Quattropassi nella Milano 1918 col giovane Hemingway – parte seconda

Hemingway racconta la sua Milano

Queste righe sulla nostra città non le abbiamo scritte noi. Abbiamo raccolto alcune frasi da “Addio alle armi” e dalle lettere che Hemingway scrisse ad amici e familiari sulla sua esperienza milanese, quando, neanche ventenne, giunse a Milano in convalescenza dopo essere stato ferito sul fronte del Piave, durante la prima guerra mondiale. Alcuni riferimenti a questo periodo milanese, durato poco più di tre mesi, si trovano nella parte già pubblicata di questo articolo.

La Milano raccontata dallo scrittore americano è piuttosto circoscritta; il suo ospedale si trovava in via Armorari, a due passi dal Duomo. Ernest aveva le stampelle e il soggiorno durò una sola estate. Sono però, secondo noi, frammenti interessanti per cogliere alcuni aspetti della Milano di un secolo fa e, forse, riflettere su quella che è diventata oggi.

Ed ora la parola a Hemingway:

A Milano mi condussero all’Ospedale Americano in autoambulanza… all’arrivo vidi la piazza di un mercato e una bottiglieria aperta…”

Via Armorari – Passaggio Centrale

Mi portarono in una stanza… quando mi svegliai dalle persiane entrava il sole, guardai fuori… c’erano i tetti e le tegole delle case… mandai a chiamare il portiere e gli dissi di comprarmi una bottiglia di Cinzano e i giornali.”

Dalla veranda dell’ospedale riesco a vedere la sommità della cattedrale del Duomo. È molto bella. Come se contenesse una grande foresta

“Sì, Ag [Catherine in “Addio alle armi”] è una infermiera. Di più non posso dire, sono come instupidito. Quando dico che sono innamorato di lei non significa che ho una cotta. Significa che la amo. (…) Mi sono sempre chiesto come sarebbe incontrare la ragazza che amerai davvero per sempre e adesso lo so. Per di più anche lei mi ama, il che è di per sé abbastanza un miracolo…”

Poi cominciai le cure all’Ospedale Maggiore. Ci andavo di pomeriggio e poi mi fermavo al caffè a bere e a leggere i giornali…” “La gamba andava bene”

Quando potei uscire con le stampelle andammo in carrozza al Parco...”

Un giorno arrivammo al Mercato e poi ai portici e a piazza del Duomo, piena di tram; al di là dei binari sorgeva bianca e umida nella nebbia la Cattedrale, nella piazza la nebbia era densa; la Cattedrale pareva enorme sotto la facciata; ed era umida veramente la sua pietra.“.

Ci piaceva star fuori in Galleria, i camerieri andavano e venivano e ogni tavolo aveva la sua lampada con un piccolo paralume.”… “C’era gente che passeggiava… Guardavamo la gente e la grande Galleria nel crepuscolo…

Cenavamo al Grande Italia, seduti ai tavolini all’aperto nella Galleria Vittorio Emanuele II . George, il bravo capocameriere del locale, ci riservava un tavolo. Bevevamo Capri bianco secco ghiacciato in un secchiello, ma trovammo altri vini: Freisa, Barbera e i bianchi dolci.

Dopo cena passeggiavamo in Galleria davanti agli altri ristoranti e ai negozi con le saracinesche di ferro abbassate… Poi salivamo in carrozza aperta… davanti al Duomo... così passò l’estate… Non ricordo molto di quei giorni”

“Nella strada della Scala... volevo comprare qualcosa al Cova da portare a Catherine… Comprai una scatola di cioccolatini e, mentre la ragazza li incartava, andai al bar e bevvi un Martini…

 “Ne bevvi fino a 18 in una sola volta…” “Arrivati in fondo alla piazza ci voltammo a guardare il Duomo, era bellissimo nella nebbia.” [era piena estate, forse la vista era annebbiata dai tanti Martini?]  

“Non perdere tempo con chiese, palazzi o piazze. Se vuoi conoscere una cultura passa il tempo nei suoi bar”.” Non andavo in giro per la città… L’unica cosa che desideravo fare era vedere Catherine… Il resto del tempo mi accontentavo di ucciderlo.”

Noi quattro andammo a San Siro in una carrozza scoperta. Era una bella giornata e attraversammo il Parco e seguimmo il tranvai e poi fuori dalla città dove la strada era polverosa. C’erano ville con le cancellate di ferro e grandi giardini traboccanti di vegetazione, e fossi con l’acqua corrente e orti verdi con la polvere sulle foglie. Attraverso la pianura si vedevano le fattorie e le fertili tenute verdi coi loro canali di irrigazione e le montagne a nord.

 “Molte carrozze entravano nell’ippodromo e gli inservienti al cancello ci lasciarono entrare senza biglietto perché eravamo in uniforme. Scendemmo dalla carrozza e attraversammo a piedi il prato e poi la soffice pista del percorso verso il recinto del peso… Il pesage era pieno di gente e facevano passeggiare i cavalli in cerchio sotto gli alberi dietro alla tribuna principale. Vedemmo gente che conoscevamo e osservammo i cavalli. Andammo verso la tribuna centrale a guardare la corsa.“.

Voltammo in una strada laterale stretta… Molta gente passava nella nebbia… Camminammo finchè la strada sboccò in una più larga lungo un canale…”

“In settembre ci furono le prime notti fresche, poi rinfrescarono le giornate. Le foglie sugli alberi del parco incominciarono a cambiare colore e ci accorgemmo che l’estate era finita…” “Dovevo tornare al fronte…”
Ma nella realtà si ammala di itterizia e torna in America. Anche la storia d’amore con Ag. finisce e il ricordo di lei “a forza di sbronze e di donne adesso non c’è più” [e ancora] “ora sono un uomo libero! Mio Dio, amico, hai mai pensato per davvero che stessi per sposarmi e mettere su casa?“.

