Passipermediolanum: le Colonne di San Lorenzo

La quasi sconosciuta statua di Ausonio sul Passaggio delle Scuole Palatine tra piazza Mercanti e via Orefici ci riporta all’epoca di Mediolanum, capitale dell’Impero Romano d’Occidente.

Ausonio, intellettuale di corte e appassionato giramondo del IV secolo d.C., compose diverse opere sulle località visitate nei suoi viaggi, come in una sorta di TripAdvisor imperiale.

Lo scrittore fa della nostra città, che aveva visitato nel 379, una bellissima recensione, ponendo Mediolanum al settimo posto, seconda città italiana dopo Roma, tra le venti top urbes dell’Impero Romano. Un’epigrafe, accanto alla sua statua, è la sua rece che possiamo leggere anche oggi.

“A Mediolanum -scrive nel suo Ordo Urbium Nobilium– ogni cosa è degna di ammirazione… La popolazione è di grande capacità… La città si è ingrandita ed è circondata da una duplice cerchia di mura… Vi sono il Circo… il Teatro, i templi…, il Palazzo Imperiale…, le Terme Erculee…”.

Cosa rimane oggi dei luoghi che avevano tanto colpito Ausonio? Qual è il presente di questo passato? Il tour per Mediolanum non è facile e talora bisogna cercare le antiche tracce in contesti nuovi, “pietra su pietra” per così dire…

Muro del Circo romano in via Vigna

Inoltre a Milano anche le pietre sono in movimento e nel corso dei secoli sono state “spostate” da un luogo all’altro per essere riutilizzate e ricominciare una nuova vita. Così  è accaduto alle Colonne di San Lorenzo.

Sono forse il monumento più conosciuto e meglio conservato di Mediolanum; raggiungiamole col tram n. 3 che passa loro accanto a Porta Ticinese.

I finestrini ci lasciano vedere uno squarcio incredibile della nostra città. In poco spazio ci sono colonne pagane, una tra le più antiche basiliche cristiane, la statua replicante di Costantino (l’originale è a Roma), un portale e un balconcino rococò… per non parlare dei graffiti accanto alla chiesa.

Le nostre Colonne facevano parte, probabilmente, di un tempio dedicato a Cibele, che si trovava, sembra, in piazza Santa Maria Beltrade e furono “spostate” per fare da ingresso imponente e maestoso alla basilica di San Lorenzo.

Sono in marmo, di eguale altezza e fattura, allineate sopra un basamento più recente di epoca medievale. I capitelli corinzi, invece, presentano alcune differenze di altezza e disegno e si pensa, quindi, provengano da due diversi edifici romani.

Sopra l’arco, al centro del colonnato, c’è l’intrusa: una piccola, solitaria colonnetta con la croce che fa spingere ancora più su il nostro sguardo. È la diciassettesima colonna.

All’estremità del colonnato ci sono due piccoli altari al posto di quelli ormai perduti. Presso uno di questi San Carlo celebrò Messe per far cessare la peste. Questi mattoni sembrano tenuti insieme dal cemento della storia.

A molti secoli prima risale l’epigrafe rinvenuta nel 1600 durante operazioni di scavo e collocata sulla parete verso il Carrobbio. Datata 167 d.C. è dedicata a Lucio Vero, imperatore assieme al fratello adottivo Marco Aurelio. Illeggibile e deteriorata aspetta tempi migliori; per ora ad uno sguardo distratto può sembrare più un rattoppo che un’epigrafe da decifrare.

Le nostre Colonne, nel corso dei secoli, sono riuscite a sopravvivere ad incendi, devastazioni, rifacimenti urbanistici, vibrazioni provocate dal passaggio dei tram.

Oggi sono uno dei luoghi simbolo di Milano e della sua movida. Si vive un forte contrasto tra la storia passata e la vita di oggi con i gruppi di giovani e le mode dei nostri giorni come  i graffiti poco lontani e inusuali shoefiti vicini alle Colonne.

