Siamo in piazza dellaScala, piuttosto nuova (è stata completata agli inizi del Novecento da Luca Beltrami) e che potremmo quasi definire “laica”. Vi troviamo, infatti, palazzi della politica, della cultura e dell’economia.
Non solo: per costruire alcuni di questi edifici sono state demolite, in tempi diversi, ben due chiese, Santa Maria alla Scala e San Giovanni Decollato alle Case Rotte. Una piccola curiosità: la facciata di quest’ultima è stata “spostata” in via Ariosto, come entrata laterale della chiesa di Santa Maria Segreta.
Iniziamo da piazza della Scala la seconda parte della nostra passeggiata nella quale ci faremo guidare da alcune statue, silenziose presenze dei nostri passipermilano. Di fianco al teatro incontriamo la statua dedicata a un sorridente Giulio Ricordi, il grande editore musicale.
Il monumento, creato nel 1922, è stato da poco ricollocato proprio dove si trovava la storica sede della Ricordi, oggi diventata Museo della Scala.
Quasi di fronte, al centro della piazza, giganteggia la ben più imponente statua di Leonardo da Vinci, con quattro allievi, tra verde, panchine e una “vedovella”.
La prossima statua che incontriamo in questa passeggiata è quella di un incavolatissimo Alessandro Manzoni, che trovò la morte battendo la testa contro i gradini della bella chiesa di San Fedele.
Voluta da San Carlo Borromeo, fu costruita sopra una precedente chiesetta dedicata a Santa Maria in Solariolo e a San Fedele. Quando la vicina chiesa di Santa Maria alla Scala venne demolita, il nome e alcune opere più importanti furono trasferite nella chiesa che oggi si chiama, per accontentare un po’ tutti, “Santa Maria alla Scala in San Fedele”. Come sempre a Milano è bello ritrovare le tracce del passato nel nuovo.
autore anonimo
Simone Peterzano
Questa chiesa oggi propone un itinerario tra arte e fede. Al suo interno non solo opere classiche, ma anche di Lucio Fontana e di altri autori contemporanei che creano riflessioni e aprono un dialogo con la spiritualità del nostro tempo.
Lucio Fontana
Nicola de Maria
Entriamo per una breve visita nel Museo di San Fedele (ingresso 2 Euro). Dopo l’imponente sagrestia soffermiamoci su una trecentesca Madonna del Latte; sopra il suo piccolo altare un libro di cristallo e specchio che riflette e fa riflettere.
opera di Christian Megert
Siamo nella Cappella delle Ballerine, opera di Mimmo Paladino, decorata con tante scarpine d’argento; qui le artiste della Scala venivano per una preghiera prima dello spettacolo.
La cappella è collegata all’altare da una serie di specchi. che sorprende per i giochi di immagine tra sacro ed umano.
Usciamo da San Fedele e raggiungiamo ora la Rinascente percorrendo via Santa Radegonda, dove si potrebbe incontrare non una statua ma il fantasma della figlia di Bernabò Visconti. Alzando gli occhi possiamo vedere le statue, un po’ insolite e sconosciute, sulla facciata del cinema Odeon.
Sono un omaggio al mondo dello spettacolo, dal cinema al teatro, dalla musica alla danza.
cinema
teatro
danza
musica
Siamo ora in corso Vittorio Emanuele e possiamo zigzagare tra le vetrine dell’isola pedonale e, dando un’occhiata a piazza del Liberty, dove sorgerà il nuovo complesso della Apple, andiamo a trovare il “Scior Carera”.
L’ “Omm de Preja”, chiamato anche “Scior Carera” per una storpiatura dell’epigrafe, è una statua romana del III secolo d.C., con testa cambiata attorno al Mille, che abita al numero 13 di corso Vittorio Emanuele, vicino alla coloratissima Zara.
I milanesi erano soliti appendere a questo “Pasquino” ambrosiano anonimi biglietti satirici contro il governo austriaco. Sembra che proprio da via San Pietro all’Orto, dove abitava in quel periodo el Scior Carera, partì l’idea dello sciopero dei sigari che sfociò nelle Cinque Giornate del 1848.
