La Strada delle Abbazie: quinta tappa, Calvenzano

Questa Abbazia, poco lontano dall’ospedale di Vizzolo Predabissi, è un “dono” di Italia Nostra e del Rotary Club che ne hanno fermamente voluto – e realizzato – il suo ritorno al bene culturale comune.

 

Abbiamo ritrovato questo vecchio articolo del Corriere della Sera (1972) in cui si parlava del gravissimo stato di degrado di Santa Maria di Calvenzano. Lo proponiamo come un “techetechete” e un bell’esempio di recupero architettonico da parte di privati.

 

Oggi l’abbazia è stata ben restaurata e fa memoria di antiche storie. Si trova lungo la strada Pandina (forse di origine romana?) che venne fatta costruire da Bernabò Visconti per collegare con un rettilineo i suoi castelli di Melegnano e Pandino e per compiere quelle scorribande di “caccia”, che lo fecero ricordare come una sorta di “padre” dell’Oltrepò (infatti un vecchio detto affermava “di qua, di là dal Po, son tutti figli di Bernabò”).

 

 

La storia ci racconta anche che in questa zona, in agro Calventiano, sorgeva una cella memoriae che divenne forse la chiesa presso il cui battistero fu incarcerato, nella prima metà del 500 d.C., Severino Boezio. Accusato di alto tradimento da Teodorico, Re degli Ostrogoti, durante la prigionia trovò conforto scrivendo il ponderoso tomo “De Consolatione Philosophiae”.

 

Sulla fiancata della attuale chiesa (che in realtà a quel tempo non esisteva ancora) una lapide riporta che qui avvenne l’esecuzione del filosofo.

 

Questa ingiusta sentenza di morte, secondo varie leggende, ricadde su Teodorico stesso. Una di queste, infatti, racconta che il Re morì durante un banchetto atterrito dagli occhi sporgenti di un pesce che gli ricordavano quelli delle sue vittime; altre leggende narrano che venne rapito da un cavallo nero che attraversò tutta l’Italia in un galoppo sfrenato e, dopo aver saltato con un sol balzo lo stretto di Messina, scaraventò il Re nel cratere dell’Etna, direttamente all’Inferno.

 

Vecchie storie prive di fondamento? Certamente, come quella di una leggenda pavese che invita a non vagabondare in questa zona dove si aggirerebbe ancora oggi il fantasma senza testa di Severino Boezio. Noi, comunque, vi abbiamo avvertito…

 

Queste le fosche leggende che aleggiano intorno all’abbazia di Calvenzano. La Storia riporta che il terreno dove sorge la chiesa venne donato alla fine dell’Anno Mille (1090, o forse, 1093) da tre ricchi possidenti di Marignano (antico nome di Melegnano) ai monaci dell’Abbazia di Cluny, un ordine di origine francese fondato da San Bernone.

 

Questi monaci erano dediti alla preghiera, allo studio e al silenzio. Le abbazie cluniacensi erano collegate tra loro in Priorati e questo consentiva un più ampio scambio culturale. I monaci non si dedicavano al lavoro dei campi, ma alla studio e alla trascrizione di testi antichi, anche profani o di altre religioni. A loro si deve la traduzione in latino, per confutarlo, del Corano. Questo non ci ricorda forse l’ambiente del monastero dove si svolge “Il nome della rosa”?

 

Un particolare distingue subito queste abbazie da quelle cistercensi: in esse non c’è la scala che conduce direttamente dalla chiesa alle camere comuni. Infatti i cluniacensi erano monaci più “solitari” e avevano celle singole nell’adiacente monastero. Erano forse meno legati al territorio; certamente, però, attorno all’abbazia sorgevano le cascine dove lavoravano i contadini.

 

Anche questa abbazia, intitolata a Santa Maria Assunta, è fatta dei tradizionali mattoni rossi tipici del nostro territorio. Qui, però, all’interno e all’esterno, sono messi a spina di pesce con aggiunta di pietre riciclate provenienti da chissà dove.

 

All’abbazia si accede da un bel portone sopra il quale ci sono sculture di scuola comasca risalenti al XII secolo.

Si tratta di un ciclo scultoreo insolito e molto interessante con episodi dell’infanzia di Gesù.

 

La chiesa è suddivisa in tre navate, due delle quali più basse, come si vede anche dalla facciata.