Scarpe sportive, legate tra loro dalle stringhe, pendono da un filo di sostegno che passa attraverso il colonnato. Non si conoscono bene i motivi alla base di questa moda nata negli USA. Le scarpe legate vengono lanciate come bolas, segnali per chissà quali differenti messaggi.

A noi piacciono e ci fanno venire voglia di camminare ancora di più insieme per Milano.

A presto…

 

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Quanta storia tra le vetrine! Alla scoperta di via Torino (parte seconda – San Giorgio al Palazzo… e molto altro)

Cosa starà guardando questo piccione curioso per rinunciare alle briciole golose della vicina cioccolateria in piazza San Giorgio, angolo via Torino?

Per venire sin qui forse è passato a volo d’uccello (ops!) sul vicino Palazzo Stampa di Soncino e, magari, avrà avuto qualche timore per l’aquila in cima alla torre che si nasconde dietro le case.

Questo palazzo è un altro edificio monumentale, molto deteriorato, a dire il vero, di questa nostra via Torino dai tanti volti. Risale all’ultimissimo periodo degli Sforza e fu via via rimaneggiato e modificato nei secoli

Fu fatto costruire da Massimiliano Stampa, “governatore” del Castello Sforzesco; ne faceva parte una torre a tre piani in onore dell’Imperatore Carlo V, per ringraziarlo del titolo di Marchese di Soncino che gli aveva concesso.

A malapena riusciamo ora a vedere, da via Soncino, la torre, l’aquila con corona imperiale che sovrasta il globo e le “Colonne d’Ercole” dedicate alla potenza dell’Imperatore.

Nell’Ottocento la famiglia Stampa aveva aggiunto il cognome Casati e la cronaca rosa e nera del Novecento si è occupata di alcuni discendenti dell’antica casata.

Luisa Casati Stampa

i protagonisti del delitto Casati

Avrà fatto il nido sulla torre il nostro piccione che si è fermato a guardare la chiesa di San Giorgio al Palazzo nella omonima piazzetta?

Questa chiesa ha origini antichissime e probabilmente sorge su un tempio pagano di Mediolanum, capitale dell’Impero Romano d’Occidente. Nel 751 l’Arcivescovo Natale (le sue reliquie sono custodite sotto l’altare) la dedicò a San Giorgio. La vicinanza della chiesa al Palazzo Imperiale Romano fece sì che fosse conosciuta come San Giorgio al Palazzo. I secoli ci misero mano e la chiesa  venne rifatta e rimaneggiata più volte.

Settecento

 

Ottocento

oggi

L’eco della memoria più antica è presente nelle colonne di pietra romaniche addossate ai pilastri del transetto, nei capitelli diventati acquasantiere, nella targa che ricorda l’Editto di Milano, promulgato da Costantino nel vicino Palazzo.

Quante preghiere nel corso dei secoli si saranno levate in questa chiesa e davanti al Ciclo della Passione di Bernardino Luini?

Il disegno preparatorio è conservato al Louvre, ma noi possiamo guardare questa pala d’altare nella sua pienezza e nelle sue diverse scene.

Nel Cristo schernito, dipinto nella lunetta, c’è anche un po’ di Leonardo. L’espressione e i volti grotteschi dei due aguzzini risentono degli studi sulla fisiognomica del Maestro. Il fondo scuro del dipinto viene aperto alla speranza dal piede sinistro del Cristo che sembra uscire dal quadro per andare verso i fedeli.

La torre campanaria di questa chiesa era altissima e vi furono nascoste le reliquie dei Re Magi, dalla vicina Sant’Eustorgio, per salvarle dal Barbarossa. Tutto fu inutile; i resti vennero trafugati e portati a Colonia e la torre fu fatta mozzare dall’Imperatore.

Godiamoci un momento la piazzetta con l’acciottolato davanti alla chiesa, quasi un angolo da “fuori Milano” e andiamocene alla scoperta di un altro luogo nascosto nel labirinto di vie dietro via Torino.

