La Rotonda della Besana: uno spazio trasformista nel cuore di Milano

Quante cose strane ci sono nella nostra città! Abbiamo scoperto che c’è persino un folletto che vive alla Rotonda della Besana a pochi passi da piazza Cinque Giornate. Si chiama Bambilla (con la “erre” diventerebbe il cognome più DOC di Milano) ed è nato dalla fantasia e dalla penna di uno scrittore per bambini, Roberto Piumini.

Questo folletto, amico dei bambini e della natura, è nipote della Besana, una maga strana che sembra un’arancia piena di verde. Facciamo i nostri soliti quattropassi per andare a vedere questo edificio, uno dei luoghi, in realtà, più trasformisti della nostra città e, aggiungiamo, con un bel po’ di fascino dark.

Il nome non tragga in inganno. La Besana non è affatto rotonda e deve il suo “cognome” ad un patriota, prima combattente nelle Cinque Giornate, poi garibaldino, Enrico Besana, al quale è dedicata la via dove si trova il nostro edificio.

La sua costruzione risale alla fine del 1600 quando venne edificato come cimitero della vicina Ca’ Granda, ieri ospedale, oggi Università Statale.

Milano stava crescendo e la cripta dell’Ospedale non bastava più per seppellire i defunti.

In via Francesco Sforza, alle spalle della Ca’ Granda, scorreva il Naviglio Interno e si pensò di costruire un altro cimitero, il Foppone di San Michele ai Nuovi Sepolcri, al di là del corso d’acqua.

I carri con i defunti dell’Ospedale oltrepassavano la Porta della Meraviglia (non abbiamo scoperto perchè sia nota con questo nome) e, attraverso un ponte, raggiungevano il nuovo cimitero in mezzo ai campi.

Questa porta c’è ancora oggi, quasi davanti al Giardino della Guastalla, con ciò che resta del parapetto dell’antico ponte.

Una curiosità un po’ misteriosa e quindi molto milanese: perchè sulla panchetta in pietra, a sinistra della porta, è incisa una “triplice cinta”? È un simbolo arcaico diventato poi anche un gioco. Come e perchè è arrivato fin qui?

Percorrendo via San Barnaba giungiamo alla cinta muraria della Rotonda. L’andamento delle mura non è circolare e al centro si trova quella che fu la chiesa di San Michele, a croce greca, con le quattro facciate tutte uguali, sotto una cupola centrale.

Ed ecco un’altra curiosità che rende questa costruzione una tra le più esoteriche della nostra città. La chiesa, al centro del cimitero, fu progettata dall’architetto Arrigoni alla fine del 1600; egli ne orientò gli assi in direzione di due stelle particolari: a nord Deneb (costellazione del Cigno) e a sud Sirio. Il nord probabilmente indicava il punto di partenza per l’anima che doveva raggiungere il sud per essere giudicata.

Anche il Santo, cui la chiesa fu dedicata nel 1700, è ricco di significati profondamente radicati in antiche culture. San Michele era venerato, fin dall’alto Medioevo, il 29 settembre, sotto il segno della Bilancia, quando la durata del giorno e della notte si avvicinano e sono quasi in equilibrio. L’Arcangelo viene spesso raffigurato con una bilancia per pesare le anime e accompagnarle nell’aldilà.

Sulle mura della Rotonda ci sono numerose e grandi finestre che si pensava potessero mettere in contatto la città con il cimitero, la vita con la morte. Oggi invece si aprono su spazi verdi.

L’interno dell’intero edificio è molto articolato: intorno alle mura corre un bel porticato coperto, più alto rispetto al terreno.

Infatti la terra del cimitero spesso si allagava con gravi problemi igienici. Si pensò così di costruire un porticato sopraelevato, al si sotto del quale c’erano le cripte per i defunti. Ancora oggi possiamo osservare tanti “tombini”. Che fossero quelli per scendere negli ossari?

Verso la fine del Settecento il Foppone aveva esaurito i “posti” e venne abbandonato. Visse un momento di gloria col Cagnola che avrebbe voluto farne, ai primi dell’Ottocento, il Pantheon del napoleonico Regno Italico.

Nei decenni successivi, invece, la Rotonda decadde e si trasformò via via in scuderia, magazzino, lavanderia, persino in reparto per i malati di vaiolo del vicino Ospedale Maggiore, durante l’epidemia del 1870. Infine, a metà Novecento, passò al Comune di Milano che la bonificò ulteriormente facendone verde pubblico e luogo per esposizioni.

Oggi la ex-chiesa ospita il MuBa, museo per i bambini, con spazi gioco che si aprono come scatole sotto le volte, accanto ad un piccolo bar.

L’origine della chiesa di San Michele, però, è ricordata, in modo un po’ inquietante, dai piccoli teschi di pietra posti sui capitelli delle tante colonne.

