Passipermediolanum: le Colonne di San Lorenzo

La quasi sconosciuta statua di Ausonio sul Passaggio delle Scuole Palatine tra piazza Mercanti e via Orefici ci riporta all’epoca di Mediolanum, capitale dell’Impero Romano d’Occidente.

Ausonio, intellettuale di corte e appassionato giramondo del IV secolo d.C., compose diverse opere sulle località visitate nei suoi viaggi, come in una sorta di TripAdvisor imperiale.

Lo scrittore fa della nostra città, che aveva visitato nel 379, una bellissima recensione, ponendo Mediolanum al settimo posto, seconda città italiana dopo Roma, tra le venti top urbes dell’Impero Romano. Un’epigrafe, accanto alla sua statua, è la sua rece che possiamo leggere anche oggi.

“A Mediolanum -scrive nel suo Ordo Urbium Nobilium– ogni cosa è degna di ammirazione… La popolazione è di grande capacità… La città si è ingrandita ed è circondata da una duplice cerchia di mura… Vi sono il Circo… il Teatro, i templi…, il Palazzo Imperiale…, le Terme Erculee…”.

Cosa rimane oggi dei luoghi che avevano tanto colpito Ausonio? Qual è il presente di questo passato? Il tour per Mediolanum non è facile e talora bisogna cercare le antiche tracce in contesti nuovi, “pietra su pietra” per così dire…

Muro del Circo romano in via Vigna

Inoltre a Milano anche le pietre sono in movimento e nel corso dei secoli sono state “spostate” da un luogo all’altro per essere riutilizzate e ricominciare una nuova vita. Così  è accaduto alle Colonne di San Lorenzo.

Sono forse il monumento più conosciuto e meglio conservato di Mediolanum; raggiungiamole col tram n. 3 che passa loro accanto a Porta Ticinese.

I finestrini ci lasciano vedere uno squarcio incredibile della nostra città. In poco spazio ci sono colonne pagane, una tra le più antiche basiliche cristiane, la statua replicante di Costantino (l’originale è a Roma), un portale e un balconcino rococò… per non parlare dei graffiti accanto alla chiesa.

Le nostre Colonne facevano parte, probabilmente, di un tempio dedicato a Cibele, che si trovava, sembra, in piazza Santa Maria Beltrade e furono “spostate” per fare da ingresso imponente e maestoso alla basilica di San Lorenzo.

Sono in marmo, di eguale altezza e fattura, allineate sopra un basamento più recente di epoca medievale. I capitelli corinzi, invece, presentano alcune differenze di altezza e disegno e si pensa, quindi, provengano da due diversi edifici romani.

Sopra l’arco, al centro del colonnato, c’è l’intrusa: una piccola, solitaria colonnetta con la croce che fa spingere ancora più su il nostro sguardo. È la diciassettesima colonna.

All’estremità del colonnato ci sono due piccoli altari al posto di quelli ormai perduti. Presso uno di questi San Carlo celebrò Messe per far cessare la peste. Questi mattoni sembrano tenuti insieme dal cemento della storia.

A molti secoli prima risale l’epigrafe rinvenuta nel 1600 durante operazioni di scavo e collocata sulla parete verso il Carrobbio. Datata 167 d.C. è dedicata a Lucio Vero, imperatore assieme al fratello adottivo Marco Aurelio. Illeggibile e deteriorata aspetta tempi migliori; per ora ad uno sguardo distratto può sembrare più un rattoppo che un’epigrafe da decifrare.

Le nostre Colonne, nel corso dei secoli, sono riuscite a sopravvivere ad incendi, devastazioni, rifacimenti urbanistici, vibrazioni provocate dal passaggio dei tram.

Oggi sono uno dei luoghi simbolo di Milano e della sua movida. Si vive un forte contrasto tra la storia passata e la vita di oggi con i gruppi di giovani e le mode dei nostri giorni come  i graffiti poco lontani e inusuali shoefiti vicini alle Colonne.

Scarpe sportive, legate tra loro dalle stringhe, pendono da un filo di sostegno che passa attraverso il colonnato. Non si conoscono bene i motivi alla base di questa moda nata negli USA. Le scarpe legate vengono lanciate come bolas, segnali per chissà quali differenti messaggi.

A noi piacciono e ci fanno venire voglia di camminare ancora di più insieme per Milano.

A presto…

 

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San Biagio e… il panettone! Una festa tradizionale di Milano

In piena epidemia di influenza, mal di gola e raffreddore una antica tradizione milanese ci suggerisce, per il 3 febbraio, una sorta di “vaccinazione” a base di… panettone.

Il 3 febbraio si festeggia San Biagio, il medico armeno, vescovo di Sebaste, che subì il martirio agli inizi del Trecento d.C. Si racconta che una donna disperata, gli avesse portato il figlio che stava soffocando per una lisca di pesce che gli si era conficcata in gola. Biagio benedisse del pane e lo fece mangiare al bambino, salvandolo. Medicina e Fede avevano compiuto il miracolo e da allora il Santo protegge dal mal di gola.

