Stupore e meraviglia guardando la Natività di Lorenzo Lotto – parte prima

Il “Capolavoro per Milano”, la tradizionale rassegna del Museo Diocesano in occasione delle Feste, quest’anno arriva da Siena ed è un’opera insolita e straordinaria di Lorenzo Lotto che ci pone davanti al mistero e alla meraviglia del Natale.

L’autore (Venezia 1480 – Loreto 1556), della cui vita non si sa molto, dipinse quest’opera nel 1525 per un committente privato e fu quindi più libero di rappresentare la “Natività” in modo originale e meno vincolato dai canoni tradizionali. L’opera è autografata; autore e data dell’opera sono infatti indicati sulla brocca in rame a destra nel dipinto.

In questo piccolo quadro (55,5 X 45,7 cm) viene dipinto il primo bagno di Gesù Bambino, il tradizionale “bagnetto” che avviene per ogni neonato dopo il parto. La scena è intima, tenera, privata: accanto a Gesù, che sta per essere immerso nella tinozza, ci sono Maria, Giuseppe e due levatrici, secondo quanto raccontato nei Vangeli apocrifi.

Non ci sono angeli nè pastori, è un momento “umano” di Gesù, col cordone ombelicale ancora attaccato (unica immagine nella storia dell’arte), ma al tempo stesso carico di simboli religiosi, come il Battesimo (l’acqua nella tinozza), la Croce (le pennellate di luce sul capo del Bambino), il panno (il Sudario della Deposizione) che la levatrice scalda vicino al fuoco.

Perchè quest’opera risulta magnetica e la guardiamo con lo stesso stupore dei pastori del presepe? Forse perchè riesce a trasmetterci il mistero e la meraviglia del Natale facendocene cogliere il senso più profondo.

Avviciniamoci a questo dipinto poco a poco. Guardiamo l’ambiente che risulta piuttosto buio (siamo di notte), ma rischiarato da due fonti luminose: il fuoco resta sullo sfondo, in secondo piano; accanto ad esso un’altra levatrice, quasi in ombra, scalda il panno in cui sarà avvolto il piccolo Gesù. In primo piano il Bambinello emana una luce intensa che illumina le persone attorno a lui; ancora una volta umano e divino insieme. Ecco come vengono messe in evidenza le due fonti luminose nell’ impianto scenografico della mostra.

Al centro un triangolo di sguardi tra i tre protagonisti: Gesù con lo sguardo rivolto alla madre, Maria, luminosa e serena, che vede “solo” suo figlio e la levatrice (identificata come Salomè o come Santa Anastasia dagli studiosi) col viso un po’ in ombra e un po’ in luce che, fissando Maria, rappresenta il dubbio di tutti noi davanti al mistero.

Come è possibile, sembra chiedersi la levatrice, che una donna sia rimasta vergine prima, durante e dopo il parto? La ragione e l’esperienza della sua professione l’avevano spinta a voler verificare tale verginità, ma le sue mani erano rimaste paralizzate (come si vede nel dipinto) e guariranno solo dopo aver toccato Gesù, quasi il primo miracolo. La levatrice ricorda un po’ San Tomaso, l’apostolo del dubbio umano davanti al mistero divino.

Sullo sfondo San Giuseppe, unico in piedi, vestito riccamente con colori sgargianti, appare a braccia aperte per accettare e accogliere come in un abbraccio la “sua” famiglia da proteggere, fedele al compito che gli è stato assegnato. Il bastone, nel gesto di stupore che gli ha fatto aprire le braccia, si è appoggiato sul suo petto.

Tra qualche giorno guarderemo Maria e Gesù Bambino, per ora un affettuoso

a presto...

Immagini e parole sulla Pasqua

Alcuni tra i più grandi capolavori dedicati alla Settimana Santa si trovano nella nostra città. Li riproponiamo accompagnati dai versi della poetessa dei Navigli, Alda Merini, che ha vissuto il proprio calvario non perdendo mai la fede e la speranza.

Come non iniziare dall’Ultima Cena di Leonardo, opera unica, preziosa e fragile, così carica di significati e di messaggi da rimandarci sempre “oltre” a quello che vediamo?

Così scrive Alda Merini:

Conobbi tutte le desolazioni dell’abbandono, conobbi tutte le tristezze terrene,… Ero crocefisso ogni giorno dal dubbio degli apostoli, dal dubbio delle moltitudini”. 

