La Fornace Curti: qui sono nati i più bei mattoni di Milano

Milano, XV secolo. In città erano aperti cantieri molto importanti, ad esempio il Duomo, iniziato a fine Trecento da Gian Galeazzo Visconti, e la Ca’ Granda di via Festa del Perdono, oggi sede dell’Università Statale, costruita a metà del XV secolo come ospedale, per volere di Bianca Maria e di Francesco Sforza. Quanti “umarell” di allora si saranno fermati a guardare Milano che stava crescendo!

 

I due edifici, poco distanti in linea d’aria, sono profondamente diversi in tutto, anche per i materiali utilizzati che, guarda caso, insieme riproducono il bianco e il rosso, tipici della tradizione milanese.

 

Per il Duomo giungevano i barconi, carichi del bianco (e rosa!) marmo di Candoglia, in via Laghetto; per l’ospedale, invece, arrivavano bei mattoni rossi dalla Fornace Curti di Porta Ticinese lungo il Naviglio Interno.

Per Milano procurarsi pietre da costruzione non è mai stata un’impresa molto facile; infatti non ci sono cave nelle vicinanze e il trasporto non era sempre agevole. Da qui nasce anche il “recupero” delle pietre già utilizzate altrove, spesso spostate da una costruzione demolita ad un’altra che stava sorgendo. Un esempio sono le pietre della fondamenta di San Lorenzo provenienti dal demolito Anfiteatro Romano di via De Amicis.

Vista questa carenza di cave di pietra nelle vicinanze, è stato il mattone il vero protagonista dell’architettura di casa nostra: pensiamo, ad esempio, a tutte le belle Abbazie che stiamo visitando.

Il nostro territorio è infatti ricco di argilla e abbiamo anche tanta acqua a disposizione: sorsero così, e si diffusero, i “fornaciai” che producevano mattoni e anche manufatti artistici, su disegno dei Maestri. Uno di questi laboratori esiste ancora e possiamo visitarlo: è la Fornace Curti di via Tobagi 8, vicino al Santuario di Santa Rita alla Barona.

 

Questo angolo di tradizione e di “saper fare” milanese nacque nel 1428 e si trovava vicino alle Colonne di San Lorenzo. Ne era proprietario il nobile Giosuè Curti che, nel 1456, ottenne l’incarico da Bianca Maria e Francesco Sforza di fornire i mattoni e i manufatti (firmati da Solari e Guiniforte) per la nascente Ca’ Granda.

 

Da allora la famiglia Curti ha fornito mattoni per costruire Santa Maria delle Grazie, Chiaravalle, Morimondo, la Certosa di Pavia fino alle statue in cotto del Teatro Fossati di corso Garibaldi.

 

All’inizio l’argilla veniva estratta vicino alla fornace stessa, in seguito alla cascina Boffalora (ora Quartiere Sant’Ambrogio, come avrebbe potuto essere meno milanese di così?). Oggi, infine, si usano miscele della Pianura Padana.

In seicento anni la sede della Fornace Curti è cambiata solo quattro volte: da quella storica vicino alle Colonne a Ripa di Porta Ticinese, dalla Conchetta sul Naviglio Pavese (dove un incendio, purtroppo, distrusse forme, suppellettili, disegni e documenti) a quella attuale che risale ai primi del Novecento.

 

Visitare la Fornace Curti è un’esperienza ricca di sorprese: è un “borgo del fare”, di un antico mestiere guidato con dedizione ed amore da generazioni della stessa famiglia.

 

Il complesso occupa l’area di una ex cascina; si susseguono palazzine basse di epoche diverse, cortili, una magnifica serra di piante grasse con vasi artistici, scale, ambienti e luoghi di lavoro e esposizioni.

 

Ai piani superiori delle palazzine lavorano diversi artisti coi loro studi. Ecco alcune loro opere esposte durante una giornata di festa alla Fornace.

 

L’antica fornace vive oggi un momento di grande creatività artistica; perchè non fare un salto in questo borgo che traspira tradizione e cultura e acquistare qualcosa di veramente speciale?

A presto…

 

La Strada delle Abbazie: quarta tappa, Viboldone

La “domus de Vicoboldono”, oggi Abbazia di Viboldone, è la prima che incontriamo nei nostri passidaMilano, fuori città, lungo la Strada delle Abbazie, dopo aver già visitato le “milanesi” San Pietro in Gessate, Monluè e Chiaravalle.

