Stupore e meraviglia guardando la Natività di Lorenzo Lotto – parte prima

Il “Capolavoro per Milano”, la tradizionale rassegna del Museo Diocesano in occasione delle Feste, quest’anno arriva da Siena ed è un’opera insolita e straordinaria di Lorenzo Lotto che ci pone davanti al mistero e alla meraviglia del Natale.

L’autore (Venezia 1480 – Loreto 1556), della cui vita non si sa molto, dipinse quest’opera nel 1525 per un committente privato e fu quindi più libero di rappresentare la “Natività” in modo originale e meno vincolato dai canoni tradizionali. L’opera è autografata; autore e data dell’opera sono infatti indicati sulla brocca in rame a destra nel dipinto.

In questo piccolo quadro (55,5 X 45,7 cm) viene dipinto il primo bagno di Gesù Bambino, il tradizionale “bagnetto” che avviene per ogni neonato dopo il parto. La scena è intima, tenera, privata: accanto a Gesù, che sta per essere immerso nella tinozza, ci sono Maria, Giuseppe e due levatrici, secondo quanto raccontato nei Vangeli apocrifi.

Non ci sono angeli nè pastori, è un momento “umano” di Gesù, col cordone ombelicale ancora attaccato (unica immagine nella storia dell’arte), ma al tempo stesso carico di simboli religiosi, come il Battesimo (l’acqua nella tinozza), la Croce (le pennellate di luce sul capo del Bambino), il panno (il Sudario della Deposizione) che la levatrice scalda vicino al fuoco.

Perchè quest’opera risulta magnetica e la guardiamo con lo stesso stupore dei pastori del presepe? Forse perchè riesce a trasmetterci il mistero e la meraviglia del Natale facendocene cogliere il senso più profondo.

Avviciniamoci a questo dipinto poco a poco. Guardiamo l’ambiente che risulta piuttosto buio (siamo di notte), ma rischiarato da due fonti luminose: il fuoco resta sullo sfondo, in secondo piano; accanto ad esso un’altra levatrice, quasi in ombra, scalda il panno in cui sarà avvolto il piccolo Gesù. In primo piano il Bambinello emana una luce intensa che illumina le persone attorno a lui; ancora una volta umano e divino insieme. Ecco come vengono messe in evidenza le due fonti luminose nell’ impianto scenografico della mostra.

Al centro un triangolo di sguardi tra i tre protagonisti: Gesù con lo sguardo rivolto alla madre, Maria, luminosa e serena, che vede “solo” suo figlio e la levatrice (identificata come Salomè o come Santa Anastasia dagli studiosi) col viso un po’ in ombra e un po’ in luce che, fissando Maria, rappresenta il dubbio di tutti noi davanti al mistero.

Come è possibile, sembra chiedersi la levatrice, che una donna sia rimasta vergine prima, durante e dopo il parto? La ragione e l’esperienza della sua professione l’avevano spinta a voler verificare tale verginità, ma le sue mani erano rimaste paralizzate (come si vede nel dipinto) e guariranno solo dopo aver toccato Gesù, quasi il primo miracolo. La levatrice ricorda un po’ San Tomaso, l’apostolo del dubbio umano davanti al mistero divino.

Sullo sfondo San Giuseppe, unico in piedi, vestito riccamente con colori sgargianti, appare a braccia aperte per accettare e accogliere come in un abbraccio la “sua” famiglia da proteggere, fedele al compito che gli è stato assegnato. Il bastone, nel gesto di stupore che gli ha fatto aprire le braccia, si è appoggiato sul suo petto.

Tra qualche giorno guarderemo Maria e Gesù Bambino, per ora un affettuoso

a presto...

Mughetto, il fiore di maggio

Buona prima giornata di maggio, mese ricco di tradizioni ed eventi da festeggiare con un fiore.

 

Tra qualche giorno la nostra città si vestirà dei fiori di Orticola (dal 9 al 12 maggio) e del Museo Diocesano (17, 18 e 19 maggio); inoltre, il Museo di Storia Naturale (fino al 12 maggio) ospita le tavole con illustrazioni botaniche di “Gardenia” per festeggiare i primi 40 anni della rivista.

 

Ci piace, quindi, iniziare questo mese parlando di un fiore che porta bene e a cui è legata la festa di oggi: il mughetto, piccolo fiore antico dall’intenso profumo che spunta libero nei boschi.

