Perchè una piccola lucciola è diventata negli anni una specie di leggenda milanese? Cosa ha contribuito a far crescere il fascino del mistero intorno alla sua figura?
La scena del delitto
Siamo sul finire dell’agosto 1913, nel popolare rione Ticinese, terra di miseria, degrado e malavita, ma anche vivace e ricco di senso di solidarietà e appartenenza.
Le notti dovevano essere ancora calde e piacevoli se il Carrobbio il 27 agosto “si era trasformato in una specie di caffè-concerto: alcune donnine, più allegre del solito, e alcuni giovinastri, padroni del campo, cantavano a squarciagola, turbando il sonno dei pacifici cittadini. Dall’Inno a Tripoli…e il bel suol d’Amore si era giunti alle canzoni oscene e ai richiami della malavita” (l’Avanti, 27/8/1913).
Qui inizia il dramma della Rosetta, una giovane ragazza al centro di un grave fatto di cronaca nera dai contorni rimasti oscuri. Quali furono le cause della sua morte? Fu un suicidio o fu vittima della brutalità di alcuni agenti di polizia?
Ancora oggi molti sono i dubbi. Vediamo di recuperare un po’ delle tessere che potranno servire a ciascuno di noi per comporre il proprio puzzle.
La Rosetta
Nasce intorno al 1895, in una famiglia numerosa (nove figli?) con padre facchino e madre forse alcolizzata, ma certamente sciagurata se, come sembra, si vantava di aver spinto la Rosetta, allora tredicenne, a “frequentare” un ricco signore.
La sua biografia è molto scarna: “Elvira Rosa Andressi (questo il suo nome) era una povera ragazza del popolo, troppo presto vinta dalle tentazioni del lusso e, forse, del vizio. Ma, tuttavia, giovanissima e molto bella, volle tentare di sottrarsi al mondo equivoco nel quale era caduta: non, forse, per redimersi, ma certo per non precipitare, ogni giorno di più, nella voragine dei bassifondi.” (l’Avanti, 28/8).
“Molta grazia, molta verve, una graziosa voce” (ibidem, 28/8):questo era quello che aveva la Rosetta per vivere la sua vita.
In pochi anni (muore non ancora diciottenne) conosce un merciaio di via Torino, sposato e con tredici figli, che le “vende” calze e golfini in cambio delle più belle notti d’amore della sua vita
Incontra un delinquente della Compagnia del Fil de Fer, Attilio Orlandi, detto Butterin, uomo alto e grassoccio ma elegante, borsaiolo sui treni e protettore di lucciole, con il quale va a vivere.
L’Orlandi viene poi accusato di aver partecipato al furto nella gioielleria Archenti di piazza Duomo e, come complice, viene coinvolta anche la Rosetta.
In questa circostanza, la Rosetta sperimenta i modi intimidatori della polizia e, soprattutto, quelli di un certo Musti, brigadiere, forse meridionale, che entrerà prepotentemente nella vita e nella morte della ragazza.
Durante il processo, dal quale uscirà completamente scagionata (e a quei tempi non era certo facile per una lucciola), accusa, davanti ai Giudici, il Musti di averla più volte minacciata: “Lei è quel signore che avrebbe voluto condurmi senza perchè in guardina…Lei mi ha minacciata tutte le volte che mi ha incontrata” (ibidem, 30/8).
Intanto la ragazza, che secondo la ballata riportata nell’articolo “…battea la colonnetta…” (forse un tratto di marciapiede o, più probabilmente, un’osteria con questo nome), fa carriera e diventa Rosa Woltery, una cantante di Cafè Chantant e di teatro, come il San Martino, in Galleria del Corso a Milano, dove conosce, forse, Petrolini; si esibisce anche al Salone Margherita a Roma e l’attende uno spettacolo a Genova.
Ha affittato, nel frattempo, un piccolo appartamento, dove riceve “visite”; ma il destino e il Musti, ancora lui, l’attendono in una calda notte d’estate al Ticinese.