Il culto di San Biagio, uno dei 14 Santi Ausiliatori che aiutano, cioè, in particolari malattie, è molto diffuso nel mondo cristiano. In particolare Milano è devota da secoli a questo Santo, già venerato nell’antica Basilica di Santa Tecla e con una statua sul Duomo ricostruita dopo la guerra.

Il 3 febbraio è usanza ricordare il “miracolo della gola” mangiando un pezzetto del panettone aperto durante il pranzo di Natale e conservato fino a questo giorno.

Un’altra tradizione legata a questo giorno è quella della benedizione della gola impartita dal sacerdote che incrocia davanti al collo dei fedeli, invocando San Biagio, due candele accese, benedette alla Candelora (2 febbraio) e legate da un nastro rosso.

In questo periodo le giornate cominciano ad essere più lunghe e miti (Quando vien la Candelora dall’inverno siamo fora). Le candele benedette il 2 febbraio (ricorrenza della Presentazione di Gesù al Tempio) sono l’immagine della vittoria della Luce sulle tenebre unendo simbolicamente la ricorrenza di San Biagio al Natale.

Un aneddoto curioso e poco conosciuto è riportato, in un suo libro, da Francesco Ogliari, cultore di antiche storie di vita milanese.

Era il 3 febbraio 1888 e le signore andavano in Duomo per ricevere la benedizione di San Biagio anche perchè era impartita da un bel monsignore che aveva molto successo tra le milanesi dell’epoca.

Fra queste signore bene, si era messa in fila anche una bella ragazza, la “Rizzolin” che “praticava il mestiere”, come la Rosetta anni dopo, a Porta Ticinese. Le signore si scostavano indispettite aspettando che il sacerdote scacciasse la peccatrice. Il monsignore, invece, le pose sul collo le candele benedette e, invocando per lei la benedizione, le disse sorridendo: “per intercessione Beati Biasii, tirett via de lì, se nò te basi!”.

La storia della “Rizzolin” termina qualche anno dopo ad Adua, dove era andata come infermiera col corpo di spedizione del Generale Baratieri. Chissà se San Biagio l’avrà accolta lassù sorridendo anche lui.

Per la festa di San Biagio a Milano c’è la tradizione di ricevere in regalo un panettone acquistandone un altro.

Si racconta che una donna avesse portato ad un frate un po’ goloso un panettone da far benedire per San Biagio. Il frate poco alla volta lo aveva mangiato senza pensarci. Quando, però, giunse il 3 febbraio, si ricordò del panettone e, preso dalla mortificazione e dal dispiacere, pregò il Santo di aiutarlo. Quando la donna si presentò a ritirare il proprio panettone, ne trovò uno grande il doppio… e questo regalo continua ancora oggi.

A tutti Buon San Biagio e ricordatevi di mangiare un pezzetto del panettone di Natale, fa bene alla gola e… ti prende per la “gola”.

A presto…

Il Cammino dei Monaci: itinerario di cultura, arte, verde e… buon cibo (Parte prima)

“…A Milano non c’è niente…”, “…Milano è solo grigia e non c’è verde…”. Quante volte abbiamo sentito queste e altre tiritere di luoghi comuni? Passipermilano propone di visitare in questo itinerario alcuni  “luoghi comuni” per vedere quali luoghi reali ci offra invece la nostra città anche in periferia.

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Parco della Vettabbia – via Corrado il Salico

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Abbazia di Chiaravalle

Iniziamo in questo incontro un percorso molto “sconosciuto”, ma ricco di cultura, arte, verde, spiritualità, storia, leggenda e qualche assaggio di buon cibo: il Cammino dei Monaci.

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Lo si può fare a piedi, di corsa, in bici, con mezzi privati o pubblici (M3 fermata Corvetto e bus 77 direzione Chiaravalle).

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ciclabile – via San Dionigi

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Il Cammino, o la Valle, dei Monaci inizia al Parco delle Basiliche, tra San Lorenzo e Sant’Eustorgio, dove nasce la Vettabbia e, seguendo il suo corso, arriva a Melegnano.

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La Vettabbia è una delle tante rogge della nostra città, è di Porta Ticinese, come la povera Rosetta; nasce infatti dalla confluenza della Vetra col Seveso, appunto in piazza Vetra.

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Nella prima parte il suo corso è coperto, ma possiamo vedere le sue acque limpide ancora in diversi punti di Milano Sud. Eccone alcuni:

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Vettabbia in via Broni

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Vettabbia in via Corrado il Salico

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Vettabbia in via dei Fontanili

Grazie anche a questa roggia navigabile, i monaci del Tardo Medioevo portavano in città prodotti agricoli provenienti dalle zone bonificate e divenute fertili intorno alle Abbazie.

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Vettabbia in via dei Fontanili

In questo nostro cammino vedremo un territorio antico, ma vivo e vitale; ci fermeremo presso un’antica chiesetta con memorie paleocristiane, sosteremo presso le Abbazie di Chiaravalle e di Viboldone, visitando persino un vecchio mulino alle spalle di un noceto, tra erbe officinali. Vi parrà strano, ma tutto questo è a Milano, poco più in là di piazzale Corvetto.