In via San Sisto, in un piccolo slargo, ecco un’altra chiesa con tanta storia da raccontare.

Fondata da Desiderio, Re dei Longobardi, alla fine dell’VIII secolo, rifatta “baroccamente” da Federico Borromeo, la sua campana suonò per chiamare a raccolta gli insorti delle Cinque Giornate. In questa rivolta, però, fu svuotata degli arredi che divennero barricate.

Iniziò un lento declino e, ormai sconsacrata, divenne un magazzino militare, in attesa di essere abbattuta dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale.

Fu salvata dall’Arte, quando lo scultore Francesco Messina la ottenne per usarla come studio e la fece restaurare, lasciandola poi alla città come museo delle sue opere… e non solo.

Fino a dicembre 2018 possiamo ammirare anche un grande “albero” che si snoda e si avvinghia alla facciata di questa chiesa. La suggestiva opera, intitolata “Radicamenti” è di Leonardo Nava.

Torniamo verso il Carrobbio, dove la nostra via Torino sembra aprirsi a raggiera, oggi come un tempo.

Questa zona è tra le più misteriose e inquietanti di Milano; qui si udivano (e si odono ancora?) i lamenti provenienti dal vicino lebbrosario e quelli delle vittime delle ordalie da parte dell’Inquisizione, qui era rimasto vivo il culto di Mitra, qui si diceva ci fosse un confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti.

Torre dei Malsani, già Porta Ticinensis delle mura romane

Beh, non andiamo “oltre”… Non si sa mai…

A presto…

Epifania 2016, tradizione e novità

La nostra città ha un forte legame con i Magi, questi misteriosi sapienti partiti da lontano alla ricerca della loro “Particella di Dio”.

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Non sono stati i primi a giungere alla Grotta.

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Ghirlandaio

Nel Presepio abbiamo già messo le statuine della Sacra Famiglia, degli angeli, dei pastori, della gente comune; poi il bue, l’asinello, le pecorelle, gli animali da cortile…

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Giotto

Infine, domani, metteremo i Magi con gli esotici cammelli o i nobili cavalli.

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Ecco alcune Adorazioni dei Magi che possiamo vedere in questa nostra città, ricca di opere d’arte, a volte poco note.

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Stefano da Verona – Pinacoteca di Brera

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Schiavone – Pinacoteca Ambrosiana

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Correggio – Pinacoteca di Brera

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Museo del Duomo

Il Solstizio d’Inverno è avvenuto e la luce del giorno dura, a poco a poco, sempre di più. “San Bassiano [19 gennaio] ha un’ ora in mano” dice un vecchio proverbio; la rinascita della Natura si sta preparando: sotto la neve, pane.

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Intorno alla Natività, alla nuova Luce, in questa misteriosa Adorazione dei Magi di Leonardo c’è una umanità dolente, i Magi non hanno abiti sfarzosi, sullo sfondo scene di battaglia e città in rovina.

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leo cavalli leo

Gli uomini sono riusciti persino a contendersi le spoglie dei Magi: secondo la tradizione esse furono dapprima traslate a Milano nella tomba sotto la Stella-Guida del campanile di Sant’Eustorgio.

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Poi il Barbarossa le volle per sè e le fece portare a Colonia; solo qualche reliquia fu restituita alla nostra città grazie al Cardinal Ferrari, all’inizio del Novecento.

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Duomo di Colonia

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Reliquiario in Sant’Eustorgio

Ogni anno Milano rinnova il suo legame con i Magi con un corteo in costume il giorno dell’Epifania.

corteo dal Duomo

Come sempre parte dal Duomo per raggiungere il presepio vivente di Sant’Eustorgio, attraversando alcune vie dello shopping e della movida, come via Torino, il Carrobbio, le Colonne di San Lorenzo e corso di Porta Ticinese.