Questa zona è sempre stata al centro della vita milanese: infatti ci troviamo dove, ai tempi della Mediolanum imperiale si estendevano, per circa 15.000 metri quadri, le imponenti e lussuose Terme Erculee, una sorta di SPA, dotate di palestra, sauna, bagni caldi e freddi, luogo di svago, benessere e aggregazione per i milanesi dell’epoca.
Per molto tempo non si seppe con precisione nemmeno dove le Terme fossero situate. Poi, mentre Milano cresceva abbattendo case fatiscenti e scavando per costruire infrastrutture e metropolitane, ecco il passato riaffiorare appena sotto il nuovo.
Come per magia (e chissà quanto è andato perduto) sono riapparsi via via, tra corso Europa, piazza San Babila e corso Vittorio Emanuele, tratti di mura e reperti delle Terme, dal busto di Ercole a pavimenti a mosaico, ora conservati al Museo Archeologico.
Anche gli scavi in corso della linea blu della metropolitana stanno facendo ritrovare altri ricordi del passato, quasi questi volessero essere presenti al nuovo sviluppo.
Le Terme furono distrutte da un incendio (Attila?) e la terra venne adibita via via a pascolo pubblico, come per fare ricominciare la vita. In mezzo a questi pascoli sorse, attorno all’anno Mille, la piccola chiesa di San Vito al Pasquirolo, rifatta in epoca barocca e oggi di rito russo-ortodosso.
Poco lontano dalla chiesetta, in una piccola e triste Walk of Fame (Largo Corsia dei Servi 21), troviamo non statue, ma impronte delle mani di celebri personaggi dello spettacolo di ieri.
La statua di un sornione Carlo Porta, nel vicino Verziere, ci invita a entrare in una zona dall’atmosfera completamente diversa. Ci troviamo nelle viuzze intorno all’UniversitàStatale, a San Bernardino alle Ossa e a Santo Stefano, in un itinerario ricco di storia, fascino e mistero, ma anche di piccoli locali dove fermarci per uno spuntino.
Ci ritroviamo tra qualche giorno davanti al Teatro Lirico, ora in rifacimento, per continuare il nostro giro nel cuore di Milano.
È di questi giorni la notizia dei giovani che, in controtendenza, “tornano” a Milano attratti dal volto nuovo e dalle opportunità possibili della nostra città.
Uno dei luoghi di crescita e di formazione è l’Università Statale di via Festa del Perdono, sede di facoltà umanistiche e polo di ricerca e di proposte culturali ricche e diversificate.
L’Università si trova nell’antico edificio conosciuto dai milanesi come Ca’ Granda, l’antico Spedale dei Poveri fatto costruire nel Quattrocento da Francesco Sforza, appena diventato Duca di Milano, e progettato dal Filarete.
Francesco Sforza
il Filarete
Per il secondo anno consecutivo, la Statale presenta se stessa proponendo visite guidate, anche in inglese e spagnolo. Giovani laureati e studenti dei corsi di Laurea in Beni Culturali raccontano la storia della Ca’ Granda mostrandone tesori e segreti attraverso anche le più recenti scoperte.
Il Cortile d’Onore e i diversi cortili, i Porticati e la Sala Crociera sono luoghi simbolo, la cui storia sarà raccontata ai visitatori, insieme a molto altro.
Una piccola curiosità: la Ca’ Granda non ha uno scalone di accesso di rappresentanza. Non lo aveva voluto il Filarete: “questo luogo non bisogna tante scale, perchè non è spectaculo da stare a vedere”. La risposta di Francesco non fu da meno: “tu dì il vero… questo non è teatro”. Siamo nel 1400 ed avevano già pensato ad una città della salute, autosufficiente e senza barriere architettoniche!
Le visite alla Ca’ Granda possono essere anche libere seguendo le 11 paline distribuite lungo il percorso e… leggendo il nostro blog.
Da non perdere assolutamente la visita alla Chiesa senza facciata della SS. Annunciata ealla cripta, che si aprono sul Cortile d’Onore.
Un tocco dark: cosa avrà visto la donna terrorizzata, con le mani nei capelli, scolpita sulla facciata? La cripta riserva molte inquietanti sorprese ….!
Le visite gratuite si terranno, fino al 31 ottobre 2016, il Mercoledì 14.30 – 17.30 e il Sabato 9.30 – 12.30.Per prenotare basta inviare una mail a visite.cagranda@unimi.it.
