Immagini e parole sulla Pasqua

Alcuni tra i più grandi capolavori dedicati alla Settimana Santa si trovano nella nostra città. Li riproponiamo accompagnati dai versi della poetessa dei Navigli, Alda Merini, che ha vissuto il proprio calvario non perdendo mai la fede e la speranza.

Come non iniziare dall’Ultima Cena di Leonardo, opera unica, preziosa e fragile, così carica di significati e di messaggi da rimandarci sempre “oltre” a quello che vediamo?

Così scrive Alda Merini:

Conobbi tutte le desolazioni dell’abbandono, conobbi tutte le tristezze terrene,… Ero crocefisso ogni giorno dal dubbio degli apostoli, dal dubbio delle moltitudini”. 

Al Castello è custodita la Pietà Rondanini di Michelangelo, ultima opera del Maestro, rimasta incompiuta per la sua morte, come se l’artista, ormai anziano, di fronte al mistero e all’ignoto che lo attendevano non potesse trovare risposte nell’arte, ma cercasse di essere sorretto, come Maria, da Cristo.

Potevano uccidere anche Maria, / ma Maria venne lasciata libera di vedere / la disfatta di tutto / il suo grande pensiero, / Ed ecco che Dio dalla croce / guarda la madre, / ed è la prima volta che così crocifisso / non la si può stringere al cuore, / perché Maria spesso si rifugiava in quelle /braccia possenti, / e lui la baciava sui capelli / e la chiamava “giovane” / e la considerava ragazza. / Maria, figlia di Gesù.

Ancora oggi questa Pietà è più che mai viva e suscita emozioni anche in un artista contemporaneo come Robert Wilson, autore di Mother, installazione che sarà visitabile fino al 18 maggio al Castello Sforzesco.

Il dolore di Maria per la morte del Figlio e l’amore di Gesù per la Madre sono al centro di questi versi che introducono al tema delle Resurrezione.

Esalerò l’ultimo respiro, / lei forse mi raccoglierà nel grembo / e non crederà che io sia morto.  / So che Maria impazzirà di dolore / ma questa sua follia del non credere / mi darà la forza di risorgere. / Io non sono morto, / non morirò mai.

Nella cappella del battistero della Basilica di Sant’Ambrogio si trova una bellissima “Resurrezione” del Bergognone nella quale Cristo in gloria, affiancato da due angeli, sopra il sepolcro ormai vuoto, sembra offrirsi ai fedeli, annunciando la propria vittoria sulla morte e la promessa di una vita nuova.

Infine, a Brera, è esposto un dipinto la “Cena in Emmaus” del Caravaggio, realizzato dal Maestro dopo essere fuggito da Roma, perchè condannato a morte. Questa opera ci racconta di un Cristo risorto, ma dal viso provato, ancora quasi sofferente dopo il supplizio della Croce, che viene riconosciuto dai due discepoli solo alla benedizione del pane, quando “i loro occhi si aprirono” (Lc. 24, 31).

Il buio domina la scena (“resta con noi, perchè si fa sera” dice il Vangelo), tagliata solo da un raggio di luce che la illumina parzialmente. Il “Risorto” non ha angeli intorno a sè, ma uomini; è una scena “umana” che ci riporta ad un’altra poesia, “Resurrezione”, della Merini.

“Fuggirò da questo sepolcro
come un angelo calpestato a morte dal sogno,
ma io troverò la frontiera della mia parola.
Addio crocifissione,
in me non c’è mai stato niente:
sono soltanto un uomo risorto.”

A tutti noi la speranza e l’augurio di poter “risorgere” dalle nostre paure, dalle fatiche, dai dolori e dai sacrifici quotidiani.

Buona Pasqua!

A presto…

Inizio della primavera in poesia

“Sono nata il ventuno a primavera,,,” Così Alda Merini, la poetessa dei Navigli, legava la sua nascita all’inizio della bella stagione.

 

Nel mese di marzo, poesia e primavera sono al centro di diverse iniziative. Tra queste, significativa è quella del Corriere della Sera, che ha proposto di dedicare alla poesia tutto questo mese, nel quale già si celebrano il 21 la Giornata Mondiale della Poesia, patrocinata dall’UNESCO, e il 25 il Dantedì, giorno in cui, secondo la tradizione, il Poeta si sarebbe perso nella “selva oscura” .

 

Intanto, nonostante piogge e nuvole di un marzo pazzerello, le strade e i giardini si colorano dei primi fiori, voglia di poesia della Primavera.

 

Cos’è stata la poesia per tre poetesse milanesi, Alda Merini, Antonia Pozzi e Leila Bonvini, profondamente diverse per personalità, cultura e vissuto? Le ricordiamo con i luoghi di Milano a loro legati.

 

Alda Merini è stata definita la Poetessa dei Navigli, una vita segnata da tante fragilità e da un grande desiderio di vita. Viene considerata una delle maggiori voci femminili del Novecento italiano, capace di trasformare in versi le diverse emozioni, positive e negative, della sua vita.

 

Antonia Pozzi, di famiglia agiata e di ottima cultura, è stata una scrittrice intensa e tormentata. Di lei è stato detto che: “il suo spirito faceva pensare a quelle piante di montagna che possono espandersi solo ai margini dei crepacci, sull’orlo degli abissi” (Maria Corti).