 

La ricca decorazione di affreschi è andata quasi totalmente perduta. Resta il bellissimo dipinto sopra l’altare maggiore, con l’Incoronazione della Vergine, attribuita allo stesso autore che lavorò anche a Viboldone, forse il fiorentino Giusto de’ Menabuoi, allievo di Giotto. Piccola riprova dei legami fra le diverse abbazie, anche di Ordini diversi.

 

Anche Santa Maria di Calvenzano, come le altre abbazie della Strada che stiamo percorrendo, è un luogo nel quale si può “scavare” non solo per riportare alla luce intriganti storie un po’ dimenticate, ma anche per conoscere luoghi, forse inconsueti, che fanno parte della nostra cultura e che hanno contribuito a forgiare noi e il nostro territorio.

A presto…

La Strada delle Abbazie: quarta tappa, Viboldone

La “domus de Vicoboldono”, oggi Abbazia di Viboldone, è la prima che incontriamo nei nostri passidaMilano, fuori città, lungo la Strada delle Abbazie, dopo aver già visitato le “milanesi” San Pietro in Gessate, Monluè e Chiaravalle.

 

Si trova, infatti, nel Comune di San Giuliano Milanese, un tempo grandissima zona agricola, diventata poi industriale con abitazioni, capannoni, fabbrichette e centri commerciali. Il verde, però, non manca poichè fa parte del Parco Agricolo Sud Milano.

 

Questa bella abbazia fu iniziata nel 1171 e completata in circa due secoli, dall’Ordine degli Umiliati, che investivano i proventi della lavorazione della lana in “domus” e comunità agricole. In questi centri lavoravano molti laici con famiglie, che costituivano il Terzo Ordine. Dediti anche ai bisognosi e agli ammalati, erano forse una forma iniziale del volontariato che è tanto presente oggi?

 

Quando poi l’Ordine venne sciolto dopo l’attentato a San Carlo Borromeo, il complesso passò poi agli Olivetani e, in seguito, andò incontro ad un lungo periodo di declino.

 

L’abbazia, ben restaurata, merita senza dubbio una visita. Sul piazzale alla sinistra c’è la cosiddetta “Casa del Priore” che contiene una raccolta di dipinti raffiguranti antichi strumenti musicali; ma è difficile poterla visitare.

 

A destra dell’abbazia, invece, c’è l’attuale convento delle Monache Benedettine, che qui vivono e lavorano, progettato dall’architetto Luigi Caccia Dominioni.

 

Come le altre abbazie è in mattoni rossi (materiale tipico dell’architettura lombarda), ma ci sono anche elementi in marmo bianco (rosone, cornice del portone, statue) che riprendono i tradizionali colori della basilica di Sant’Ambrogio e della nostra città.

 

L’abbazia di Viboldone ha un’impronta nettamente lombarda: mattoni a vista, forma a capanna, bifore a cielo aperto, cornice con belle foglie in cotto, rosone che alleggerisce la facciata.

 

Il campanile, che si innalza sopra il tiburio come nelle abbazie cistercensi, ha una slanciata forma a cono.

 

Diamo un’occhiata al portone sopra il quale ci sono tre belle statue in marmo: al centro la Madonna col Bambino in grembo, ai lati Sant’Ambrogio, con lo staffile e San Giovanni da Meda, col bastone, una delle più importanti figure degli Umiliati.

 

Osserviamo anche l’antico portone in legno decorato con grossi chiodi. Perchè alla base c’è una “soglia” che bisogna scavalcare per entrare in chiesa? Sembra fosse un “dissuasore” per impedire l’ingresso agli animali da cortile!

 

L’interno, a tre navate, è molto suggestivo: l’arco acuto è presente ovunque.

 

Le volte a crociera e i pilastri cilindrici tipici dell’epoca mostrano una certa sobrietà.

 

Infine diamo un’occhiata agli importanti affreschi di scuola giottesca. Tra questi il bellissimo “Giudizio Universale” di Giusto dei Menabuoi, in cui compare anche un diavolaccio intento a sbranare i dannati.

 

Come sempre andiamo a caccia di qualche curiosità. Un analogo diavolo è presente negli affreschi di Giotto della Cappella degli Scrovegni di Padova…

Guardiamo anche in altri affreschi: c’è un giovane, elegante Arcangelo Michele di fianco alla Madonna; accanto appare, inginocchiato, il Priore sotto cui fu completata la chiesa.

