Uno spin-off del Lazzaretto: Palazzo Luraschi

Ancora una volta partiamo dal Lazzaretto per raccontare di un edificio legato alla sua lunga storia: Palazzo Luraschi, che si trova all’angolo tra piazza Oberdan (vi ricordate il Diurno liberty così bello e dimenticato?) e corso Buenos Aires.

Il palazzo venne costruito tra il 1881 e l’87 dall’ingegner Ferdinando Luraschi in un’area del Lazzaretto che stava per essere demolito per far posto a nuove costruzioni.

Dell’antica struttura di manzoniana memoria rimangono ormai ben pochi resti e un altro spin-off, la chiesetta di San Carlino.

Il grande quadrilatero (metri 378 per 370) tra l’odierno corso Buenos Aires, via San Gregorio, via Lazzaretto e viale Vittorio Veneto, a fine Ottocento divenne una zona molto appetibile per la speculazione edilizia, a due passi dalla Stazione Centrale, che allora sorgeva nell’attuale piazza della Repubblica.

Così l’ingegner Luraschi e Angelo Galimberti, il capomastro soprannominato “il Barbarossa di Porta Venezia” per la distruzione del Lazzaretto, fecero costruire il primo palazzo milanese che infrangeva la “servitù del Resegone”, una norma che limitava l’altezza dei palazzi della zona nord a tre piani per lasciar vedere il Resegone e la Grigna; fu un abuso edilizio? Non lo sappiamo.

Palazzo Luraschi fu costruito in uno stile eclettico, con “omenoni”, teste leonine, decorazioni e inserti in cotto; sulla cima, come pinnacoli, si stagliavano diverse statue che potevano, almeno loro, continuare a guardare le montagne.

Anche l’interno del palazzo, ristrutturato pochi anni fa, riserva delle sorprese veramente inaspettate. Varchiamo il portone e, attraverso un suggestivo androne, entriamo… nella casa dei Promessi Sposi.

Ci troviamo in un bel cortiletto porticato con al centro un pozzo; lungo le pareti dodici personaggi del romanzo ci guardano da altrettanti medaglioni, come se l’ingegner Luraschi avesse voluto rendere omaggio all’opera che parlava del Resegone e del Lazzaretto, demolito anche per costruire il suo palazzo.

Non solo: sotto la parte destra del loggiato, addossate al muro, ci sono quattro delle colonne del Lazzaretto, segno tangibile di un passato che continua ad essere presente. Ancora una volta siamo di fronte a pietre che si spostano, come spesso accade nella nostra città.

Infine un’altra curiosità di questo strano palazzo. Al piano terreno tra il 1888 e il 1940, si apriva sulla strada il Puntigam, un locale-birreria e cafè chantant che fu tra i primi a Milano ad essere dotato di luce elettrica.

Concludiamo la visita virtuale con un sorriso. Guardiamo questa vecchia foto scattata davanti a Palazzo Luraschi in una Porta Venezia quasi deserta: non richiama l’atmosfera di questo periodo?

A presto…

Un tuffo nel Liberty vicino al Lazzaretto (un quartiere rinato – Parte Terza)

Quanti mondi sono passati tra le damine che passeggiavano a Porta Venezia e le donne con pochi veli che si mostravano a Palazzo Castiglioni, la cosiddetta “Ca’ di Ciapp“?

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Il nostro itinerario attraverso il quartiere del Lazzaretto termina con un tuffo nel Liberty in alcune vie vicino a corso Buenos Aires. Già un primo assaggio di questo “nuovo stile” lo abbiamo gustato scendendo nel Diurno di piazza Oberdan, ancora da restaurare.

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Gli ottocenteschi Caselli del Dazio sulla piazza erano quasi il confine tra la zona nobile di Porta Venezia e quella più popolare dell’ex-Lazzaretto.

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Dalla seconda metà dell’ Ottocento Milano è in pieno fermento: c’è crescita economica e demografica, nascono le industrie, arrivano la luce elettrica, i cinema, le automobili… il progresso.

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La borghesia è in ascesa e vuole un sempre maggiore riconoscimento sociale. I contadini, arrivati in città, diventano operai delle nuove industrie e nascono i primi moti, gli scioperi e anche le iniziative di solidarietà tra i lavoratori.

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“Il quarto Stato” G. Pellizza da Volpedo – Museo del Novecento, Milano

La borghesia e le fasce popolari sono entrambe conquistate dal nuovo stile, il Liberty. Due esempi, nelle vicinanze di Porta Venezia, sono Palazzo Castiglioni e la sede della Società di Mutuo Soccorso per ferrovieri.

Palazzo Castiglioni, il primo edificio di questo stile a Milano, si trova al numero 47 di corso Venezia, tra bei palazzi neoclassici. Era stato commissionato da un ricco borghese, l’ing. E. Castiglioni, all’architetto Sommaruga e appariva come una novità e, insieme, una sorta di provocazione in campo architettonico.

