La Strada delle Abbazie: gli Umiliati, un Ordine tutto lombardo

Ben quattro (San Pietro in Gessate, Monluè, Viboldone e Mirasole) delle sette chiese che fanno parte della “Strada delle Abbazie” furono fondate dagli Umiliati, un Ordine tutto lombardo dalle caratteristiche piuttosto inconsuete.

 

Gli Umiliati fecero la loro comparsa sulla scena religiosa milanese nella seconda metà del XII secolo. La leggenda narra che un gruppo di nobili lombardi era stato fatto prigioniero per ordine dell’Imperatore e portato in Germania. Qui erano stati costretti, per un certo periodo, a lavorare lana di scarsa qualità per essere ‘umiliati’.

 

Una volta tornati in patria da uomini liberi, ricchi di fede e di spirito imprenditoriale tutto lombardo, misero a frutto quanto avevano imparato. Fondarono quindi l’Ordine religioso degli Umiliati (del quale facevano parte frati e suore, laici non sposati e terziari, cioè uomini e donne coniugati) per dedicarsi alla lavorazione della lana non di lusso e all’innovativa produzione del feltro.

 

Come vediamo in una formella all’esterno della Abbazia di Mirasole, da loro fondata, uno dei loro simboli era l’Agnello, che univa al significato evangelico anche quello… del lavoro.

 

Anche se alcuni studiosi li avvicinano a movimenti ereticali come quelli dei Valdesi e dei Catari, l’Ordine venne riconosciuto dal Pontefice.

 

D’altra parte la nostra città è sempre stata un nido di eretici e, anche nell’ortodossia, vi è sempre stato, e rimane, un “rito ambrosiano” che presenta, ad esempio, anche un calendario liturgico diverso (inizio e durata dell’Avvento, Quaresima col Carnevale più lungo). Inoltre il rituale della Messa è diverso e sappiamo che l’altare d’oro della Basilica di Sant’Ambrogio è stato sempre rivolto verso i fedeli, anche quando il sacerdote, secondo il rito romano, voltava loro le spalle.

 

Come spesso è accaduto, gli eretici medievali erano cristiani che volevano tornare al messaggio evangelico delle origini. Così gli Umiliati predicavano e vivevano di fede e lavoro, donando il superfluo della loro vita austera agli altri. Non vivevano, però, di elemosina, ma dei frutti del proprio lavoro e investivano in chiese, campi e “grange”, come veri imprenditori, i ricchi proventi.

 

Ecco come appariva la chiesa di Santa Maria in Brera, accanto ad uno dei loro conventi principali.

 

Come abbiamo già detto erano divisi in tre ordini e un terziario veramente speciale fu Bonvesin de la Riva, maestro di retorica che ebbe due mogli, autore di “Le meraviglie di Milano” dove descrive con grande ammirazione la nostra città e la gente comune che lavora rendendo grazie a Dio per i tanti doni che ha elargito in abbondanza. Milano era veramente A place to be!

 

Gli Umiliati non avevano un Santo in Paradiso come fondatore e protettore; grazie al loro lavoro diventarono comunque molto ricchi e rivestirono incarichi pubblici e amministrativi, anche fuori Lombardia, per l’onestà che dimostravano.

 

 

Poi iniziarono i guai e le controversie con la gerarchia ecclesiastica, tanto che la loro fine fu col ‘botto’ anzi con un’archibugiata andata a male. Infatti organizzarono un attentato contro l’Arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo, che voleva riportare un po’ di ordine tra i religiosi milanesi.

 

E qui la storia si tinge foscamente di giallo. Un Umiliato, tale Farina, si introdusse, portando con sè un archibugio, nella cappella dell’Arcivescovado, di fianco al Duomo.

 

Mentre San Carlo stava pregando circondato dal suo seguito, il Farina fece partire il colpo, ma “…la balla e li pertigoni, senza ofesa, si sparsero per il rocchetto e per le vesti…” del cardinale, come riportato in una cronaca dell’epoca. Si gridò al miracolo. Il Farina riuscì poi a fuggire, forse nella grande confusione. Ecco come un ‘quadrone’ del Duomo riporta la scena.

 

Da alcune confessioni ricevute dal Vescovo di Lodi si venne a sapere che i congiurati appartenevano all’Ordine degli Umiliati e in particolare due nobili, in cambio della promessa (poi non mantenuta) dell’immunità, avevano fatto il nome del Farina e di un altro religioso. Vennero arrestati tutti e “horridamente torturati”. Infine il 2 agosto 1570 furono giustiziati in piazza Santo Stefano.