 

Nella scena del Calvario compare uno strano soldato romano con spadino e calzature a punta che sembra uscito da un codice miniato cavalleresco.

 

Infine… aguzzate la vista! Dove si trova questo insolito uomo rannicchiato che esprime tutto il suo muto terrore?

 

Un’altra curiosità la troviamo nel tondi sotto la Crocefissione: sono Adamo ed Eva, ma è lui che ha in mano la mela.

 

Usciamo ora dell’abbazia e raggiungiamo il borgo, per la verità piuttosto triste, che si snoda lungo una via. Qui troviamo qualche cascina invecchiata male ed edifici abbandonati…

 

Tra questi, però, c’è la cosiddetta “Càa de’ paròl” che reca sotto la grondaia e a metà facciata, alcune scritte in latino. Con difficoltà abbiamo cercato qualche notizia in più, ma la ricerca è stata piuttosto deludente. Così abbiamo provato a decifrare la scritta e la data che appaiono: forse erano case per salariati agricoli costruite nel 1929?

 

Il FAI aveva proposto questo borgo rurale come Luogo del Cuore per tentarne il recupero e la rinascita. Per ora nulla …, ma diciamo con loro: “non dobbiamo rassegnarci”.

A presto…

La Strada delle Abbazie: gli Umiliati, un Ordine tutto lombardo

Ben quattro (San Pietro in Gessate, Monluè, Viboldone e Mirasole) delle sette chiese che fanno parte della “Strada delle Abbazie” furono fondate dagli Umiliati, un Ordine tutto lombardo dalle caratteristiche piuttosto inconsuete.

 

Gli Umiliati fecero la loro comparsa sulla scena religiosa milanese nella seconda metà del XII secolo. La leggenda narra che un gruppo di nobili lombardi era stato fatto prigioniero per ordine dell’Imperatore e portato in Germania. Qui erano stati costretti, per un certo periodo, a lavorare lana di scarsa qualità per essere ‘umiliati’.

 

Una volta tornati in patria da uomini liberi, ricchi di fede e di spirito imprenditoriale tutto lombardo, misero a frutto quanto avevano imparato. Fondarono quindi l’Ordine religioso degli Umiliati (del quale facevano parte frati e suore, laici non sposati e terziari, cioè uomini e donne coniugati) per dedicarsi alla lavorazione della lana non di lusso e all’innovativa produzione del feltro.

 

Come vediamo in una formella all’esterno della Abbazia di Mirasole, da loro fondata, uno dei loro simboli era l’Agnello, che univa al significato evangelico anche quello… del lavoro.

 

Anche se alcuni studiosi li avvicinano a movimenti ereticali come quelli dei Valdesi e dei Catari, l’Ordine venne riconosciuto dal Pontefice.

 

D’altra parte la nostra città è sempre stata un nido di eretici e, anche nell’ortodossia, vi è sempre stato, e rimane, un “rito ambrosiano” che presenta, ad esempio, anche un calendario liturgico diverso (inizio e durata dell’Avvento, Quaresima col Carnevale più lungo). Inoltre il rituale della Messa è diverso e sappiamo che l’altare d’oro della Basilica di Sant’Ambrogio è stato sempre rivolto verso i fedeli, anche quando il sacerdote, secondo il rito romano, voltava loro le spalle.

 

Come spesso è accaduto, gli eretici medievali erano cristiani che volevano tornare al messaggio evangelico delle origini. Così gli Umiliati predicavano e vivevano di fede e lavoro, donando il superfluo della loro vita austera agli altri. Non vivevano, però, di elemosina, ma dei frutti del proprio lavoro e investivano in chiese, campi e “grange”, come veri imprenditori, i ricchi proventi.

 

Ecco come appariva la chiesa di Santa Maria in Brera, accanto ad uno dei loro conventi principali.

 

Come abbiamo già detto erano divisi in tre ordini e un terziario veramente speciale fu Bonvesin de la Riva, maestro di retorica che ebbe due mogli, autore di “Le meraviglie di Milano” dove descrive con grande ammirazione la nostra città e la gente comune che lavora rendendo grazie a Dio per i tanti doni che ha elargito in abbondanza. Milano era veramente A place to be!