Al Castello è custodita la Pietà Rondanini di Michelangelo, ultima opera del Maestro, rimasta incompiuta per la sua morte, come se l’artista, ormai anziano, di fronte al mistero e all’ignoto che lo attendevano non potesse trovare risposte nell’arte, ma cercasse di essere sorretto, come Maria, da Cristo.

Potevano uccidere anche Maria, / ma Maria venne lasciata libera di vedere / la disfatta di tutto / il suo grande pensiero, / Ed ecco che Dio dalla croce / guarda la madre, / ed è la prima volta che così crocifisso / non la si può stringere al cuore, / perché Maria spesso si rifugiava in quelle /braccia possenti, / e lui la baciava sui capelli / e la chiamava “giovane” / e la considerava ragazza. / Maria, figlia di Gesù.

Ancora oggi questa Pietà è più che mai viva e suscita emozioni anche in un artista contemporaneo come Robert Wilson, autore di Mother, installazione che sarà visitabile fino al 18 maggio al Castello Sforzesco.

Il dolore di Maria per la morte del Figlio e l’amore di Gesù per la Madre sono al centro di questi versi che introducono al tema delle Resurrezione.

Esalerò l’ultimo respiro, / lei forse mi raccoglierà nel grembo / e non crederà che io sia morto.  / So che Maria impazzirà di dolore / ma questa sua follia del non credere / mi darà la forza di risorgere. / Io non sono morto, / non morirò mai.

Nella cappella del battistero della Basilica di Sant’Ambrogio si trova una bellissima “Resurrezione” del Bergognone nella quale Cristo in gloria, affiancato da due angeli, sopra il sepolcro ormai vuoto, sembra offrirsi ai fedeli, annunciando la propria vittoria sulla morte e la promessa di una vita nuova.

Infine, a Brera, è esposto un dipinto la “Cena in Emmaus” del Caravaggio, realizzato dal Maestro dopo essere fuggito da Roma, perchè condannato a morte. Questa opera ci racconta di un Cristo risorto, ma dal viso provato, ancora quasi sofferente dopo il supplizio della Croce, che viene riconosciuto dai due discepoli solo alla benedizione del pane, quando “i loro occhi si aprirono” (Lc. 24, 31).

Il buio domina la scena (“resta con noi, perchè si fa sera” dice il Vangelo), tagliata solo da un raggio di luce che la illumina parzialmente. Il “Risorto” non ha angeli intorno a sè, ma uomini; è una scena “umana” che ci riporta ad un’altra poesia, “Resurrezione”, della Merini.

“Fuggirò da questo sepolcro
come un angelo calpestato a morte dal sogno,
ma io troverò la frontiera della mia parola.
Addio crocifissione,
in me non c’è mai stato niente:
sono soltanto un uomo risorto.”

A tutti noi la speranza e l’augurio di poter “risorgere” dalle nostre paure, dalle fatiche, dai dolori e dai sacrifici quotidiani.

Buona Pasqua!

A presto…

Una nuova casa museo

Un pittore del Novecento da conoscere (o forse un po’ da scoprire), un appartamento alto borghese da visitare, una Fondazione con tante proposte culturali per la nostra città: ecco una nuova casa museo per Milano. Entriamo nel bel palazzo di corso Garibaldi 2 per vedere la living gallery che espone quaranta dipinti di Renzo Bongiovanni Radice (1899-1970), un artista vissuto proprio in questi stessi spazi che la Fondazione Adolfo Pini, istituita dal nipote del pittore, ha recentemente aperto al pubblico (ingresso gratuito solo su prenotazione https://fondazionepini.it/visita/).

Ci troviamo in corso Garibaldi, poco lontano da Brera e dal Castello, all’inizio di una strada un tempo molto popolare, ma ricca di tradizioni e cultura con la basilica di San Simpliciano e lo storico Teatro Fossati.

 

Il palazzo, molto signorile, fu ristrutturato agli inizi del Novecento, già da allora aperto alla città con esercizi commerciali al piano terreno e locali dati in affitto, accessibili da una scala di servizio.

 

Un importante scalone in marmo conduce, dopo un androne con porticato, al piano nobile dove viveva e lavorava il pittore.