 

Di Antonia ci rimangono molte raccolte di poesie, pubblicate postume. Giovanissima, infatti, pose fine alla sua breve vita nei campi di Chiaravalle, quasi perchè la Ciribiciaccola potesse raccogliere i suoi ultimi respiri e accompagnarla verso la Pace.

 

Accanto a queste due grandi scrittrici, ricordiamo, infine, Leila Bonvini, una poetessa quasi sconosciuta, titolare della omonima, storica cartoleria, che ha saputo unire famiglia, lavoro e poesia. I suoi versi in dialetto milanese sono come fiori spontanei, semplici e inaspettati, quasi a suggerire che la poesia può nascere e trovare spazio anche nella quotidianità di una vita normale.

 

Ecco qualche altro verso delle tre autrici che esprimono quello che la poesia ha rappresentato per loro.
Iniziamo con Leila e ci scusiamo per gli errori che senz’altro abbiamo fatto trascrivendo il testo recitato dall’autrice.

Ti, poesia, famm da mama, che mi podi tirà el fia’, che mi senta la tua fiama in del coeur, tutt gibolà, a scaldamm e risturà per avegh forza ancamò de andà…

 

Per Alda la poesia è vita

Se la mia poesia mi abbandonasse
come polvere o vento,
se io non potessi più cantare,
come polvere o vento,
io cadrei a terra sconfitta
trafitta forse come la farfalla…

 

Infine per Antonia la poesia diventa qualcosa di fisico

“… e vivo della poesia come le vene vivono del sangue …”

 

Buona Primavera a tutti!

A presto…

Una soap del ‘500: la Matta Biraga

“Pin Pin Cavalin…” quante volte abbiamo fatto o sentito questa “conta”? Dietro questa filastrocca per bambini c’è una bella storia milanese del Cinquecento, anzi, un po’ storia (alcuni personaggi sono citati dalla Treccani!) e un po’ leggenda… Chissà se è proprio andata così?

la matta biraga 2

E, dato che a noi piace mescolare passato e presente, racconteremo questa storia anche attraverso alcune poesie di Alda Merini, milanese DOC, che darà voce ai sentimenti della protagonista, la Matta Biraga. Ancora oggi, se ad una donna manca “qualche rotella”, i milanesi dicono che “l’è ‘na Matta Biraga”

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murale in San Calimero

C’era una volta, nella Milano nel Cinquecento, una giovane e bella coppia innamorata e felice: lei, Rosalinda Visconti, e lui, Ludovico Birago, appartenevano a due importanti casate della nostra città. Tutto sembrava perfetto, tanto più che erano in attesa di un erede.

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Al tempo delle dominazioni era Governatore di Milano, per conto di Carlo V, Don Ferrante Gonzaga, uomo molto potente, cui si deve, tra l’altro, la realizzazione delle Mura Spagnole.

Ferrante Gonzaga

Mura spagnole 1

Mura spagnole a Porta Romana

Questi, benchè padre di ben undici figli legittimi, si era invaghito della giovane sposa di Ludovico e tramava per conquistarla. Fece esiliare Ludovico con una falsa accusa di tradimento e, quando Rosalinda andò a chiedere la grazia col bambino appena nato tra le braccia, li fece rinchiudere nel castello di Abbiategrasso.

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Don Ferrante tentò con ogni mezzo di far cedere la giovane donna. Lusinghe, minacce e maltrattamenti non servirono a niente. Rosalinda resisteva, finchè, dopo cinque anni di prigionia e di tormenti, la poveretta impazzì.

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“Sono una piccola ape furibonda…” così Alda Merini, che conobbe le sofferenze del disagio mentale e l’esperienza dell’ospedale psichiatrico, racconta i suoi sentimenti simili, forse, a quelli della giovane donna.

merini ape

merini amore

Rosalinda, divenuta per tutti la Matta Biraga, fu affidata da Don Ferrante alle cure di un celebre medico, Giuseppe Cavalli, soprannominato “Pin Cavallin” per la bassa statura. Il medico si stabilì al castello di Abbiategrasso e cercò di curare la Matta Biraga con bagni caldi e freddi. La giovane donna, però, non usciva dal buio della propria mente.

si comportava come se fosse mezza matta (cap.7)

merini vento

Via via il medico si affezionò al bambino prigioniero e giocava con lui. Non sappiamo se avesse mai consigliato alla donna di fingere le crisi di pazzia per sottrarsi a Don Ferrante. Qualche dubbio rimane…

merini basaglia

Nel frattempo Ludovico, divenuto alto ufficiale dell’esercito dei Savoia, attaccò il castello per liberare la moglie e il figlioletto. Immaginiamo l’incontro tra gli sposi… Per Rosalinda fu l’inizio della guarigione.

merini sorridi

amami merini

La leggenda dice che quando Don Ferrante fu allontanato, accusato di corruzione e abuso di potere, la famiglia Birago fece ritorno a Milano. Con loro rimase anche il medico che aveva fatto da nonno al bambino, giocando con lui. Uno di questi giochi consisteva nell’indovinare in quale mano Pin Cavalin avesse nascosto un confetto. Da qui la conta nelle due versioni:

Pin pin Cavalin,/sota al pe’ del taulin:/pan poss, pan fresch,/induina che l’è quest!

Pin pin Cavalin,/acqua calda,/acqua freggia,/ten tì quel,/damm a mì quest.

mani kiuse

E la Matta Biraga? La vogliamo pensare a spasso per Milano sorridente e serena, come Alda.

merini naviglio

merini inferno