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ferri battuti di A. Mazzucotelli

Era decorato con due grandi figure femminili, che rappresentavano la Pace e l’Industria, formose e con un bel “lato B” in vista.

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Destarono un così grande scandalo che le due statue della “Ca’ di Ciapp” (così era stato soprannominato il palazzo) dovettero essere rimosse e ricollocate nel giardino interno di un’altra villa, sempre progettata dello stesso architetto, in via Buonarroti, ora sede di una Casa di Cura.

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Villa Faccanoni Romeo – Oggi Casa di Cura “Columbus”

Palazzo Castiglioni ospita oggi l’Unione Commercianti di Milano.

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Dall’elegante corso Venezia spostiamoci in via San Gregorio, alle spalle della antica Stazione Centrale, dove, in quegli anni, viene aperta la sede del Mutuo Soccorso tra i ferrovieri.

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Qui, nella sala Liberty di questo dopolavoro, venne indetto uno sciopero riportato anche dai giornali dell’epoca.

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Ora questa sala, restaurata dopo un passato anche di cinema a “luci rosse”, fa parte del ristorante Osteria del Treno. È un ampio salone con scala di ferro e balconata sorretta da colonne di ghisa, omaggio all’architettura industriale del tempo. Ospita ricevimenti, eventi ed amanti del tango.

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Dopo questa digressione, che potrebbe essere anche gastronomica (ci siamo fermati a pranzo e non ce ne siamo pentiti, anzi!), facciamo quattro passi alzando lo sguardo verso gli edifici di questa zona, quasi un minitinerario nell’itinerario. Possiamo trovare elementi Liberty, palazzi deliziosi o anche inquietanti.

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Casa Hahn – via Settembrini 38 / 40

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Casa Felisari – via Settembrini 11

Vi proponiamo altre immagini di Casa Felisari, progettata dall’architetto Arata. Non perdetevela assolutamente; guardate anche il citofono dell’ingresso laterale su via Boscovich. Un pizzico di insolito e di mistero in Passipermilano non manca mai!!! Chi ci abiterà?

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Torniamo al nostro itinerario Liberty a Porta Venezia.

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Percorriamo pochi isolati e raggiungiamo l’ex-cinema Dumont in via Melzo angolo via Frisi, passando davanti all’interessante Teiera Eclettica, regno del tè.

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La storia di questo cinema, uno dei primi di Milano,  fu molto travagliata. Nacque nel 1910 in questa bella palazzina Liberty, di cui vediamo ancora oggi la facciata. In seguito divenne un autosalone e, negli anni Ottanta, rischiò di essere abbattuto per diventare un garage multipiano.

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Gli abitanti della zona si opposero e riuscirono a salvarne la facciata e l’atrio, trasformandolo in una biblioteca  comunale rionale.

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Nelle vicinanze ci sono due capolavori Liberty: Casa Guazzoni (1903-1906) e la spettacolare Casa Galimberti (1902-1906) progettate dallo stesso architetto, G.B. Bossi.

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Casa Guazzoni – via Malpighi 12

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Casa Galimberti – via Malpighi 3

I due edifici sono alquanto diversi: la ricca facciata di Casa Guazzoni è decorata con morbide figure, putti e elementi vegetali in cemento accostati a ferri battuti, probabilmente del celebre artigiano A. Mazzucotelli, che formano un effetto chiaro-scuro.

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Di fronte restiamo quasi senza parole davanti alla maioliche dipinte a fuoco di Casa Galimberti.

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Era una “casa da reddito”, cioè con appartamenti da affittare; le maioliche avevano anche l’intento di facilitare la manutenzione della facciata. Belle donne, dai capelli e forme morbide, ci guardano dal primo piano del palazzo. Ai piani superiori colorate piastrelle a fiori e frutti.

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Sembra una sorta di community ante litteram; queste belle donne sono a proprio agio mostrandosi e guardando anche all’interno delle case.

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Il nostro itinerario è quasi terminato. Andando verso la fermata della metropolitana di Porta Venezia diamo un’occhiata a un altro edificio Liberty, l’hotel Sheraton Diana Majestic.

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A quel tempo il suo Kursaal era una sorta di dopolavoro dell’alta borghesia milanese, con piscina (la prima con trampolino e aperta, in alcuni orari, anche alle signore), teatro, ristorante, bar, persino un campo per il gioco della pelota basca.

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 È stato un itinerario insolito e lungo, in una zona poco conosciuta, ma quante cose c’erano da vedere!

Ciao!

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Il Lazzaretto: un quartiere rinato – (Parte Seconda)

Dopo aver percorso in lungo e in largo il quartiere sorto sulla cosiddetta “prateria”, cioè il grande spazio vuoto un tempo all’interno del Lazzaretto, andiamo a vedere ciò che resta delle mura che lo circondavano. Dirigiamoci quindi verso via San Gregorio 5.

