Un fiore per le mamme da Orticola

Passeggiare tra i fiori e le piante di Orticola non è solo un piacere, ma è anche riflettere sulla bellezza e sul grande dono che abbiamo davanti agli occhi: la Natura che ci ospita.

 

Orticola, la tradizionale mostra-mercato di piante, ci offre bellezza, colore, biodiversità fatta di fiori. Dietro questa manifestazione ci sono passione e lavoro di tante persone. Ogni pianta e ogni fiore, per crescere e sbocciare, hanno bisogno di amore, cure, attenzioni tutti i giorni, sempre… proprio come fanno le mamme. A tutte le mamme di ieri, oggi e domani, grazie con un fiore colto ad Orticola.

 

A presto…

 

Moti dell’animo e gesti nell’Ultima Cena (parte seconda: Gesù)

Riprendiamo il nostro viaggio nel microcosmo umano dell’Ultima Cena guardando i personaggi colti nel momento successivo alle parole di Gesù “uno di voi mi tradirà”. Ognuno è diverso dall’altro ed esprime le proprie emozioni e la propria personalità attraverso l’espressione del volto, la postura, il movimento delle mani. In un istante, l’Io dei personaggi si rivela e forse un po’ anche quello di ciascuno di noi che cerchiamo di capirli.

 

Gesù. Al centro della scena, si trova, solitaria, la figura di Gesù, sul cui volto convergono le linee di fuga del dipinto: è in Lui la nostra prospettiva? Sopra il suo capo sembra esserci traccia del foro di un chiodo da cui, forse, potrebbero essere partite le corde per indicare le linee prospettiche di tutto il dipinto

 

Contrariamente alla tradizione, non c’è aureola, ma è la luce stessa del giorno che sta calando a illuminare il suo capo. O da lui che si diffonde la luce di questo giorno che va verso la fine? Occhi e bocca sono socchiusi, il volto immerso nel dramma del prossimo sacrificio, ma quasi sereno nella sua accettazione. Il Vasari scrive che il viso di Gesù venne dipinto per ultimo e lasciato volutamente “imperfetto” perchè era impossibile dipingere “quella bellezza e celeste grazia… de la divinità incarnata”.

 

Osserviamo le sue mani, che hanno posizioni quasi contrastanti: la destra esprime tensione, sembra quasi contratta e ci ricorda quella di Maria nella prima versione della Vergine delle Rocce; la sinistra è aperta, col palmo rivolto all’insù ed è accostata a un pane e a del vino.

 

Seguendo la tradizione bizantina, Gesù indossa una tunica rossa e un mantello blu, simboli rispettivamente della sua natura umana (rosso) e divina (blu). I gesti delle mani sembrano seguire la simbologia di questi colori. La destra, che esce dalla tunica rossa, appare tesa, quasi a dover prendere qualcosa di pesante e grave (natura umana); la sinistra, invece, dalla parte del blu, rivela l’offerta e l’accettazione del proprio sacrificio (natura divina).

 

Guardiamo anche la mano destra di Gesù e la sinistra di Giuda, così lontane e così vicine, si stanno avvicinando allo stesso piatto: “Colui che ha messo con me la mano del piatto, quello mi tradirà” (Mt. 26,23).

 

La risposta alle parole di Gesù, che hanno sconvolto gli apostoli, era già lì, sotto gli occhi di tutti. Grande Leonardo e grande anche il priore teologo di Santa Maria delle Grazie che seguiva incessantemente il lavoro del Maestro! Prossimamente guarderemo le mani degli Apostoli…

A presto…

 

 

Mughetto, il fiore di maggio

Buona prima giornata di maggio, mese ricco di tradizioni ed eventi da festeggiare con un fiore.

 

Tra qualche giorno la nostra città si vestirà dei fiori di Orticola (dal 9 al 12 maggio) e del Museo Diocesano (17, 18 e 19 maggio); inoltre, il Museo di Storia Naturale (fino al 12 maggio) ospita le tavole con illustrazioni botaniche di “Gardenia” per festeggiare i primi 40 anni della rivista.

 

Ci piace, quindi, iniziare questo mese parlando di un fiore che porta bene e a cui è legata la festa di oggi: il mughetto, piccolo fiore antico dall’intenso profumo che spunta libero nei boschi.

