La visita al Castello è veramente un’esperienza ricca di emozioni, scoperte e avventure, quasi un’impresa come quella degli antichi cavalieri che ricordavano un episodio esaltante della loro vita con uno stemma e un motto personali, diversi dallo stemma del casato.
Uno degli stemmi scelti da Ludovico il Moro rappresenta un mare in tempesta e due fari che indicano il porto da raggiungere.
Questo stemma si trova sia al Castello, su un capitello nel portico della Rocchetta, sia in Santa Maria delle Grazie, voluta dal Duca come cappella di famiglia.
Forse indicavano il travaglio della sua vita per giungere al potere terreno e alla pace eterna.
“Tal trabalio mes places, por tal thesaurus non perder” (tale fatica mi è gradita per non perdere un tale tesoro). Il motto che accompagnava l’impresa di Ludovico ci ha fatto pensare alla “vita” del Castello, giunto fino a noi in grande splendore dopo le tempeste della sua storia.
Godiamoci questo tesoro conoscendo meglio la complessa varietà di quanto mostra, senza dimenticare, però, quanto nasconde o c’è ancora da scoprire.
Il Castello è nel cuore della città, vasto quadrilatero di mura in mattoni definite da due torri rotonde sul davanti e quadrate verso il Parco Sempione.
Non è del tutto originale, ma è stato ricostruito da Luca Beltrami, l’architetto milanese che, a fine Ottocento, riuscì a compiere l’impresa di salvare e restaurare il Castello e, insieme, la memoria dei milanesi rispetto alla loro Storia.
Ecco la mappa del Tesoro:
Passare sotto la Torre del Filarete è come varcare il portale verso il passato del Castello.
Su di essa, ricostruita in maniera avventurosa dal Beltrami attraverso studi, ricerche e ritrovamenti fortunosi, spiccano un grande orologio, misura umana del tempo, la statua di Sant’Ambrogio e quella di Umberto I, al quale la torre è dedicata.
![]() |
![]() |
![]() |
La vasta Piazza d’Armi, che ci accoglie appena entrati, non fa pensare ai cortei cavallereschi o alle esercitazioni militari che qui avvenivano durante le varie dominazioni straniere.
Ora sembra un giardino sul quale si affacciano sedi culturali o di capolavori come la Pietà Rondanini nell’ex-Ospedale Spagnolo.
Sul lato di fronte al Museo della Pietà, alcuni resti sono memoria della città che abitiamo e fanno da panchina per qualche gatto fermo, come noi, forse a meditare.
La statua di san Giovanni Nepomuceno, patrono dei soldati austriaci e… protettore degli ubriachi caduti in acqua (una sua statua era situata anche a Porta Romana, quando vi scorreva il Naviglio) è davanti al cosiddetto fossato morto, completamente asciutto, dove spesso gatti sornioni ci guardano con felino e signorile distacco, accanto a palle di cannone in pietra.
L’antica Porta Giovia, che si apre sulla Piazza d’Armi, fa quasi da cartello indicatore verso i capolavori di Michelangelo e Leonardo contenuti nel Castello.
Entriamo ora nella seconda parte del Castello, dove si affacciano la Rocchetta, il luogo più protetto, al quale si accedeva solo da un ponte levatoio sopra il fossato morto, e la Corte Ducale, residenza del Duca e centro politico di Milano.
Davanti alla Rocchetta possiamo fermarci per una sosta in un moderno luogo di ristoro.
Accanto al bar, possiamo invece dissetarci, con la fantasia, alla piccola fontana su cui sono riportate cinque imprese dei Visconti e degli Sforza.
Dalla fontana non sgorga acqua, ma si sa che i gatti non la amano; un inquietante gatto nero fa da guardiano a chissà quali misteri.
Nell’elegante cortile della Rocchetta possiamo passeggiare sotto i portici ai quali lavorò anche il Bramante.
Sui capitelli stemmi araldici, mentre sullo sfondo appare la Torre di Bona di Savoia, rifugio della infelice vedova di Galeazzo Maria Sforza.
Da questa torre sembrano provenire, talvolta, gemiti e lamenti. Saranno quelli di Bona o di un gatto rimasto solo?
Nel cortile della Rocchetta si apre anche la Torre Castellana, dove si trovava la Sala del Tesoro, purtroppo non sempre visitabile.
Era il forziere che custodiva il tesoro dello Stato e quello privato del Duca.
Secondo l’ambasciatore di Ferrara, la quantità di ricchezze era tale che un cerbiatto non sarebbe riuscito a superarle con un balzo.
In questa sala è possibile ammirare l’affresco, opera del Bramantino, raffigurante Argo. Questa figura mitologica dai cento occhi vegliava sul Tesoro, affiancata da due splendidi pavoni.
La finestrella accanto conteneva un ingegnoso antifurto: nel vano erano contenute delle lampade ad olio che proiettavano la loro luce nella sovrastante stanza del Castellano; l’apertura non programmata della porta della sala avrebbe creato una corrente d’aria tale da farle spegnere, dando così l’allarme.
Al primo piano si può passeggiare nel Museo degli Strumenti Musicali e nella Sala della Balla, dove sono esposti altri capolavori quali gli Arazzi dei Dodici Mesi, commissionati al Bramantino da Gian Giacomo Trivulzio, che appare in quello del mese di Settembre, con un falco sulla mano; un gigantesco selfie di stoffa dell’epoca.
E come non pensare che in questa Sala, dove si giocava anche alla pallacorda, avvenne un dramma pubblico e privato? Dopo una notte di danze, per le feste del Nuovo Anno, Beatrice d’Este, giovanissima moglie del Moro, morì di parto insieme al suo bambino. Si dice che il fantasma della giovane Duchessa non abbia mai abbandonato queste sale.
Quante altre storie conoscono i gatti del Castello?