Sono vie e luoghi di antico fascino, poco conosciuti, dove anche il nostro blog ha fatto i suoi primi Passipermilano.
Ultima ora:
Il 10 ottobre 2016 la prof. Francesca Vaglietti, docente di Storia e Archeologia Medievale, terrà un incontro su ” Storia e storie della Statale” (ore 21, ingresso gratuito, via Francesco Sforza 32).
In questa notte, come si credeva accadesse durante l’antico Samhain celtico, il velo tra i morti e i vivi diventa più sottile e l’Aldilà è maggiormente percepibile.
Faremo quattro passi tra memorie e immaginazione, percorrendo un itinerario tra il Castello Sforzesco, palazzi, chiese e Parco Sempione, dove le “apparizioni” sono di casa. Questo itinerario forma una sorta di ellisse, come ellittico era, al tempo dei Celti, il Recinto Sacro da cui nacque Milano.
Partiamo dal Castello, che potrebbe essere considerato il luogo più affollato di Milano per numero o antico prestigio dei fantasmi che vi si trovano.
Ignoti sono i nomi dei trecento soldati francesi che morirono nell’esplosione della Torre del Filarete, agli inizi del 1500. A causarla fu un fulmine? Un errore umano? La vendetta del Bombarda, un mercenario svizzero innamorato?
Non si sa, resta un mistero; ma c’è chi sostiene che nella notte dei Morti, gli echi della Storia abbiano suoni di urla strazianti e di lamenti umani.
Secondo alcuni studiosi di fenomeni paranormali, i fantasmi rivivrebbero qualche episodio importante e drammatico della propria vita, come se fossero incatenati ai ricordi.
Ludovico il Moro comparirebbe sotto la Ponticella del Bramante, mentre fugge a cavallo, travestito da mercenario.
Anche Bianca Maria di Challant rivive in questa notte brani della sua vita e ricompare al Castello, dove era stata decapitata, con una coppa di sangue, mentre la testa le rotola via.
Altre donne importanti rimangono “presenti” nel Castello dove vissero un tempo. Fra queste Bona di Savoia, vedova di Galeazzo Maria Sforza, rifugiatasi nella torre che porta il suo nome.
La giovane duchessa Beatrice, moglie del Moro, morta di parto, appare pensosa ricordando gli avvenimenti della sua breve e intensa vita.
L’indomita Isabella d’Aragona, nipote e nemica del Moro, compare tenendo tra le mani una boccetta di veleno con il quale avrebbe voluto avvelenare gli Sforza e per il quale, invece, perse il marito e un’amata figlia.
Lasciamo ilCastello ed i suoi ricordi di sangue versato.
Poco più avanti, in via Rovello, un’altra donna, legata al Moro, lo aspetta ancora. È Cecilia Gallerani, la Dama con l’ermellino, dipinta da Leonardo, che a Palazzo Carmagnola, dove visse, attende di rivedere il suo amato. E’ possibile vederla ad una delle finestre proprio in questi giorni.
Eccola!
Raggiungiamo piazza Duomo, dove “vive” il fantasma della Carlina, la sposa in nero che, terrorizzata dalle statue sulle guglie della nostra amata e misteriosa Cattedrale, scomparve e non fu più ritrovata. È un fantasma “prezzemolino”; infatti spesso compare nelle foto scattate dentro e fuori il Duomo.
In via Santa Radegonda, accanto al Duomo, possiamo incontrare un’altra donna, Bernarda, la figlia di Bernabò Visconti, imprigionata e fatta morire di stenti dal padre; ma è, per così dire, un fantasma dalle…molte vite.
A pochi passi dal Duomo, in piazza Santo Stefano, c’è uno dei luoghi più lugubri di Milano (andate a vederlo!!!).
Se avete ancora voglia di esperienze forti, andate verso la Basilica di Sant’Ambrogio (autobus 94), passando accanto a piazza Vetra, terra di Inquisizione, roghi, patiboli e torture.
Fermatevi accanto alla Basilica di Sant’Ambrogio, presso la Colonna del Diavolo, dove rimasero conficcate le corna di Satana, dopo un calcione ben assestato dal nostro Santo patrono.