 

Gli Umiliati non avevano un Santo in Paradiso come fondatore e protettore; grazie al loro lavoro diventarono comunque molto ricchi e rivestirono incarichi pubblici e amministrativi, anche fuori Lombardia, per l’onestà che dimostravano.

 

 

Poi iniziarono i guai e le controversie con la gerarchia ecclesiastica, tanto che la loro fine fu col ‘botto’ anzi con un’archibugiata andata a male. Infatti organizzarono un attentato contro l’Arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo, che voleva riportare un po’ di ordine tra i religiosi milanesi.

 

E qui la storia si tinge foscamente di giallo. Un Umiliato, tale Farina, si introdusse, portando con sè un archibugio, nella cappella dell’Arcivescovado, di fianco al Duomo.

 

Mentre San Carlo stava pregando circondato dal suo seguito, il Farina fece partire il colpo, ma “…la balla e li pertigoni, senza ofesa, si sparsero per il rocchetto e per le vesti…” del cardinale, come riportato in una cronaca dell’epoca. Si gridò al miracolo. Il Farina riuscì poi a fuggire, forse nella grande confusione. Ecco come un ‘quadrone’ del Duomo riporta la scena.

 

Da alcune confessioni ricevute dal Vescovo di Lodi si venne a sapere che i congiurati appartenevano all’Ordine degli Umiliati e in particolare due nobili, in cambio della promessa (poi non mantenuta) dell’immunità, avevano fatto il nome del Farina e di un altro religioso. Vennero arrestati tutti e “horridamente torturati”. Infine il 2 agosto 1570 furono giustiziati in piazza Santo Stefano.

 

Subito dopo il ramo maschile dell’Ordine fu sciolto e i suoi ricchi beni incamerati da altri Ordini. Alcuni studiosi vedono in questo attentato molti aspetti da chiarire. D’altra parte di attentati irrisolti e con molti misteri è piena la storia anche più vicina a noi…

A presto…

Alla riscoperta della “Strada delle Abbazie”

L’idea per questo itinerario ci è venuta, quasi per caso, visitando la chiesa di San Pietro in Gessate (che si trova di fronte al Palazzo di Giustizia, in corso di Porta Vittoria a Milano) dove è esposto un manifesto che propone la “Strada delle Abbazie”. Come potevamo resistere ad un percorso, riconosciuto anche dal Consiglio d’Europa, così ricco di cultura, arte, fede e storia del nostro territorio e quindi anche nostra?

 

Abbiamo pensato, perciò, di andare alla riscoperta di queste abbazie situate alcune nel Comune di Milano (San Pietro in Gessate, Monluè e Chiaravalle), altre nell’hinterland (Mirasole, Viboldone, Calvenzano), infine una, la più distante, a Morimondo, vicino ad Abbiategrasso.

 

L’intero percorso è di circa 130 chilometri e lo si può fare anche in diverse tappe: in auto, in bicicletta (ci sono tante belle piste ciclabili), a piedi, per i più allenati, o anche con i mezzi pubblici urbani o interurbani. Anche noi descriveremo questo itinerario con schede per ciascuna abbazia dando un’occhiata anche ai borghi nati accanto.

 

Cosa accomuna e cosa distingue queste abbazie?

Il Monachesimo occidentale risale in gran parte a San Benedetto (Norcia 489 – Montecassino dopo il 546) che con la sua ben nota Regola “ora et labora” si dedicava coi suoi monaci tanto alla preghiera quanto al lavoro.

 

A questa regola si ispirarono anche altri ordini monastici nati secoli dopo, come i Cistercensi, i Cluniacensi e gli Umiliati, che diedero vita alle nostre abbazie. La chiesa aveva finalità di preghiera e non artistiche o di rappresentanza e si adeguava alle caratteristiche stilistiche della zona. Da qui l’uso del mattone, e non della pietra, per la costruzione delle abbazie, così bello e tipico delle nostre zone che si accende di colori rossastri a contrasto con il verde dei campi e l’azzurro delle acque e del cielo.

 

Queste abbazie, apparentemente isolate, non erano lontane da vie di comunicazione importanti (via Emilia, via del Sale, strada per Pavia) e da centri come Milano e Pavia. Questo facilitava gli scambi commerciali e culturali, offriva ospitalità ai viandanti, ma esponeva le abbazie al rischio di essere coinvolte in conflitti armati.

