Il cuore nascosto di porta Venezia

Milano ha ancora un cuore? La nostra città lo ha sempre avuto persino nei modi di dire (Milan g’ha el coeur in man) e nella sua forma.

 

E oggi? A volte il suo cuore sembra un po’ stanco e affannato per le insicurezze, le difficoltà e i cambiamenti di questi tempi. Noi, però, crediamo che ci sia sempre. Siamo andati a cercarlo e lo abbiamo trovato nei sorrisi e nei gesti gentili delle persone, nelle tante iniziative del Bene e, inaspettatamente, in un casello del dazio di Porta Venezia.

 

Infatti, nel casello di sinistra per chi guarda da corso Buenos Aires, in una piccola nicchia, a neanche un metro da terra, c’è un piccolo cuore, fotocopia in 3D di modello anatomico realizzato da un autore contemporaneo.

 

Non è facile trovarlo tutto scuro, quasi voglia passare inosservato, senza troppo apparire, come il Bene. Non si deve cercarlo in alto, tra le statue allegoriche e i bassorilievi che raccontano la storia di Milano, ma di fronte ad un semaforo, in un angolo di traffico e di polemiche.

 

Questi caselli del dazio hanno un passato illustre. Ne parla anche il Manzoni nei “Promessi Sposi” quando Renzo entra in Milano proprio da qui. Allora consistevano “in due pilastri con sopra una tettoia per riparare i battenti e da una parte una casupola per i gabellini”.

 

Da qui “entrò” anche la peste con quel “fante sciagurato e portatore di sventure”… Sempre da qui uscivano anche i carri degli appestati diretti al Lazzaretto, fuori le mura e poco lontano.

 

Un altro angolo da non perdere accanto ai caselli è Palazzo Luraschi, in corso Buenos Aires 1, ricco di curiosità. Fu il primo edificio di questa zona a superare il limite d’altezza di tre piani, previsto per permettere di vedere la Grigna e il Resegone.

 

Nel cortile ci sono medaglioni in terracotta con i volti dei personaggi del romanzo manzoniano e alcune colonne provenienti proprio dal Lazzaretto e salvate dalla distruzione dal costruttore del palazzo.

 

Nel corso degli anni, via via, si sentì l’esigenza di rendere i nostri caselli belli e importanti, più adeguati alla zona di corso Venezia, ricca di palazzi signorili, di carrozze e di bella gente.

 

Furono perciò realizzati quelli attuali nella prima metà dell’Ottocento. Da qui entrò in città anche l’Imperatore Francesco Giuseppe, con Sissi. Da notare il baldacchino posticcio che unisce i caselli.

 

Nel tempo questa “porta” cambiò diverse volte anche il nome: da “Argentea” all’epoca romana, storpiato in “Renza”, a “Orientale”. I caselli presero poi il nome definitivo di Porta Venezia, perchè, dopo l’Unità d’Italia, erano rivolti verso la città lagunare, ancora da liberare. Una curiosità: la piazza dove si aprono è dedicata a Guglielmo Oberdan, patriota giustiziato degli austriaci.

 

C’è molta storia in questo angolo di Milano; ora mostre d’arte ed eventi come il Fuorisalone passano da qui.

 

Chiudiamo con un’altra curiosità: una piccola targa su Palazzo Bovara (corso Venezia 51) riporta una frase di Stendhal, lo scrittore francese innamorato della nostra città. “Sur le cours de cette Porte Orientale…/s’est posée l’aurore da ma vie”. Che sia d’augurio per tutti coloro che andranno a visitare il cuore nascosto nel casello di Porta Venezia.

 

 

A presto…

Uno spin-off del Lazzaretto: Palazzo Luraschi

Ancora una volta partiamo dal Lazzaretto per raccontare di un edificio legato alla sua lunga storia: Palazzo Luraschi, che si trova all’angolo tra piazza Oberdan (vi ricordate il Diurno liberty così bello e dimenticato?) e corso Buenos Aires.

Il palazzo venne costruito tra il 1881 e l’87 dall’ingegner Ferdinando Luraschi in un’area del Lazzaretto che stava per essere demolito per far posto a nuove costruzioni.

Dell’antica struttura di manzoniana memoria rimangono ormai ben pochi resti e un altro spin-off, la chiesetta di San Carlino.

Il grande quadrilatero (metri 378 per 370) tra l’odierno corso Buenos Aires, via San Gregorio, via Lazzaretto e viale Vittorio Veneto, a fine Ottocento divenne una zona molto appetibile per la speculazione edilizia, a due passi dalla Stazione Centrale, che allora sorgeva nell’attuale piazza della Repubblica.

Così l’ingegner Luraschi e Angelo Galimberti, il capomastro soprannominato “il Barbarossa di Porta Venezia” per la distruzione del Lazzaretto, fecero costruire il primo palazzo milanese che infrangeva la “servitù del Resegone”, una norma che limitava l’altezza dei palazzi della zona nord a tre piani per lasciar vedere il Resegone e la Grigna; fu un abuso edilizio? Non lo sappiamo.

Palazzo Luraschi fu costruito in uno stile eclettico, con “omenoni”, teste leonine, decorazioni e inserti in cotto; sulla cima, come pinnacoli, si stagliavano diverse statue che potevano, almeno loro, continuare a guardare le montagne.

Anche l’interno del palazzo, ristrutturato pochi anni fa, riserva delle sorprese veramente inaspettate. Varchiamo il portone e, attraverso un suggestivo androne, entriamo… nella casa dei Promessi Sposi.

Ci troviamo in un bel cortiletto porticato con al centro un pozzo; lungo le pareti dodici personaggi del romanzo ci guardano da altrettanti medaglioni, come se l’ingegner Luraschi avesse voluto rendere omaggio all’opera che parlava del Resegone e del Lazzaretto, demolito anche per costruire il suo palazzo.

Non solo: sotto la parte destra del loggiato, addossate al muro, ci sono quattro delle colonne del Lazzaretto, segno tangibile di un passato che continua ad essere presente. Ancora una volta siamo di fronte a pietre che si spostano, come spesso accade nella nostra città.

Infine un’altra curiosità di questo strano palazzo. Al piano terreno tra il 1888 e il 1940, si apriva sulla strada il Puntigam, un locale-birreria e cafè chantant che fu tra i primi a Milano ad essere dotato di luce elettrica.

Concludiamo la visita virtuale con un sorriso. Guardiamo questa vecchia foto scattata davanti a Palazzo Luraschi in una Porta Venezia quasi deserta: non richiama l’atmosfera di questo periodo?

A presto…