Dopo aver percorso in lungo e in largo il quartiere sorto sulla cosiddetta “prateria”, cioè il grande spazio vuoto un tempo all’interno del Lazzaretto, andiamo a vedere ciò che resta delle mura che lo circondavano. Dirigiamoci quindi verso via San Gregorio 5.
Un lembo di muro, sei finestre, cinque comignoli, un trancio di fossato, ecco cosa ne rimane: la vera peste, per il Lazzaretto, fu la speculazione edilizia, che a fine Ottocento “si diffuse” a Milano, rischiando di spianare anche il Castello Sforzesco.
Alcuni architetti, tra cui il Beltrami, tentarono di salvare il Lazzaretto, proponendo anche di trasformarlo in parco pubblico. Il degrado e la fame di case, però, tanto più in una zona appetibile e servita dalla ferrovia, erano tali che gli abitanti ed i bottegai, che via via lo avevano popolato, vennero sfrattati e il piccone iniziò la demolizione.
Ora siamo di fronte a questo muro. Ogni finestra e ogni comignolo appartenevano ad una cella.
Voci di bambini provengono dalla scuola che si affaccia sul fondo del cortile.
Un piccolo cancelletto e qualche gradino ci immettono tra gli unici portici salvati del Lazzaretto dove ora si trova la chiesa ortodossa russa dei Santi Nicola e Ambrogio (un po’ di Milano ci vuole!).
Le sottili colonne e i begli archi quasi scompaiono tra i fiori, i colori e il vivace disordine del cortiletto.
Qui, in una delle celle, rifugio o prigione per appestati, c’è ora una cappella con un’icona circondata da ex-voto e candele.
C’è profumo di mistero in questo luogo. Infatti molti avrebbero visto delle lacrime scendere dagli occhi della Madonna e del Bambino.
Difficile è osservare ciò che resta del Lazzaretto, quasi travolti dal calore e dall’esuberanza dell’ambiente.
Quando il Lazzaretto venne demolito non si andò per il sottile e divenne quasi terra di conquista per chi voleva portarsi via qualcosa (colonne, porte, infissi…).
Alcune colonne le possiamo vedere ancora oggi, ad esempio, nel cortile di Palazzo Luraschi, di corso Buenos Aires 1, ora in ristrutturazione.
Dirigiamoci verso questo palazzo, all’angolo di piazza Oberdan, e, nel frattempo, lanciamo un’occhiata all’antica polveriera austriaca, in corso Buenos Aires angolo via San Gregorio. Ora in questo bell’edificio, situato all’esterno delle mura di allora, c’è un negozio Benetton e, per fortuna, l’esplosione è solo quella dei colori.
Siamo giunti, ora, in piazza Oberdan, famosa per lo “Spazio Oberdan”, centro di incontri culturali e cinematografici.
L’accurato restyling della piazza mette in evidenza due colonne e una pensilina Liberty, che facevano parte dell’Albergo Diurno Metropolitano, piccola spa degli anni Venti, alla cui realizzazione partecipò anche l’architetto Portaluppi.
Le maestose colonne che vediamo erano semplicemente una la canna fumaria delle caldaie e l’altra l’aeratore dei locali sottostanti; la pensilina copriva una delle scale di accesso.
Purtroppo il Diurno è accessibile solo durante alcune aperture straordinarie organizzate dal FAI. Siamo riusciti a visitarlo dopo ore di attesa sulla scala della metropolitana e ciò testimonia l’interesse dei milanesi verso la propria città.
L’area del Diurno comprendeva un salone d’ingresso con la cassa, le botteghe artigiane di “bellezza”, rese più riservate da separè, due agenzie di viaggio e le “Terme”.
L’arredamento e gli ambienti art nouveau rendono piacevoli e fascinosi questi “locali” dedicati soprattutto ai viaggiatori e a chi desiderava occuparsi del benessere del proprio corpo, anche con qualche piccolo lusso.
Da questo salone si passava alle “Terme”, accolti dalla dea Igea.
Qui docce, servizi e bagni accoglievano, in corridoi separati, gli uomini e le donne. Anche i colori delle piastrelle erano diversi, più austeri per i maschi. I clienti erano per lo più viaggiatori o chi, non avendo ancora servizi confortevoli in casa, voleva comunque permettersi un bagno “di lusso”.
Con la costruzione della nuova Stazione Centrale e, nel dopoguerra, con il miglioramento delle condizioni igieniche domestiche, il “Diurno Venezia” cadde in disuso, fino a chiudere negli anni Novanta.
Solo il barbiere resterà in attività fino agli anni Duemila.
Il Diurno attende ora di essere restaurato e anche di conoscere il suo futuro, che è, al momento, incerto: si parla di centro culturale, ma ci sono altre ipotesi per la sua “riapertura” alla città.
La seconda parte di questo itinerario termina nel Liberty del Diurno. Andiamo a vedere qualche altro esempio di questo stile a quattro passi da qui? Ne sarete meravigliati.