Parte seconda – “Stile Milano” a Palazzo Morando: un viaggio attraverso la moda e l’eleganza della nostra città

Riprendiamo il viaggio all’interno della mostra “Stile Milano” dagli anni 50 ai giorni nostri, a Palazzo Morando. Avremmo voluto rivederla per fare altre foto, ma il decennio “ventiventi” ci è venuto incontro con la mascherina e i musei chiusi.

Le varie stanze della mostra sono dedicate, via via, ai diversi decenni di alta moda e oreficeria, mettendo in luce un’eleganza sobria che potrebbe, a volte, sembrare senza tempo, quasi al di là delle tendenze del momento.

In questo percorso di eleganza abbiamo incontrato abiti e gioielli di lusso. È stato un po’ come entrare in una sontuosa cabina-armadio per scegliere l’abito e il gioiello per una grande serata.

I pannelli alle pareti ci riportano ai decenni passati; non ci sono, però, foto del “come eravamo tutti i giorni”. Così abbiamo cercato in rete e nei nostri ricordi qualche immagine flashback.

Gli anni 60 sono stati anni di profondo cambiamento nella storia della società e del costume: sono iniziati coi giovani vestiti da adulti e terminati con gli adulti che hanno indossato gli abiti dei giovani e non li hanno più abbandonati.

Le ispirazioni della moda venivano dall’arte e dal design: pensiamo alla moda optical del bianco e nero. Le gonne si accorciano (Mary Quant) e il corpo della donna si assottiglia ridiventando quello di un’adolescente che deve ancora crescere.

Verso fine decennio Mila Schön crea completi sartoriali con pantaloni. Le donne “volevano i pantaloni”, li hanno messi e questi non usciranno più  dall’abbigliamento femminile, sportivo o elegante.

Gli anni 70 sono stati i tempi dell’austerity, degli anni di piombo e degli scontri in piazza. Per le strade trionfavano lo stile hippy e casual: lunghe gonnellone arricciate, un po’ zingaresche, nei cortei femministi, eskimo per i maschi, colletti a punta, jeans, tuniche etniche, indumenti fatti a crochet dalle nonne di casa. Ecco come l’alta moda ha interpretato questa tendenza.

A metà degli anni 70 nasce la prima collezione Armani e con lui un pret-a-porter di gran classe. Il suo stile è classico e innovativo insieme, sobrio ed elegante: un vero “stile Milano”.

Con una sua giacca, indossata da Richard Gere in “American gigolo” entriamo negli anni 80.

Le sartorie di lusso affrontano la concorrenza dei nuovi stilisti. Nel Quadrilatero della Moda cominciano ad arrivare via via le più famose firme alle quali si rivolgono non più solo le signore dell’alta borghesia, ma anche le donne che si affermano in proprio nel lavoro.

In questi anni alcuni marchi vengono scelti dai ragazzi della “Milano bene” dando luogo al fenomeno tutto milanese dei “paninari”.

Trionfano gli yuppies, giovani rampanti in carriera, mentre le donne vestono abiti dalle spalle oversize e mettono in evidenza corpo e capigliatura.

Negli anni 90, con la Guerra del Golfo, le stragi di mafia e lo scandalo Mani Pulite, finisce l’esuberante periodo precedente. Le grandi sartorie creano abiti unici e speciali per lo più per matrimoni e grandi eventi, come le prime della Scala.

I diversi stilisti consolidano la loro importanza. In questi anni Versace farà sfilare anche personaggi dello spettacolo e diventerà amico di icone del jet set, Prada inizierà la sua ascesa diventando un simbolo internazionale, Dolce e Gabbana porteranno la sicilianità nel mondo.

Prima di entrare nel nuovo millennio, fermiamoci davanti ai preziosi gioielli della mostra.

Anche l’oreficeria di lusso è cambiata nella seconda metà del Novecento. L’oro giallo, talvolta con pietre e smalti colorati, completa gli abiti di giorno, mentre gioielli di oro bianco e diamanti (o altre pietre preziose) illuminano la sera.

Le resine, nuovi materiali e molta creatività entrano nel mondo dorato dell’oreficeria. Molte Case oggi si ispirano a questi gioielli inarrivabili con creazioni più accessibili. Un vero lusso più vicino alla gente.

Infine, come una giacca Armani ci ha condotto nella decade dell’ottimismo, entriamo nel nuovo millennio con un abito Versace (“Jungle Dress”) indossato da Jennifer Lopez per la prima volta nel 2000 e ripresentato nelle sfilate di quest’anno. È un inno alla natura e al riciclo anche nel campo della moda.