 

Lo offrivano già Celti e Romani in segno di amicizia e buona sorte; se ne adornavano le giovani spose a maggio per il giorno del loro matrimonio; si pensava persino che fosse una scala per raggiungere il Paradiso o, per lo meno, la positività con cui affrontare tempi difficili.

 

A questo fiore sono legate tante leggende che abbiamo già raccontato. Ne abbiamo trovata un’altra, molto tenera e piena di speranza. Un usignolo si era innamorato di un rondinella. Lei era un po’ ritrosa, ma una fatina buona era intervenuta e i due innamorati avevano raggiunto la felicità. Il tempo, però, era passato veloce e la rondinella doveva migrare con le sue compagne.

 

Come pegno di amore aveva lasciato all’usignolo tre piccole piume bianche che la fatina aveva trasformato in mughetto con la promessa che sarebbe rifiorito la prossima primavera, quando la rondinella avrebbe fatto ritorno dal suo innamorato.

 

Questo piccolo fiore, nel tempo, ha significato buona fortuna, anche se può essere piuttosto velenoso… Forse per tenere lontano guai e guastafeste.

 

Probabilmente lo pensava anche la fascinosa Sissi, che aveva a Venezia, nel Palazzo Correr, un piccolo boudoir dipinto con mughetti e fiordalisi, dove si faceva bella.

 

Il mondo della moda è molto legato a questo fiore. Un imprenditore, a inizio Novecento, aveva regalato dei mughetti alle sue sartine proprio il Primo Maggio, festa del Lavoro.

 

Anche il grande Christian Dior credeva fortemente nel mughetto come portafortuna. In una sfilata aveva fatto cucire qualche rametto all’interno o nell’orlo degli abiti delle indossatrici e lui stesso a volte lo portava all’occhiello come scaramanzia.

 

Non solo: negli anni Cinquanta dedicò a questo fiore diverse creazioni di abiti e gioielli, veramente molto belli e iconici.

 

Infine la maison offre ora questa idea per una colazione di maggio, bella e augurale!

 

Buon mese di Maggio a tutti!

A presto…

Moti dell’animo e gesti nell’Ultima Cena (parte prima).

Quando recentemente abbiamo ammirato il “Compianto sul Cristo morto” al Museo Diocesano, siamo stati colpiti dalle mani dei personaggi che facevano trasparire le loro emozioni. Immediatamente abbiamo pensato all’Ultima Cena che ci “prenderà per mano” guidandoci in un viaggio anche dentro di noi.

Dal Compianto all’Ultima Cena

Come può un dipinto di arte sacra del Quattrocento essere fonte di ispirazione per artisti contemporanei e parlare all’uomo di oggi?

 

Una risposta la possono dare le quattro opere esposte al Museo Diocesano che interpretano le emozioni suscitate dal Compianto di Giovanni Bellini alla luce della sensibilità dei nostri giorni.

 

In questo dialogo tra l’artista rinascimentale e quelli contemporanei, al centro ci sono i temi universali della morte, del dolore e dell’amore che riesce a superarli. Nel Compianto le mani dei personaggi che sorreggono, curano, accudiscono e quasi accarezzano la figura di Gesù prima della sepoltura, sembrano essere la risposta fatta di gesti e sentimenti, condivisa dai presenti, alla sofferenza e al mistero della morte. .

 

Qual è, invece, la risposta dell’uomo di fronte alla minaccia e al pericolo che incombe su chi si ama? Guardiamo quel microcosmo umano dei personaggi dell’Ultima Cena di Leonardo. Ancora una volta sono il linguaggio del corpo e le mani che parlano in silenzio.

 

A differenza del Compianto, in cui tutto sembra già avvenuto e dove, forse, c’è anche spazio per la speranza di una vita ultraterrena, le mani dei presenti nell’opera di Leonardo stanno cercando risposte immediate alle parole di Gesù “uno di voi mi tradirà”. Sono mani che di fronte a un messaggio tanto sconvolgente manifestano emozioni forti e diverse, nelle quali ciascuno rivela la propria u-mani-tà e ha, per così dire, il cuore in mano.

 

L’Ultima Cena è al centro di un numero tale di letture e interpretazioni (talvolta persino fantastiche) da sembrare quasi un dipinto fatto per enigmi, per farci andare oltre e poi ancora oltre. Vittorio Sgarbi sostiene che Leonardo sia il più “psicoanalitico” dei pittori. Non daremo perciò le nostre risposte ai gesti espressi nell’Ultima Cena, ma li guarderemo insieme…

 

L’Ultima Cena era un soggetto tradizionale dell’arte sacra; ecco un dipinto del Ghirlandaio, del 1480. Come è diverso dal Cenacolo leonardesco!