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Chiesetta di Nosedo

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Abbazia di Chiaravalle

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Abbazia di Viboldone

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Chiaravalle – “Giardino dei Semplici”

Lasciamo a ciascuno di voi organizzare il percorso da piazza Vetra fino a corso di Porta Romana, visitando le chiese di San Nazaro, San Calimero e Santa Maria del Paradiso, fino a giungere a piazzale Corvetto.

Piazza San Nazaro 1

San Nazaro

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San Calimero

S Maria al Paradiso

Santa Maria del Paradiso

P. Corvetto

viabilità in piazzale Corvetto

Diamoci appuntamento virtuale all’inizio di via San Dionigi 6, vicino alla grande statua del Cristo Redentore, affettuosamente chiamato in dialetto el Signurun. Siamo in periferia in mezzo a case di ringhiera e a palazzi di edilizia popolare.

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La statua, fatta in graniglia e sabbia del Ticino con polveri di cemento, non è un’opera d’arte. Per di più le hanno dato un improbabile colore “giallo Milano”, come è anche il nostro risotto con lo zafferano.

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Da dove viene questa statua? Secondo una leggenda el Signurun era stato trovato nella Vettabbia, che arrivava vicino alle case.

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foto d’epoca

Per ricordare questo ritrovamento nelle acque è stato posto su una terrazza, come la polena di una nave. Secondo altri, invece, la statua era stata commissionata, ma non ritirata e un capomastro se l’era portata via e messa a vegliare sulla casa dove viveva.

Nel corso del tempo la statua ha perso la mano destra benedicente in un “incidente sul lavoro”. Infatti è stata colpita da alcuni operai che stavano installando un palo della luce.

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Dove sia finita la mano non si sa, ma a noi piace iniziare questo cammino alla ricerca di un pezzetto della nostra storia sotto questa statua, che benedice, da tanto tempo, chi entra o esce da Milano. Proseguite ora lungo la via San Dionigi fino all’incrocio con viale Omero.

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A presto…

Il Mercato Metropolitano di Porta Genova

Questo “nuovo” mercato alimentare è nato nello spazio occupato dagli ex-magazzini dello scalo merci della stazione FS di Porta Genova, a due passi dai Navigli e da via Tortona.

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Si estende per 15.000 metri quadrati (1.200 al coperto) ed è un tentativo di rivitalizzare un luogo dismesso, facendo conoscere piccoli produttori e creando occasioni di lavoro e di incontro.

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Aperto in occasione di Expo, gli organizzatori si augurano che questo mercato possa continuare a vivere anche in seguito e pensano di esportare questa esperienza all’estero.

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Il Mercato Metropolitano fa parte di quella nuova tipologia di mercato oggi di moda, come quello di Porta Ticinese o del Duomo.

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Mercato del Duomo

Sono spazi, più o meno organizzati ed accoglienti, dove è possibile acquistare e soprattutto consumare prodotti a filiera corta.

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Mercato Metropolitano

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Mercato Metropolitano

In particolare il Mercato Metropolitano propone diversi spazi al coperto dedicati a piccoli produttori dove trovare piatti di pesce, carne, taglieri vari, pizza, ostriche, panini al lampredotto, trippa, focacce, accompagnati da birre e vini, anche al bicchiere.

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Accanto a queste botteghe, ci sono all’esterno angoli di street food, piccoli food truck e qualche Apecar dove mangiare  carni alla brace, tortellini, panelle, piccoli dolci o bere semplicemente una birra.

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L’ambiente è molto basic, ha un’aria vagamente nord-europea o ricorda il clima di talune sagre popolari.

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Cassette di plastica fanno da portavasi a erbe aromatiche o a piccole piantine tra i tavoloni o tra i sacchi che fanno da sedute.

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Il mercato è piuttosto affollato, specialmente all’ora di cena. Le file alle casse sono piuttosto lunghe e anche quelle per attendere il proprio piatto non sono da meno, tanto più che, non essendoci servizio al tavolo, si deve cercare un posto libero, tenendo in equilibrio, senza vassoio, quanto via via ordinato.

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I prezzi non sono proibitivi, ma nemmeno popolari; quanto rimane viene ritirato dal Banco Alimentare per i più bisognosi.

Accanto alla zona più propriamente dedicata al food, sono anche presenti un cinema all’aperto, l’AriAnteo, un piccolo orto e diversi laboratori.

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https://drive.google.com/file/d/0B26cU8Gu6jNrcEpxVnBXWFFtOWM/view?pli=1

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Nello spazio coperto c’è anche un piccolo market con prodotti di nicchia e all’esterno qualche banco di ortofrutta.

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Anche le zanzare amano questo mercato: se non volete diventare il “loro” street food, cospargetevi di Autan!

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Morte di una “lucciola” al Ticinese- (Tanto tempo fa) – Parte Seconda

Torniamo alla notte del 27 agosto al Carrobbio.

La versione ufficiale

Alcuni giovani, che recavano disturbo alla quiete pubblica e che si erano “ribellati” agli ordini degli agenti di “circolare”, vengono arrestati. Una giovane prostituta si suicida ingerendo pastiglie di sublimato corrosivo: è la Rosetta.

La Rosetta

Tutti i giornali si allineano a questa versione dei fatti, fornita dalla polizia: in poche righe viene riferito questo piccolo fatto di cronaca.