 

Renzo Bongiovanni Radice apparteneva alla buona borghesia lombarda (famiglia paterna di tradizioni militari, quella della madre di imprenditori colti e illuministi). Partì volontario nella Prima Guerra Mondiale come “ragazzo del ’99”, ma questa esperienza non ebbe seguito. Di carattere schivo e molto riservato, nonostante le aspettative familiari scelse l’arte e la pittura. Non amava, però, esporre i propri lavori (“mi sembrerebbe di camminare nudo per la strada”) nè seguiva le mode e il richiamo del mercato.

Fu soprannominato il “Gran Cancelliere della Pittura” per il tema dei “cancelli” che torna spesso nei suoi quadri. A chi gli chiedeva perchè, rispose “perchè mi piace”. Rappresentavano forse una protezione o una difficoltà ad aprirsi agli altri?

 

Solo il nipote Adolfo Pini (1920-1986), figlio di una sorella di Renzo, frequentava liberamente la casa e i pensieri dello zio. Erano molto diversi per carattere, ma legati da un profondo affetto e da una reciproca comprensione.

Anche la loro base culturale potrebbe sembrare quasi opposta. La famiglia Pini aveva una solida cultura scientifica; tra i suoi membri infatti ci fu anche il grande medico ortopedico Gaetano, che tanto fece per la città di Milano e al quale è dedicato un famoso ospedale cittadino.

Anche Adolfo divenne medico, ma con forti interessi umanistici e artistici condivisi sempre con lo zio. Renzo lasciò in eredità al nipote tutti i propri beni tra cui la casa dove era sempre vissuto e nella quale si trasferì anche Adolfo. L’appartamento è stato recentemente restaurato dalla Fondazione; splendidi soffitti e pavimenti intarsiati, arredi antichi, porcellane cinesi che ci riportano ad una atmosfera signorile ed elegante e al gusto di un epoca passata.

 

I quadri alle pareti, tutti di Renzo, lasciano intravedere spiragli per comprendere il pittore: il suo amore per Milano, Venezia e Parigi, il forte legame tra natura e vita interiore, con alberi spesso spogli e ambienti malinconici, case e paesaggi vuoti di persone. Dalle sue opere traspare il dialogo di un uomo con se stesso e con la natura, di qui la vocazione al paesaggio e la ricerca di risposte alla propria esistenza.

 

Molto bello è guardare lo scrittoio, la poltroncina, il cortile oltre la finestra, la pendola che ha scandito il tempo di questa storia milanese che continua, grazie alla Fondazione voluta da Adolfo, morto senza eredi, per offrire a Milano uno spazio dove fare non solo memoria, con il ricordo artistico dello zio, ma anche dove progettare il futuro con iniziative culturali, borse di studio ed eventi.

 

Altri tasselli per conoscere personaggi, luoghi e storie della nostra città li possiamo trovare in questo progetto realizzato dalla Fondazione Pini, che racconta del legame tra alcuni artisti con gli spazi dove hanno vissuto e lavorato nella nostra Milano. https://www.storiemilanesi.org/

A presto…

Sant’Antonino in Segnàno, un piccolo gioiello di periferia

La chiesetta di Sant’Antonino in Segnàno, periferia Nord-Est di Milano, tra Greco e Bicocca, come un albero secolare testardo ha affondato le sue radici intorno all’Anno Mille nei campi di allora, ed è giunta fino a noi, un po’ sconosciuta e trascurata, sovrastata da condomini all’angolo tra le vie Comune Antico e Roberto Cozzi.

 

I primi documenti ufficiali che la riguardano risalgono alla fine dell’Anno Mille, quando venne citata tra i beni del monastero di San Simpliciano, una delle quattro basiliche volute da Sant’Ambrogio fuori le mura cittadine.

 

Sant’Antonino fu fondata dai monaci cluniacensi, come anche Santa Maria di Calvenzano vicino a Vizzolo Predabissi, lungo la Strada delle Abbazie.

 

La nostra chiesetta venne poi ricostruita nel 1517, probabilmente sullo stesso luogo e con le medesime dimensioni, dai monaci cassinensi, come è indicato nella piccola targa sulla facciata. Ha un tetto a capanna e, tutta intonacata di grigio, ha un aspetto piuttosto modesto. Si scorgono ancora sulla facciata confuse tracce di affreschi e una piccola greca in gesso rosso che vuole riprendere lo stile romanico lombardo.