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Epifania Corteo Re Magi Sant'Eustorgio Milano 1

MILANO 06 Gen 2012 - I RE MAGI PORTANO I DONI A GESU', IN PIAZZA SANT'EUSTORGIO savoia cattaneo faravelli p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate - MILANO 2012-01-06 I RE MAGI PORTANO I DONI A GESU', IN PIAZZA SANT'EUSTORGIO I RE MAGI PORTANO I DONI A GESU' EPIFANIA - fotografo: Enrico Brandi / Fotogramma / Fotogramma presepio vivente

L’appuntamento è alle 11.30/11.45 in piazza Duomo.

http://www.santeustorgio.it/corteo_dei_magi.html

E la Befana?

Questa sorta di stranonna buona e dolce come i suoi doni, nonostante il freddo-Freezer in arrivo, anche quest’anno prenderà la moto (ore 8.30 in corso Sempione) e, con un corteo motorizzato, raggiungerà alcuni Istituti per distribuire sorprese ai meno fortunati.

il freezer arriva alla Befana

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Anche la Befana non riuscirà a sfuggire al fascino della Darsena; il 6 gennaio pattinerà sul ghiaccio in un grande spettacolo gratuito alle ore 18.30,  e saluterà i bambini a bordo dei battelli che navigano sul Naviglio.

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Si chiuderà così il primo Darsena Christmas Village.

http://milano.mentelocale.it/68084-milano-befana-ghiaccio-show-chiusura-darsena-christmas-village/

Una piccola dritta: oltre allo street food della Darsena, si può fare un salto al Mercato Metropolitano di Porta Genova, aperto fino a mezzanotte, dove, tra i vari stand, ci sarà atmosfera di festa con giochi e spettacoli.

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Buona Epifania, che tutte le Feste (ahimè) si porta via!

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Morte di una “lucciola” al Ticinese- (Tanto tempo fa) – Parte Seconda

Torniamo alla notte del 27 agosto al Carrobbio.

La versione ufficiale

Alcuni giovani, che recavano disturbo alla quiete pubblica e che si erano “ribellati” agli ordini degli agenti di “circolare”, vengono arrestati. Una giovane prostituta si suicida ingerendo pastiglie di sublimato corrosivo: è la Rosetta.

La Rosetta

Tutti i giornali si allineano a questa versione dei fatti, fornita dalla polizia: in poche righe viene riferito questo piccolo fatto di cronaca.

La controinchiesta dell’Avanti

Già il 28 l’Avanti esplode con il titolo:

Avanti

Il linguaggio del giornale cambia: la “prostituta” diventa “una giovane canzonettista”, gli agenti si trasformano in “poliziottaglia” e ci si chiede se una sola pastiglia, seguita da lavanda gastrica, possa uccidere.

L’Autorità Giudiziaria e la Questura aprono immediatamente due inchieste e ordinano l’autopsia della vittima.

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Come in una sorta di Quarto Grado inizio secolo, i giornalisti dell’Avanti scavano nell’accaduto, cercano testimoni, collegano fatti, confrontano dati, interpellano esperti e…i conti non tornano.

Non ci furono solo schiamazzi, ma, in quella notte violenta al Carrobbio, fecero la comparsa le daghe, furono distribuite piattonate dagli agenti (che erano in numero molto superiore a quello dei disturbatori), una delle quali colpì violentemente al petto la Rosetta. Gli uomini furono arrestati, le donne lasciate sul campo di battaglia.

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Sempre seguendo le testimonianze raccolte, poco dopo la scena si sposta in piazza Vetra. La Rosetta, soccorsa dal fratello Arturo, che si stava recando al lavoro, e da altri due giovani, viene accompagnata in piazza Vetra, per andare dalla sorella.

la Stretta dei Vetraschi in piazza Vetra

Come in un agguato, alcuni agenti, già presenti al pestaggio del Carrobbio, si lanciano sul gruppetto, infierendo in particolare su Arturo. Rosetta urla, cerca di difendere il fratello, per di più claudicante, ma questo scatena il branco degli agenti che “si scagliano, ormai accecati da una brutalità cieca e bestiale(l’Avanti, 28/8) a calci e pugni sulla ragazza.

