Itinerario sulle tracce di antiche storie: via Lanzone

La via Lanzone è centralissima, talmente ricca di storia e di storie… da essere quasi sconosciuta. E Lanzone, per dirla col Manzoni, “chi era costui?”
Iniziamo il nostro itinerario toponomastico-storico, percorrendo questa via che parte da piazza Sant’Ambrogio (purtroppo deturpata dalla stazione della linea blu) e che, stretta e tortuosa, arriva in via Circo, dove si trovano altre rovine, quelle del circo romano di ben oltre quindici secoli fa.

Questa via è molto signorile e riservata, ma resa vivace e piena di intelligente futuro dai ragazzi che frequentano l’Università Cattolica, poco distante. All’inizio della strada ci sono due targhe, quasi una di fronte all’altra. La prima, col nome della via (via Lanzone – capitano milanese XI sec.), è apposta sulla bella facciata di un edificio che un po’ contrasta con la semplice austerità di quelli intorno.

L’altra targa è posta a sinistra della chiesetta di San Michele sul Dosso e ci racconta che qui sorgeva la casa dove abitò il Petrarca su pressante invito dei Visconti “…a condizione che la mia libertà e la mia quiete non avessero a risentirne”. Se ne andò per paura della peste, dopo otto anni ricchi di studi e di intuizioni.

La chiesetta di San Michele sul Dosso, secondo qualcuno fondata addirittura da Sant’Ambrogio, ha una facciata piuttosto modesta, ma contiene un vero capolavoro: la “Vergine delle Rocce”, realizzato da Francesco Melzi, allievo e amico di Leonardo, copia del più eretico lavoro del Maestro. L’opera è visitabile su prenotazione presso l’Istituto delle suore Orsoline, di cui la chiesa fa parte.

Proseguiamo lungo via Lanzone e, poco più avanti, troviamo la chiesa di Sant’Agostino, quasi sempre chiusa tranne che per due insolite finestre con persiane sulla facciata. Una lapide sostiene che qui (e non nel battistero di San Giovanni alle Fonti, sotto il Duomo) il Santo venne battezzato da Sant’Ambrogio.

Da via Lanzone, come ramoscelli di un vecchio e tortuoso tronco, partono due vicoletti e una piccola strada. I due vicoli non hanno nome, ma secondo la tradizione, sono chiamati di Sant’Agostino (a fianco della chiesetta) e delle Monache (quasi di fronte).
Il vicolo di Sant’Agostino inizia dopo un sontuoso portone e, un po’ tortuoso, ci porta a lato della basilica di Sant’Ambrogio e alla Cattolica.

L’altro vicolo, invece, detto delle Monache, perché probabilmente percorso dalle suore dei vicini conventi, unisce via Lanzone con via De Amicis. Uno strano orecchio su una parete ascolta chissà quali confidenze.

Percorrendo via Lanzone le sorprese non mancano: qualche balconcino in ferro battuto, un bel palazzo (casa Buttafava, al numero 21), alcuni raffinati negozi e una piccola strada dal nome un po’ strano: via Caminadella, che ricorda le case “caminate”, cioè dotate di camini e canne fumarie esterni. Forse sorse qui la prima casa milenese col camino?

Dopo un piccolo slargo, da dove si intravede la chiesa di San Bernardino alle Monache (sul cui demolito convento si trova ora il Liceo Classico Manzoni), ci troviamo davanti a due importanti edifici: l’uno, costruito nell’immediato dopoguerra sulle rovine del Palazzo dei Panigarola, distrutto dalle bombe, tutto bianco con decorazioni in ceramica di Lucio Fontana e, al numero 2 della via, il palazzo che Prospero Visconti fece costruire alla fine del Cinquecento con l’immancabile biscione sopra il portone.

Lanzone, capitano milanese dell’ XI secolo

Chi era, dunque, questo personaggio al quale è stata dedicata una strada così carica di storia? Poco sappiamo di lui, anche se, certamente, fu considerato un uomo importante tanto da essere ricordato con una delle 24 statue (purtroppo in fragile gesso) che ornavano la Galleria Vittorio Emanuele appena inaugurata e che sono andate perdute. Fra questi personaggi insigni c’erano Dante, Foscolo, Marco Polo, Beccaria … tanta roba!

Sappiamo che Lanzone visse a Milano intorno all’anno Mille al tempo di Ariberto e che era un “Capitaneus et nobilis altus”, cioè un nobile milanese in una società dove le diverse classi (alta nobiltà, piccoli nobili, cives e popolo minuto) lottavano brutalmente tra loro per mantenere o conquistare un po’ più di potere. Lanzone fu, per così dire, un “eretico” politico.

Fece, infatti, una “scelta” diversa: pur essendo nobile, e forse notaio, si schierò con i cives, la classe in ascesa di commercianti e artigiani, partecipando alla loro battaglia contro nobili e alto clero. La lotta fu veramente cruenta tanto che Milano per tre anni resistette all’assedio da parte dei nobili fuoriusciti e dei loro soldati. Era, però, in atto una grave carestia e Lanzone, secondo lo storico Landolfo Seniore, di nascosto riuscì ad “evadere” dalla città per recarsi dall’Imperatore Enrico III il Nero e chiedergli aiuto. Il prezzo, però, sarebbe stato molto alto: quattromila soldati teutonici come presidio all’interno di Milano. Lanzone fiutò il pericolo e, con incredibile coraggio, trattò con i nobili “nemici” accordandosi per una pace dalla quale, dopo alcuni anni, sarebbe nato il Comune. Poco si sa della fine di Lanzone; secondo Galvano Fiamma fu imprigionato per tradimento e ucciso dalle torture nella Torre dei Moriggi, secondo altri, invece, si ritirò con altri nobili fuori Milano. Certamente fu mosso dal bene per la nostra città.

Ritorniamo all’antica foto della statua di Lanzone, realizzata dallo scultore Odoardo Tabacchi per la Galleria. Il Capitano è un uomo forte, un guerriero, ma la sua spada non è sguainata, è quasi a riposo… Un messaggio anche per i tempi nostri.

A presto…

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