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Leonardo, che era anche uomo di spettacolo per la corte sforzesca, blocca la scena, come in un fermo- immagine, nell’attimo successivo alle parole di Gesù, fotografando attesa e tensione, ira e incredulità, stupore e sgomento.

 

Tutti i personaggi sono seduti a tavola, dalla stessa parte, di fronte a noi che, come gli antichi frati del refettorio, siamo gli spettatori che assistono alla scena, invitati a decodificare gli innumerevoli messaggi (più o meno evidenti) di questa sorta di escape-room.

 

All’annuncio di Gesù, come in una sapiente coreografia, i discepoli si dividono in gruppi di tre (numero sacro). In questo movimento di corpi e di mani, Gesù rimane solo al centro della scena formando un triangolo tra capo e mani e un altro, a vertice capovolto, tra Lui e Giovanni (o Maria Maddalena, se amate la teoria in questo senso).

 

Teniamo conto, a proposito delle letture a cui si presta l’Ultima Cena, che Leonardo, uomo dalla cultura non sempre tradizionale, mentre dipingeva, era “sorvegliato a vista” dal Priore delle Grazie, Vincenzo Bandello (zio del famoso Matteo Bandello), severo teologo domenicano, che verificava il rispetto dell’ortodossia nel dipinto.

 

L’artista, forse infastidito, aveva “minacciato” per scherzo di utilizzare il volto del religioso come modello per quello di Giuda. Scrive infatti Leonardo: “Vi porrò quello, di questo padre priore, c’ora mi è sì molesto, che meravigliosamente gli si confarà.“.

 

Nel prossimo articolo guarderemo insieme i gesti e le emozioni che “parlano” nell’Ultima Cena.

Oggi, 15 aprile, è il compleanno di Leonardo. Tanti auguri, Maestro!!!

A presto

Pasqua d’autore al Museo Diocesano

Quest’anno il Museo Diocesano, in occasione della Pasqua, propone come spunto di riflessione il “Compianto sul Cristo morto” di Giovanni Bellini, opera proveniente dai Musei Vaticani.

 

Questo dipinto venne realizzato verso il 1475 nell’officina veneziana dell’artista per l’altare maggiore della chiesa di San Francesco a Pesaro. L’opera era la cimasa di un altro più grande quadro dello stesso autore, “l’Incoronazione della Vergine”, dello stesso autore, che oggi si trova nel Museo Civico della città marchigiana. Ecco la ricostruzione allestita al Diocesano.

 

La Pala del Compianto non è molto grande (misura circa 1 metro per 85 centimetri) e rappresenta il momento in cui il Corpo di Cristo viene cosparso di unguenti prima di essere deposto nel Sepolcro.

 

La scena si svolge all’aperto sotto un cielo azzurro, quasi simbolo di speranza fra tanto dolore.

 

Intorno al Cristo ci sono Giuseppe d’Arimatea, Nicodemo e una giovane e bellissima Maddalena. I loro volti sono assorti e composti, gli occhi socchiusi come se tutte le lacrime ormai fossero state versate e il dolore si rivelasse ora in un gesto di amore e di estrema pietà.

 

Sappiamo dai Vangeli che Giuseppe d’Arimatea era andato da Pilato per chiedere il Corpo da deporre nel sepolcro. In questo dipinto è lui, vestito con un ricco abito rosso, che sorregge Gesù, quasi appoggiandolo al proprio corpo, tanto che il suo volto rimane seminascosto e le loro barbe sembrano confondersi.

 

Nicodemo, la figura più alta nella scena, tiene in mano un prezioso vasetto di “mirra e aloe”, balsami con i quali la Maddalena sta ungendo le ferite di Gesù. Il volto dell’uomo esprime un profondo senso di meditazione e quasi di attesa.

 

Al centro di tutta la scena ci sono il Cristo e la Maddalena. La figura di Gesù è quasi seduta, con le gambe avvolte da un lenzuolo bianco. Sul costato spicca la ferita che sembra ancora aperta.

 

La Maddalena, accanto a Lui, tiene tra le sue la mano sinistra di Gesù, in uno struggente, dolcissimo intreccio, quasi per ricevere e offrire amore e conforto.