Il Diavolo riuscì poi a liberarsi e da questa colonna tornò all’Inferno. C’è dunque qui sotto un varco per gli Inferi? Molti rumori provengono da lì e un tempo, prima che fossero cementati, anche odori di zolfo da quei fori che sembrano orbite vuote.
Tornate a piedi verso il Castello percorrendo via Carducci. Qui c’è un simpatico localino, PolentamiSu, dove si possono mangiare una polenta calda e un ottimo tiramisù…Ne avrete bisogno…
Signori uomini, se vedete venirvi incontro, nelle vicinanze di via Paleocapa, una dama velata che emana profumo di violetta e vi promette ore indimenticabili in una villa vicina, non seguitela.
Il suo viso è un teschio, come ha raccontato chi aveva ceduto alle sue lusinghe. In questa zona esisteva una casa disabitata con fama sinistra; da metà degli anni Settanta questa donna non compare più, forse la casa ha cambiato inquilini?
da “Poema a fumetti” di Dino Buzzati
Di giorno, invece, quando il Parco Sempione è aperto, molti dicono di essere stati seguiti da una giovane donna che fa jogging e che li avverte dei danni del fumo. Poi svanisce, come il fumo di una sigaretta.
Ben altri fuochi arsero nell’antica Piazza d’Armi dietro al Castello. Qui fu bruciata Isabella da Lampugnano, una delle tante streghe finite al rogo anche nella nostra città, che questa notte ritornano…
Siamo tornati da dove eravamo partiti. Ora vi meritate una bella cenetta.
Il “Verziere” di largo Augusto per lungo tempo è stato considerato luogo di presenze demoniache e di streghe.
La leggenda vuole che si decise di innalzare la colonna con la statua del Cristo Redentore, proprio per liberare il luogo dalle presenze maligne. Secondo gli storici, invece, la colonna sarebbe stata innalzata nel 1580 come ex-voto per la fine di una pestilenza. Comunque si voglia credere, questa statua ha avuto una “vita” piuttosto travagliata.
Durante la sua costruzione ebbe problemi di natura burocratica, inoltre crollò per ben due volte, tanto che fu terminata quasi cento anni dopo il suo inizio. Inoltre, in origine, il volto del Cristo guardava verso lachiesa di san Bernardino. Perchè oggi è rivolto verso via Durini? Secondo la versione ufficiale, alcuni operai, durante lavori alla statua, la fecero girare su se stessa. Secondo la leggenda, che abbiamo raccontato, la statua, impietosita dalla tragica fine di Barbarinetta, si voltò dall’altra parte per non vedere.
Poco distante da questo monumento si può incrociare lo sguardo ironico di Carlo Porta, poeta dialettale di inizio Ottocento e “papà” dellaNinetta, la giovane prostituta che sente il bisogno di raccontare un po’ di se stessa ad un vecchio cliente, come in un moderno confessionale da “Grande Fratello”; lo fa con un linguaggio esplicito, per certi versi non lontano da quello dei ragazzi d’oggi.
La statua del nostro poeta si trova nei piccoli giardini di via Brolo, oasi di tranquillità, già riportati nell’itinerario da san Bernardino alle Ossa. D’ altra parte come non essere un luogo particolare se qui c’era il Brolo (bosco) di Belisama? Persino il nome della piccola via ce lo ricorda. Andateci quando avete bisogno di pensare!
Quali altri poeti dialettali ci vengono in mente? Sono molti e molto diversi, anche autori di canzoni. Ve ne proponiamo alcune da leggere e ascoltare.
Iniziamo con un altro monologo in dialetto e in prima persona, struggente e orgoglioso, il “Ma mi” di Giorgio Strehler, cantato da diversi artisti. Un partigiano, catturato dai nazifascisti, viene rinchiuso a San Vittore; pensa alla vita fuori dal carcere…se tradisse i sui compagni sarebbe liberato, ma…”mi parli no”.
“……………….. Ma mi, ma mi, ma mi, quaranta dì, quaranta nott, a San Vittur a ciapaa i bott, dormì da can, pien de malann! ..: ……………………… Sont saraa su in’sta ratera piena de nebbia, de fregg e de scur, sotta a ‘sti mur passen i tramm, frecass e vita del me Milan .. ………………………… L’è pegg che in guera staa su la tera: la libertà la var ‘na spiada!“
………………………….. sbattuu de su, sbattuu de giò: mi sont de quei che parlen no!