 

Lo offrivano già Celti e Romani in segno di amicizia e buona sorte; se ne adornavano le giovani spose a maggio per il giorno del loro matrimonio; si pensava persino che fosse una scala per raggiungere il Paradiso o, per lo meno, la positività con cui affrontare tempi difficili.

 

A questo fiore sono legate tante leggende che abbiamo già raccontato. Ne abbiamo trovata un’altra, molto tenera e piena di speranza. Un usignolo si era innamorato di un rondinella. Lei era un po’ ritrosa, ma una fatina buona era intervenuta e i due innamorati avevano raggiunto la felicità. Il tempo, però, era passato veloce e la rondinella doveva migrare con le sue compagne.

 

Come pegno di amore aveva lasciato all’usignolo tre piccole piume bianche che la fatina aveva trasformato in mughetto con la promessa che sarebbe rifiorito la prossima primavera, quando la rondinella avrebbe fatto ritorno dal suo innamorato.

 

Questo piccolo fiore, nel tempo, ha significato buona fortuna, anche se può essere piuttosto velenoso… Forse per tenere lontano guai e guastafeste.

 

Probabilmente lo pensava anche la fascinosa Sissi, che aveva a Venezia, nel Palazzo Correr, un piccolo boudoir dipinto con mughetti e fiordalisi, dove si faceva bella.

 

Il mondo della moda è molto legato a questo fiore. Un imprenditore, a inizio Novecento, aveva regalato dei mughetti alle sue sartine proprio il Primo Maggio, festa del Lavoro.

 

Anche il grande Christian Dior credeva fortemente nel mughetto come portafortuna. In una sfilata aveva fatto cucire qualche rametto all’interno o nell’orlo degli abiti delle indossatrici e lui stesso a volte lo portava all’occhiello come scaramanzia.

 

Non solo: negli anni Cinquanta dedicò a questo fiore diverse creazioni di abiti e gioielli, veramente molto belli e iconici.

 

Infine la maison offre ora questa idea per una colazione di maggio, bella e augurale!

 

Buon mese di Maggio a tutti!

A presto…

Fuorisalone 2024 tra piante e fiori

Milano sboccia con il Fuorisalone. Edifici storici fanno da cornice a installazioni d’autore e sembrano attraversati da una ventata di novità.

 

Come fiori recisi, alcuni luoghi, in piena fioritura nelle precedenti edizioni, ora sono un po’ appassiti o trasformati; altri, invece, entrano in questa kermesse facendo anche conoscere angoli meno noti della nostra città del secolo scorso, talora un po’ in disparte e a volte dimenticati.

 

Come api di uno sciame ci spostiamo da un luogo all’altro, da un distretto all’altro, alla ricerca di qualche “fiore” su cui posare lo sguardo. Alla Rotonda della Besana anche la Lego gioca con la natura e crea insoliti fiori.

 

Per questo Fuorisalone abbiamo scelto di guardare soprattutto le piante e i fiori che spesso accompagnano le diverse installazioni.

 

Iniziamo questo viaggio nel verde da piazza Duomo con l’Oasi Zegna inaugurata proprio per questa Design Week. Le aiuole, ancora un po’ spoglie, sono composte da piante di canfora, rododendri e piccoli fiori caratteristici dell’omonimo parco naturale delle Alpi biellesi.

 

Queste piante hanno sostituito, dopo un concorso, palme e banani che avevano fatto tanto discutere, ma che si erano, infine, bene integrati nel nuovo habitat. Si dice che verranno ripiantati altrove… Siamo sicuri sia un buon messaggio cambiare le piante dopo qualche anno, all’arrivo di un nuovo sponsor? Rispetto per l’ambiente o per il business?

 

Ben altri messaggi sono quelli di Città Miniera di Solferino 28, dove gli edifici sperimentali sono costruiti con cassette di legno e le piante viste come una risorsa per l’ambiente.

 

Scrive un vivaista che ha curato questo progetto: “Le piante hanno la capacità di adattarsi e di utilizzare un limitato quantitativo di risorse… In cambio assorbono anidride carbonica e donano ossigeno… Fissano le polveri sottili e regalano ombra e oasi di tranquillità”. Chi non vorrebbe riposare un po’ su questa panchina del giardino di Palazzo Reale?

