È una Milano in grande fermento quella che avrebbe voluto abbattere le mura del Castello, sul finire dell’Ottocento.
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http://www.cittametropolitana.mi.it/conosci_la_provincia/150anni/storia_provincia/storia_5.html
Stavano nascendo le prime industrie meccaniche, come la Breda, seguita poco dopo da Alfa, Pirelli e Falck, favorite anche dall’introduzione dell’energia elettrica.
A Milano, infatti, fu realizzata la prima centrale termoelettrica europea, in via Santa Redegonda, dove oggi ci sono la Rinascente ed il cinema Odeon.
Si andavano delineando, nella nostra città, grandi cambiamenti economici e sociali, che rendevano necessaria una ridefinizione degli spazi urbani. Nel contempo era in atto una spietata speculazione edilizia, che stava per colpire anche il Castello e quello che oggi è il Parco Sempione.
Inoltre il grave degrado in cui versava il Castello, acquistato verso il 1890 dal Comune di Milano, lasciava spazio al desiderio di nuovo, da sempre presente nel DNA della nostra città.
Per di più il Castello, visto per secoli come una fortezza nemica in mezzo alla città, non era amato dai milanesi. Secoli di dominazioni straniere avevano lasciato il segno nella mente e nel cuore dei cittadini.
Anche dopo l’avvento del Regno d’Italia, il Castello aveva continuato a servire da caserma per il Regio Esercito prima e per il corpo civico dei pompieri, poi.
Il Sindaco di allora, socio anche di una società operante in campo edilizio, appoggiò un piano regolatore che prevedeva di smantellare una parte del Castello e degli spazi adiacenti, per realizzare un collegamento diretto tra corso Sempione e il Cordusio, con la creazione di nuovi quartieri.
Dello stesso parere erano anche diversi importanti personalità dell’epoca, come Cesare Correnti, che sollecitava la demolizione di quella “massa stupidamente vasta…, malinconicamente tetra”.
“E allora, già che ci siamo, buttiamo giù anche il Duomo” con queste parole, in Consiglio Comunale, un giovane architetto, Luca Beltrami, scuote Milano.
La sua provocazione ottiene risultati insperati: era sì necessario costruire nuovi quartieri, ma anche far prendere coscienza alla città della propria memoria, arte e cultura.
Il comitato civico, del quale fa parte il Beltrami, ottiene che il Castello sia dichiarato monumento nazionale; viene così salvato dalle picconate insieme a quello che oggi è il Parco Sempione, un tempo antica riserva di caccia dei Visconti e degli Sforza, e diventato una grande piazza d’armi.
Il Sindaco deve lasciare e Beltrami entra nella nuova giunta. Può iniziare così la ricostruzione del Castello nelle mura e, soprattutto, nel cuore dei suoi concittadini.
Per approfondire:
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I testi e le informazioni cui attingere per questa impresa di ricostruzione erano pochi. Beltrami osserva e studia altri castelli sforzeschi, come quelli di Vigevano e di Cusago.
Cerca, va a caccia di tutto ciò che potrebbe servire per ricostruire il Castello. In particolare studia come poteva essere fatta la Torre del Filarete, distrutta nel corso del 1500, durante un temporale.
L’architetto trova un dipinto di scuola leonardesca, noto come “Madonna Lia”, dal nome del collezionista, Amedeo Lia, che l’aveva acquistata.
Sullo sfondo di questo dipinto appare un castello turrito dalle caratteristiche simili a quello Sforzesco, dal quale Beltrami trae ispirazione.
Una sera, poi, raccontò lo stesso Beltrami, mentre era in atto un violento acquazzone, trovò riparo sotto i portici della Cascina Pozzobonelli.
Da alcuni disegni posti sotto il porticato, vide emergere dall’intonaco rovinato. l’immagine di un castello con molti particolari che lo indicavano come quello Sforzesco. Che incredibile, meraviglioso caso: la Torre era stata distrutta durante un temporale e si fa ritrovare sempre durante una “bomba d’acqua”.
La ricostruzione della Torre apre la strada a importanti ritrovamenti e riscoperte.
Contemporaneamente, via via, le sale ducali, coperte da intonaci e suddivise in camerate, dischiudono il loro splendore. Vengono “ritrovate” la Cappella Ducale, la Sala delle Colombine, amata da Bona, la Sala Verde e, soprattutto, la Sala delle Asse, affrescata da Leonardo. Sono restaurate la Sala del Tesoro, la Loggia di Galeazzo Maria Sforza, lo scalone, la Ponticella del Bramante, la Rocchetta.
“L’arte è di tutti” sosteneva il Beltrami e, negli anni a seguire, i milanesi fanno a gara nelle donazioni a quello che sta diventando museo a cielo aperto e raccolta di opere d’arte; tra gli altri Achille Bertarelli fece dono al Comune della sua enorme collezione di stampe e disegni, che oggi possiamo visitare al Castello.
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Le pietre, cariche di storia, del Castello subiscono anche i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e molti tesori finiscono sotto le macerie.
Anche questa prova fu superata, anzi, in pieno dopoguerra, i milanesi vollero acquistare, con una sottoscrizione pubblica, la Pietà Rondanini, ultimo capolavoro di Michelangelo.
Per saperne di più:
L’opera, rimasta incompiuta per la morte del Maestro, si trova oggi nell’antico ospedale spagnolo del Castello, restaurato in occasione di Expo.
Questa scultura, una Deposizione così diversa dalle altre, è un abbraccio di pietra, immagine di un dolore infinito e senza fine, tra le mura del Castello.
Il Castello ora ospita al suo interno musei e opere di straordinario valore; non solo: la rocca di un tempo è un luogo aperto alla città, con diverse iniziative, anche rivolte ai più piccoli.
Ora il Castello è nel cuore della città; passato e presente sono davanti a noi quando alziamo gli occhi.
Forse un’antica dama, in una sala del Castello, sta leggendo con noi Passipermilano.