 

Un piccolo campanile a vela con una campanella datata 1615, si stacca come un ramo in cerca di spazio sul retro della chiesetta.

 

Entriamo dall’unico portoncino di legno: subito notiamo il contrasto tra la navata riccamente affrescata e l’abside semicircolare (aggiunta nel 1965), tutta dipinta di bianco. Due affreschi, rimossi a strappo dalla navata, interrompono il suo candore: sono Sant’Antonino, vescovo milanese del VII secolo, e il Beato Ludovico Barbo, che scrisse la Regola della congregazione cassinense. Al centro un Crocifisso ligneo della Val Gardena. Un arcone, che un tempo era la parete di fondo della chiesetta, suddivide ora visivamente abside e navata. Due angeli sollevano drappi rossi e mettono in risalto il piccolo altare in legno e cristallo.

 

L’idea dell’albero torna dunque in questo bellissimo altare ricavato da un tronco di ulivo dallo scultore contemporaneo Carlo Natale Basilico, autore anche del leggio ligneo. Nel basamento dell’altare è rappresentata la Creazione di Adamo ed Eva, con le mani protese verso quelle creatrici divine. Una curiosità: le mani di Dio sono una maschile e una femminile.

 

Dall’altare guardiamo la navata, sormontata da un soffitto a cassettoni dipinto. Sopra la porta d’ingresso si trova lo stemma della basilica di San Simpliciano, che era la “proprietaria” di questa chiesetta.

 

Sulle pareti lunghe notiamo due grandi affreschi secenteschi, purtroppo piuttosto deteriorati, attribuiti al Fiammenghino; in alto corre un lungo “bordo” sul quale sono dipinti, come in un racconto, i simboli della Passione (il gallo, l’orecchio mozzato, il Calice, la Tunica con i dadi, il velo della Veronica, dove è raffigurato un realistico volto di Cristo…).

 

Sulla parete di destra, guardando verso l’altare, è affrescata una “Contemplazione della Vergine col Bambino” da parte di alcuni Santi Vescovi, le cui reliquie furono traslate nel 1582 da San Carlo Borromeo nella basilica di San Simpliciano. Tra questi spicca la figura di Sant’Antonino, che reca la palma del martirio per la sua lotta contro l’eresia ariana al tempo dei Longobardi.

 

Se guardiamo con attenzione, al centro del dipinto, sotto la nuvola, viene ripreso un particolare della basilica di corso Garibaldi, che sottolinea ancora una volta il legame tra le due chiese.

 

Sulla parete di fronte alla “Contemplazione”, di spirito prettamente religioso, si trova, invece, un dipinto che celebra anche valori civili come la lotta per la libertà. Viene infatti raffigurata la Battaglia di Legnano combattuta nel 1176 tra la Lega Lombarda e il Barbarossa. Una piccola curiosità: nel ” Canto degli Italiani” si trovano questi versi “Dall’Alpi a Sicilia dovunque è Legnano“, unica città, oltre a Roma, citata come esempio della lotta per l’indipendenza nel nostro Inno nazionale.

 

Si è molto discusso se questo affresco rappresenti invece la battaglia della Bicocca degli Arcimboldi, combattuta qui vicino nel 1522, tra le truppe imperiali di Carlo V e quelle francesi di Francesco II. Noi pensiamo di no sia per l’assoluta mancanza nel dipinto di armi da fuoco, sia per la presenza del Carroccio, il leggendario carro, simbolo della autonomia comunale, sormontato dal gonfalone milanese e da un Crocifisso.

 

Molto interessante, sulla destra dell’affresco, in basso, la figura di un cavaliere che viene disarcionato dal proprio cavallo morente, come la leggenda narra sia accaduto al Barbarossa durante la battaglia.

 

Infine c’è un altro particolare molto intrigante: tre colombe bianche volano intorno al Carroccio. Secondo la tradizione si sarebbero levate in volo dal sepolcro dei tre Martiri dell’Anaunia di San Simpliciano, proprio il 29 maggio, giorno della battaglia e anche giorno dedicato ai tre Santi Martiri. Lo racconta Galvano Fiamma, cronista milanese del Trecento, 150 anni dopo la battaglia…

 

La lunga e dettagliata descrizione di questa chiesetta, pressochè sconosciuta, è un invito a considerare come Milano sia bella e interessante anche fuori dal centro e come ci sarebbe veramente tanto da vedere per conoscerne l’identità storica e culturale. Attualmente Sant’Antonino è quasi sempre chiusa. Quando si potrà visitare liberamente questo piccolo patrimonio della nostra città e vederlo restaurato? Speriamo di aver dato un piccolo contributo per portare l’attenzione di più persone su questo piccolo gioiello di periferia.