Un altro cameo è “El purtava i scarp del tennis” di Jannacci – Fo. Chi non conosce i versi che parlano di un homeless, un “barbun”, di così grande attualità?
“El portava i scarp del tennis, el parlava de per lù rincorreva già da tempo un bel sogno d’amore.
El portava i scarp del tennis, el gh’aveva dù oeucc de bon; l’era el primm a menà via perchè l’era un barbon ………………………………”
“Il gallo è morto, il gallo è morto, non canterà più, coccodì e coccodà, e co e co e co e coccodì e coccodà. Le coq est mort, le coq è mort il ne chanterà plus ni coccodì, ni coccodà …. The cook is dead ….. it will never sing coccodì and coccodà …. El gagio es muerto, …. el non canterà mas coccodì e coccodas …. ……. Son staa mì che hoo mazzaa el gall. El m’ha rott i ball col coccodì e coccodà!”
“Ti spiacerebbe dirmi, per favore, da quale parte dovrei andare, partendo da qui?” (Alice nel paese delle meraviglie – L. Carroll)
Questa zona, appartata e silenziosa, è una piccola oasi di tranquillità a pochi passi dal centro, ma solo nel weekend. Durante la settimana, quando è aperta l’Università Statale di via Festa del Perdono,
è vivace, piena di ragazzi, biciclette, negozi “colti”, librerie, copisterie, bar piacevoli e a buon mercato, dove si sente ridere e raccontare di esami e di prof. Il sabato e la domenica tutto cambia; l’Università è chiusa, salvo eventi. Un vero peccato che impedisce di gustare questo angolo di Rinascimento con la sua ordinata bellezza e con i suoi chiostri, sui muretti dei quali è bello sedere come avviene da 600 anni. (Vista l’importanza della Ca’ Granda, cioè dell’Università, ne parleremo in un altro itinerario).
Torniamo sui nostri passi. Belisama ci ha già accompagnato alla chiesa di San Bernardino e alle sue macabre decorazioni. Siamo ora in piazza Santo Stefano, dominata dalla chiesa di Santo Stefano in Brolo.
Sì, avete letto bene: Brolo, l’antico nome del bosco, che dà anche il nome ad una viuzza qua dietro…Ma non è tutto; alle spalle di San Bernardino c’è un piccolo giardino, quasi segreto, che sembra invitare ad una tranquilla sosta per una lettura o per una chiacchierata piacevole, magari mangiando un panino (se ci andate di domenica, però, dovete portarvelo da casa, qui vicino è quasi tutto chiuso).
Molto tranquilla la nostra chiesa di Santo Stefano, nel passato, non lo è di certo stata. Qui, sotto il porticato, di cui rimane quell’unica colonna, fu ucciso da congiurati il Duca di Milano Galeazzo Maria Sforza, il 26 dicembre del 1476. Inoltre, appena entrati nella chiesa, sul pavimento, una grata d’ottone copre una pietra, detta degli Innocenti, che ricorda quattro funzionari imperiali che, durante il regno dell’Imperatore Valentiniano I (quando Mediolanum era la capitale dell’Impero Romano d’Occidente), osarono denunciare un ricco patrizio milanese, corrotto, ma legato al potere. Furono giustiziati loro dopo atroci torture proprio su questa pietra.
Anche via Laghetto, accanto alle nostre due chiese, non era certo un’oasi di pace, come sembra guardando vecchie immagini di Milano.
Perchè si chiama via Laghetto? Milano è da sempre città d’acqua, anche se non c’è il “grande fiume” come in altre città. Di fiumi, piccoli ma disastrosi, ne abbiamo diversi (Olona, Lambro, Seveso, Nirone, Vettabbia) e il sottosuolo è ricco di acqua; nel corso dei secoli sono stati poi creati i Navigli, ma di ciò parleremo in altri itinerari. Siamo nella seconda metà del Trecento: per la costruzione della nuova Cattedrale, il Duca Gian Galeazzo Visconti donò alla Fabbrica del Duomo la cava di marmo di Candoglia, vicino al Lago Maggiore; voleva una chiesa non più di mattoni, come nel gotico lombardo, ma di prezioso marmo dai riflessi rosati, come nelle cattedrali di Oltralpe. Come fare a portarlo?