Fra pochi giorni sarà Halloween e in questo spazio supertrasformista, e molto dark, sarebbe bello bere un aperitivo…

A presto…

 

La lunga storia del Lazzaretto

Il Lazzaretto appartiene alla storia di Milano da oltre cinque secoli. Infatti nel 1488 fu posta la prima pietra di questa sorta di reparto di infettivologia per non abbienti, realizzato per fronteggiare le epidemie di peste, isolando i malati. Questa cittadella quadrata (378 metri per 370) appariva quasi una fortezza alla rovescia, con il nemico, la peste, tenuto, per quanto possibile, prigioniero all’interno.

Lazzaretto e la chiesetta di San Gregorio

Sul suo nome ci sono due ipotesi principali: l’una lo farebbe risalire al primo ricovero veneziano di Santa Maria di Nazaret, termine poi trasformato in Nazaretto e, infine, Lazzaretto.

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L’altra, invece, farebbe derivare il nome da Lazzaro, il mendicante coperto di piaghe della parabola evangelica del Ricco Epulone.

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Ci sono anche altri due Lazzari presenti alla nascita del Lazzaretto di Milano. Omen Nomen dicevano i Latini; il nome è un presagio. Forse è andata proprio così…

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I due Lazzari sono Lazzaro Cairati, illuminato notaio dell’Ospedale Maggiore Ca’ Granda al tempo del Moro e Lazzaro Palazzi, un self made man che aveva iniziato la sua carriera come scalpellino nella Fabbrica del Duomo, diventando poi “ingegnere ducale”, pur essendo, sembra, analfabeta. A lui taluni attribuiscono anche la Cappella Brivio di Sant’Eustorgio.

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Non senza difficoltà economiche e sociali, i due Lazzari portarono avanti il progetto di questa cittadella costruita fuori le mura di Milano, sui terreni della Basilica di San Dionigi, che sorgeva dove oggi c’è il Planetario.

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Questa fortezza sanitaria era piuttosto confortevole e dignitosa. Le camere/celle (in totale 288) si trovavano lungo il perimetro. erano tutte “singole”, di forma quadrata (metri 4,75 di lato), dotate di comignolo per le esalazioni e di un piccolo “servizio”, un sedile in mattoni, che scaricava nel fossato. Porte e finestre erano sbarrate.

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In mezzo al Lazzaretto c’era un grande spazio, la “prateria”, circondato da portici di buona fattura, con colonne in granito di Baveno. https://www.youtube.com/watch?v=GB605GuYvl4

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Al centro di questo spazio circondato da mura c’era una chiesetta, voluta da San Carlo al posto di una precedente cappella, aperta su tutti gli otto lati, per permettere ai ricoverati di vedere sempre l’altare. È la chiesa di San Carlino.

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Se guardiamo con attenzione una cartina d’epoca, vediamo come accanto alla chiesa, si trovasse un palo definito “della tortura”; dieci “sbirri” e due boia erano il servizio d’ordine all’interno.

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Al di fuori del Lazzaretto, invece, si trovava un cimitero, il Foppone, con le fosse comuni per i morti di peste. Qui sorge oggi la chiesa di San Gregorio, con una cripta visitabile, che contiene lapidi di diverse epoche, successive al periodo della peste.

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In poco più di un secolo il Lazzaretto si dota di una Accettazione, due cucine, una per gli infetti e l’altra per i sospetti, un forno per il pane, due lavanderie, una stalla per il latte dei bambini. Il menù era costituito da pane, una zuppa, un secondo e vino…non male!

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Dal punto di vista sanitario c’era poco da fare contro la peste, se non la profilassi e l’isolamento. I medici, che indossavano un lungo camicione, dei guanti e una curiosa maschera con un lungo “becco” contenente erbe aromatiche, non venivano quasi mai a contatto con gli ammalati.  Questi venivano “visitati” da “barbieri” che poi riferivano e portavano eventuali cure dalla Spezieria.

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Era un mondo in chiaroscuro: si credeva agli untori e alle streghe. Il Settala, Protomedico di Milano, ovvero il principale funzionario sanitario cittadino, fece condannare al rogo per stregoneria una donna accusata di fatture contro un nobile che soffriva di mal di stomaco.

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Diversi religiosi, tra cui il cappuccino Felice Casati, davano ai ricoverati conforto umano e spirituale.

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Un affresco in via Laghetto, la “Madonna dei Tencitt”, ex voto dei carbonai, ricorda l’opera di San Carlo e riproduce, alla sua base, l’antico Lazzaretto.

