La Vergine delle Rocce di Affori, una tavola tra misteri ed enigmi

La Vergine delle Rocce è uno dei quadri più belli ed enigmatici di Leonardo. Ne realizzò due versioni, la prima è esposta al Louvre, l’altra alla National Gallery di Londra.

“Nacquero” entrambe a Milano a circa venticinque anni di distanza; nella nostra città ora ne esistono due copie, poco valorizzate ma molto importanti, probabilmente realizzate in co-working da Leonardo ed altri artisti.

È possibile andare a vedere queste opere con una certa facilità; la prima riprende la versione del Louvre e si trova nella chiesa di San Michele sul Dosso, presso le Suore Orsoline di via Lanzone. L’altra, invece, è visibile ancora più liberamente, senza necessità di appuntamento, recandoci presso la Parrocchia di Santa Giustina ad Affori.

La “Vergine” di Affori riprende la seconda versione dell’opera leonardesca, quella in cui l’angelo ha riavuto le ali ed osserva la scena che si svolge nella grotta senza puntare l’indice e senza lo sguardo ammiccante che ‘guarda verso chi guarda’.

Soffermiamoci davanti alla tavola della Vergine di Santa Giustina e osserviamola anche con l’aiuto del bel libro che si trova in vendita in Parrocchia.

La tavola è più piccola e luminosa della pala di Londra e, probabilmente, venne realizzata anche da un “copittore” di Leonardo, forse quell’Ambrogio De Predis con il quale il Maestro aveva già lavorato più volte dipingendo tra l’altro anche il “Ritratto di Musico” dell’Ambrosiana.

Una indicazione sul nome dell’autore potrebbe venire dal copricapo della Vergine, dove sembrano vedersi alcune lettere dell’alfabeto: P, R, E, D. Sono una “firma” (Predis) o un riferimento a “predestinata”?

Il dipinto, che doveva rappresentare l’Immacolata Concezione, non è una copia identica all’originale. Se la osserviamo più da vicino, notiamo una serie di “novità” piuttosto intriganti, quasi una tavola da guardare con la lente o un gioco enigmistico per solleticare le nostre menti.

Iniziamo con un “cos’è” riferito a Milano. Sotto il cielo minaccioso che si intravvede dalla grotta, vediamo in lontananza un paesaggio con una chiesa, “anacronistica” rispetto alla scena. A noi, guardandola, pare la basilica di San Lorenzo, prima della ricostruzione della cupola. Sappiamo che il De Predis e lo stesso Leonardo avevano abitato non lontano dalla Basilica. C’è forse aria di casa in questo dipinto?

Un altro enigma: dietro il capo della Vergine, la roccia sembra prendere le sembianze di un volto di uomo anziano, con la lunga barba e un copricapo deja-vu. È uno scherzo della nostra immaginazione o Leonardo ha voluto far apparire il suo volto, col suo cappello, anche in questa tavola?

Ancora: sullo sfondo si vede una piccola figura sdraiata, il misterioso “dormiente”. È forse San Giuseppe e la scena riguarda la Fuga in Egitto? E cosa indica il ramo secco, dietro questa figura?

La leggenda, ripresa poi da Raffaello nello “Sposalizio della Vergine” (Pinacoteca di Brera), narra che il ramo portato da Giuseppe fosse fiorito miracolosamente per indicare, tra i diversi pretendenti, lo sposo di Maria prescelto da Dio. Perché il ramo della tavola di Affori rimane spoglio?

Altri “intrusi” da decifrare sono un uccellino e il muso, quasi nascosto, di un asinello. Sono stati dipinti con grande cura forse in un secondo momento e cosa indicano?

Anche i fiori e le piante che compaiono nella grotta sono ricchi di significati simbolici. Dipinti con cura meticolosa ci sono ranuncoli, arnica, felci, edera… Ma ecco, vicino a San Giovannino, spunta l’aquilegia, che rappresenta. tra l’altro, l’unione tra umano e divino. I due Bambini potrebbero anche rappresentare  la duplice natura di Gesù, umana e divina?

Simbolismo e natura già da allora erano un groviglio inestricabile per la mente e ancora oggi sono presenti in alcuni moderni logo di prodotti o eventi.