Le Torri Gemelle, i fenomeni migratori, la ricerca di nuovi equilibri e il pericolo di qualche pandemia hanno segnato i giorni di questi primi vent’anni. Le distanze geografiche si sono ridotte, i movimenti per il clima e per la salvaguardia del pianeta sono fenomeni globali.

Anche la moda lancia un messaggio di sostenibilità con la ricerca di materiali ecofriendly; stilisti affermati e giovani designer credono nell’upcycling, un riciclo creativo per riutilizzare quanto sarebbe da buttare.

Armani, quest’anno, ha fatto sfilare a porte chiuse nella Settimana della Moda influenzata dal coronavirus. In una intervista ha parlato di libertà nel vestire (“corto, lungo, stretto, morbido per ridisegnare il corpo, esaltare i pregi e nascondere i difetti a qualsiasi età”) e di una linea, per Emporio, di riciclo dei tessuti.

Le sartorie di lusso forniscono pezzi unici, su misura, esplorando anche materiali inesplorati nella Moda. Ecco un incredibile abito di Federico Sangalli: 12 metri di organza, smerigliata a mano e “cablata” con elementi di fibra ottica ogni 50 centimetri. Il modello, creato per questa mostra, è stato realizzato a mano e con una macchina da cucire a pedali.

Anche nella moda vecchio e nuovo si legano insieme. Quante volte abbiamo detto, sfogliando qualche rivista di moda, “questo l’ho già visto”. Ecco qualche esempio: di ieri o di oggi o magari anche di domani.

Concludiamo questo viaggio nello Stile Milano con l’ “Ago, Filo e Nodo” in piazza Cadorna, un omaggio alla moda e alla creatività milanesi e alla nostra capacità di “cucire” insieme le varie anime della nostra città.


A presto…

“Stile Milano” a Palazzo Morando: un viaggio attraverso la moda e l’eleganza della nostra città

Quella 2020 sarà ricordata come la Fashion Week del coronavirus. Ci riscopriamo più fragili, ma dalle difficoltà si può imparare qualcosa per ricominciare e diventare migliori.

Rendiamo omaggio alla Settimana della Moda, uno degli elementi trainanti del Made in Italy e della nostra economia, parlando della bella mostra a Palazzo Morando, dedicata allo “Stile Milano, storie di eleganza”.

È sempre un piacere visitare questo palazzo che ospita una bella serie di quadri ed oggetti dedicati alla nostra città e alla sua storia. Tra questi c’è il famoso “rattin” che, correndo su un binario alla base della cupola della Galleria, ne accendeva le luci a gas.

Si dice che negli splendidi interni di Palazzo Morando (guardiamo, tra l’altro, anche i pavimenti con “gocce” di madreperla) torni ancora oggi il fantasma della contessa Lydia, ultima proprietaria e appassionata cultrice di scienze occulte, per verificare cosa avviene nella sua dimora. Un’altra storia misteriosa della nostra città.

Cosa penserà la nobildonna degli abiti e dei gioielli di lusso esposti, in questo periodo, nelle sale del suo palazzo? Per inciso, la collana del suo ritratto, dopo la morte della contessa, non fu mai più ritrovata. Ci piace pensare che l’abbia portata con sè, troppo bella per separarsene.

http://www.ilpontenotizie.it/archivio-file/2007/6-2007/articoli-6-2007/10-6-2007.htm

Gli abiti e i gioielli esposti nella mostra, che è un elogio allo stile milanese, fanno ripercorrere settant’anni di moda dagli anni Cinquanta ai giorni nostri.

Alle pareti alcuni pannelli illustrano il decennio che ha visto nascere i modelli di alta moda e oreficeria. Non solo vengono raccontati abiti e gioielli, ma anche i diversi stili al passo coi tempi, coi cambiamenti sociali e quindi anche femminili.

La mostra inizia con gli abiti degli anni Cinquanta, quando, abbandonati quelli dai toni scuri e dimessi del difficile periodo precedente, c’era voglia di benessere e di futuro.

Le signore dell’alta società e le star si vestivano ancora a Parigi, nelle maisons di Dior, Balenciaga, Givenchy, Chanel…

Le donne, in questo periodo, indossavano abiti per mettere in risalto un opulento fisico da pin-up (da noi si chiamavano”maggiorate”), oppure seducenti e sofisticati modelli bon-ton.

E Milano? Già verso la fine dell’Ottocento alcune sarte, come Rosa Genoni, erano andate a studiare moda nei grandi atellier di Parigi, affinando il gusto e la sartorialità, ma acquisendo, nel contempo, anche una certa dose di consapevolezza e di emancipazione.