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Seppure all’avanguardia, però, il Lazzaretto non riuscì mai a fronteggiare le emergenze delle epidemie che colpirono Milano. Le camere erano meno di 300 e i malati migliaia. La Prateria si riempì di tende per gli appestati, i morti accanto ai vivi. Furono costruiti altri lazzaretti di fortuna fuori le mura, ma la peste era un avversario troppo forte.

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Chi poteva fuggiva lontano, nobili e facoltosi si rifugiavano nelle case di campagna, secondo la “terapia”: Mox (subito), Longe (lontano), Tarde (a lungo). Quindi Don Rodrigo, ricoverato al Lazzaretto, in mezzo alla gente comune, è, probabilmente, un “falso d’autore”.

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La peste manzoniana del 1630 fu l’ultima per Milano. Il Lazzaretto, che durante le pestilenze era sotto il Tribunale della Sanità, tornò all’Ospedale Maggiore Ca’ Granda.

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Sanificati gli ambienti con la calce, divenne, via via, caserma, ospedale militare, persino scuola di veterinaria. Una breve parentesi in questo declino si ebbe durante il regno napoleonico, quando il Lazzaretto fu usato per parate militari e San Carlino fu trasformato in Altare della Patria.

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Il lento degrado del Lazzaretto continua senza sosta, mentre i dintorni si riempiono di belle carrozze e da piazzale Loreto arrivano i cortei asburgici.

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Viene realizzata una ferrovia sopraelevata che taglia in due il Lazzaretto, anche se gli archi del viadotto permettevano il passaggio di persone e merci.

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Nell’attuale piazza della Repubblica è costruita una delle più belle stazioni d’Europa, quasi una nuova “porta” della città. per gente venuta da lontano. Sarà poi demolita e sostituita dall’attuale Stazione Centrale in piazza Duca d’Aosta.

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Durante il Regno d’Italia il Lazzaretto si si riempie di inquilini, alcuni regolari e altri abusivi; si soppalcano le celle e si aprono attività commerciali. Ci sono macellai, falegnami, lavandai, persino una ghiacciaia, una fabbrica di fiammiferi e un tiro a segno.

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L’edificio si deteriora sempre di più e l’Ospedale Maggiore decide di venderlo. La Banca di Credito Italiano interviene e acquista tutto il Lazzaretto come investimento immobiliare, destinandolo alla demolizione, alla lottizzazione e alla realizzazione di nuovi edifici.

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Il giovane architetto Beltrami, con altri, si oppone a questa “piazza pulita”, ma ottiene solo di poter fare un accurato rilievo grafico e fotografico. Si rifarà salvando il Castello Sforzesco.

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Del Lazzaretto si conserva oggi solo quella piccola parte in via San Gregorio al 5.

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Itinerario Ca’ Granda – via Festa del Perdono

Vi proponiamo un itinerario veramente DOC:  una visita alla Ca’ Granda, ora sede dell’Università Statale, e alla cripta che si trova nel suo interno. È un gioiello che non molti conoscono bene, ricco di storia, di arte, ma anche di squarci di vita quotidiana e di umanità.

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Ci troviamo in via Festa del Perdono e già il nome, carico di storia, ci porta ad un lontano passato. 
Siamo attorno al 1450; il Duca di Milano Francesco Sforza, insieme con la moglie, decise di far costruire un ospedale all’avanguardia per la cura delle malattie acute dei poveri riunendovi i diversi luoghi di cura esistenti allora a Milano.

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Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti

Per trovare gli ingenti fondi necessari al finanziamento dell’opera, trasformò la ricorrenza del Perdono, che risaliva a San Francesco, in  un evento charity: la Festa del Perdono, da cui il nome della via.

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San Carlo Borromeo consegna la Bolla Papale

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La Festa del Perdono attorno alla Ca’ Granda

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La Festa del Perdono nel cortile della Ca’ Granda


Con un’offerta all’ospedale ci si poteva mettere la coscienza in pace, ottenendo un’Indulgenza; si incentivarono anche i lasciti e le donazioni, che durano ancora oggi.
Per progettare questa grande opera “socio-sanitaria” Francesco Sforza chiamò un archistar del tempo, il Filarete, al quale si deve anche la torre principale del Castello Sforzesco. La realizzazione di questo edificio fu lunga e non priva di contrasti, tanto che ci vollero secoli per completare l’intero edificio nel 1805. 

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se volete saperne di più ….

Facciamo quattro passi all’interno della Ca’ Granda.

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Entriamo dal portone principale; ci accoglie il grande cortile d’onore sul quale si aprono alcuni chiostri e la chiesa dell’Annunciata (sotto la quale c’è la cripta descritta nell’itinerario “Scheletri alla Statale“).

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I chiostri erano spazi all’aperto dove i pazienti potevano stare un po’ all’aria e al sole, ma riparati sotto i portici. Assolutamente da visitare, è il cortile della ghiacciaia, oggi coperta da una struttura trasparente che lascia vedere la costruzione sotterranea rotonda, con due pareti concentriche, come un grande thermos.

