I giardini delle donne: spazi verdi con sfumature rosa

Non sono molte le strade di Milano dedicate alle donne. E i monumenti? Nemmeno uno, se si escludono diverse statue femminili allegoriche. Da qualche tempo, però, alcuni giardini hanno il nome di donne celebri. Andiamo a fare quattropassi dove il rosa  sfuma nel verde.

Due tra “i giardini delle donne” sono grandi e di più vecchia data: la Guastalla (ne parleremo tra qualche settimana) e il Ravizza; altri sono invece spazi più nuovi dove il verde si è conquistato piccole aree trascurate o qualche angolo tra le case o vicino a edifici storici.

Le donne a cui sono state dedicate queste memorie verdi e vive hanno avuto storie diverse: c’è chi ha dato la vita per il proprio impegno, come Lea Garofalo e Anna Politkovskaja, o chi ha lasciato un segno nell’arte e nella cultura.

Così possiamo passeggiare nel giardino Camilla Cederna, accanto all’Università Statale di via Festa del Perdono e goderci un po’ di verde alle spalle di via Larga tra la Ca’ Granda e la bella chiesa di San Nazaro, in un angolo ricco di storia e di fascino un po’ bohemienne.

Ad una grande giornalista, Oriana Fallaci, è dedicato un bel giardino in via Quadronno con diversi spazi gioco  e qui, perché no?, possiamo fermarci a rileggere qualche intensa pagina della scrittrice.

Quasi a prolungarne il verde, su questo giardino si affacciano bei palazzi d’autore, con i loro terrazzini ricchi di vegetazione, quasi precursori del pluripremiato Bosco Verticale.

Un altro giardino in rosa è quello dedicato a Renata Tebaldi, di fronte alla chiesa di Santa Maria Segreta. È un giardino tranquillo dove si può sostare un momento dopo aver fatto visita all’Angelo meteorologo della chiesa o essere andati a vedere il vicino Villino Maria Luisa, tutto oro e azzurro.

In queste giornate calde, possiamo cercare un po’ d’ombra anche al Parco Ravizza, un’ isola verde vicino alla Bocconi, che offre tanto spazio a chi vuole stendersi al sole o riposare all’ombra, magari per studiare.

Fu realizzato all’inizio del secolo scorso, in una zona agricola in via di urbanizzazione; frequentato in ogni stagione, anche da chi fa jogging, è ricco di spazi verdi, di aree gioco e di recinti per gli amici a quattro zampe.

È conosciuto come “il Ravizza”, al maschile, ma è dedicato a una donna straordinaria: Alessandrina Ravizza. Chi era questa donna grassoccia e un po’ dimessa, con una grande fronte spaziosa che era l’immagine della sua mente e del suo cuore grandi e aperti?

Era nata in Russia, nel 1846, da madre tedesca e da padre italiano, un patriota esule dopo le guerre napoleoniche. Cresciuta in un ambiente cosmopolita, conosceva ben otto lingue.

Giunta a Milano per accompagnare la sorella che doveva studiare al Conservatorio, sposò l’ingegnere Giuseppe Ravizza, del quale portò sempre il cognome, ed entrò in contatto con alcune donne, fra cui Anna Kuliscioff, in prima linea per l’emancipazione femminile e l’impegno sociale.

Il “suo” parco è un po’ come l’opera della Ravizza. Alessandrina, infatti,  fece crescere, come dice Ada Negri, una “foresta spessa e viva” di istituzioni che contribuirono a fare grande Milano, sia pure negli anni difficili a cavallo dei due secoli.

Alessandrina Ravizza seminò e curò le radici di molti “alberi”: le Cucine Economiche, la Casa di Lavoro per Disoccupati, l’Ospedale Sifiloiatrico per madri e bambini ammalati. Promosse inoltre corsi di formazione professionale e diede vita all’Università Popolare di Milano.

Per la Ravizza erano fondamentali la solidarietà e la cultura per raggiungere un reale progresso sociale senza il rischio di solo assistenzialismo. E questi sono i valori della Milano più autentica, validi ancora oggi.

Passeggiando per questo bel parco milanese, senza barriere e generoso di zone di sole e di ombre come la vita, e di una vegetazione ricca e diversa, abbiamo pensato al rosa intenso di Alessandrina Ravizza che non “processò mai la vita, ma la difese e la incoraggiò in ogni singola manifestazione” (Ada Negri).

Qui il verde si è davvero tinto di rosa.