 

Si trova, infatti, nel Comune di San Giuliano Milanese, un tempo grandissima zona agricola, diventata poi industriale con abitazioni, capannoni, fabbrichette e centri commerciali. Il verde, però, non manca poichè fa parte del Parco Agricolo Sud Milano.

 

Questa bella abbazia fu iniziata nel 1171 e completata in circa due secoli, dall’Ordine degli Umiliati, che investivano i proventi della lavorazione della lana in “domus” e comunità agricole. In questi centri lavoravano molti laici con famiglie, che costituivano il Terzo Ordine. Dediti anche ai bisognosi e agli ammalati, erano forse una forma iniziale del volontariato che è tanto presente oggi?

 

Quando poi l’Ordine venne sciolto dopo l’attentato a San Carlo Borromeo, il complesso passò poi agli Olivetani e, in seguito, andò incontro ad un lungo periodo di declino.

 

L’abbazia, ben restaurata, merita senza dubbio una visita. Sul piazzale alla sinistra c’è la cosiddetta “Casa del Priore” che contiene una raccolta di dipinti raffiguranti antichi strumenti musicali; ma è difficile poterla visitare.

 

A destra dell’abbazia, invece, c’è l’attuale convento delle Monache Benedettine, che qui vivono e lavorano, progettato dall’architetto Luigi Caccia Dominioni.

 

Come le altre abbazie è in mattoni rossi (materiale tipico dell’architettura lombarda), ma ci sono anche elementi in marmo bianco (rosone, cornice del portone, statue) che riprendono i tradizionali colori della basilica di Sant’Ambrogio e della nostra città.

 

L’abbazia di Viboldone ha un’impronta nettamente lombarda: mattoni a vista, forma a capanna, bifore a cielo aperto, cornice con belle foglie in cotto, rosone che alleggerisce la facciata.

 

Il campanile, che si innalza sopra il tiburio come nelle abbazie cistercensi, ha una slanciata forma a cono.

 

Diamo un’occhiata al portone sopra il quale ci sono tre belle statue in marmo: al centro la Madonna col Bambino in grembo, ai lati Sant’Ambrogio, con lo staffile e San Giovanni da Meda, col bastone, una delle più importanti figure degli Umiliati.

 

Osserviamo anche l’antico portone in legno decorato con grossi chiodi. Perchè alla base c’è una “soglia” che bisogna scavalcare per entrare in chiesa? Sembra fosse un “dissuasore” per impedire l’ingresso agli animali da cortile!

 

L’interno, a tre navate, è molto suggestivo: l’arco acuto è presente ovunque.

 

Le volte a crociera e i pilastri cilindrici tipici dell’epoca mostrano una certa sobrietà.

 

Infine diamo un’occhiata agli importanti affreschi di scuola giottesca. Tra questi il bellissimo “Giudizio Universale” di Giusto dei Menabuoi, in cui compare anche un diavolaccio intento a sbranare i dannati.

 

Come sempre andiamo a caccia di qualche curiosità. Un analogo diavolo è presente negli affreschi di Giotto della Cappella degli Scrovegni di Padova…

Guardiamo anche in altri affreschi: c’è un giovane, elegante Arcangelo Michele di fianco alla Madonna; accanto appare, inginocchiato, il Priore sotto cui fu completata la chiesa.

 

Nella scena del Calvario compare uno strano soldato romano con spadino e calzature a punta che sembra uscito da un codice miniato cavalleresco.

 

Infine… aguzzate la vista! Dove si trova questo insolito uomo rannicchiato che esprime tutto il suo muto terrore?

 

Un’altra curiosità la troviamo nel tondi sotto la Crocefissione: sono Adamo ed Eva, ma è lui che ha in mano la mela.

 

Usciamo ora dell’abbazia e raggiungiamo il borgo, per la verità piuttosto triste, che si snoda lungo una via. Qui troviamo qualche cascina invecchiata male ed edifici abbandonati…

 

Tra questi, però, c’è la cosiddetta “Càa de’ paròl” che reca sotto la grondaia e a metà facciata, alcune scritte in latino. Con difficoltà abbiamo cercato qualche notizia in più, ma la ricerca è stata piuttosto deludente. Così abbiamo provato a decifrare la scritta e la data che appaiono: forse erano case per salariati agricoli costruite nel 1929?

 

Il FAI aveva proposto questo borgo rurale come Luogo del Cuore per tentarne il recupero e la rinascita. Per ora nulla …, ma diciamo con loro: “non dobbiamo rassegnarci”.

A presto…