 

Ai Giardini Cederna, davanti all’Università Statale, ci sono alcuni alberi coi tronchi vestiti a festa per sostenere la piantumazione a favore di comunità contadine.

 

Anche quest’anno molta attenzione è stata riservata alla sostenibilità ambientale come l’utilizzo di materiale di origine vegetale, come questi mattoni di canapa

 

E se la natura abbatte le piante? Ecco qualche esempio di riciclo creativo, come questi originali totem, esposti in piazza San Fedele, e realizzati, dopo il nubifragio del luglio scorso, col legno di alcuni degli alberi sradicati.

 

Infine, una miscellanea di immagini, non solo di piante e fiori, che abbiamo colto qua e là.

 

Per i romantici che hanno nostalgia della nebbia lombarda, chiudiamo con questa installazione tra acqua e nebbiolina, realizzata da Amazon all’Università Statale.

A presto…

Moti dell’animo e gesti nell’Ultima Cena (parte prima).

Quando recentemente abbiamo ammirato il “Compianto sul Cristo morto” al Museo Diocesano, siamo stati colpiti dalle mani dei personaggi che facevano trasparire le loro emozioni. Immediatamente abbiamo pensato all’Ultima Cena che ci “prenderà per mano” guidandoci in un viaggio anche dentro di noi.

Dal Compianto all’Ultima Cena

Come può un dipinto di arte sacra del Quattrocento essere fonte di ispirazione per artisti contemporanei e parlare all’uomo di oggi?

 

Una risposta la possono dare le quattro opere esposte al Museo Diocesano che interpretano le emozioni suscitate dal Compianto di Giovanni Bellini alla luce della sensibilità dei nostri giorni.

 

In questo dialogo tra l’artista rinascimentale e quelli contemporanei, al centro ci sono i temi universali della morte, del dolore e dell’amore che riesce a superarli. Nel Compianto le mani dei personaggi che sorreggono, curano, accudiscono e quasi accarezzano la figura di Gesù prima della sepoltura, sembrano essere la risposta fatta di gesti e sentimenti, condivisa dai presenti, alla sofferenza e al mistero della morte. .

 

Qual è, invece, la risposta dell’uomo di fronte alla minaccia e al pericolo che incombe su chi si ama? Guardiamo quel microcosmo umano dei personaggi dell’Ultima Cena di Leonardo. Ancora una volta sono il linguaggio del corpo e le mani che parlano in silenzio.

 

A differenza del Compianto, in cui tutto sembra già avvenuto e dove, forse, c’è anche spazio per la speranza di una vita ultraterrena, le mani dei presenti nell’opera di Leonardo stanno cercando risposte immediate alle parole di Gesù “uno di voi mi tradirà”. Sono mani che di fronte a un messaggio tanto sconvolgente manifestano emozioni forti e diverse, nelle quali ciascuno rivela la propria u-mani-tà e ha, per così dire, il cuore in mano.

 

L’Ultima Cena è al centro di un numero tale di letture e interpretazioni (talvolta persino fantastiche) da sembrare quasi un dipinto fatto per enigmi, per farci andare oltre e poi ancora oltre. Vittorio Sgarbi sostiene che Leonardo sia il più “psicoanalitico” dei pittori. Non daremo perciò le nostre risposte ai gesti espressi nell’Ultima Cena, ma li guarderemo insieme…

 

L’Ultima Cena era un soggetto tradizionale dell’arte sacra; ecco un dipinto del Ghirlandaio, del 1480. Come è diverso dal Cenacolo leonardesco!

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Leonardo, che era anche uomo di spettacolo per la corte sforzesca, blocca la scena, come in un fermo- immagine, nell’attimo successivo alle parole di Gesù, fotografando attesa e tensione, ira e incredulità, stupore e sgomento.

 

Tutti i personaggi sono seduti a tavola, dalla stessa parte, di fronte a noi che, come gli antichi frati del refettorio, siamo gli spettatori che assistono alla scena, invitati a decodificare gli innumerevoli messaggi (più o meno evidenti) di questa sorta di escape-room.

 

All’annuncio di Gesù, come in una sapiente coreografia, i discepoli si dividono in gruppi di tre (numero sacro). In questo movimento di corpi e di mani, Gesù rimane solo al centro della scena formando un triangolo tra capo e mani e un altro, a vertice capovolto, tra Lui e Giovanni (o Maria Maddalena, se amate la teoria in questo senso).