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Rivoltella in pugno, gli agenti intimano a tutti i testimoni di rientrare a casa e di chiudere le finestre.

Locali notturni finestre

Fra i testimoni, che restano presenti come in un coro, c’è anche chi trova il coraggio di denunciare, sulle pagine del giornale, quanto visto quella sera, indicando anche il proprio nome e cognome. Saranno sentiti dalle autorità? Subiranno ritorsioni? Nulla si sa di tutto questo.

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Il presunto depistaggio ed il tentato suicidio

I poliziotti riportano poi, di peso, la Rosetta al Carrobbio: perchè? Forse per depistare le indagini e “nascondere” l’agguato di piazza Vetra?

In questo momento la Rosetta prende (o finge di prendere) le pastiglie di veleno: forse per farsi portare in ospedale, invece che in Questura, e salvarsi dal branco?

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Il Musti

È il poliziotto “cattivo”: viene accusato, tempo prima, dalla Rosetta, davanti ai giudici, di minacce continuate, è presente ai pestaggi, porta la ragazza in ospedale, al reparto Tentati Suicidi.

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C’era un motivo nascosto nel suo odio verso la Rosetta?

– È il poliziotto deviato, venuto da Napoli, affiliato, forse alla Mano Nera, di cui parlano alcune ballate popolari?

– Voleva vendicarsi delle accuse della Rosetta davanti ai giudici?

– C’è chi sostiene che ne fosse pazzamente innamorato (forse anche suo amante); dopo essere stato lasciato, voleva fargliela “pagare cara”?

– Forse avrebbe voluto diventare il protettore della lucciola, che stava diventando famosa e, respinto, “gliela aveva giurata”?

 Di lui sappiamo che venne trasferito a Genova e le sue tracce si perdono con i suoi segreti.

Un delitto irrisolto

 L’autopsia indicò nell’avvelenamento la causa della morte e segnalò diverse lievi abrasioni sul corpo della vittima

corriere della sera del 31 agosto

– Perché fu impedito ai familiari ed agli amici di vedere il corpo della ragazza fintanto non fosse stato “preparato”? Una testimone, di cui si riporta nome e cognome, vide, di nascosto, diverse vistose ecchimosi sul cadavere.

– Perchè la Rosetta avrebbe detto alla sorella, prima di morire, “mi hanno ammazzata”?

– Quante furono in realtà le pastiglie ingerite? Erano sufficienti a causare la morte, tanto più che le venne praticata subito la lavanda gastrica? Il numero delle pastiglie varia, secondo le fonti, da “alcune” a “tre”, di cui due sputate. Ci furono, si chiede un medico intervistato dall’Avanti, altri sintomi di avvelenamento? Il sublimato corrosivo, trovato nell’autopsia, poteva essere quello che la Rosetta assumeva abitualmente per curare la sifilide?

Le Autorità richiesero un supplemento di indagini, ma dei nuovi risultati non si seppe più nulla.

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I funerali della Rosetta

Ai suoi funerali partecipò una grande folla con tutta la malavita del Ticinese. Quattro erano i carri pieni di fiori per la giovane canzonettista.

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Il funerale della Rosetta da Milano noir (mostra 2015)

In questi cento anni la storia della Rosetta è diventata una sorta di leggenda che ha ispirato diversi artisti, da Sciascia ai vari interpreti della ballata (Milly, I Gufi, Mattia Donna, ecc.).

https://www.youtube.com/watch?v=VJJbhbl6WSA

Ancora oggi la figura della giovane prostituta di piazza Vetra, morta non ancora diciottenne, interessa, intriga e, forse, suscita riflessioni anche su delitti del nostro tempo e fatti di cronaca tristemente noti.

Da noi una rosa per lei.

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Morte di una “lucciola” al Ticinese – (Tanto tempo fa) – Parte Prima

Perchè una piccola lucciola è diventata negli anni una specie di leggenda milanese? Cosa ha contribuito a far crescere il fascino del mistero intorno alla sua figura?