Ci volle, però, il grande intuito di un imprenditore italiano, Giovanni Battista Giorgini, per portare, all’inizio degli anni Cinquanta, un assaggio della nostra moda, allora pressochè sconosciuta, nel mondo.

In uno dei filmati proiettati nelle sale della mostra, si vede come Giorgini, al termine delle sfilate di Parigi del 1951, abbia invitato, nella sua casa di Firenze, un gruppo di compratori e giornalisti di moda americani per assistere ad una sfilata con i modelli delle più rinomate sartorie italiane.

Fu un successo. Sfilata dopo sfilata gli atellier italiani conquistarono l’attenzione del pubblico internazionale anche del mondo dello spettacolo. Ecco, ad esempio, come la stilista milanese Biki sia riuscita a trasformare, negli abiti e nel modo di indossarli, la grande Maria Callas.

Quasi tutti gli atellier milanesi, raccolti nel Quadrilatero della Moda, avevano a disposizione sarte di alta artigianalità e tessuti di elevata qualità, riuscendo così a creare splendidi abiti per una clientela ricca e sofisticata. Una creatività spesso al femminile, dedicata ad altre donne: un vero Paradiso delle Signore.

Il percorso tra gli abiti e i gioielli della mostra continua tra poco.

A presto…

Una straordinaria vetrina nel Quadrilatero della Moda: a San Donnino alla Mazza si vendono cravatte

Quante volte, come ipnotizzati abbagliati dalle vetrine del Quadrilatero, siamo passati davanti allo stretto vicolo che collega via Montenapoleone con via Bigli, senza farvi attenzione.

Forse siamo anche entrati nello stretto passaggio per vedere le cravatte esposte in bacheche di vetro che ricordano quelle dei gioielli.

Un antico muro di mattoni, venuto dal passato, si affaccia su questo vicolo. Sono i resti di San Donnino alla Mazza (o della Mazza), una chiesa medievale, restaurata più volte nel tempo.

Perchè un nome così insolito per una chiesa cristiana? Probabilmente fu costruita nelle vicinanze di una statua o di di un tempio pagano dedicato ad Ercole, che era rappresentato con una mazza o clava, con la quale aveva abbattuto il leone di Nemea. Un po’ di fusion tra religioni ed ecco il nome di questa antica chiesa.

Donnino era un alto ufficiale (forse il “maggiordomo personale”) dell’imperatore Massimiano, che aveva fatto di Milano, dove risiedeva, una delle capitali dell’impero. L’imperatore aveva fatto ampliare le mura di Milano, che includevano anche parte dell’odierno Quadrilatero della Moda.

Resti, purtroppo non visitabili, sono stati rinvenuti anche in via Montenapoleone e in via Manzoni e costituiscono quasi… le fondamenta delle vetrine che ci fermiamo ad ammirare.

Donnino divenne cristiano e l’imperatore, nel 299, lo fece decapitare poco lontano dal fiume Stirone, nei pressi di Fidenza, della quale è il Santo Patrono.

Duomo di Fidenza dedicato a San Donnino

La leggenda racconta che Donnino, raffigurato con indosso l’armatura romana, attraversò il fiume con la testa sotto il braccio per raggiungere l’altra riva, dove gli angeli lo accolsero. Non vi ricorda un po’ una scena di “Gost”?

San Donnino fu molto venerato a Milano e gli venne dedicata una chiesa a metà del 1100, forse utilizzando blocchi di pietra delle stesse mura imperiali. Restaurata poi in epoca barocca, venne infine demolita alla fine del Settecento, tranne la parete laterale.

Questo muro con piccole finestre e  un bel portoncino in granito (i muri a Milano sono sempre “aperti” e accoglienti!), ci ricorda ancora una volta come sia milanese la convivenza tra antico e contemporaneo.

Anche la contrada intitolata un tempo a San Donnino ha cambiato nome ed ora è via Bigli. Se facciamo quattropassi in questa via, diamo un’occhiata al numero 21, dove abitarono la Contessa Clara Maffei, regina dei salotti culturali e patriottici e, più tardi, un giovanissimo Albert Einstein.

Lo scienziato ricorda che qui visse uno dei periodi più felici della sua vita e che conobbe a Milano “gente tra la più civile che abbia mai incontrato”. Parola di Scienziato!

A presto…

Le luci natalizie colorano Milano 2017

Come è bella Milano quando le luci di Natale colorano le sue strade!

Milano è città che si svela a chi la cerca e le luci natalizie rendono ancora più suggestiva la scoperta di luoghi pieni di fascino.

La città illumina le sue diversità: ecco il Quadrilatero della Moda dove eleganti lampadari ci accolgono come in un palazzo a festa.

Qualche edificio è impacchettato come un prezioso dono, un altro sembra una mini Las Vegas.

