Quattropassi nel Liberty: la zona Magenta

Il nostro viaggio nella Milano Liberty è iniziato dal Trianon dove è nata la “Mia bela Madunina”; poi, con un vecchio tram dell’epoca, ci siamo “recati” al quartiere dell’Umanitaria di via Solari, realizzato in occasione di Expo 1906, esempio un po’ sconosciuto di edilizia popolare dal sapore Liberty.

L’elegante signora di questa cartolina del 1906 ci “guiderà”, invece, a visitare una delle zone più belle e interessanti della nostra città, ricca di palazzi nello stile che aveva affascinato la borghesia dell’epoca: la zona Magenta.

Passeggiando in questa zona residenziale, tranquilla e riservata, con poca vocazione commerciale, ci troviamo immersi in una rivista di architettura Liberty.

L’intraprendente borghesia milanese di allora, volendo mostrare la propria ascesa economica e sociale, aveva visto in questo stile internazionale una ventata di novità e di apertura alle esperienze europee. Gli architetti più in vista del momento avevano sperimentato una grande libertà compositiva fatta per essere guardata e dare prestigio a chi vi abitava.

Tra queste strade, disegnate in modo ordinato e con ampie visuali, a volte appaiono sullo sfondo i grattacieli di CityLife. Ancora una volta, possiamo cogliere i contrasti, talvolta stridenti, della nostra città tutta da guardare e capire.

Iniziamo il nostro percorso dalla Casa Laugier (1906) alla fine di corso Magenta angolo piazzale Baracca, quasi una porta tra centro storico e nuovo quartiere.

Questo imponente palazzo d’angolo è ricco di decorazioni Liberty: decori in cemento, splendidi ferri battuti del Maestro Mazzucotelli, ceramiche di pregio. Al piano nobile teste di leone in cemento sembrano indicare prestigio e potenza.

 

Come altri edifici Liberty, Casa Laugier prevedeva negozi al piano terre. Non perdiamoci, dunque, la farmacia Santa Teresa, che mantiene intatto il fascino del tempo con l’insegna originale e gli interni in vetro e legno lucido.

La nostra passeggiata continua verso piazza Conciliazione, dove, al numero 1, troviamo Casa Binda (1900), considerata uno dei migliori esempi di Liberty di rito ambrosiano, dal momento che questo stile assunse caratteristiche un po’ diverse da nazione a nazione e a volte da città a città.

Il palazzo è molto grande, ma il volume è reso più mosso dalle curvature e dall’utilizzo di materiali diversi, tra cui il cotto, antico colore della nostra città. Decorazioni floreali in cemento e ferro battuto completano la facciata.

L’interno è spettacolare: ferri battuti, vetrate, colonne, soffitti a cassettoni.

Infine un’occhiata all’ascensore dell’epoca, ancora perfettamente funzionante: all’interno sembra un salottino Liberty con sedute in velluto. È da WOW!

La nostra rivista Liberty continuerà tra poco “sfogliando” i palazzi delle vie intorno.

A presto…

Riciclando in verde: parliamo di ikebana

Per il nostro consueto appuntamento, prendiamo spunto dal giardino zen di piazza Piola e parliamo di ikebana, l’antica arte giapponese praticata in origine da nobili e monaci come offerta votiva e come forma di meditazione e di riflessione contemplativa.

Ikebana propriamente significa fiore (bana) che vive (ike) e dietro quest’arte è sottesa la filosofia orientale che porta l’uomo a recuperare un armonico rapporto con se stesso e la Natura. Più green di così!
Nel corso del tempo, l’ikebana ha dato luogo a diversi stili.

Oggi, specialmente in Occidente, si privilegia la creatività, l’uso di materiali vari e di elementi vegetali legati, se possibile, al ciclo delle stagioni.
Nelle composizioni, che richiamano l’idea di un triangolo, c’è sempre un elemento più alto che rappresenta il Cielo a cui tende quello intermedio, l’Uomo. Alla base, più in basso, c’è l’elemento Terra, generalmente posto davanti agli altri due.

Ne nasce una composizione asimmetrica, spesso con un elemento allungato che sembra “uscirne”, fatta di vuoto e di pieno, che dà l’idea di movimento, di dinamismo e di divenire.

Si possono usare rami, foglie, fiori, ognuno con un preciso significato. Il bambù, ad esempio, rappresenta la prosperità: ecco perché, per le festività di fine anno, troviamo composizioni con questo vegetale. Perché, con poca spesa, non tenerne in casa uno tutto l’anno?

Cosa occorre per realizzare una composizione? Tanto e poco. Infatti sono pochi i materiali richiesti: un ramo spoglio o con boccioli, foglie, qualche fiore, tutti ovviamente da tagliare ad altezze diverse per rappresentare cielo, uomo e terra.

Occorrono poi un paio di forbici, un supporto per mantenere la verticalità delle piante (va bene anche un po’ di spugna per fioristi oppure un pezzetto di rete per polli; i professionisti usano il kenzan), acqua, terra, un po’ di muschio come copertura. Infine serve un contenitore basso o un vaso a scelta.

E’ necessario veramente poco … e al tempo stesso moltissimo: nella composizione quello che conta davvero è mettere in gioco i nostri pensieri, concentrandoci solo su ciò che stiamo realizzando, lasciare spazio alla nostra creatività con il desiderio di partecipare e di rendere grazie all’armonia e alla bellezza del Creato.

 

A presto…

 

I “giardini delle donne”: il nido zen di Teresa Pomodoro

Tra i “giardini delle donne” c’è un nido un po’ nascosto tra le piante della grande aiuola centrale di piazza Piola.

Improvvisamente, tra i viottoli, le siepi e le aree per cani e i loro accompagnatori, ci troviamo di fronte al primo giardino zen della nostra città, creato recentemente e dedicato a Teresa Pomodoro, l’artista, regista, drammaturga e attrice che ha voluto e diretto il Teatro No’hma nella vicina palazzina ex-Acqua Potabile di via Orcagna.

Questo piccolo spazio è protetto da un paravento verde di ventun ciliegi che, per breve tempo, si dipinge di rosa, colorato dai fiori che per i giapponesi rappresentano l’effimera bellezza della vita.

Così due haiku:

“Cadono i fiori di ciliegio / sugli specchi d’acqua della risaia: / stelle / al chiarore di una notte senza luna.” (Yosa Buson 1716-1784)

“Ciliegi in fiore sul far della sera / anche quest’oggi / è diventato ieri.” (Kobayashi Issa 1763-1827)

Al centro di questo “nido” della nostra città, fermiamoci a guardare l’installazione di Kengiro Azuma, l’artista giapponese che aveva trovato a Milano lo spazio in cui vivere e lavorare.

Sopra cinque gradoni cilindrici in marmo, sono poste alcune sculture in bronzo: una goccia, simbolo dell’acqua, e due rospi che sembrano conversare tra loro come avevano fatto per tanto tempo l’artista italiana e lo scultore giapponese.

Questo giardino dei ciliegi è un invito a fermarsi, a pensare e riflettere sui bisogni e sull’unione tra noi e il pianeta, magari seduti sulle essenziali, anche se sembrano scomode, panchine di pietra.

Qui arte e natura, vuoto e pieno si uniscono in armonia ed equilibrio. Da questo “nido” nasceranno per noi nuovi pensieri?

A presto…