La scena del delitto

Siamo sul finire dell’agosto 1913, nel popolare rione Ticinese, terra di miseria, degrado e malavita, ma anche vivace e ricco di senso di solidarietà e appartenenza.

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Le notti dovevano essere ancora calde e piacevoli se il Carrobbio il 27 agosto “si era trasformato in una specie di caffè-concerto: alcune donnine, più allegre del solito, e alcuni giovinastri, padroni del campo, cantavano a squarciagola, turbando il sonno dei pacifici cittadini. Dall’Inno a Tripoli…e il bel suol d’Amore si era giunti alle canzoni oscene e ai richiami della malavita” (l’Avanti, 27/8/1913).

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Qui inizia il dramma della Rosetta, una giovane ragazza al centro di un grave fatto di cronaca nera dai contorni rimasti oscuri. Quali furono le cause della sua morte? Fu un suicidio o fu vittima della brutalità di alcuni agenti di polizia?

Ancora oggi molti sono i dubbi. Vediamo di recuperare un po’ delle tessere che potranno servire a ciascuno di noi per comporre il proprio puzzle.

La Rosetta

Nasce intorno al 1895, in una famiglia numerosa (nove figli?) con padre facchino e madre forse alcolizzata, ma certamente sciagurata se, come sembra, si vantava di aver spinto la Rosetta, allora tredicenne, a “frequentare” un ricco signore.

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dal film “Giovane e bella”

La sua biografia è molto scarna: “Elvira Rosa Andressi (questo il suo nome) era una povera ragazza del popolo, troppo presto vinta dalle tentazioni del lusso e, forse, del vizio. Ma, tuttavia, giovanissima e molto bella, volle tentare di sottrarsi al mondo equivoco nel quale era caduta: non, forse, per redimersi, ma certo per non precipitare, ogni giorno di più, nella voragine dei bassifondi.” (l’Avanti, 28/8).

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“Molta grazia, molta verve, una graziosa voce” (ibidem, 28/8):questo era quello che aveva la Rosetta per vivere la sua vita.

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In pochi anni (muore non ancora diciottenne) conosce un merciaio di via Torino, sposato e con tredici figli, che le “vende” calze e golfini in cambio delle più belle notti d’amore della sua vita

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Incontra  un delinquente della Compagnia del Fil de Fer, Attilio Orlandi, detto Butterin, uomo alto e grassoccio  ma elegante, borsaiolo sui treni e protettore di lucciole, con il quale va a vivere.

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L’Orlandi viene poi accusato di aver partecipato al furto nella gioielleria Archenti di piazza Duomo e, come complice, viene coinvolta anche la Rosetta.

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In questa circostanza, la Rosetta sperimenta i modi intimidatori della polizia e, soprattutto, quelli di un certo Musti, brigadiere, forse meridionale, che entrerà prepotentemente nella vita e nella morte della ragazza.

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Durante il processo, dal quale uscirà completamente scagionata (e a quei tempi non era certo facile per una lucciola), accusa, davanti ai Giudici, il Musti di averla più volte minacciata: “Lei è quel signore che avrebbe voluto condurmi senza perchè in guardina…Lei mi ha minacciata tutte le volte che mi ha incontrata” (ibidem, 30/8).

Intanto la ragazza, che secondo la ballata riportata nell’articolo “…battea la colonnetta…” (forse un tratto di marciapiede o, più probabilmente, un’osteria con questo nome), fa carriera e diventa Rosa Woltery, una cantante di Cafè Chantant e di teatro, come il San Martino, in Galleria del Corso a Milano, dove conosce, forse, Petrolini; si esibisce anche al Salone Margherita a Roma e l’attende uno spettacolo a Genova.

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Ha affittato, nel frattempo, un piccolo appartamento, dove riceve “visite”; ma il destino e il Musti, ancora lui, l’attendono in una calda notte d’estate al Ticinese.

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Continua… 

Il Carrobbio – (dove)

L’ampio crocevia, all’inizio di corso di Porta Ticinese e in fondo a via Torino, conosciuto come il Carrobbio, è un luogo abbastanza anonimo, un incrocio di vie, rotaie e sensi vietati.