 

Subito dopo il ramo maschile dell’Ordine fu sciolto e i suoi ricchi beni incamerati da altri Ordini. Alcuni studiosi vedono in questo attentato molti aspetti da chiarire. D’altra parte di attentati irrisolti e con molti misteri è piena la storia anche più vicina a noi…

A presto…

La Strada delle Abbazie – Prima tappa: San Pietro in Gessate

Iniziamo il nostro itinerario dalla chiesa di San Pietro in Gessate a Milano per godere dell’esperienza piacevole di un turismo sottocasa, ricco di curiosità, di storie e di tradizioni tutte da ricordare perchè non vadano perdute. Ad esempio, se fossimo colpiti da un raffreddore o da un attacco di sciatica, accendiamo una candela a San Mauro (nella quarta cappella di destra); secondo una tradizione meneghina questo Santo ci aiuterà. 

 

San Pietro in Gessate si trova in corso di Porta Vittoria, davanti al Palazzo di Giustizia (costruito negli Anni Trenta del Novecento dall’architetto Marcello Piacentini), massiccio e imponente, come tanti altri edifici pubblici sparsi per il mondo.

 

Invece, la nostra chiesa è tutta lombarda, fatta di mattoni rossi, corposa e soffice quasi come un panettone, un po’ in disparte, separata dal via vai del corso da un acciottolato e protetta da due grandi alberi.

 

Il passato, sornione, riaffiora anche nel titolo “in Gessate” che ci riporta addirittura al tempo in cui i Romani non ci avevano ancora invaso. I due milanisti del nostro blog hanno scelto questa foto senza voler sentire ragioni. Ci rivedremo nel derby!

 

Si pensa che il nome “Gessate” derivi dalla tribù gallica dei Glaxiati, che si era insediata in questa zona. Secoli dopo, quando nel Duecento questa chiesa venne fondata dagli Umiliati (un Ordine tutto lombardo del quale parleremo in seguito), riprese il nome di quel borgo o, taluni dicono, della famiglia nobile che lo abitava. Poi, via via, “Glaxiate” divenne “Gessate”.

 

Anche la toponomastica ci riporta al passato celtico di questa zona. Via Chiossetto, infatti, che costeggia la chiesa, sembra derivi dal celtico ciosset o ciusset che significava “campo limitato da una siepe o da un muro”.

Perchè quella strana curva a gomito che c’è ancora oggi? Forse il campo finiva qui?

 

La nostra chiesa è stata fatta e rifatta molte volte nel corso dei secoli. I Benedettini, succeduti agli Umiliati, la rifecero nel XV secolo su progetto di Guiniforte Solari, autore anche di Santa Maria della Grazie.

 

Il convento adiacente, che per lungo tempo, dopo la soppressione degli Ordini religiosi a fine Settecento, ospitò i “Martinitt”, aveva anche due chiostri, dei quali uno, per fortuna, è stato salvato e ora fa parte del Liceo Scientifico Statale “Leonardo da Vinci”. E’ bello pensare che questa scuola abbia solide radici.

 

San Pietro in Gessate è a croce latina e tre navate, con cinque cappelle per parte e abside poligonali.

 

Diversi furono i mecenati che contribuirono alla sua costruzione e alle decorazioni: dai Portinari, banchieri fiorentini, dei quali vediamo lo stemma all’esterno dell’abside, ad altri nobili che gravitavano attorno alla corte sforzesca.

 

Tra questi la famiglia dei Grifi alla quale apparteneva Ambrogio, medico e notaio di corte, che qui volle la propria sepoltura. Nella sua cappella il viso della statua tombale ci introduce già ad un certo realismo artistico.

 

Nella stessa cappella, notevoli esempi della pittura lombarda del Quattrocento sono gli affreschi dedicati alla storia di Sant’Ambrogio, purtroppo molto deteriorati. Come in una graphic novel sono rappresentati diversi episodi della sua vita: la sua miracolosa apparizione a cavallo durante la Battaglia di Parabiago (1339), l’aver impedito all’Imperatore Teodosio l’ingresso in chiesa, la condanna di un eretico…

 

Nell’affresco in cui l’eretico è appeso alla carrucola del supplizio, è presente, in basso a sinistra, anche una scimmia. Forse simboleggia l’eresia? Curiosità e misteri della nostra città, culla di eretici.

 

C’è, infine, in questa chiesa, anche un po’ di Cenacolo. Infatti ci sono dipinti del Montorfano, la cui Crocifissione si trova di fronte all’Ultima Cena di Leonardo a Santa Maria delle Grazie. Possiamo ammirare questi dipinti nella terza cappella di sinistra.

 

Chiudiamo questa “visita” con una speranza. Guardando questa foto scattata dopo i pesanti bombardamenti della seconda guerra mondiale, abbiamo pensato a quell’immagine terribile della bicicletta a terra durante gli orrori della guerra ucraina.