 

Teniamo conto, a proposito delle letture a cui si presta l’Ultima Cena, che Leonardo, uomo dalla cultura non sempre tradizionale, mentre dipingeva, era “sorvegliato a vista” dal Priore delle Grazie, Vincenzo Bandello (zio del famoso Matteo Bandello), severo teologo domenicano, che verificava il rispetto dell’ortodossia nel dipinto.

 

L’artista, forse infastidito, aveva “minacciato” per scherzo di utilizzare il volto del religioso come modello per quello di Giuda. Scrive infatti Leonardo: “Vi porrò quello, di questo padre priore, c’ora mi è sì molesto, che meravigliosamente gli si confarà.“.

 

Nel prossimo articolo guarderemo insieme i gesti e le emozioni che “parlano” nell’Ultima Cena.

Oggi, 15 aprile, è il compleanno di Leonardo. Tanti auguri, Maestro!!!

A presto

Pasqua d’autore al Museo Diocesano

Quest’anno il Museo Diocesano, in occasione della Pasqua, propone come spunto di riflessione il “Compianto sul Cristo morto” di Giovanni Bellini, opera proveniente dai Musei Vaticani.

 

Questo dipinto venne realizzato verso il 1475 nell’officina veneziana dell’artista per l’altare maggiore della chiesa di San Francesco a Pesaro. L’opera era la cimasa di un altro più grande quadro dello stesso autore, “l’Incoronazione della Vergine”, dello stesso autore, che oggi si trova nel Museo Civico della città marchigiana. Ecco la ricostruzione allestita al Diocesano.

 

La Pala del Compianto non è molto grande (misura circa 1 metro per 85 centimetri) e rappresenta il momento in cui il Corpo di Cristo viene cosparso di unguenti prima di essere deposto nel Sepolcro.

 

La scena si svolge all’aperto sotto un cielo azzurro, quasi simbolo di speranza fra tanto dolore.

 

Intorno al Cristo ci sono Giuseppe d’Arimatea, Nicodemo e una giovane e bellissima Maddalena. I loro volti sono assorti e composti, gli occhi socchiusi come se tutte le lacrime ormai fossero state versate e il dolore si rivelasse ora in un gesto di amore e di estrema pietà.

 

Sappiamo dai Vangeli che Giuseppe d’Arimatea era andato da Pilato per chiedere il Corpo da deporre nel sepolcro. In questo dipinto è lui, vestito con un ricco abito rosso, che sorregge Gesù, quasi appoggiandolo al proprio corpo, tanto che il suo volto rimane seminascosto e le loro barbe sembrano confondersi.

 

Nicodemo, la figura più alta nella scena, tiene in mano un prezioso vasetto di “mirra e aloe”, balsami con i quali la Maddalena sta ungendo le ferite di Gesù. Il volto dell’uomo esprime un profondo senso di meditazione e quasi di attesa.

 

Al centro di tutta la scena ci sono il Cristo e la Maddalena. La figura di Gesù è quasi seduta, con le gambe avvolte da un lenzuolo bianco. Sul costato spicca la ferita che sembra ancora aperta.

 

La Maddalena, accanto a Lui, tiene tra le sue la mano sinistra di Gesù, in uno struggente, dolcissimo intreccio, quasi per ricevere e offrire amore e conforto.

 

Questa immagine delle mani, così ricca di pathos ci ha fatto pensare a quelle dipinte da Leonardo nell’Ultima Cena, alle diverse emozioni e al groviglio di sentimenti (rabbia, stupore, accettazione…) che riescono ad esprimere. Ne riparleremo presto.

 

In questa Pala, invece, il Sacrificio si è ormai compiuto; questo è il tempo della pietà, del Compianto (piangere insieme), dell’estremo saluto con un gesto di amore e di speranza che va oltre la morte.

 

A tutti un affettuoso augurio per una Pasqua serena.

A presto…

Inizio della primavera in poesia

“Sono nata il ventuno a primavera,,,” Così Alda Merini, la poetessa dei Navigli, legava la sua nascita all’inizio della bella stagione.