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In questo luogo si apriva, in epoca romana, la Porta Ticinensis, da cui partiva la strada che conduceva a Ticinum, l’odierna Pavia, agevolmente percorribile dai carri (Carrobbio da carruvium, strada per carri?).

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Di Carrobbi, a Milano, dovevano essercene diversi, in corrispondenza delle varie porte. Uno di questi, quello di Porta Nuova, ad esempio, viene ricordato ne I Promessi Sposi (cap. 34); si trovava nell’attuale via Manzoni, dove oggi c’è l’Hotel Armani, di fronte alla chiesa di San Francesco di Paola.

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Chissà perchè, invece, il “Carrobbio” è rimasto solo quello di Porta Ticinese.

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Il Carrobbio è stato nei secoli, un crocevia anche di tante storie umane. Qui sembra che gli schiavi venissero affrancati o comprati, mercato di vite senza valore.

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Accanto alla Porta, in epoche più recenti, c’era la TorracciaTorre dei Malsani (si trattava di una delle torri della porta), adiacente ad un lebbrosario; forse nell’altra torre venivano praticate ordalie e torture, tanto che si dice che in questa zona siano stati avvertiti lontani lugubri lamenti.

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Ben diversi lamenti il Carrobbio ha sentito quando i milanesi, anche allora schiacciati dalle tasse, si ribellarono agli esattori francesi, che qui riscuotevano le gabelle.

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In seguito qui un banditore leggeva i proclami del Governatore spagnolo ed i milanesi lo soprannominarono Il Trombetta, in segno di derisione.

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Ma, infine, dov’è l’antica porta romana? Ciò che ne resta è il rudere della torre di sinistra della porta, oggi in parte incorporato in un ristorante.

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Vi proponiamo le foto che abbiamo scattato all’interno della torre, per le quali ringraziamo il cortese proprietario.

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scala a chiocciola all’interno della torre

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fondamenta della torre

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sala sotterranea

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la finestrella al primo piano

Che ne dite di una pizza nella torre?

 

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Porta Ticinese: “la Via delle Tre Porte”

Lasciata la piazza di Sant’Eustorgio, ci incamminiamo lungo il corso di Porta Ticinese per raggiungere la Basilica di San Lorenzo, con il suo colonnato, ed il Carrobbio.

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Tralasciamo per ora l’altro collegamento tra Sant’Eustorgio e San Lorenzo, il Parco delle Basiliche, perchè talmente pieno di storia, roghi di streghe ed eretici, pene capitali, da dover essere scoperto in un momento a parte.

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Veduta aerea del Parco delle Basiliche, fra le due chiese

Attraversiamo il corso e subito incontriamo, al numero 98, il luogo dove era situato il carcere, la cosiddetta “Garzeria”, a ridosso del Tribunale dell’Inquisizione, con le sue storie di sofferenze e di “umana” giustizia.

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Subito accanto, percorriamo il vicolo Calusca, l’origine del cui nome è tuttora incerta. Forse qui abitava un’antica famiglia Lusca o c’era una casa Losca, probabilmente casa di appuntamenti?

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Dove ora c’è uno slargo con belle case, si apriva una serie di vicoli malfamati; qui un tempo c’erano i locch, piccoli delinquenti, la ligera (oggi potremmo chiamarla microcriminalità) o, secondo un’altra interpretazione, chi possedeva solo indumenti leggeri, inadatti al clima rigido, i “poveretti”, i “Miserabili di Milano”.

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Qualche piccola curiosità: in questa zona sono nati, ai primi del Novecento, la Compagnia del Fil de Fer, una banda di scassinatori ed il Trinciato Marciapiede, tabacco recuperato dai mozziconi gettati per terra e riutilizzato oppure tabacco di contrabbando nascosto nei tombini.

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Forse il soprannome di “Porta Cicca” nasce da qui, oppure potrebbe essere di origine spagnola: chica intesa come porta piccola, oppure ragazza di antico mestiere.