 

Nonostante tutto la chiesa è sopravvissuta e via via è tornata la vita. Che possa presto essere così dove ancora si soffre e si muore.

A presto…

Alla riscoperta della “Strada delle Abbazie”

L’idea per questo itinerario ci è venuta, quasi per caso, visitando la chiesa di San Pietro in Gessate (che si trova di fronte al Palazzo di Giustizia, in corso di Porta Vittoria a Milano) dove è esposto un manifesto che propone la “Strada delle Abbazie”. Come potevamo resistere ad un percorso, riconosciuto anche dal Consiglio d’Europa, così ricco di cultura, arte, fede e storia del nostro territorio e quindi anche nostra?

 

Abbiamo pensato, perciò, di andare alla riscoperta di queste abbazie situate alcune nel Comune di Milano (San Pietro in Gessate, Monluè e Chiaravalle), altre nell’hinterland (Mirasole, Viboldone, Calvenzano), infine una, la più distante, a Morimondo, vicino ad Abbiategrasso.

 

L’intero percorso è di circa 130 chilometri e lo si può fare anche in diverse tappe: in auto, in bicicletta (ci sono tante belle piste ciclabili), a piedi, per i più allenati, o anche con i mezzi pubblici urbani o interurbani. Anche noi descriveremo questo itinerario con schede per ciascuna abbazia dando un’occhiata anche ai borghi nati accanto.

 

Cosa accomuna e cosa distingue queste abbazie?

Il Monachesimo occidentale risale in gran parte a San Benedetto (Norcia 489 – Montecassino dopo il 546) che con la sua ben nota Regola “ora et labora” si dedicava coi suoi monaci tanto alla preghiera quanto al lavoro.

 

A questa regola si ispirarono anche altri ordini monastici nati secoli dopo, come i Cistercensi, i Cluniacensi e gli Umiliati, che diedero vita alle nostre abbazie. La chiesa aveva finalità di preghiera e non artistiche o di rappresentanza e si adeguava alle caratteristiche stilistiche della zona. Da qui l’uso del mattone, e non della pietra, per la costruzione delle abbazie, così bello e tipico delle nostre zone che si accende di colori rossastri a contrasto con il verde dei campi e l’azzurro delle acque e del cielo.

 

Queste abbazie, apparentemente isolate, non erano lontane da vie di comunicazione importanti (via Emilia, via del Sale, strada per Pavia) e da centri come Milano e Pavia. Questo facilitava gli scambi commerciali e culturali, offriva ospitalità ai viandanti, ma esponeva le abbazie al rischio di essere coinvolte in conflitti armati.

 

Il lavoro comunitario nei campi comportava la necessità di avere una sede stabile, vicina a corsi d’acqua, ben funzionante e attrezzata anche per la vita dei monaci e dei laici che vi lavoravano.

 

I monaci riuscirono a rendere fertili le paludi del territorio con la tecnica delle marcite e dei fontanili. La buona irrigazione portava ad abbondanti raccolti e a ricco foraggio per gli animali.

 

Il bestiame ben nutrito (come pure i cavalli, utilizzati, ahimè, per le guerre) dava tanto buon latte col quale si potevano produrre ottimi formaggi come il grana, le robiole, eccetera. Questi e altri prodotti si possono acquistare ancora oggi nelle botteghe o nei mercatini di talune abbazie insieme ad altre golosità prodotte nel territorio… più nicchia di così!

 

Il nostro itinerario può essere anche l’occasione per riscoprire antichi sapori e, magari, per qualche acquisto enogastronomico.

.Il Foscolo chiamò la nostra città “Paneropoli” tanto era ricca di “panera” (panna) proveniente dalle cascine del territorio lombardo (conoscete il panerone, formaggio tipico della Bassa padana?). Non stupiamoci quindi di vedere nel nostro itinerario cascine attive, ristrutturate o modificate, arrivate nei secoli fino a noi attraverso le “grange” dei monasteri.

 

Il territorio che attraverseremo nel nostro percorso è quasi tutto “artificiale”, come lo definì con ammirazione Carlo Cattaneo a metà Ottocento, perchè frutto dell’intervento dell’uomo. Oggi noi ne vediamo i limiti, fatti di palazzoni, centri commerciali, capannoni, fabbrichette, strade trafficate che hanno cancellato la “natura”. Non dimentichiamo, però, che il progresso e il nostro benessere attuale sono dovuti anche all’umile lavoro dei monaci che hanno bonificato terre paludose rendendole fertili e dato aiuto materiale e sociale ai nostri antenati del Medioevo.

 

Nei prossimi articoli continueremo questo itinerario sulla Strada delle Abbazie, con passipermilano e, questa volta, anche passidamilano.

 A presto…