 

Nel mese di marzo, poesia e primavera sono al centro di diverse iniziative. Tra queste, significativa è quella del Corriere della Sera, che ha proposto di dedicare alla poesia tutto questo mese, nel quale già si celebrano il 21 la Giornata Mondiale della Poesia, patrocinata dall’UNESCO, e il 25 il Dantedì, giorno in cui, secondo la tradizione, il Poeta si sarebbe perso nella “selva oscura” .

 

Intanto, nonostante piogge e nuvole di un marzo pazzerello, le strade e i giardini si colorano dei primi fiori, voglia di poesia della Primavera.

 

Cos’è stata la poesia per tre poetesse milanesi, Alda Merini, Antonia Pozzi e Leila Bonvini, profondamente diverse per personalità, cultura e vissuto? Le ricordiamo con i luoghi di Milano a loro legati.

 

Alda Merini è stata definita la Poetessa dei Navigli, una vita segnata da tante fragilità e da un grande desiderio di vita. Viene considerata una delle maggiori voci femminili del Novecento italiano, capace di trasformare in versi le diverse emozioni, positive e negative, della sua vita.

 

Antonia Pozzi, di famiglia agiata e di ottima cultura, è stata una scrittrice intensa e tormentata. Di lei è stato detto che: “il suo spirito faceva pensare a quelle piante di montagna che possono espandersi solo ai margini dei crepacci, sull’orlo degli abissi” (Maria Corti).

 

Di Antonia ci rimangono molte raccolte di poesie, pubblicate postume. Giovanissima, infatti, pose fine alla sua breve vita nei campi di Chiaravalle, quasi perchè la Ciribiciaccola potesse raccogliere i suoi ultimi respiri e accompagnarla verso la Pace.

 

Accanto a queste due grandi scrittrici, ricordiamo, infine, Leila Bonvini, una poetessa quasi sconosciuta, titolare della omonima, storica cartoleria, che ha saputo unire famiglia, lavoro e poesia. I suoi versi in dialetto milanese sono come fiori spontanei, semplici e inaspettati, quasi a suggerire che la poesia può nascere e trovare spazio anche nella quotidianità di una vita normale.

 

Ecco qualche altro verso delle tre autrici che esprimono quello che la poesia ha rappresentato per loro.
Iniziamo con Leila e ci scusiamo per gli errori che senz’altro abbiamo fatto trascrivendo il testo recitato dall’autrice.

Ti, poesia, famm da mama, che mi podi tirà el fia’, che mi senta la tua fiama in del coeur, tutt gibolà, a scaldamm e risturà per avegh forza ancamò de andà…

 

Per Alda la poesia è vita

Se la mia poesia mi abbandonasse
come polvere o vento,
se io non potessi più cantare,
come polvere o vento,
io cadrei a terra sconfitta
trafitta forse come la farfalla…

 

Infine per Antonia la poesia diventa qualcosa di fisico

“… e vivo della poesia come le vene vivono del sangue …”

 

Buona Primavera a tutti!

A presto…

La storica cartoleria dei Fratelli Bonvini

 

Il Corriere della Sera ha proposto di dedicare il mese di marzo alla poesia.

 

Questa iniziativa ci piace molto. I nostri tempi hanno bisogno di umanità e di poesia oggi e anche quando si pensa al futuro. Abbiamo quindi pensato di dedicare questa pagina del nostro blog ad una milanese DOC, Leila Bonvini, che è stata titolare di una storica cartoleria e autrice di poesie in dialetto milanese. Si parlerà di lei e di poesia al femminile il 15 marzo nella storica bottega di via Tagliamento 1, che Leila ha portato avanti per molti anni con il marito, Luigi Cambieri.

 

Questa cartoleria è stata fondata nel 1909 dai fratelli Bonvini, Costante e Luigia, in una zona tutta in divenire, tra il canale Redefossi, lo scalo Romana, capannoni, botteghe artigianali e tanto spazio dove costruire case.

 

L’imponente chiesa di San Luigi era terminata da pochi anni e il suo alto campanile scandiva le ore di vita e di lavoro degli abitanti di questo quartiere.

 

Ora la zona è molto cambiata. Il Redefossi scorre sotto la linea gialla della metropolitana, lo scalo Romana sta diventando il Villaggio Olimpico per le prossime Olimpiadi Invernali del 2026, i capannoni e lo spazio libero di un tempo sono stati trasformati in case e supermercati, la piazzetta davanti alla chiesa da parcheggio è diventata una graziosa isola pedonale.