Altre vie delle shopping invitano a creare un’atmosfera di Feste e… di acquisti.

Molto belli secondo noi sono i “soffitti” illuminati da mille luci, quasi cieli a portata di mano.

Irrinunciabile, in questi quattro passi natalizi, è il Duomo che accende le sue vetrate e le guglie sembrano candele rivolte verso la Madonnina.

Molte strade quest’anno sono rimaste buie rispetto ai Natali precedenti, come il chiaroscuro del nostro presente.
Vie senza luminarie, pochi negozi illuminati a festa… poi improvvisamente, una luce sul balcone, un albero di Natale dietro una finestra ci riscaldano e ci invitano a non aver timore del buio fuori e dentro di noi.

A presto…

Il Quadrilatero del Silenzio: quattropassi intorno a Villa Necchi Campiglio

Il Quadrilatero della Moda è uno dei luoghi cult di Milano con bar eleganti e vetrine fashion; meno conosciuto è invece il Quadrilatero del Silenzio, intorno a Villa Necchi Campiglio, con palazzi che sembrano creati da qualche architetto sognatore.

Facciamo quattropassi in questa zona andando o tornando da Villa Necchi. Alziamo lo sguardo verso il palazzo di nove piani, quasi un grattacielo per l’epoca, che si trova in via Mozart, angolo via Melegari 2, proprio di fronte di fronte alla casa-museo.

È Palazzo Fidia, soprannominato la “Casa Jazz”, nome insolito per un edificio straordinario. Inutile cercare di raccapezzarsi guardandolo, il bello è proprio perdersi!

Se vi incuriosisce, ecco come viene presentato dai Beni Culturali, anche con bellissime foto.

http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/3m080-00065/

Costruito tra il 1929 e il 1932, a pianta triangolare, dall’architetto Aldo Andreani, è una mescolanza di stili, forme e materiali; i tranquilli mattoni milanesi creano un edificio eclettico dall’androne raffinato.

Dal portone di questo palazzo sembra ancora di veder uscire l’elegantissima Lucia Bosè  per dare l’addio all’uomo amato nel film di Antonioni “Cronaca di un amore”.

A pochi passi da  Palazzo Fidia, in via Serbelloni 10, troviamo  Casa Sola-Busca, anch’essa  progettata da  Aldo Andreani, soprannominata la “Ca’ dell’Orèggia”.

Infatti un grande orecchio in bronzo con tanto di particolari anatomici, opera di Adolfo Wildt, era l’innovativo e ironico citofono collegato alla portineria di questo palazzo. Ora non è più in funzione, ma si dice che, sussurrandovi qualche desiderio, questo si possa avverare.

Per cercare qualcosa di meno bizzarro e più “naturale”, dirigiamoci verso Villa Invernizzi, in via Cappuccini 3. Dietro ad un alto cancello nero e oro, tra piante rigogliose ed un laghetto, fanno la loro passerella dei bellissimi fenicotteri rosa.

Siamo di fronte ai giardini di  Villa Invernizzi, dove un tempo abitava la famiglia  che produceva i  formaggini della nostra infanzia e che ora è sede di una Fondazione che si occupa di studi sull’alimentazione.

I fenicotteri devono il colore del loro piumaggio ad una attenta e calibrata dieta a base di crostacei. Provenienti dall’Africa e dall’America Latina ormai da anni si sono ambientati e si riproducono numerosi in questa nostra imprevedibile e accogliente città, talvolta anche dal tocco esotico.

Ancora quattropassi e raggiungiamo le Case Berri-Meregalli su progetto dell’architetto Giulio Ulisse Arata.

via Cappuccini 8

via Mozart 21

L’architetto Arata in questi edifici, realizzati tra il 1910 e il 1914 in una zona ancora povera di strade e di case, ha attraversato epoche e stili diversi: mosaici in oro, animali grotteschi che sembrano usciti dai bestiari medievali, putti scolpiti e figure umane dipinte dal sapore Liberty in un grande gioco di creatività.

Nel buio androne di Palazzo Berri-Meregalli si può ammirare la Vittoria Alata di Adolfo Wildt (sempre lui!).

Inquietante e misteriosa ci guarda tra volte di mattoni e oro e sotto soffitti di legno a cassettoni riccamente decorati.

Non sono i soli palazzi da guardare in questo itinerario nel Quadrilatero del Silenzio. Milano, anche in questa zona, si offre come un melting pot di esperienze, culture e gusti diversi, di nuovo e di antico, di innovazioni e rivisitazioni che vanno dalla linearità e modernità di Villa Necchi Campiglio  all’architettura jazz di Palazzo Fidia.