La controinchiesta dell’Avanti

Già il 28 l’Avanti esplode con il titolo:

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Il linguaggio del giornale cambia: la “prostituta” diventa “una giovane canzonettista”, gli agenti si trasformano in “poliziottaglia” e ci si chiede se una sola pastiglia, seguita da lavanda gastrica, possa uccidere.

L’Autorità Giudiziaria e la Questura aprono immediatamente due inchieste e ordinano l’autopsia della vittima.

Avanti  29 agosto

Come in una sorta di Quarto Grado inizio secolo, i giornalisti dell’Avanti scavano nell’accaduto, cercano testimoni, collegano fatti, confrontano dati, interpellano esperti e…i conti non tornano.

Non ci furono solo schiamazzi, ma, in quella notte violenta al Carrobbio, fecero la comparsa le daghe, furono distribuite piattonate dagli agenti (che erano in numero molto superiore a quello dei disturbatori), una delle quali colpì violentemente al petto la Rosetta. Gli uomini furono arrestati, le donne lasciate sul campo di battaglia.

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Sempre seguendo le testimonianze raccolte, poco dopo la scena si sposta in piazza Vetra. La Rosetta, soccorsa dal fratello Arturo, che si stava recando al lavoro, e da altri due giovani, viene accompagnata in piazza Vetra, per andare dalla sorella.

la Stretta dei Vetraschi in piazza Vetra

Come in un agguato, alcuni agenti, già presenti al pestaggio del Carrobbio, si lanciano sul gruppetto, infierendo in particolare su Arturo. Rosetta urla, cerca di difendere il fratello, per di più claudicante, ma questo scatena il branco degli agenti che “si scagliano, ormai accecati da una brutalità cieca e bestiale(l’Avanti, 28/8) a calci e pugni sulla ragazza.

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Rivoltella in pugno, gli agenti intimano a tutti i testimoni di rientrare a casa e di chiudere le finestre.

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Fra i testimoni, che restano presenti come in un coro, c’è anche chi trova il coraggio di denunciare, sulle pagine del giornale, quanto visto quella sera, indicando anche il proprio nome e cognome. Saranno sentiti dalle autorità? Subiranno ritorsioni? Nulla si sa di tutto questo.

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Il presunto depistaggio ed il tentato suicidio

I poliziotti riportano poi, di peso, la Rosetta al Carrobbio: perchè? Forse per depistare le indagini e “nascondere” l’agguato di piazza Vetra?

In questo momento la Rosetta prende (o finge di prendere) le pastiglie di veleno: forse per farsi portare in ospedale, invece che in Questura, e salvarsi dal branco?

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Il Musti

È il poliziotto “cattivo”: viene accusato, tempo prima, dalla Rosetta, davanti ai giudici, di minacce continuate, è presente ai pestaggi, porta la ragazza in ospedale, al reparto Tentati Suicidi.

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C’era un motivo nascosto nel suo odio verso la Rosetta?

– È il poliziotto deviato, venuto da Napoli, affiliato, forse alla Mano Nera, di cui parlano alcune ballate popolari?

– Voleva vendicarsi delle accuse della Rosetta davanti ai giudici?

– C’è chi sostiene che ne fosse pazzamente innamorato (forse anche suo amante); dopo essere stato lasciato, voleva fargliela “pagare cara”?

– Forse avrebbe voluto diventare il protettore della lucciola, che stava diventando famosa e, respinto, “gliela aveva giurata”?

 Di lui sappiamo che venne trasferito a Genova e le sue tracce si perdono con i suoi segreti.

Un delitto irrisolto

 L’autopsia indicò nell’avvelenamento la causa della morte e segnalò diverse lievi abrasioni sul corpo della vittima

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– Perché fu impedito ai familiari ed agli amici di vedere il corpo della ragazza fintanto non fosse stato “preparato”? Una testimone, di cui si riporta nome e cognome, vide, di nascosto, diverse vistose ecchimosi sul cadavere.

– Perchè la Rosetta avrebbe detto alla sorella, prima di morire, “mi hanno ammazzata”?

– Quante furono in realtà le pastiglie ingerite? Erano sufficienti a causare la morte, tanto più che le venne praticata subito la lavanda gastrica? Il numero delle pastiglie varia, secondo le fonti, da “alcune” a “tre”, di cui due sputate. Ci furono, si chiede un medico intervistato dall’Avanti, altri sintomi di avvelenamento? Il sublimato corrosivo, trovato nell’autopsia, poteva essere quello che la Rosetta assumeva abitualmente per curare la sifilide?

Le Autorità richiesero un supplemento di indagini, ma dei nuovi risultati non si seppe più nulla.

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I funerali della Rosetta

Ai suoi funerali partecipò una grande folla con tutta la malavita del Ticinese. Quattro erano i carri pieni di fiori per la giovane canzonettista.