A presto… 

Una Rosa per la moda e le donne

È una bella storia quella di Rosa Genoni, la grande signora della moda e dell’emancipazione femminile tra Ottocento e Novecento. La Settimana della Moda a Milano si è appena conclusa e tra qualche giorno sarà l’ 8 marzo: Rosa sembra unire queste date con la sua vita, la sua intelligenza e creatività.

L’Archivio di Stato di via Senato le sta dedicando una mostra fatta di abiti, bozzetti, documenti e ricordi, curata dalla nipote. Durerà fino al 17 marzo e può essere l’occasione anche per visitare questo bel palazzo che ha tante storie da raccontare.

Rosa nacque in Valtellina nel 1867 da una modesta famiglia (padre calzolaio, madre sarta), primogenita di ben 18 tra fratelli e sorelle.

Dopo la terza elementare fu mandata a Milano come “piscinina” da una zia che aveva un piccolo laboratorio di sartoria. La piscinina era il primo, o l’ultimo, livello del mondo della Moda, l’apprendista che faceva i più semplici lavori in sartoria (magari solo le pulizie) e consegnava gli abiti a casa delle clienti.

Salario minimo, tante ore di lavoro; queste ragazzine, però, imparavano un mestiere e affinavano il gusto vivendo accanto alla bellezza degli abiti sartoriali e all’eleganza delle clienti.

Il settore tessile era molto sviluppato in Lombardia da diversi secoli (pensiamo alle sete, alle lane, alle filande!) e richiamava molta manodopera femminile.

Inoltre la “moda” si stava diffondendo tra un numero sempre maggiore di donne, desiderose di migliorare il proprio aspetto, ciò grazie anche ai nuovi grandi magazzini, come gli Aux Villes d’Italie a Milano (diventati poi la Rinascente) che proponevano abiti pronti a buon prezzo, anche per corrispondenza, copiati dalle riviste francesi. Era Parigi, infatti, che dettava la moda del tempo.

Rosa è intelligente e capace; conseguita la licenza elementare, frequenta corsi di francese e intanto viene a contatto con i movimenti operai e femministi. Conosce, tra l’altro, anche Anna Kuliscioff, della quale sarà amica per sempre, condividendone tante iniziative, e anche sua stilista. Guardate l’eleganza del tailleur di Anna.

Quando viene invitata a Parigi come interprete ad un congresso politico, Rosa non ha esitazioni. Anche se ancora minorenne resta nella capitale francese, lavorando in diversi ateliers per imparare i segreti della produzione e del lavoro di équipe necessario per realizzare un abito.

Tornata a Milano la sua carriera esplode: diventa direttrice di diverse case di moda, partecipa all’Expo 1906 vincendo il primo premio per lo stand dove espone i suoi abiti, tiene corsi di sartoria e di storia della moda all’Umanitaria, istituzione filantropica milanese che esiste tuttora.

Pioniera appassionata  e consapevole di un made in Italy ancora in divenire, crea abiti che traggono ispirazione dall’eleganza di modelli storici italiani.

Veste il mondo che conta e le grandi attrici dell’epoca, come Lyda Borelli, ma non rinuncia nè a formarsi una famiglia, nè all’impegno civile e sociale.

Il suo incontro con un avvocato milanese, Alfredo Podreider , sarà lungo, felice e allietato dalla nascita di Fanny.

Accanto alla crescita professionale, Rosa Genoni continua l’impegno politico e femminista per i diritti delle donne.

Nel 1908 crea e indossa l’abito Tanagra, ispirato alla cultura classica, ma fluido e avvolgente, considerato ancora oggi una sintesi della donna  intelligente, libera e femminile, pensata dalla stilista.

Aiuta anche le detenute di San Vittore realizzando un ambulatorio medico e una sartoria all’interno del carcere, perchè la salute, il lavoro e il bello possano portare le donne recluse al riscatto personale e sociale; ecco una creazione, l’Araba Fenice, che alcune detenute hanno dedicato  a Rosa.

Gli anni che precedono la Prima Guerra Mondiale la vedono impegnata come pacifista. Nel 1915 partecipa a L’Aja al Congresso Internazionale delle Donne per la Pace; la figlia Fanny, però, si ammala e Rosa rinuncia a un ulteriore incontro femminista negli USA.

Quando si ritirerà a vita privata, già vedova, si avvicinerà alla teosofia di R. Steiner e alle colture biodinamiche che uno dei suoi fratelli applicherà per primo in Australia dove era emigrato.

Rosa attraversò due secoli intensi, con grande apertura, cogliendone molte tematiche che saranno sviluppate, e non ancora risolte, negli anni successivi: Famiglia, Lavoro, Diritti Civili, Parità, Istruzione, Solidarietà attiva.
Una donna contemporanea… di ieri.

A presto…