 

Il lavoro comunitario nei campi comportava la necessità di avere una sede stabile, vicina a corsi d’acqua, ben funzionante e attrezzata anche per la vita dei monaci e dei laici che vi lavoravano.

 

I monaci riuscirono a rendere fertili le paludi del territorio con la tecnica delle marcite e dei fontanili. La buona irrigazione portava ad abbondanti raccolti e a ricco foraggio per gli animali.

 

Il bestiame ben nutrito (come pure i cavalli, utilizzati, ahimè, per le guerre) dava tanto buon latte col quale si potevano produrre ottimi formaggi come il grana, le robiole, eccetera. Questi e altri prodotti si possono acquistare ancora oggi nelle botteghe o nei mercatini di talune abbazie insieme ad altre golosità prodotte nel territorio… più nicchia di così!

 

Il nostro itinerario può essere anche l’occasione per riscoprire antichi sapori e, magari, per qualche acquisto enogastronomico.

.Il Foscolo chiamò la nostra città “Paneropoli” tanto era ricca di “panera” (panna) proveniente dalle cascine del territorio lombardo (conoscete il panerone, formaggio tipico della Bassa padana?). Non stupiamoci quindi di vedere nel nostro itinerario cascine attive, ristrutturate o modificate, arrivate nei secoli fino a noi attraverso le “grange” dei monasteri.

 

Il territorio che attraverseremo nel nostro percorso è quasi tutto “artificiale”, come lo definì con ammirazione Carlo Cattaneo a metà Ottocento, perchè frutto dell’intervento dell’uomo. Oggi noi ne vediamo i limiti, fatti di palazzoni, centri commerciali, capannoni, fabbrichette, strade trafficate che hanno cancellato la “natura”. Non dimentichiamo, però, che il progresso e il nostro benessere attuale sono dovuti anche all’umile lavoro dei monaci che hanno bonificato terre paludose rendendole fertili e dato aiuto materiale e sociale ai nostri antenati del Medioevo.

 

Nei prossimi articoli continueremo questo itinerario sulla Strada delle Abbazie, con passipermilano e, questa volta, anche passidamilano.

 A presto…

Eventi lungo il Cammino dei Monaci nel mese di Settembre 2016

 

Il Cammino dei Monaci diventerà tra l’ 8 e l’ 11 settembre 2016, per la prima volta, un palcoscenico all’aperto con una serie di spettacoli ed eventi da non perdere.

festival del teatro nella valle dei monaci

Così  la Direzione Artistica presenta l’evento:

“Il Festival, come la Vettabbia, si espanderà come acqua, come un liquido che viene a irrigare di teatro e musica questi luoghi sacri permeabili all’arte, per farli pulsare. Nei grandi prati e nei cortili cascinali, dentro gli spazi intimi e silenziosi delle abbazie, in mezzo alle aree boscate, ogni volta il teatro come l’acqua prenderà la forma del luogo. Irrigando di emozioni, di parole, di poesia e di note musicali ci inviterà a incontrare questa parte di terra che lambisce Milano con il suo concentrato di ricchezza storica, agricola e spirituale, ancora poco conosciuta”.

gocce d'acqua

Dal Museo Diocesano al Nocetum, dalla cascina di Nosedo all’angurieria di Chiaravalle, dall’Abbazia di Chiaravalle a quella di Viboldone ci saranno diversi spettacoli, visite guidate, attività culturali e laboratori gratuiti da prenotare.

museo diocesano

Cooperativa Nocetum 3

angurieria Chiaravalle

il mulino 2

http://www.valledeimonaci.org/it/event/2016/09/08/tra-cascine-e-abbazie-festival-di-teatro-nella-valle-dei-monaci/1112/

Ecco l’intero calendario delle proposte. Per il biglietto gratuito si deve cliccare il link presente all’interno di ogni scheda-spettacolo.

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http://www.valledeimonaci.org/it/event/

Inoltre il Mulino di Chiaravalle, presso l’Abbazia, il prossimo 18 settembre, sarà la cornice di una piccola cena a base di zucca per salutare l’estate e festeggiare l’arrivo dell’autunno .

equinozio d'autunno

L’ambiente, insolito e bellissimo, offre il senso di continuità tra passato e presente anche attraverso il susseguirsi delle stagioni.

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Ecco il programma completo ed alcune foto relative alla cena del Solstizio d’estate tra le erbe aromatiche.

