Francesca Scanagatta viene considerata la prima donna diventata Ufficiale di un esercito regolare. Siamo alla fine del Settecento e la tenente era milanese.
Non è stato facile trovare notizie esaurienti su questo insolito personaggio, perciò ci siamo basati principalmente sulla biografia scritta, a metà Ottocento, dal nipote che si chiamava Celestino Spini, come il nonno, marito di Francesca.
Via via che ci documentavamo, abbiamo incontrato nel libro dei “non detti” relativi a fatti ed emozioni rimasti volutamente privati che forse Francesca aveva scelto di non raccontare. Soprattutto, però, ci siamo resi conto di come questa storia di oltre duecento anni fa faccia emergere tematiche ancora molto attuali come le difficoltà relazionali tra genitori e figli durante l’adolescenza, il ruolo sociale dei comportamenti maschili e femminili, i motivi del crossdressing che ha portato un abbigliamento tipicamente maschile, come i pantaloni, a diventare normalità ai giorni nostri. Questo completo Armani sarebbe piaciuto anche a Francesca?
Sullo sfondo della storia di Francesca, c’è la grande storia che ha vissuto Milano in poco più di un secolo: il governo austriaco (nel cui esercito divenne ufficiale la Scannagatta), il regno napoleonico (per il quale combatterono sia il marito che il fratello), il ritorno degli austriaci, l’insurrezione delle Cinque Giornate (durante le quali morì combattendo la figlia Isabella).
Francesca ci racconta la sua storia
“Sono nata sotto il segno del Leone, il 1° agosto 1776, a Milano. La mia era una famiglia benestante, diventata nobile sotto il regno di Maria Teresa. Mio padre era un alto funzionario statale, fedelissimo alla sovrana. A casa vivevano i miei genitori (Giuseppe e Isabella) e noi figli, educati da una istitutrice di Strasburgo, madama Dupuis, che ci insegnava tedesco, francese e, soprattutto, ci raccontava le gesta dei poemi cavallereschi con le figure di alcune eroine che combattevano al pari degli uomini… In queste avventure mi vedevo un po’ Bradamante e un po’ Clorinda. Forse già “volevo i pantaloni”.
A dieci anni entrai, come tante altre fanciulle di buona famiglia, all’Istituto delle Dame della Visitazione di via Santa Sofia. Le insegnanti mi descrissero “dolce”, “ragionevole”,… ma “altera e vivace”, “amante del vero e del giusto”, pronta a farmi rispettare. Ho dei bei ricordi, tanto che da grande tornai in divisa da tenente a salutare la Superiora che, lungi dallo scandalizzarsi per quello che era diventata la sua educanda di un tempo, mi gettò affettuosamente le braccia al collo. Ero per lei una pecorella smarrita o una grande soddisfazione?
Terminati gli anni del collegio, verso i sedici anni tornai a casa. Papà teneva molto a me, “nulla trascurava quanto concerneva la mia piena e felice riuscita”. Mi portava spesso con sè nei suoi viaggi di lavoro vestita come un ragazzo per essere io “più al sicuro e evitare ogni imbarazzo” e lui più libero nei suoi affari. Mi piaceva e diventavo sempre più disinvolta anche negli atteggiamenti da ragazzo. Era un po’ la shakespeariana Viola e un po’ Lady Oscar, come piaceva a papà e a me.
Forse fu durante questi viaggi che mi resi conto di come “essere” maschio significasse godere di maggiore libertà e di possibilità di affermarsi. Quante donne nella storia si sono travestite da uomo per realizzare quello che desideravano fare in vari campi?
Un giorno il caso mi offrì una possibilità. Mio padre aveva organizzato per me e mio fratello maggiore un viaggio a Vienna: lui avrebbe dovuto presentarsi all’Accademia Militare di Neustadt, io a casa di una nobildonna per completare la mia educazione da “signora”. Giunti a Udine, mio fratello si ammalò e mi confidò di non voler frequentare l’Accademia, ma di preferire studi civili. Era la mia occasione: lo convinsi (e non fu molto difficile) a tornare a casa e a rivelare le sue intenzioni ai nostri genitori; intanto io avrei proseguito il mio viaggio non, come pensava lui, verso la dama, ma verso l’Accademia utilizzando la sua lettera di presentazione, che avevo preso a sua insaputa.
In fondo ognuno di noi avrebbe fatto quello che desiderava… ed io volevo vivere un’esperienza militare che, in quanto donna, mi sarebbe stata preclusa. Ero sicura di potercela fare. Adolescente ribelle e incosciente? Forse, ma tra i pizzi e merletti e la divisa militare quale era per me, allora, la vera maschera? Il travestimento era il mio lasciapassare verso il futuro che desideravo. Carica di speranze e di determinazione, mi recai presso la casa del dottor Haller, medico dell’Accademia e conoscente di mio padre, che avrebbe dato ospitalità a casa sua al cadetto. Corressi il nome sulla lettera di presentazione, diventando Francesco e fui così vivace, affabile e piena di vita verso di lui e le sue figliuole che il buon dottore non mi fece neanche la visita medica di idoneità per l’Accademia. Effettivamente stavo benissimo!…” Continua…