 

In questo continuo cambiamento, solida e rassicurante, la cartoleria Bonvini è rimasta immutata, uguale a com’era oltre cent’anni fa, quasi radice di un albero secolare da cui spuntano sempre nuovi germogli.

 

Entriamo in questa storica bottega, che compare anche nelle guide turistiche della nostra città, ripensando all’atmosfera “vecchia Milano” di tanti anni fa quando Leila si rivolgeva in dialetto ai clienti e Luigi l’aiutava lasciando la propria chitarra, che suonava nei momenti di pausa.

 

Gli arredi sono ancora quelli di inizio Novecento, in legno con parti dipinte di verde. Il bancone, a ferro di cavallo, è circondato da scaffali con ante, antine, cassetti e cassettini per contenere, ben suddivisi, grandi e piccoli articoli.

 

Chi di noi (ormai nonni) non ricorda i pennini dalle forme diverse? I coniugi Bonvini (Luigi diceva, con bonaria ironia, che da quando si era sposato era conosciuto col cognome della moglie) aiutavano, sempre pazienti e sorridenti, a scegliere penne, matite e quaderni, quasi fossero i custodi degli strumenti da consegnare ai bambini perchè potessero sentire che stavano per trovare un tesoro: imparare a scrivere.

 

Per le “cose serie”, da grandi, c’erano i tasti delle macchine da scrivere, come le mitiche Olivetti che oggi sono esposte in questa cartoleria-museo, ricca di oggetti di modernariato che riguardano il mondo della scrittura e che si possono ammirare ancora oggi.

 

Sopra il bancone del locale, c’è ancora il soppalco d’epoca, con la balconata anch’essa in legno verde. L’affitto, dicevano i proprietari con ironia e concretezza tutta milanese, si paga da terra al soffitto.

 

Nel corso del tempo la cartoleria era diventata anche tipografia e legatoria. Si stampavano documenti commerciali, locandine, biglietti da visita, partecipazioni di nozze e battesimi, immaginette per ricordare chi non c’era più. Si rilegavano dispense di enciclopedie, libri rovinati, tesi di laurea… Lo scorrere della vita di questo quartiere è passato anche da qui e da queste macchine da stampa, ancora oggi perfettamente funzionanti.

 

Da una decina d’anni la “Bonvini” è passata a un gruppo di soci che ha voluto mantenere intatta la vecchia bottega con un attento recupero. Oltre alla vendita di materiali per la scrittura, di libri e di stampe artistiche scelti sempre con appassionata attenzione, vi si tengono incontri, corsi, mostre ed eventi come questo sulla poesia.

 

Questa cartoleria, un tempo prevalentemente di quartiere, oggi è diventata anche un importante centro di riferimento culturale per la nostra città, una bottega-museo da conoscere.
https://www.bonvini1909.com

A presto

Alla BIT alcuni itinerari di Morimondo

La Lombardia riscopre il turismo o il turismo riscopre la Lombardia? Ce lo siamo chiesti alla 44esima edizione della BIT di quest’anno. che ha avuto luogo agli inizi di febbraio.

 

In questa manifestazione è stato presentato il brand “Lombardia Style” per valorizzare il turismo e le eccellenze della nostra regione.

 

Se Milano ha fatto da traino prima con l’Expo, poi con le sue varie “settimane”, i “fuorisalone” e le sue offerte di vita contemporanea, ora si parla di riscoprire altre zone lombarde ricche di fascino ambientale e culturale, non meno attrattive (laghi, montagne, città d’arte, borghi, paesaggi, storia…). Ecco come l’artista siciliano Domenico Pellegrino ha rappresentato alla BIT la nostra regione.

 

La nostra è la regione italiana con il maggior numero di siti Patrimonio UNESCO, considerati patrimoni dell’Umanità, mica poco!

 

Inoltre alle visite per ammirare paesaggi e luoghi si possono aggiungere pause enogastronomiche per degustare piatti e specialità regionali. La cucina lombarda è ricca di tanti prodotti e sapori; come poi dimenticare piatti iconici come il risotto, la cotoletta e il panettone?