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Il Cammino dei Monaci: itinerario di cultura, arte, verde e… buon cibo (Parte prima)

“…A Milano non c’è niente…”, “…Milano è solo grigia e non c’è verde…”. Quante volte abbiamo sentito queste e altre tiritere di luoghi comuni? Passipermilano propone di visitare in questo itinerario alcuni  “luoghi comuni” per vedere quali luoghi reali ci offra invece la nostra città anche in periferia.

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Parco della Vettabbia – via Corrado il Salico

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Abbazia di Chiaravalle

Iniziamo in questo incontro un percorso molto “sconosciuto”, ma ricco di cultura, arte, verde, spiritualità, storia, leggenda e qualche assaggio di buon cibo: il Cammino dei Monaci.

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Lo si può fare a piedi, di corsa, in bici, con mezzi privati o pubblici (M3 fermata Corvetto e bus 77 direzione Chiaravalle).

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ciclabile – via San Dionigi

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bus 77 verso Chiaravalle

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Il Cammino, o la Valle, dei Monaci inizia al Parco delle Basiliche, tra San Lorenzo e Sant’Eustorgio, dove nasce la Vettabbia e, seguendo il suo corso, arriva a Melegnano.

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La Vettabbia è una delle tante rogge della nostra città, è di Porta Ticinese, come la povera Rosetta; nasce infatti dalla confluenza della Vetra col Seveso, appunto in piazza Vetra.

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Nella prima parte il suo corso è coperto, ma possiamo vedere le sue acque limpide ancora in diversi punti di Milano Sud. Eccone alcuni:

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Vettabbia in via Broni

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papere in via Broni

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Vettabbia in via Corrado il Salico

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Vettabbia in via dei Fontanili

Grazie anche a questa roggia navigabile, i monaci del Tardo Medioevo portavano in città prodotti agricoli provenienti dalle zone bonificate e divenute fertili intorno alle Abbazie.

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Vettabbia in via dei Fontanili

In questo nostro cammino vedremo un territorio antico, ma vivo e vitale; ci fermeremo presso un’antica chiesetta con memorie paleocristiane, sosteremo presso le Abbazie di Chiaravalle e di Viboldone, visitando persino un vecchio mulino alle spalle di un noceto, tra erbe officinali. Vi parrà strano, ma tutto questo è a Milano, poco più in là di piazzale Corvetto.

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Chiesetta di Nosedo

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Abbazia di Chiaravalle

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Abbazia di Viboldone

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Chiaravalle – “Giardino dei Semplici”

Lasciamo a ciascuno di voi organizzare il percorso da piazza Vetra fino a corso di Porta Romana, visitando le chiese di San Nazaro, San Calimero e Santa Maria del Paradiso, fino a giungere a piazzale Corvetto.

Piazza San Nazaro 1

San Nazaro

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San Calimero

S Maria al Paradiso

Santa Maria del Paradiso

P. Corvetto

viabilità in piazzale Corvetto

Diamoci appuntamento virtuale all’inizio di via San Dionigi 6, vicino alla grande statua del Cristo Redentore, affettuosamente chiamato in dialetto el Signurun. Siamo in periferia in mezzo a case di ringhiera e a palazzi di edilizia popolare.

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La statua, fatta in graniglia e sabbia del Ticino con polveri di cemento, non è un’opera d’arte. Per di più le hanno dato un improbabile colore “giallo Milano”, come è anche il nostro risotto con lo zafferano.

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Da dove viene questa statua? Secondo una leggenda el Signurun era stato trovato nella Vettabbia, che arrivava vicino alle case.

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foto d’epoca

Per ricordare questo ritrovamento nelle acque è stato posto su una terrazza, come la polena di una nave. Secondo altri, invece, la statua era stata commissionata, ma non ritirata e un capomastro se l’era portata via e messa a vegliare sulla casa dove viveva.

Nel corso del tempo la statua ha perso la mano destra benedicente in un “incidente sul lavoro”. Infatti è stata colpita da alcuni operai che stavano installando un palo della luce.

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Dove sia finita la mano non si sa, ma a noi piace iniziare questo cammino alla ricerca di un pezzetto della nostra storia sotto questa statua, che benedice, da tanto tempo, chi entra o esce da Milano. Proseguite ora lungo la via San Dionigi fino all’incrocio con viale Omero.

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A presto…