Abbiamo scoperto molte altre cose a proposito della “Vergine delle Rocce” e della Milano che la vide nascere. In fondo, come scrisse Leon Battista Alberti nel 1400, “bisogna che la pittura faccia pensare più di quel che lascia vedere..”

A presto…

Quattropassi ad Affori per vedere la Vergine delle Rocce

Per tuffarci nella bellezza e nel mistero di un’opera d’arte, la cui presenza è ancora oggi poco conosciuta al di fuori del quartiere,  andiamo verso la periferia nord di Milano, nella chiesa di Santa Giustina ad Affori.

La chiesa è stata edificata a metà Ottocento anche con la partecipazione attiva degli afforesi che dedicavano il proprio tempo libero alla sua costruzione.

Al suo interno, sopra il ricco altare di una cappella, è esposta una preziosa tavola raffigurante la leonardesca Vergine delle Rocce. Chi fu il grande, ma ignoto, pittore?

Viene definita “preclaris pictoris opus”. Cerchiamo una serie di indizi e notizie per scoprire questo tesoro un po’ sconosciuto della nostra città.

Questa tavola fu lasciata in eredità alla Parrocchia di Affori a metà Ottocento da un generoso benefattore, Luigi Taccioli, perchè fosse esposta alla devozione dei fedeli.

Luigi aveva comperato ad un’asta la splendida Villa Litta di Affori, che aveva visto nel tempo susseguirsi diversi e nobili proprietari.

Tra questi ci fu anche Barbara Melzi dei conti di Magenta, una nobildonna discendente da quel pittore, Francesco Melzi, che aveva ereditato dal suo Maestro, Leonardo da Vinci, gran parte delle opere rimaste.

Barbara aveva, probabilmente, portato in dote la preziosa tavola quando, nel 1683, aveva sposato Pietro Paolo Corbella, futuro marchese del feudo di Affori, che fece costruire la villa accanto ai ruderi di un’antica dimora dei Visconti risalente al 1350.

Ora questa villa e il suo parco, i cui alberi furono in parte tagliati nella seconda guerra mondiale, per “fare legna” e riscaldare le case, è di proprietà del Comune e ospita, tra l’altro, una ricca Biblioteca e saloni per eventi.

Tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento a Villa Litta si teneva un vivace “salotto letterario” al quale partecipava la colta nobiltà milanese, tra cui Alessandro Manzoni e il pittore Francesco Hayez, quello del “Bacio” di Brera.

Avranno visto il quadro della Vergine custodito nella Villa? Senza dubbio sì, tanto che Hayez fece anche una perizia testamentaria nel 1853 su incarico degli eredi Taccioli.

Questa Vergine delle Rocce fu solennemente collocata nella chiesa nel maggio del 1870 e subito venne venerata dai fedeli, ma poco considerata dagli storici d’arte. Non per molto. A cavallo tra Ottocento e Novecento molti studiosi la presero in esame, quasi “sorpresi” da questa opera.

Da allora la tavola è stata esposta in diverse mostre leonardesche.

In tempi più recenti è stata anche sottoposta a indagini scientifiche dalle quali risulterebbe eseguita a più mani intorno al 1520, con aggiunte e interventi di restauro nei secoli successivi. Nel tempo ha persino cambiato un po’ le misure, forse per essere adattata alla cornice. Ora la tavola misura 86,5 per 65,5 centimetri, mentre Hayez l’aveva misurata in braccia milanesi e risultava di circa un metro per 80 centimetri, più piccola quindi delle pale esposte a Londra, a Parigi e nella milanesissima chiesa di San Michele sul Dosso.

Chi è dunque l’autore di questa “sorellina”? C’è chi parla di un’opera di Leonardo stesso (tra questi il nostro Luca Beltrami, quello che ha rifatto il Castello e piazza della Scala!), c’è chi propende per un’opera della sua scuola, chi pensa che l’autore sia Bernardino Luini. L’autore di quest’opera resta ancora oggi avvolto in una nuvola di mistero e il dipinto contiene molti altri enigmi da scoprire insieme.

A presto…