidi di ogni epoca!

Si dice anche che i parenti di Arabella, o le tante persone rovinate dal conte, scagliarono una maledizione contro Palazzo Marino:
“Congeries lapidum multis constructa rapinis, aut ruet, aut uret, aut alter raptor rapiet (Mucchio di pietre, costruito con molte rapine, o crollerà, o brucerà, o un altro ladro lo ruberà)”

Ovviamente sono solo leggende, ma… i guai arrivarono a frotte. Il palazzo non fu finito nè dal Marino nè dall’Alessi, che morirono entrambi nel 1572; il vecchio conte cadde in disgrazia e perse molti dei suoi averi, tra cui quasi tutto il Palazzo, che fu espropriato; una sua figlia, Virginia, morì di peste lasciando una bimba, Marianna, nata proprio a Palazzo Marino, in un appartamentino rimasto alla famiglia. Questa bambina diventerà la Monaca di Monza.

Il palazzo andò via via in rovina e venne restaurato solo a fine Ottocento da Luca Beltrami, che lo ribaltò costruendo la facciata principale, col nuovo ingresso, verso piazza della Scala.

Cosa resta oggi di questa storia? Un palazzo autorevole che porta il nome del primo proprietario, il salone d’onore, dedicato all’Alessi, una misteriosa filastrocca e, forse, uno spiritello dispettoso che ogni tanto torna a Palazzo Marino.

A presto…