A presto…

Il cuore nascosto di porta Venezia

Milano ha ancora un cuore? La nostra città lo ha sempre avuto persino nei modi di dire (Milan g’ha el coeur in man) e nella sua forma.

 

E oggi? A volte il suo cuore sembra un po’ stanco e affannato per le insicurezze, le difficoltà e i cambiamenti di questi tempi. Noi, però, crediamo che ci sia sempre. Siamo andati a cercarlo e lo abbiamo trovato nei sorrisi e nei gesti gentili delle persone, nelle tante iniziative del Bene e, inaspettatamente, in un casello del dazio di Porta Venezia.

 

Infatti, nel casello di sinistra per chi guarda da corso Buenos Aires, in una piccola nicchia, a neanche un metro da terra, c’è un piccolo cuore, fotocopia in 3D di modello anatomico realizzato da un autore contemporaneo.

 

Non è facile trovarlo tutto scuro, quasi voglia passare inosservato, senza troppo apparire, come il Bene. Non si deve cercarlo in alto, tra le statue allegoriche e i bassorilievi che raccontano la storia di Milano, ma di fronte ad un semaforo, in un angolo di traffico e di polemiche.

 

Questi caselli del dazio hanno un passato illustre. Ne parla anche il Manzoni nei “Promessi Sposi” quando Renzo entra in Milano proprio da qui. Allora consistevano “in due pilastri con sopra una tettoia per riparare i battenti e da una parte una casupola per i gabellini”.

 

Da qui “entrò” anche la peste con quel “fante sciagurato e portatore di sventure”… Sempre da qui uscivano anche i carri degli appestati diretti al Lazzaretto, fuori le mura e poco lontano.

 

Un altro angolo da non perdere accanto ai caselli è Palazzo Luraschi, in corso Buenos Aires 1, ricco di curiosità. Fu il primo edificio di questa zona a superare il limite d’altezza di tre piani, previsto per permettere di vedere la Grigna e il Resegone.

 

Nel cortile ci sono medaglioni in terracotta con i volti dei personaggi del romanzo manzoniano e alcune colonne provenienti proprio dal Lazzaretto e salvate dalla distruzione dal costruttore del palazzo.

 

Nel corso degli anni, via via, si sentì l’esigenza di rendere i nostri caselli belli e importanti, più adeguati alla zona di corso Venezia, ricca di palazzi signorili, di carrozze e di bella gente.

 

Furono perciò realizzati quelli attuali nella prima metà dell’Ottocento. Da qui entrò in città anche l’Imperatore Francesco Giuseppe, con Sissi. Da notare il baldacchino posticcio che unisce i caselli.

 

Nel tempo questa “porta” cambiò diverse volte anche il nome: da “Argentea” all’epoca romana, storpiato in “Renza”, a “Orientale”. I caselli presero poi il nome definitivo di Porta Venezia, perchè, dopo l’Unità d’Italia, erano rivolti verso la città lagunare, ancora da liberare. Una curiosità: la piazza dove si aprono è dedicata a Guglielmo Oberdan, patriota giustiziato degli austriaci.

 

C’è molta storia in questo angolo di Milano; ora mostre d’arte ed eventi come il Fuorisalone passano da qui.

 

Chiudiamo con un’altra curiosità: una piccola targa su Palazzo Bovara (corso Venezia 51) riporta una frase di Stendhal, lo scrittore francese innamorato della nostra città. “Sur le cours de cette Porte Orientale…/s’est posée l’aurore da ma vie”. Che sia d’augurio per tutti coloro che andranno a visitare il cuore nascosto nel casello di Porta Venezia.

 

 

A presto…

Un luogo da scoprire, il Museo delle Forchette

Se, al ritorno dalle vacanze, ci siamo ritrovati qualche chilo in più, c’è un rimedio veramente infallibile, piacevole e curioso: visitare il Museo delle Forchette, dove si guarda e non si mangia.

