Continuiamo il nostro itinerario andando, dopo largo Richini, verso via Sant’Antonio, anche questa fuori dai consueti giri turistici. È un vero peccato: la splendida chiesa col chiostro bramantesco e, di fronte, l’austero Palazzo Greppi lasciano stupiti i visitatori.
Forse sarebbero ancora più meravigliati pensando a quando i maiali avevano, in questa zona, assoluta libertà, come le Vacche Sacre indiane.
Infatti, qui, fin dal 1200, alcuni frati dell’Ordine di Sant’Antonio Abate ottennero la direzione di uno dei primi ospedali milanesi, per la cura del Fuoco di Sant’Antonio. Questa malattia era molto diffusa e si curava con un unguento ottenuto dal grasso di maiale. Nell’iconografia tradizionale Sant’Antonio Abate veniva rappresentato con un bastone terminante con una Tau e con un maiale vicino.
Per aumentare la produzione di questo unguento i frati allevavano i maiali, che venivano marchiati con una Tau, simbolo dell’Ordine, liberi di razzolare ovunque, protetti da quel “logo”.
La Tau, che corrisponde all’ultima lettera dell’alfabeto ebraico, fu usata anche dai Francescani ed in alcuni mappamondi simbolici.
I frati ricevevano cospicue offerte per questo allevamento, avevano a disposizione tutta la carne, che consumavano nell’interno del convento e facevano commercio di indulgenze.
Dante stigmatizza tutto ciò in una terzina del Paradiso (Canto XXIX).
L’ “Hospitale Porcorum” si trovava dunque non lontano dall’odierna chiesa di Sant’Antonio, costruita successivamente, nella prima metà del Seicento. quando ormai i malati ricorrevano alle cure della vicina Ca’ Granda.
Questa chiesa è un vero gioiello milanese, anche se poco conosciuto e merita assolutamente una visita.
Vi segnaliamo in particolare un’opera di Fede Galizia, figlia d’arte, una delle poche pittrici, donna fra tanti uomini.
A cavallo tra il Cinquecento ed il Seicento, dipinse soprattutto nature morte, ritratti e personaggi celebri dei quali curò in particolare costumi e ornamenti.
In questa chiesa, tenuta aperta dai volontari del Touring, abbiamo scoperto una piccola chicca: la tomba di un fratello di quel Ludovico Acerbi, conosciuto come “il Diavolo di Porta Romana”, nella Cappella Acerbi, commissionata e finanziata dallo stesso Ludovico.
Accanto alla chiesa si conserva il chiostro bramantesco dell’antico convento, mentre un altro chiostro, attiguo, è stato coperto e viene utilizzato come sede di convegni.
Oltre a questo gioiello, visitabile al numero 5 di via Sant’Antonio, si ammira anche lo splendido campanile, capolavoro dell’arte lombarda, che reca in cima la croce a Tau degli Antoniani.
Quasi di fronte alla chiesa, al numero 12, si trova il Palazzo Greppi, progettato dal Piermarini alla fine del Settecento, per mettere in evidenza il potere di un nuovo ricco, Antonio Greppi, industriale della lana, banchiere e appaltatore delle tasse.
La sontuosa dimora e le feste che vi si svolgevano, ottennero l’effetto desiderato e Antonio Greppi, nominato conte dall’Imperatrice Maria Teresa, fu accettato dal Gotha milanese. In seguito, specialmente con i suoi tre figli, il palazzo divenne centro della vita sociale milanese.
La facciata appare piuttosto austera, come consuetudine delle ricche dimore milanesi dell’epoca, mentre gli interni sono fastosi.
Oggi Palazzo Greppi ospita uffici dell’Università Statale e, nei suoi bellissimi saloni, convegni e conferenze.
Una curiosità: tra la chiesa e Palazzo Greppi si trovava una colonna con prezioso capitello, rimasta unica in mezzo alla strada e ora custodita al Castello Sforzesco. Costituiva un notevole intralcio per le carrozze ed i pedoni e i passanti dovevano scansarsi in fretta per non “impastass sul mur come una Madonna”, forse riferendosi alla Madonnina dipinta sul muro d’angolo con via Chiaravalle.
Il nostro itinerario, che parla di tesori quasi sconosciuti, di vecchie storie e di antiche dimore milanesi, è terminato. Sta a voi, come ad Alice nel Paese delle Meraviglie, decidere quale direzione prendere: siamo a due passi dalla Statale, da San Bernardino alle Ossa, dal Verziere e da Porta Romana.