 

La nostra regione offre, per così dire, tanti “turismi” da quelli che appagano il nostro bisogno di natura e di cultura a quelli più lenti e intimi di cui ha bisogno il nostro spirito. In questa direzione vanno i diversi “cammini” come la Strada delle Abbazie, di cui abbiamo tanto parlato.

 

Lungo questa strada una meta importante è il borgo di Morimondo, situato nel Parco Regionale del Ticino, a circa 30 chilometri da Milano, considerato da Lombardia Style tra i 25 più belli della nostra regione per gli aspetti ambientali, storici, artistici e naturalistici.

 

Oltre all’Abbazia, molte sono le attrazioni di Morimondo. Ci sono antiche porte e costruzioni, opere d’arte moderna all’aperto, il Museo di Arte Sacra (che contiene, tra l’altro, bellissimi presepi provenienti da Santa Maria delle Grazie e ambientati a Milano o nelle nostre campagne); infine non dimentichiamo l’ottima cucina di alcuni ristoranti locali.

 

Morimondo, poco distante da importanti strade, cammini e vie d’acqua, è stato, da sempre, non solo un punto di arrivo, ma anche di passaggio e di partenza. Si trovava, infatti, vicino all’antica via romana “Mediolanum – Ticinum (l’odierna Pavia)” e alla “Via del Sale”, che dall’Adriatico arrivava fino a Milano risalendo con barconi il Po, il Ticino e i Navigli fino alla Darsena.

 

Inoltre non era lontano dalla strada che, passando per Vigevano e Mortara, conduceva al “Cammino di Santiago di Compostela” e anche dalla via “Francisca del Lucomagno”, che collegava la regione svizzera del lago di Costanza con la “Via Francigena”, percorsa da viandanti e pellegrini diretti a Roma.

 

La posizione tra Milano e Pavia sempre in lotta fra loro, in epoca comunale, non fu certo favorevole a Morimondo e alla sua pace. Con San Carlo Borromeo passò, infine, sotto lOspedale Maggiore di Milano e, tra mille difficoltà e vicissitudini, ancora oggi molti terreni appartengono alla Fondazione Patrimonio Ca’ Granda.

Questa Fondazione, che ha ricevuto il riconoscimento UNESCO “Man and Biosphere” per la tutela ambientale, svolge diverse attività molto belle e interessanti nell’Oasi Ca’Granda, tra il Ticino e l’Adda.

https://oasicagranda,it

 

Da Morimondo, seguendo i suggerimenti contenuti in un pieghevole distribuito negli Uffici Turistici del borgo, possiamo fare una bella passeggiata tra i campi, a piedi o in bicicletta (che si può anche affittare in loco) lungo il “Sentiero delle Cinque Chiese”.

 

https://ente.parcoticino.it/eventi/anello-dellabbazia-o-delle-cinque-chiese/

Partendo dal piazzale dell’Abbazia, si attraversa un paesaggio agricolo che sembra lontano anni luce da Milano.

 

Percorrendo una ciclabile si incontrano campi, marcite, cascine e piccole, semplici chiese che avrebbero bisogno di molte cure; forse, però, le tante rughe del tempo sono parte del loro loro fascino.

 

Infine un’ultima curiosità: questo borgo fa parte di un itinerario veramente fuori dal “comune”. Il Parco del Ticino è attraversato dal Sentiero Europeo E1 che unisce, nientepopodimeno, Capo Nord in Norvegia con la Sicilia.

 

Magari non arriveremo ai fiordi, ma un’escursione in auto, a piedi o in bicicletta fino a Morimondo è da non perdere!

 

A presto…

Milano dal finestrino del “Carrelli”

Ha percorso, sferragliando sulle rotaie, quasi un secolo di storia milanese e attraversa ancora la nostra città legando centro e periferie, zone più o meno recenti dalle diverse atmosfere.

 

L’abbiamo aspettato alle fermate, sbuffando per l’attesa e sospirando di sollievo vedendolo finalmente arrivare con il suo grande occhio luminoso da ciclope buono.

 

In questi giorni si parla di lui perchè il tram “Carrelli Milano 1928”, o semplicemente il “Ventotto”, sua data di nascita, è “arrivato”, icona di stile e di innovazione per l’epoca, il 25 gennaio alla sezione Trasporti del Museo della Scienza e della Tecnologia.