 

Questo museo/laboratorio, aperto dal martedì al sabato dalle 9 alle 19 e completamente gratuito, si trova in via Bergognone 3 (zona Tortona) e lo si raggiunge facilmente seguendo le forchette dipinte sul pavimento dell’edificio, un po’ come un goloso Pollicino.

 

E’ unico nel suo genere: le forchette non sono gli “strumenti” per gustare prelibatezze o arrotolare succulenti spaghetti, ma sono esse stesse lo “spettacolo” diventando piccole, impensabili opere d’arte.

 

Creatore e titolare di questo atelier artigianale è Giovanni Scafuro, napoletano di origine e milanese di adozione. Cresciuto nelle botteghe della sua città, ha dato vita, nella nostra, a questo spazio dal sapore un po’ bohemienne e pieno di fantasia e creatività.

 

Siamo nel regno del recupero e del riciclo creativo, nel quale un oggetto comune, come una posata, cambia forma e funzione, diventando gioiello, piccola scultura, altro.

Cambiare vita si può, sembrano suggerire queste creazioni, restando un po’ se stessi e diventando nel contempo qualcosa di nuovo e di diverso.

 

Non è un museo nel senso più classico, non sono esposti pezzi storici di particolare valore. Ci sono oggetti venduti a poco prezzo e altri molto più costosi, trasformati attraverso sperimentazione, abilità e creatività artistica.

 

In questo laboratorio si tengono anche cene/aperitivi con chef esterni, che preparano pietanze specifiche, perfette per essere gustate (o meno) con una forchetta spezzata, con uno snodo al centro, un cucchiaio tutto forellato (chiamato “A chi non piace il brodo”), un pennino “da caffè” per una dedica sul dolce. E’ da provare!

 

 

A presto…

Passeggiando al Parco Formentano

Iniziamo questo mese di settembre con una passeggiata al Parco Formentano, per goderci un angolo verde in pieno centro città e poter guardare anche le “opere d’arte” legate alla storia di Milano che vi si trovano.

 

Questo parco, situato tra viale Umbria e corso XXII marzo, è un grande polmone verde tra due vie molto trafficate in un quartiere interessante e vivace. Nelle vicinanze si possono visitare la bella chiesa di Santa Maria del Suffragio, il goloso mercato comunale coperto, l’antica Senavra e, in particolare, le coloratissime villette di via Lincoln.

 

Conosciuto anche come giardino di Largo Marinai d’Italia, è stato poi dedicato nel 1987 a Vittorio Formentano, il medico fondatore dell’AVIS, l’associazione dei volontari del sangue. Questo parco, pensato e progettato dall’architetto Luigi Caccia Dominioni e poi modificato, ci racconta storie della nostra città fatte di lavoro, sacrificio e solidarietà; vi si trovano infatti la Palazzina Liberty, la grande fontana dedicata, in una città senza il mare, ai Marinai d’Italia e il monumento ai Donatori di sangue.

 

Cuore di questo parco è la Palazzina Liberty dove commercianti e coltivatori di frutta e verdura si ritrovavano, all’inizio del Novecento, per contrattare le merci e ristorarsi, dopo che il vecchio mercato del Verziere si era trasferito in questo spazio di oltre 70.000 mq. Ecco una vecchia foto del 1911 dall’archivio ACAdeMI.

 

La palazzina, progettata dall’architetto Migliorini, risale al 1908, nel periodo Liberty milanese. Nel corso degli anni, trasferito poi il mercato ortofrutticolo in via Lombroso, ha avuto diverse vite, fino a diventare il laboratorio teatrale di Dario Fo e Franca Rame, ai quali è dedicata.

 

Purtroppo le belle decorazioni Liberty della facciata sono piuttosto trascurate e questo edificio meriterebbe una maggiore attenzione per la sua bellezza e il suo passato di lavoro e cultura milanese.

 

Intorno ad essa, nel parco, ci sono bei prati, campi gioco, anche per bambini disabili, panchine e le classiche “vedovelle” dove dissetarsi.

 

A ricordare il vecchio nome di Largo Marinai d’Italia, c’è l’imponente fontana con il monumento in bronzo all’Onda Vittoria, alta sette metri, e molti elementi che richiamano i moli dei porti. Progettata nel 1967 dall’architetto Francesco Somaini non passa inosservata e con i suoi zampilli diventa uno spazio più fresco in queste calde giornate.