Il periodo che Hemingway trascorse a Milano fu molto breve, ma intenso e importante, tanto che scriverà Milano è la città più moderna e vivace d’Europa. (…)” e ad un amico: “ho l’impressione che qui da noi si viva a metà. Gli italiani, invece, lo fanno fino in fondo”.

Boccioni “La città che sale”

A presto…

Quattropassi nella Milano 1918 col giovane Hemingway – parte prima

 

La “nascita” di Addio alle armi

Come appariva la nostra città agli occhi di un ragazzo americano durante gli ultimi mesi della Prima Guerra Mondiale? Ce lo siamo chiesti leggendo la targa dedicata a Hemingway sul palazzo di via Armorari 4.

Di famiglia benestante, era nato vicino a Chicago nel 1899. Giovanissimo reporter di un quotidiano, si era arruolato volontario nella Prima Guerra Mondiale. 

Per problemi alla vista, dovuti a un incontro di pugilato, era stato assegnato a guidare le ambulanze e a “distribuire posta, cioccolato e sigari” ai feriti e ai soldati di prima linea sul fronte italiano.

Era arrivato a Milano all’inizio di giugno 1918 per prendere servizio e subito aveva visto la tragedia e la morte. Infatti il 7 giugno era stato mandato sul luogo dell’esplosione avvenuta nello stabilimento di materiale bellico Sutter-Thevenot di Bollate, dove erano morte una sessantina di persone. Così scrisse anni dopo: ” … la sorpresa fu di scoprire che questi morti non erano uomini ma donne …”.

Un piccolo fatto ci ha incuriosito. Il Corriere di qualche settimana fa ha riportato alcune lettere sulla targa che ricorda una “scappatella” di Ernie al Parco Nord di Bollate. 

Spulciando qua e là, abbiamo scoperto che questa targa è la narrazione di un fatto mai avvenuto, realizzata da un artista, Francesco Fossati, con Casa Testori. Non furono dunque “baci e sorrisi” con una Marinella lombarda, ma una fake history?

Qualche giorno dopo lo scoppio di Bollate, Hemingway lascia Milano per raggiungere prima Schio e poi Fossalta, sul Piave.

Qui, nella notte tra l’8 e il 9 luglio, decide di portare generi di conforto, disubbidendo agli ordini, a due soldati di un avamposto.

Una bomba a grappolo austriaca colpisce la postazione uccidendo uno dei soldati e ferendo gravemente l’altro. Il giovane americano, pur ferito, se lo carica sulle spalle. Vengono colpiti di nuovo, Ernest crolla, ferito nuovamente alla gamba, ma il soldato, Fedele Temperini, gli fa da scudo umano involontario, restando ucciso. Lo scrittore, per questo sfortunato atto eroico, verrà poi decorato con una medaglia d’argento al valore.

Dopo le prime cure d’emergenza, il giovane viene mandato a Milano presso l’ospedale della Croce Rossa Americana in via Armorari. La gamba del ferito, colpita da ben 227 schegge, è infetta e si prospetta l’amputazione, ma le assidue cure di una crocerossina americana, Agnes von Kurowsky, e l’intervento di un famoso chirurgo milanese, Baldo Rossi, fanno il miracolo.

Il medico operava presso il Padiglione Litta del Policlinico e, utilizzando anche uno dei primi apparecchi radiografici, riuscì a guarirlo perfettamente. Ora il chirurgo, in compagnia di altri illustri colleghi, è ritratto da Ortica Noodles su un murale dell’ospedale e comparirà, sotto altro nome, anche in “Addio alle armi”.

Inizia dunque la convalescenza di Ernie in via Armorari. L’ospedale occupava il terzo e il quarto piano del palazzo; uno era adibito agli alloggi delle 18 infermiere, l’altro alla degenza dei 4 ricoverati. C’era pure un grande terrazzo con sedie di vimini e si bevevano anche superalcolici.

Qui nacque l’amore, non sappiamo fino a che punto condiviso, tra Agnes e lo scrittore, più giovane di lei di qualche anno, tanto che lei lo chiamava affettuosamente “kid”. Così Ernest scrive alla sorella “Sì, Ag è una infermiera della Croce Rossa (…) Quando dico che sono innamorato di lei non significa che ho una cotta. Significa che la amo. (…) Mi sono sempre chiesto come sarebbe incontrare la ragazza che amerai davvero per sempre e adesso lo so. Per di più anche lei mi ama, il che è di per sé abbastanza un miracolo.

Insieme si divertono e bevono:  “Ragazzo, noi saremo soci. Quindi, se hai intenzione di bere, berrò anch’io. Esattamente quanto te”... “E Ag ha tirato fuori del dannato whiskey e l’ha versato così, puro, e prima di allora non aveva mai bevuto niente a parte il vino”. L’amore per Agnes passerà presto, non quello per l’alcol.

La loro storia d’amore, forse a senso unico, infatti, durò poco “Lei non mi ama, Bill…” e, qualche mese dopo, “Ieri ho ricevuto una lettera molto triste di Ag da Roma. Ha rotto con il suo maggiore… Povera bambina infelice, mi spiace da morire per lei. Ma non ci posso fare niente. Io l’ho amata e lei mi ha fregato”. Il ricordo di lei “a forza di sbronze e di donne adesso non c’è più”.

Forse non fu davvero così, ma fu un lungo addio. Anni dopo, quando scrisse “Addio alle armi”, la storia tra Frederic Henry e Catherine Barkley fu ispirata a quella del lontano 1918.

Arrivederci alla prossima puntata per un Quattropassi attraverso la Milano di ieri e di oggi, in compagnia di Ernest Hemingway.

A presto…