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Il funerale della Rosetta da Milano noir (mostra 2015)

In questi cento anni la storia della Rosetta è diventata una sorta di leggenda che ha ispirato diversi artisti, da Sciascia ai vari interpreti della ballata (Milly, I Gufi, Mattia Donna, ecc.).

https://www.youtube.com/watch?v=VJJbhbl6WSA

Ancora oggi la figura della giovane prostituta di piazza Vetra, morta non ancora diciottenne, interessa, intriga e, forse, suscita riflessioni anche su delitti del nostro tempo e fatti di cronaca tristemente noti.

Da noi una rosa per lei.

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Morte di una “lucciola” al Ticinese – (Tanto tempo fa) – Parte Prima

Perchè una piccola lucciola è diventata negli anni una specie di leggenda milanese? Cosa ha contribuito a far crescere il fascino del mistero intorno alla sua figura?

La scena del delitto

Siamo sul finire dell’agosto 1913, nel popolare rione Ticinese, terra di miseria, degrado e malavita, ma anche vivace e ricco di senso di solidarietà e appartenenza.

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Le notti dovevano essere ancora calde e piacevoli se il Carrobbio il 27 agosto “si era trasformato in una specie di caffè-concerto: alcune donnine, più allegre del solito, e alcuni giovinastri, padroni del campo, cantavano a squarciagola, turbando il sonno dei pacifici cittadini. Dall’Inno a Tripoli…e il bel suol d’Amore si era giunti alle canzoni oscene e ai richiami della malavita” (l’Avanti, 27/8/1913).

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Qui inizia il dramma della Rosetta, una giovane ragazza al centro di un grave fatto di cronaca nera dai contorni rimasti oscuri. Quali furono le cause della sua morte? Fu un suicidio o fu vittima della brutalità di alcuni agenti di polizia?

Ancora oggi molti sono i dubbi. Vediamo di recuperare un po’ delle tessere che potranno servire a ciascuno di noi per comporre il proprio puzzle.

La Rosetta

Nasce intorno al 1895, in una famiglia numerosa (nove figli?) con padre facchino e madre forse alcolizzata, ma certamente sciagurata se, come sembra, si vantava di aver spinto la Rosetta, allora tredicenne, a “frequentare” un ricco signore.

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dal film “Giovane e bella”

La sua biografia è molto scarna: “Elvira Rosa Andressi (questo il suo nome) era una povera ragazza del popolo, troppo presto vinta dalle tentazioni del lusso e, forse, del vizio. Ma, tuttavia, giovanissima e molto bella, volle tentare di sottrarsi al mondo equivoco nel quale era caduta: non, forse, per redimersi, ma certo per non precipitare, ogni giorno di più, nella voragine dei bassifondi.” (l’Avanti, 28/8).

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“Molta grazia, molta verve, una graziosa voce” (ibidem, 28/8):questo era quello che aveva la Rosetta per vivere la sua vita.

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In pochi anni (muore non ancora diciottenne) conosce un merciaio di via Torino, sposato e con tredici figli, che le “vende” calze e golfini in cambio delle più belle notti d’amore della sua vita

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Incontra  un delinquente della Compagnia del Fil de Fer, Attilio Orlandi, detto Butterin, uomo alto e grassoccio  ma elegante, borsaiolo sui treni e protettore di lucciole, con il quale va a vivere.

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L’Orlandi viene poi accusato di aver partecipato al furto nella gioielleria Archenti di piazza Duomo e, come complice, viene coinvolta anche la Rosetta.

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In questa circostanza, la Rosetta sperimenta i modi intimidatori della polizia e, soprattutto, quelli di un certo Musti, brigadiere, forse meridionale, che entrerà prepotentemente nella vita e nella morte della ragazza.

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Durante il processo, dal quale uscirà completamente scagionata (e a quei tempi non era certo facile per una lucciola), accusa, davanti ai Giudici, il Musti di averla più volte minacciata: “Lei è quel signore che avrebbe voluto condurmi senza perchè in guardina…Lei mi ha minacciata tutte le volte che mi ha incontrata” (ibidem, 30/8).

Intanto la ragazza, che secondo la ballata riportata nell’articolo “…battea la colonnetta…” (forse un tratto di marciapiede o, più probabilmente, un’osteria con questo nome), fa carriera e diventa Rosa Woltery, una cantante di Cafè Chantant e di teatro, come il San Martino, in Galleria del Corso a Milano, dove conosce, forse, Petrolini; si esibisce anche al Salone Margherita a Roma e l’attende uno spettacolo a Genova.

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Ha affittato, nel frattempo, un piccolo appartamento, dove riceve “visite”; ma il destino e il Musti, ancora lui, l’attendono in una calda notte d’estate al Ticinese.

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Continua… 

Il Parco delle Basiliche – (dove)

Costeggiamo il fianco di Sant’Eustorgio, così bello ed articolato, e raggiungiamo il Parco delle Basiliche, lasciando alle nostre spalle corso di Porta Ticinese.

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Le due Basiliche, Sant’Eustorgio e San Lorenzo, sono quasi più belle viste da dietro perchè le facciate hanno subito molti ritocchi e interventi mentre il prato un po’ mosso, che le unisce alle spalle, lascia spazio alla loro “frastagliata” architettura di absidi e cappelle.

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Anche piazza Vetra, oggi, fa parte di questo parco. Posta alle spalle di San Lorenzo, non conserva nulla del suo antico aspetto, specialmente dopo i bombardamenti e le demolizioni post-belliche.