 

Pronto per il museo, ma certo non ancora per la pensione. Infatti ben 125 vetture di questo modello circolano ancora per Milano, sulle linee o per servizi speciali.

 

Fu realizzato per la prima volta nel 1928 dalla Carminati Toselli su licenza dell’americana Peter Witt. Milano stava crescendo e c’era necessità di mezzi di trasporto pubblico più moderni ed efficienti.

 

Nel corso dei suoi quasi cent’anni ha mantenuto molte caratteristiche e ne ha cambiate ben poche. Ancora oggi ha il bell’interno con le panche in legno lucido, lampade d’epoca, finestrini che si abbassano scorrendo quasi su una cremagliera, porte a soffietto e la “manetta” che serve al manovratore per guidarlo.

 

Non c’è più, invece, il salottino di prima classe per fumatori che era in fondo alla vettura, le porte a soffietto ora sono tre e il pantografo ha sostituito la “perteghetta”.

 

Purtroppo i gradini sono rimasti molto alti (per la presenza dei carrelli sottostanti), difficili da salire e scendere per chi ha solo qualche anno meno del tram stesso, per i piccoli viaggiatori in carrozzina o per chi ha qualche difficoltà motoria. In un mondo che pensa a correre, non sempre c’è spazio, e attenzione, per chi è più lento. Anche la nostra città va in fretta, servono metropolitane e mezzi pubblici sicuri e frequenti, accessibili a tutti.

 

Chi di noi frequenta la metropolitana, però, avrà visto come gli sguardi dei viaggiatori siano calamitati dagli smartphone, quasi per non vedere chi sta davanti o in piedi. Proviamo a salire, invece, su un tram, magari piccolo e bello come il “Ventotto”. La gente guarda “fuori” e, dal finestrino, vede passare un mondo, quasi una narrazione urbana fatta di luoghi ma anche di persone.

 

Le linee su cui viaggiano queste vetture sono attualmente cinque: l’1, il 5, il 10, il 19 e il 33.

L‘1 collega il vecchio quartiere di Greco con l’ospedale Sacco di Vialba passando per il centro (piazza Cavour, piazza della Scala, largo Cairoli, stazione Cadorna…)

 

Il 5 unisce l’Ortica, con i suoi murales, all’ospedale di Niguarda passando davanti alla stazione Centrale.

 

Il 10 parte dalla Darsena, a due passi dai Navigli, raggiunge il Parco Sempione con l’Arco della Pace, poi il Monumentale, la stazione Garibaldi, la Centrale…

 

Il 19 congiunge la zona di Villapizzone con la stazione di Lambrate passando per corso Sempione, CityLife; attraversa poi il centro, l’elegante corso Magenta, il Verziere, piazza 5 Giornate...

 

Infine il 33 va dallo storico abitato di Lambrate all’Isola; sul suo percorso incontra piazza della Repubblica e la stazione Garibaldi, a due passi da piazza Gae Aulenti con i suoi grattacieli.

 

Il fascino vintage di questi tram li ha fatti entrare nella vita modaiola di oggi, dall’intrattenimento alla pubblicità e al food. Due vetture di questo tipo sono diventate ristoranti in movimento attraverso Milano.

 

Anche l’arte e la cultura si sono occupate di loro. Come non ricordare la struggente “Ma mi” di Giorgio Strehler, dove il protagonista, rinchiuso a San Vittore dopo un’imboscata, sente passare tram, “fracass e vita del mè Milan“? Inoltre il “Ventotto” è rappresentato in un dipinto all’interno della chiesa di Santa Maria del Suffragio, in corso XXII Marzo; è un simbolo, anche qui, della nostra realtà quotidiana e di una comunità di persone.

 

Il “Carrelli” ha anche portato nel mondo il made in Italy, fatto di stile e di eleganza unita alla tecnologia. Alcune vetture circolano in diverse città estere e ben nove sono utilizzate sulla linea F di San Francisco, dove sono stati mantenuti i classici colori milanesi e, persino, alcune scritte interne in italiano.

 

Con il costo di un biglietto, qualche minuto e tanta curiosità possiamo, guardando dal finestrino, farci raccontare la nostra città, il suo sviluppo e le sue memorie urbane e umane, tra palazzi storici e ospedali, chiese e musei, parchi e grattacieli, monumenti e Navigli.

A presto…