 

In questo parco, infine, si trova quella che, secondo noi, è una delle più belle statue contemporanee della nostra città, dedicata ai Donatori dell’AVIS, associazione nata a Milano nel 1927.

 

Un giovane ematologo, che lavorava nella nostra città, Vittorio Formentano, era stato colpito dalla morte di una giovane madre per emorragia post-partum per la quale non era stato possibile al momento trovare donatori compatibili. Grazie alla volontà e alla determinazione del giovane medico, nacque così l’AVIS per la raccolta e la donazione di sangue in modo volontario, anonimo e gratuito, senza pregiudizi ideologici e discriminazioni. La statua, in bronzo, della scultrice ungherese Eva Olah Arrè, rappresenta l’abbraccio tra un uomo e una donna, stretti in un gesto di solidarietà e di aiuto nelle difficoltà.

A presto…

La mostra di Dolce & Gabbana a Palazzo Reale

Spettacolare! Abbiamo visitato di recente “Dal Cuore alle Mani”, la mostra a Palazzo Reale dedicata alla creatività di Dolce & Gabbana, i due stilisti nati artisticamente a Milano e che ora partecipano ad alcuni restauri di questo edificio storico. Ve ne diamo un piccolo assaggio come invito per andare a visitarla prima della sua chiusura, prorogata, visto il grandissimo successo, fino al 4 agosto.

 

Dal Cuore nascono le idee e la passione per il proprio lavoro; le Mani sono lo strumento con cui prendono forma e si realizzano abiti che sono vere e proprie opere d’arte.

 

Questa mostra, che tra poco girerà il mondo, è un omaggio all’Italia, alla sua cultura, alle sue tradizioni e alle sue eccellenze, anche nel campo della moda e dell’alto artigianato tessile.

 

I costumi esposti, suddivisi in diverse sezioni, ci parlano di arte, di teatro, di musica, interpretati dalla creatività dei due stilisti; in questo percorso sono presenti anche installazioni immersive e coinvolgenti e diverse opere d’arte digitali.

 

Una sezione della mostra è dedicata alla Sicilia, terra natale sempre presente nel cuore di Dolce & Gabbana. Accanto all’indimenticabile atmosfera del Gattopardo, c’è tutto il colore e il folklore dell’isola.

 

Tutte le creazioni presenti sono realizzate da maestri artigiani: modelli, drappeggi, pizzi, passamanerie ci vengono offerti anche durante la lavorazione. Il giovedì e il venerdì pomeriggio, dalle 16 alle 18, sono infatti presenti anche i sarti della maison.

 

In questa mostra c’è spazio anche per il futuro con l’immagine di un robot accanto a una dolce damigella del passato… Il presente siamo noi, qui e ora, che vediamo quanta bellezza possa nascere dal Cuore e dalle Mani.

A presto…

Swarovski fa scintillare Palazzo Citterio

Palazzo Citterio, splendido edificio storico nel cuore di Brera, non avrebbe potuto avere un’anteprima di apertura più scintillante di questa: ospitare la mostra “Masters of Light”, organizzata da Swarovski per celebrare i quasi 130 anni del brand.

 

Questo palazzo del Diciottesimo secolo venne acquistato dallo Stato nel 1972 per ospitare l’esposizione di arte moderna della vicina Pinacoteca di Brera, ma diverse lungaggini lo hanno finora ritardato. Ora, fresco di restauro, in attesa dell’inaugurazione ufficiale prevista per il giorno di Sant’Ambrogio, offre la sua location, ricca di fascino e di classe, per mettere in luce la creatività e “saper fare” della Maison austriaca dei cristalli.

 

Una sala ricostruisce la storia della famiglia Swarovski che, con Daniel, portò la lavorazione del cristallo di Boemia ai massimi splendori anche con innovazioni tecniche.

 

Nel corso di oltre un secolo, la Maison ha collaborato con l’alta moda, lo spettacolo e il cinema.

 

Swarovski ha vestito di luce le più grandi attrici di ieri e di oggi. Come non ricordare l’abito della splendida Marilyn per il compleanno di JFK? La sua immagine resta, indimenticabile, nella storia del secolo scorso.