In queste vie erano frequenti le figure delle sparagandolitt, prostitute che mangiavano ciliegie aspettando i clienti e che ne sputavano i noccioli per terra.

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Non dimentichiamo che vicino c’è la Darsena, allora importante porto di Milano, con tutto il traffico di merci e di varia umanità.

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Milano non ha il grande fiume come tante altre città, ma le acque, tantissime, scorrono sopra e sotto il suo territorio e anche la rete dei Navigli era molto estesa.

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Porta Ticinese prende il nome dalla città di Ticinum, oggi Pavia. Ma quale Porta Ticinese? In effetti in questa zona di porte ce ne sono ben tre, segno del progressivo espandersi di Milano durante i secoli.  Più esterna è quella dei Bastioni Spagnoli, in piazza XXIV Maggio, poi quella comunale, alle Colonne di San Lorenzo, e infine quella romana al Carrobbio.

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la porta spagnola

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la porta comunale

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le mura romane e le porte

 

Raggiungiamo la porta comunale, oggi impacchettata per i lavori di ristrutturazione, cercando qualche elemento rimasto inalterato nel tempo: al numero 22 c’è un vecchio portone decorato con una conchiglia, che sembra sorreggere un delizioso balconcino rococò; sul portone un tempo c’era l’immagine di una donna, che ora ha acquisito le sembianze di uno spettro.

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Infatti in questo corso scritte colorate e immagini spesso si rinnovano tra le vetrine e le saracinesche dei locali e dei negozi di tendenza…

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p Ticinese

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Sorprendono   i muri espressivi o da leggere e i portoni simili a block  notes  di pensieri o di idee.

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scritte sulle saracinesche

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Una forma originale di street poetry!

Per saperne di più:
Clicca qui

Se vi è possibile entrate nei vari portoni di queste case: troverete spesso un mondo inaspettato

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Al numero 18, ad esempio, un piccolo portale del Settecento introduce ad un corridoio “condominiale” con colonne e capitelli, forse del Quattrocento.

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Non perdete anche, al numero 44, un grazioso poggiolo spagnoleggiante.

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Arriviamo, infine, alle Colonne che delimitano la piazza di San Lorenzo (è una Basilica assolutamente da vedere).

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Sono lì, sopravvissute a vari incendi (probabilmente il primo è stato quelle delle dea Cibele, forse nell’odierna piazza Santa Maria Beltrade), poi alla furia distruttrice di elementi come Attila, Uraia, il Barbarossa, ai restauri, ai vari interventi urbanistici, ai bombardamenti e persino alle vibrazioni dei tram, che vi sono sempre passati accanto.

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Le testarde colonne sono ancora in piedi, a reggere il peso della trabeazione che poggia sopra di esse. Ma quante sono? Non è facile, come sembra, contarle.

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Raggiungiamo ora la terza porta, quella romana, al Carrobbio. Leggiamo intanto i nomi delle vie qui attorno, via Arena, via Gian Giacomo Mora: ci parlano di spettacoli gladiatori e di combattimenti, oppure ci rimandano ad uomini torturati e uccisi per delitti mai commessi come l’untore, ricordato dal Manzoni nella Storia della Colonna Infame, che abitava proprio qua.

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Nello spazio all’angolo tra corso di Porta Ticinese e via G. G. Mora, un suggestivo monumento di fronte alla targa commemorativa ci fa memoria di quanto accaduto.

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Anche in questa via resistono segnali del passato, da scoprire quando i portoni sono aperti.

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Ed eccoci al Carrobbio, cerchiamo l’antica porta romana. Dov’è? Che abbia a che fare con la Torre dei Malsani?

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Cominciate da qui. Buona ricerca!

Soluzione alla domanda: Quante sono le colonne di San Lorenzo? 

Le colonne grandi sono 16, ma ce n’è una, piccola, sopra l’arco della trabeazione, che regge una croce; in totale sono 17!

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