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Via le vecchie case, covo di malavita e di poveri diavoli, via anche i conciatori di pelli, che lavoravano in questa zona.

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Persino la statua di San Lazzaro, in piazza Vetra fin dal 1600, è stata spostata e messa ora quasi a vegliare su un campo giochi all’interno del parco.

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Il nome della piazza, Vetra, che deriva forse da castra vetera, è duro, aspro, tagliente. Questo è stato il regno dei “vetraschi”, tintori e conciatori di pelli, che utilizzavano le acque correnti per lavorare le pelli animali con solventi a base di urina.

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Era un luogo maleodorante, con gli odori della morte; ma ben altre morti sono state inflitte in piazza Vetra. Qui arsero le spoglie di Guglielmina Boema ed il corpo vivo della sua seguace Manfreda; poi le prime streghe di Milano come Sibilla e Pierina nel 1390.

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Dopo di loro un numero imprecisato di uomini e donne, accusati di malefici, incontri diabolici ed eresia, ricevette la morte come liberazione dalle torture.

Anche il Cinquecento vedrà stragi e supplizi in piazza Vetra e davanti a Sant’Eustorgio: Giovannina, Simona, Lucia…; i roghi si estendono in tutta la Lombardia.

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Nel Seicento: Isabella, Doralice, Antonia…viene persino redatto il Compendium Maleficarum, ad opera di un frate del convento di Sant’Eustorgio.

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Finirono inoltre tra le fiamme Anna Maria e Margherita; l’ultima “strega” arsa a Milano fu Caterina, della quale ci è giunta la storia che racconteremo; siamo nel 1617.

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Non solo roghi di streghe: nel 1630 ci fu l’orrendo supplizio di Gian Giacomo Mora e del suo presunto complice, Guglielmo Piazza, accusati di aver diffuso la peste a Milano e giustiziati pubblicamente.

L'esecuzione di GG Mora e degli altri untori in Piazza alla Vetra

Per saperne di più:

https://www.youtube.com/watch?v=H4QaCzXafgk

In questo tremendo numero di condannati ci furono uomini e donne, ma il loro nome e la relativa documentazione furono distrutti col fuoco nel 1788 nel cortile di Santa Maria delle Grazie. Purtroppo le esecuzioni capitali continuarono…

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Il Parco delle Basiliche, ora dedicato a Papa Giovanni Paolo II, appare verde, ben tenuto, invitante, ma la cancellata che lo protegge dal popolo della movida e dagli spacciatori, che fino a qualche tempo fa qui imperversavano, non può far niente per tenere lontano il passato con i roghi, gli strazi delle torture e le pene capitali.

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Godiamoci il dolce Parco delle Basiliche, ma un piccolo pensiero, qualche volta, voli più in alto della cima degli alberi.

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Fare jogging nell’Anfiteatro di Urbicus in via Arena – (Tanto tempo fa)

Guardiamo questa bella foto aerea: ci mostra una zona molto centrale (siamo alle spalle di corso di Porta Ticinese), ma un po’ defilata rispetto alle mete turistiche classiche.

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È, secondo noi, una passeggiata eccezionale: in un solo isolato troviamo i pochi resti dell’Anfiteatro romano (situati in un parco, dove è possibile fare anche jogging) e un piccolo museo di antichità (dove è conservata la stele di Urbicus), ospitato in un chiostro con un albero dalla fioritura primaverile veramente spettacolare.

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Infine si può entrare a visitare uno dei più bei vivai di Milano.

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Andiamo con ordine, parlando dell’ospite più antico ed illustre: l’Anfiteatro, che poteva ospitare circa 35.000 spettatori, probabilmente più grande dell’Arena di Verona.

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Si trovava tra le odierne vie De Amicis e Arena (da non confondere con l’Arena napoleonica del Parco Sempione).

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Arena napoleonica del Parco Sempione

Poco è rimasto del suo lontano passato, ma gli scavi, iniziati nel 1931, evidenziano una superficie ampia ed ellittica, come possiamo intuire osservando nella foto le curve nel prato ed i resti delle fondamenta.

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Questo Anfiteatro vide tutto quello che era considerato “spettacolo”, anche cruento, in una città romana molto importante, tra questi  combattimenti tra gladiatori o con le belve, forse anche battaglie navali.

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Quando fu distrutto, le pietre con le quali era stato edificato vennero cannibalizzate per costruire, ad esempio, le fondamenta della Basilica di San Lorenzo, poco distante.

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Non dimentichiamo che Milano non ha cave di pietra nelle vicinanze cui attingere e quindi l’Anfiteatro divenne una specie di cava di materiale già pronto da utilizzare.

Come si può vedere dalla foto aerea, accanto ai reperti archeologici, si osserva un grande chiostro che è occupato in piccola parte dall’Antiquarium “Alda Levi”, la grande studiosa responsabile della tutela archeologica della Lombardia a cavallo degli anni Trenta .