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Un lembo di muro, sei finestre, cinque comignoli, un trancio di fossato, ecco cosa ne rimane: la vera peste, per il Lazzaretto, fu la speculazione edilizia, che a fine Ottocento “si diffuse” a Milano, rischiando di spianare anche il Castello Sforzesco.

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Alcuni architetti, tra cui il Beltrami, tentarono di salvare il Lazzaretto, proponendo anche di trasformarlo in parco pubblico. Il degrado e la fame di case, però, tanto più in una zona appetibile e servita dalla ferrovia, erano tali che gli abitanti ed i bottegai, che via via lo avevano popolato, vennero sfrattati e il piccone iniziò la demolizione.

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Ora siamo di fronte a questo muro. Ogni finestra e ogni comignolo appartenevano ad una cella.

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Voci di bambini provengono dalla scuola che si affaccia sul fondo del cortile.

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Un piccolo cancelletto e qualche gradino ci immettono tra gli unici portici salvati del Lazzaretto dove ora si trova la chiesa ortodossa russa dei Santi Nicola e Ambrogio (un po’ di Milano ci vuole!).

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Le sottili colonne e i begli archi quasi scompaiono tra i fiori, i colori e il vivace disordine del cortiletto.

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Qui, in una delle celle, rifugio o prigione per appestati, c’è ora una cappella con un’icona circondata da ex-voto e candele.

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C’è profumo di mistero in questo luogo. Infatti molti avrebbero visto delle lacrime scendere dagli occhi della Madonna e del Bambino.

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http://milano.repubblica.it/cronaca/2010/04/25/news/milano_lacrime_da_un_immagine_della_madonna_in_chiesa_ortodossa-3608985/?refresh_ce

Difficile è osservare ciò che resta del Lazzaretto, quasi travolti dal calore e dall’esuberanza dell’ambiente.

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Quando il Lazzaretto venne demolito non si andò per il sottile e divenne quasi terra di conquista per chi voleva portarsi via qualcosa (colonne, porte, infissi…).

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Alcune colonne le possiamo vedere ancora oggi, ad esempio, nel cortile di Palazzo Luraschi, di corso Buenos Aires 1, ora in ristrutturazione.

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Dirigiamoci verso questo palazzo, all’angolo di piazza Oberdan, e, nel frattempo, lanciamo un’occhiata all’antica polveriera austriaca, in corso Buenos Aires angolo via San Gregorio. Ora in questo bell’edificio, situato all’esterno delle mura di allora, c’è un negozio Benetton e, per fortuna, l’esplosione è solo quella dei colori.

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Siamo giunti, ora, in piazza Oberdan, famosa per lo “Spazio Oberdan”, centro di incontri culturali e cinematografici.

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L’accurato restyling della piazza mette in evidenza due colonne e una pensilina Liberty, che facevano parte dell’Albergo Diurno Metropolitano, piccola spa degli anni Venti, alla cui realizzazione partecipò anche l’architetto Portaluppi.

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Le maestose colonne che vediamo erano semplicemente una la canna fumaria delle caldaie e l’altra l’aeratore dei locali sottostanti; la pensilina copriva una delle scale di accesso.

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Purtroppo il Diurno è accessibile solo durante alcune aperture straordinarie organizzate dal FAI. Siamo riusciti a visitarlo dopo ore di attesa sulla scala della metropolitana e ciò testimonia l’interesse dei milanesi verso la propria città.

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L’area del Diurno comprendeva un salone d’ingresso con la cassa, le botteghe artigiane di “bellezza”, rese più riservate da separè, due agenzie di viaggio e le “Terme”.

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L’arredamento e gli ambienti art nouveau rendono piacevoli e fascinosi questi “locali” dedicati soprattutto ai viaggiatori e a chi  desiderava occuparsi del benessere del proprio corpo, anche con qualche piccolo lusso.

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Da questo salone si passava alle “Terme”, accolti dalla dea Igea.

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Qui docce, servizi e bagni accoglievano, in corridoi separati, gli uomini e le donne. Anche i colori delle piastrelle erano diversi, più austeri per i maschi. I clienti erano per lo più viaggiatori o chi, non avendo ancora servizi confortevoli in casa, voleva comunque permettersi un bagno “di lusso”.

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uno dei corridoi

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bagno uomini

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bagno donne

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bagno donne

Con la costruzione della nuova Stazione Centrale e, nel dopoguerra, con il miglioramento delle condizioni igieniche domestiche, il “Diurno Venezia” cadde in disuso, fino a chiudere negli anni Novanta.

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Solo il barbiere resterà in attività fino agli anni Duemila.

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Il Diurno attende ora di essere restaurato e anche di conoscere il suo futuro, che è, al momento, incerto: si parla di centro culturale, ma ci sono altre ipotesi per la sua “riapertura” alla città.

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La seconda parte di questo itinerario termina nel Liberty del Diurno. Andiamo a vedere qualche altro esempio di questo stile a quattro passi da qui? Ne sarete meravigliati.

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Continua…