Il materiale arrivava al piccolo porto artificiale di via Laghetto, costruito apposta, percorrendo le vie d’acqua da Candoglia fino al Naviglio Interno; i barconi adibiti al trasporto del marmo erano esentati dal pagamento di dazi e pedaggi esibendo un “lasciapassare” con la scritta A.U.F., cioè Ad Usum Fabricae, da cui l’espressione a ufo, ovvero a sbafo).
Al Laghetto i blocchi venivano caricati sui carri fino al cantiere del Duomo. Anche il nostro dinosaurino è arrivato qui e Belisama, tra acque e brolo, era felice.
Tutto roseo, quindi, come il nostro marmo? Mica tanto…Nel piccolo porto di via Laghetto arrivava anche il carbone, utilizzato come fonte energetica. L’edificio al numero civico 2 era la sede dei carbonai, i “tencitt” (cioè sporchi, neri come il carbone).
Per i milanesi del tempo questa zona era sotto l’influsso di streghe e fattucchiere. Pensate che durante le epidemie di peste nessuno, stranamente, si ammalò nella zona del Laghetto; sortilegio o potere disinfettante della polvere di carbone? In ogni caso un certo Bernardo Catone, per ringraziare la Madonna dello scampato pericolo, fece realizzare un dipinto murale, ancora oggi visibile proprio sulla facciata dell’edificio dei “tencitt” (che oggi ospita un bel ristorante e alcune abitazioni private).
Qualche parola, infine, sui negozi della zona; non ce ne sono molti, per lo più concentrati in via Bergamini (che era la via dei formaggiai).
Da segnalare alcune botteghe storiche. Se entrate nell’ orologeria Sangalli per un acquisto o per una riparazione, chiedete al gentile proprietario di vedere il locale degli orologi; sotto un soffitto ligneo che ha dell’incredibile, è raccolta una collezione di cucù e di pendole dal sapore antico. Qui passato e presente camminano insieme!
Poco distante c’è un negozio molto interessante di casalinghi e di fronte una storica libreria con un bel reparto di oggettistica e di prodotti naturali provenienti da vari monasteri.
Il nostro giro è terminato, ma se volete c’è ancora qualcosa di interessante da vedere… Arrivederci alla prossima puntata: la Statale!
veniva festeggiato tra la fine di ottobre e i primi giorni di novembre; era la principale festa celtica che segnava la fine dell’anno vecchio e l’inizio di quello nuovo. Il breve intervallo di tempo era per così dire “senza tempo”: i morti potevano venire a contatto con i vivi per qualche ora…
È la notte in cui, a noi che siamo vivi, è più facile dialogare con l’aldilà, riflettere sulla morte (non una fine, ma un sonno, un passaggio) e sulla rinascita…
Da dove deriva la parola Samhain?
Il termine potrebbe derivare da un’antica parola celtica che significa fine dell’estate. Per il calendario celtico esistevano due stagioni, estate e inverno (anche allora non esistevano più le mezze stagioni!!). Il Samhain era appunto la festa di passaggio tra il ciclo del raccolto e quello del buio, del riposo e dell’attesa.
Il Capodanno Celtico è stato poi all’origine di altre feste tuttora presenti.
“Esportato” dagli irlandesi emigrati in America, è diventato Halloween (vigilia di tutti i Santi), con le tradizioni di travestimenti macabri e dell’utilizzo dei colori arancio e nero che ricordano i colori vivaci dell’estate e il nero dell’ inverno.
Nel nostro Paese l’usanza di festeggiare Halloween è arrivata solo da qualche decennio. Infatti in un celebre fumetto di Paperino (Paperino e le forze occulte), apparso in Italia nel dicembre 1952, la notte di Halloween, era stata trasformata nella notte di Carnevale, dato che quella festa era da noi del tutto sconosciuta.
“Tu vuoi, sì che tu vuoi, non è vero che tu vuoi danzare con me? Non impallidire e unisciti nella danza…” ( L. Carroll – Alice nel Paese delle Meraviglie)
_ Non potevo mancare questa notte al vostro gran ballo, o scheletri. E tubimba che conduci le danze? Quanti uomini di tempi e paesi lontani celebrano come voi l’anticoSamhain.