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Alda Levi

Per saperne di più:

http://www.parcoanfiteatromilano.beniculturali.it/index.php?it/342/in-ricordo-di-alda-levi

I chiostri facevano parte del monastero detto delle Bianche Signore, dal colore dell’abito delle monache, adiacente alla chiesa di Santa Maria della Vittoria. Questa chiesa, dedicata probabilmente alla vittoria di Legnano sul Barbarossa, viene oggi utilizzata dalla comunità ortodossa rumena.

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Entriamo ora nell’Antiquarium (ingresso gratuito, orari, purtroppo, un po’ limitati, come pure quelli del Parco).

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Questo museo contiene anche la stele funeraria di Urbicus, il gladiatore del racconto di Belisama.

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Per saperne di più, leggiamo la traduzione:

http://www.parcoanfiteatromilano.beniculturali.it/index.php?it/23/i-capolavori/21/stele-di-urbicus-gladiatore

Possiamo dedurne  parecchie informazioni: Urbicus, di origine fiorentina, è stato ucciso, a 22 anni di età, a tradimento, dopo 13 incontri vittoriosi. Era sposato da 7 anni e aveva due bambine piccole.

Era un secutor, quindi combatteva contro un reziario, che era munito di tridente e di rete.

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secutor e reziario

Contrariamente a quanto ci hanno fatto credere i film di Hollywood, i combattimenti tra gladiatori non erano quasi mai all’ultimo sangue, ma terminavano per così dire “ai punti” o alla prima ferita.

gladiatori e arbitro

Infine, se diamo ancora un’occhiata alla fotografia aerea, vediamo come, accanto ai chiostri, vi siano delle serre: è il bellissimo vivaio, curato da decenni dalle sorelle Riva; forse più simile ad un giardino, vi si tengono anche tante iniziative, corsi, eventi da non perdere (siamo in attesa di conoscere il programma per il nuovo anno). Guardiamo questo vivaio attraverso qualche foto, fatta nel mese di gennaio. Pensate in primavera!

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Vi suggeriamo caldamente di fare questa passeggiata in via Arena. Magari, proprio di fronte al vivaio, lanciate un’occhiata al numero civico 7, che porta anche l’antica numerazione di Maria Teresa, nella quale il Duomo aveva il numero 1 ed i numeri crescevano progressivamente, via via che ci si allontanava dalla cattedrale.

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Ora godetevi verde e cultura di questa zona gioiello!

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Il Carrobbio – (dove)

L’ampio crocevia, all’inizio di corso di Porta Ticinese e in fondo a via Torino, conosciuto come il Carrobbio, è un luogo abbastanza anonimo, un incrocio di vie, rotaie e sensi vietati.

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In questo luogo si apriva, in epoca romana, la Porta Ticinensis, da cui partiva la strada che conduceva a Ticinum, l’odierna Pavia, agevolmente percorribile dai carri (Carrobbio da carruvium, strada per carri?).

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Di Carrobbi, a Milano, dovevano essercene diversi, in corrispondenza delle varie porte. Uno di questi, quello di Porta Nuova, ad esempio, viene ricordato ne I Promessi Sposi (cap. 34); si trovava nell’attuale via Manzoni, dove oggi c’è l’Hotel Armani, di fronte alla chiesa di San Francesco di Paola.

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Chissà perchè, invece, il “Carrobbio” è rimasto solo quello di Porta Ticinese.

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Il Carrobbio è stato nei secoli, un crocevia anche di tante storie umane. Qui sembra che gli schiavi venissero affrancati o comprati, mercato di vite senza valore.

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Accanto alla Porta, in epoche più recenti, c’era la TorracciaTorre dei Malsani (si trattava di una delle torri della porta), adiacente ad un lebbrosario; forse nell’altra torre venivano praticate ordalie e torture, tanto che si dice che in questa zona siano stati avvertiti lontani lugubri lamenti.

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Ben diversi lamenti il Carrobbio ha sentito quando i milanesi, anche allora schiacciati dalle tasse, si ribellarono agli esattori francesi, che qui riscuotevano le gabelle.

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In seguito qui un banditore leggeva i proclami del Governatore spagnolo ed i milanesi lo soprannominarono Il Trombetta, in segno di derisione.

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Ma, infine, dov’è l’antica porta romana? Ciò che ne resta è il rudere della torre di sinistra della porta, oggi in parte incorporato in un ristorante.

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Vi proponiamo le foto che abbiamo scattato all’interno della torre, per le quali ringraziamo il cortese proprietario.

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scala a chiocciola all’interno della torre

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fondamenta della torre

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sala sotterranea

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la finestrella al primo piano

Che ne dite di una pizza nella torre?

 

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Porta Ticinese: “la Via delle Tre Porte”

Lasciata la piazza di Sant’Eustorgio, ci incamminiamo lungo il corso di Porta Ticinese per raggiungere la Basilica di San Lorenzo, con il suo colonnato, ed il Carrobbio.

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Tralasciamo per ora l’altro collegamento tra Sant’Eustorgio e San Lorenzo, il Parco delle Basiliche, perchè talmente pieno di storia, roghi di streghe ed eretici, pene capitali, da dover essere scoperto in un momento a parte.