 

In questa mostra sono esposti alcuni abiti indossati da iconiche star impreziositi da cristalli luminosi come pietre preziose.

 

Anche gli accessori, creati da famose case di alta moda, brillano e fanno spettacolo.

 

Alcuni sembrano usciti da un libro di fiabe… e lo sono! Ecco le scarpette di cristallo create per la Cenerentola Disney del 2015 e quelle rosse, irresistibili, indossate nel “Mago di Oz”.

 

In un bel salone che presto ospiterà opere d’arte moderna, troviamo una creazione dove piovono cristalli come gocce di pioggia, quasi a celebrare la preziosità dell’acqua. Spettacolare!

 

La Swarovski crea anche gioielli con cristalli colorati, trattati come pietre preziose, quasi un mondo magico tutto luccicante.

 

Infine, entrando nel bel giardino di Palazzo Citterio, tra alberi secolari e piccoli pappagalli nascosti tra le fronde, possiamo fermarci tra i tavolini e i colorati salotti del Temporary Cafè di Carlo Cracco, gustando qualche specialità dolce o salata oppure regalandoci un buon caffè… Ed è subito vacanza!

 

Questa mostra è aperta fino al 14 luglio con ingresso gratuito (cosa rara di questi tempi!) su prenotazione. Non manchiamo!

A presto…

Fuorisalone 2024 tra piante e fiori

Milano sboccia con il Fuorisalone. Edifici storici fanno da cornice a installazioni d’autore e sembrano attraversati da una ventata di novità.

 

Come fiori recisi, alcuni luoghi, in piena fioritura nelle precedenti edizioni, ora sono un po’ appassiti o trasformati; altri, invece, entrano in questa kermesse facendo anche conoscere angoli meno noti della nostra città del secolo scorso, talora un po’ in disparte e a volte dimenticati.

 

Come api di uno sciame ci spostiamo da un luogo all’altro, da un distretto all’altro, alla ricerca di qualche “fiore” su cui posare lo sguardo. Alla Rotonda della Besana anche la Lego gioca con la natura e crea insoliti fiori.

 

Per questo Fuorisalone abbiamo scelto di guardare soprattutto le piante e i fiori che spesso accompagnano le diverse installazioni.

 

Iniziamo questo viaggio nel verde da piazza Duomo con l’Oasi Zegna inaugurata proprio per questa Design Week. Le aiuole, ancora un po’ spoglie, sono composte da piante di canfora, rododendri e piccoli fiori caratteristici dell’omonimo parco naturale delle Alpi biellesi.

 

Queste piante hanno sostituito, dopo un concorso, palme e banani che avevano fatto tanto discutere, ma che si erano, infine, bene integrati nel nuovo habitat. Si dice che verranno ripiantati altrove… Siamo sicuri sia un buon messaggio cambiare le piante dopo qualche anno, all’arrivo di un nuovo sponsor? Rispetto per l’ambiente o per il business?

 

Ben altri messaggi sono quelli di Città Miniera di Solferino 28, dove gli edifici sperimentali sono costruiti con cassette di legno e le piante viste come una risorsa per l’ambiente.

 

Scrive un vivaista che ha curato questo progetto: “Le piante hanno la capacità di adattarsi e di utilizzare un limitato quantitativo di risorse… In cambio assorbono anidride carbonica e donano ossigeno… Fissano le polveri sottili e regalano ombra e oasi di tranquillità”. Chi non vorrebbe riposare un po’ su questa panchina del giardino di Palazzo Reale?

 

Ai Giardini Cederna, davanti all’Università Statale, ci sono alcuni alberi coi tronchi vestiti a festa per sostenere la piantumazione a favore di comunità contadine.

 

Anche quest’anno molta attenzione è stata riservata alla sostenibilità ambientale come l’utilizzo di materiale di origine vegetale, come questi mattoni di canapa

 

E se la natura abbatte le piante? Ecco qualche esempio di riciclo creativo, come questi originali totem, esposti in piazza San Fedele, e realizzati, dopo il nubifragio del luglio scorso, col legno di alcuni degli alberi sradicati.

 

Infine, una miscellanea di immagini, non solo di piante e fiori, che abbiamo colto qua e là.

 

Per i romantici che hanno nostalgia della nebbia lombarda, chiudiamo con questa installazione tra acqua e nebbiolina, realizzata da Amazon all’Università Statale.

A presto…