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Lasciamo a voi la piacevole esplorazione degli altri chiostri (tra cui quello della farmacia) magari concedendovi una breve sosta seduti sui muretti, come si fa da secoli.

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se volete saperne di più ….

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Di fronte al portone principale troviamo la chiesa dell’ospedale, che ha nel suo interno un interessante dipinto del Guercino, “L’Annunciazione”.

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Appena oltre il portone della chiesa c’è il corridoio da cui si accede alla cripta. La chiesa ha la singolare caratteristica di essere la parrocchia dell’Ospedale Maggiore Policlinico, il cui parroco è tradizionalmente lo stesso Arcivescovo di Milano; è anche la cappella degli universitari milanesi.

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Continuiamo il nostro giro e arriviamo al cortile detto “delle balie”, oggi purtroppo chiuso da un cancello; era forse il reparto di “pediatria”.

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Da qui un tempo si accedeva alla Quadreria dell’Ospedale. Infatti era, ed è ancora, usanza della Ca’ Granda, dedicare dei ritratti (oggi se ne contano 920, anche di celebri pittori) ai maggiori benefattori. Ricordiamo, prima di tutti, una figura molto cara a chi ha frequentato, negli anni Settanta, la Statale: l'”Uomo dei Limoni”, un povero ambulante, o meglio un barbun, che vendeva per pochi spiccioli i suoi frutti lungo via Festa del Perdono o davanti al vicino Policlinico. Alla sua morte ha lasciato tutto quello che aveva raccolto nella sua vita alla Ca’ Granda, che gli ha dedicato questo quadro, con affetto e riconoscenza.uomo dei limoni

L’intraprendenza degli amministratori della Ca’ Granda è riuscita a trasformare il ritratto dei benefattori in uno status symbol. Infatti le dimensioni del quadro e il tipo del dipinto, a figura intera o solo il busto, erano proporzionali all’entità della donazione. Dato che i ritratti venivano esposti al pubblico durante la Festa del Perdono, che si tiene negli anni dispari, il 25 marzo, i benefattori facevano “a gara” per avere il quadro più grande…a tutto vantaggio delle finanze dell’ospedale.

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Quadri Ca Granda 1 benefattore Franca Agustoni Barbiano di Belgiojoso

Una ulteriore curiosità che abbiamo scoperto: lo “Sposalizio della Vergine”, la splendida opera di Raffaello, oggi a Brera, era stata lasciata alla Ca’ Granda in eredità da un collezionista di fine Settecento, noto per aver avuto una storia con la moglie dell’Arciduca austriaco. Nel periodo napoleonico, la Ca’ Granda, bisognosa di fondi, fu costretta a vendere l’opera allo Stato, che la trasferì alla Pinacoteca di Brera.sposalizio vergineDue parole, infine, sulla Ca’ Granda ieri e oggi.Fu il primo ospedale laico europeo, dotato di attrezzature e confort all’avanguardia per l’epoca.

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se volete saperne di più…

Il vicino Naviglio Interno, che percorreva l’attuale via Francesco Sforza, forniva acqua corrente e serviva da via di trasporto; quasi tutto arrivava in barca, ammalati compresi. Un portale barocco, visibile ancora oggi, su via Francesco Sforza, dava accesso ad un ponticello di ferro che collegava l’ospedale con l’altra sponda, passando sopra il Naviglio.

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All’inizio dell’Ottocento la Ca’ Granda era una delle più importanti strutture d’Europa, con ben 2500 posti letto. Oltre cento anni dopo, cominciando ad avvertire il peso dell’età (quasi 500 anni!!) si pensò di sostituirla con un nuovo ospedale in una zona allora periferica, Niguarda. I pazienti vi furono trasferiti nel 1939.niguarda niguarda

Fu una fortuna, perchè la Ca’ Granda di via Festa del Perdono fu pesantemente bombardata durante la seconda guerra mondiale, riportando gravissimi danni.

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Rinacque per così dire dalle proprie ceneri: fu ricostruita e, nel 1958, divenne sede delle facoltà umanistiche dell’Università Statale.

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Radio statale, recentissimamente inaugurata

Non solo; alla didattica e agli importanti congressi che ospita di continuo, si affiancano altri eventi per così dire molto glamour, come le manifestazioni del Fuori Salone. 

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Il nostro itinerario all’interno della Ca’ Granda è terminato.

L’ingresso all’Università è libero; per gli orari di apertura si può consultare il sito http://www.unimi.it

 La cripta è aperta gratuitamente dal lunedì al giovedì, dalle 9 alle 17

. La Quadreria è visitabile solo su appuntamento telefonando al numero 02/55036626