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Veduta aerea del Parco delle Basiliche, fra le due chiese

Attraversiamo il corso e subito incontriamo, al numero 98, il luogo dove era situato il carcere, la cosiddetta “Garzeria”, a ridosso del Tribunale dell’Inquisizione, con le sue storie di sofferenze e di “umana” giustizia.

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Subito accanto, percorriamo il vicolo Calusca, l’origine del cui nome è tuttora incerta. Forse qui abitava un’antica famiglia Lusca o c’era una casa Losca, probabilmente casa di appuntamenti?

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Dove ora c’è uno slargo con belle case, si apriva una serie di vicoli malfamati; qui un tempo c’erano i locch, piccoli delinquenti, la ligera (oggi potremmo chiamarla microcriminalità) o, secondo un’altra interpretazione, chi possedeva solo indumenti leggeri, inadatti al clima rigido, i “poveretti”, i “Miserabili di Milano”.

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Qualche piccola curiosità: in questa zona sono nati, ai primi del Novecento, la Compagnia del Fil de Fer, una banda di scassinatori ed il Trinciato Marciapiede, tabacco recuperato dai mozziconi gettati per terra e riutilizzato oppure tabacco di contrabbando nascosto nei tombini.

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Forse il soprannome di “Porta Cicca” nasce da qui, oppure potrebbe essere di origine spagnola: chica intesa come porta piccola, oppure ragazza di antico mestiere.

In queste vie erano frequenti le figure delle sparagandolitt, prostitute che mangiavano ciliegie aspettando i clienti e che ne sputavano i noccioli per terra.

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Non dimentichiamo che vicino c’è la Darsena, allora importante porto di Milano, con tutto il traffico di merci e di varia umanità.

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Milano non ha il grande fiume come tante altre città, ma le acque, tantissime, scorrono sopra e sotto il suo territorio e anche la rete dei Navigli era molto estesa.

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Porta Ticinese prende il nome dalla città di Ticinum, oggi Pavia. Ma quale Porta Ticinese? In effetti in questa zona di porte ce ne sono ben tre, segno del progressivo espandersi di Milano durante i secoli.  Più esterna è quella dei Bastioni Spagnoli, in piazza XXIV Maggio, poi quella comunale, alle Colonne di San Lorenzo, e infine quella romana al Carrobbio.

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la porta spagnola

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la porta comunale

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le mura romane e le porte

 

Raggiungiamo la porta comunale, oggi impacchettata per i lavori di ristrutturazione, cercando qualche elemento rimasto inalterato nel tempo: al numero 22 c’è un vecchio portone decorato con una conchiglia, che sembra sorreggere un delizioso balconcino rococò; sul portone un tempo c’era l’immagine di una donna, che ora ha acquisito le sembianze di uno spettro.

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Infatti in questo corso scritte colorate e immagini spesso si rinnovano tra le vetrine e le saracinesche dei locali e dei negozi di tendenza…

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Sorprendono   i muri espressivi o da leggere e i portoni simili a block  notes  di pensieri o di idee.

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scritte sulle saracinesche

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Una forma originale di street poetry!

Per saperne di più:
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Se vi è possibile entrate nei vari portoni di queste case: troverete spesso un mondo inaspettato

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Al numero 18, ad esempio, un piccolo portale del Settecento introduce ad un corridoio “condominiale” con colonne e capitelli, forse del Quattrocento.

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Non perdete anche, al numero 44, un grazioso poggiolo spagnoleggiante.

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Arriviamo, infine, alle Colonne che delimitano la piazza di San Lorenzo (è una Basilica assolutamente da vedere).

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Sono lì, sopravvissute a vari incendi (probabilmente il primo è stato quelle delle dea Cibele, forse nell’odierna piazza Santa Maria Beltrade), poi alla furia distruttrice di elementi come Attila, Uraia, il Barbarossa, ai restauri, ai vari interventi urbanistici, ai bombardamenti e persino alle vibrazioni dei tram, che vi sono sempre passati accanto.

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Le testarde colonne sono ancora in piedi, a reggere il peso della trabeazione che poggia sopra di esse. Ma quante sono? Non è facile, come sembra, contarle.

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Raggiungiamo ora la terza porta, quella romana, al Carrobbio. Leggiamo intanto i nomi delle vie qui attorno, via Arena, via Gian Giacomo Mora: ci parlano di spettacoli gladiatori e di combattimenti, oppure ci rimandano ad uomini torturati e uccisi per delitti mai commessi come l’untore, ricordato dal Manzoni nella Storia della Colonna Infame, che abitava proprio qua.

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Nello spazio all’angolo tra corso di Porta Ticinese e via G. G. Mora, un suggestivo monumento di fronte alla targa commemorativa ci fa memoria di quanto accaduto.

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Anche in questa via resistono segnali del passato, da scoprire quando i portoni sono aperti.

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Ed eccoci al Carrobbio, cerchiamo l’antica porta romana. Dov’è? Che abbia a che fare con la Torre dei Malsani?

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Cominciate da qui. Buona ricerca!

Soluzione alla domanda: Quante sono le colonne di San Lorenzo? 

Le colonne grandi sono 16, ma ce n’è una, piccola, sopra l’arco della trabeazione, che regge una croce; in totale sono 17!

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