_ La vita e la morte sono per tutti, Belisama. Anche per me che l’ho incontrata da bambina. Quante cose mi aspettavo dalla vita; quanti sogni ho fatto, poi…non più.
_ Continua a danzare e danzate scheletri! poi, per un altro anno, resterete immobili nella cappella a formare quadri con il colore della morte sotto una cupola azzurra come il cielo sereno. Addio!
Che vie magiche e piene di ricordi ci sono qui intorno davanti alla chiesa di San Bernardino, nel mio bosco di un tempo…come è fresca questa notte e quanta gente c’è in questa piazza.
_ Ciao ragazzi! Riuscite a vedermi? Che fate con questi macabri travestimenti?
_ Ma chi sei? Che travestimento…ti ho già visto…Sì…ricordo un libro…parlava di tempi antichi…sì, c’era un’immagine di…una dea…Belisama, …sì, tu sei Belisama! Io ti vedo! La vedete, amici? No?…Solo io ti vedo. Come mai?
_ In questa notte tutto è possibile…
_ Con gli amici sto festeggiando Halloween. Sai cos’è? Perché sorridi?
Sento suoni che invadono la piazza; che strano! C’è forse una festa in quel luogo sacro? Ci sei stata? Andiamo ragazzi, là c’è una festa!
_ No! Fermali! Non c’è posto, ora, per voi, ragazzi. Andate via! E che per molto tempo possiate fare solo sogni, non vivere incubi.
La chiesa di San Bernardino passa quasi inosservata situata com’è al lato della chiesa, molto più grande ed imponente, dedicata a Santo Stefano, nella piazza omonima.
Oltretutto la facciata di San Bernardino si presenta come quella di una casa di abitazione, con due piani di finestre. Solo la presenza di una cupola centrale e di un campanile tradisce la sua vera natura.
Entrando ci si trova in una chiesa a pianta centrale ottagonale, molto luminosa ma che non colpisce in modo particolare. Attenzione! Non finisce qui!
Percorriamo, subito a destra entrando, uno stretto e scuro corridoio che sembra quasi prepararci a ciò che stiamo per trovare: una cappella ossario dalle alte pareti completamente rivestite da teschi e ossa umane, disposte a formare figure come croci o lettere M.
Si dice che siano ossa provenienti dai cimiteri di antichi ospedali oppure quelle dei morti durante le varie pestilenze. I teschi sopra la porta che conduce direttamente all’ossario dall’esterno (porta che resta sempre chiusa) sarebbero quelli di condannati a morte.
Guardate verso l’alto e sarete colpiti da un inatteso contrasto cromatico: l’ ossario è sovrastato da una cupola affrescata raffigurante un cielo azzurro solcato da anime purganti che ascendono al Paradiso accompagnate da miriadi di angeli.
La leggenda vuole che tra queste ossa ci sia anche lo scheletro di una ragazzina, morta di peste, che, nella notte del Giorno dei Morti, si ricompone, esce dalla parete e, dopo aver richiamato tutti gli altri scheletri, li guida in una danza macabra fino all’alba. Nella piazza e nelle vie adiacenti si sentirebbe il rumore della musica e delle ossa che sbattono tra loro, durante la danza.
Usciti dall’ossario torniamo nella parte centrale della chiesa e, sorpresa! qui sarebbero sepolti anche due discendenti di Cristoforo Colombo, i cui stemmi nobiliari sono presenti sulle pareti della chiesa.
Si ignora perchè siano sepolti a Milano.
Al centro della chiesa fate attenzione ad una grata nel pavimento: copre la scaletta che scende ad una cripta, non visitabile, nella quale riposano i corpi dei monaci Disciplini, cui apparteneva la chiesa, i quali usavano essere sepolti avvolti nel loro saio e seduti sugli scranni della cripta. La leggenda non dice se anche i monaci partecipano alla danza macabra.
L’Ossario di San Bernardino è così straordinario che il Re Giovanni V del Portogallo, che lo aveva visitato nel 1738, ne fece costruire uno simile ad Evola, nella sua patria.