 

Questa immagine delle mani, così ricca di pathos ci ha fatto pensare a quelle dipinte da Leonardo nell’Ultima Cena, alle diverse emozioni e al groviglio di sentimenti (rabbia, stupore, accettazione…) che riescono ad esprimere. Ne riparleremo presto.

 

In questa Pala, invece, il Sacrificio si è ormai compiuto; questo è il tempo della pietà, del Compianto (piangere insieme), dell’estremo saluto con un gesto di amore e di speranza che va oltre la morte.

 

A tutti un affettuoso augurio per una Pasqua serena.

A presto…

Nella calza della Befana 2019 troviamo… la chiesetta dei Re Magi di via Palmanova

È tempo di Epifania che tutte le feste porta via. Il magico periodo del Natale sta per terminare e si torna alla vita e ai problemi di tutti i giorni.

Abbiamo trovato nella chiesa di Santo Stefano un quadro dolcemente emblematico: la Famigliola di Betlemme, dopo l’incanto della Natività e l’accorrere di uomini buoni e semplici, è costretta, dopo poco tempo, a lasciare le proprie cose per sfuggire alla crudeltà di Erode.

L’Epifania, però, è anche tempo di Magi, figure misteriose, e secondo noi molto moderne, che ci parlano del rapporto tra Scienza e Fede (erano studiosi ai massimi livelli) e ci fanno anche riflettere sul senso della nostra vita.

Milano è da sempre legata ai Magi che l’avevano “scelta”, secondo la tradizione, come luogo dove fermarsi per sempre. I buoi che trainavano il carro con le reliquie si erano impantanati dove sorge ora la Basilica di Sant’Eustorgio, che venne eretta per custodire le spoglie dei Tre Re.

I Magi, però, avevano il cammino nel proprio destino e le loro spoglie vennero trafugate dal Barbarossa e portate a Colonia.

Infine una piccola parte delle reliquie tornò a casa, a Sant’Eustorgio, mentre altre reliquie (alcune falangi delle dita, invece) non hanno mai lasciato Brugherio, dove viveva Santa Marcellina che le aveva ricevute in dono dal fratello Sant’Ambrogio.

Sant’Eustorgio – Milano

S. Bartolomeo – Brugherio

Alcuni piccoli suggerimenti: in questi giorni è esposta, in Sant’Eustorgio, la teca con le reliquie e, nella mattina dell’Epifania si svolge il tradizionale corteo in costume (risalente al Medioevo) da piazza Duomo.

http://www.santeustorgio.it/corteo_dei_magi.html

Inoltre in questo periodo si possono ammirare due opere famose a Palazzo Marino e al Museo Diocesano.

Palazzo Marino

Museo Diocesano

Non solo: abbiamo scoperto che nella nostra città esiste un’antica chiesetta dedicata proprio ai Santi Re Magi. Si trova in una zona a Nord Est di Milano, vicino all’antico borgo di Crescenzago, in una frazione chiamata Corte Regina.

Siamo in via Palmanova, anzi, per la precisione, in via Regina Teodolinda. Dolce e severa nel suo gotico lombardo, la chiesetta ha un aspetto semplice, quasi un mattoncino rosso tra il klinker dei palazzi.

Sul portone ci accoglie una formella con Madonna e Bambino sotto una finestra circolare.

Le diverse finestrelle sulle pareti laterali ci riportano a tempi e stili diversi, così come il campanile a base romanica.

L’interno della chiesetta è altrettanto semplice: ad una sola navata, ha mattoni a vista e, sospesa, un’immagine di Cristo di grande impatto espressivo.

Una targa ci racconta la storia di questa chiesetta che fu fatta edificare nel 1352 ai tempi della Signoria di Bernabò Visconti, probabilmente su una preesistente chiesa più antica, descritta già nel XII secolo. Un’ipotesi è che sia stata voluta dalla moglie di Bernabò, Regina Della Scala, alla quale si deve anche la chiesa demolita per costruire il nostro massimo teatro che ne tramanda il nome.

Un tempo la chiesa dei Magi era dedicata alla Vergine e aveva intorno un Lazzaretto per il ricovero degli appestati, prima che fosse costruito quello di viale Tunisia a Porta Orientale.

La storia ci dice che i Borromei, in successive visite pastorali alla chiesetta di Corte Regina, vi incontrarono delle monache devote ai Re Magi. Così successivamente la chiesa fu intitolata ufficialmente ai “Santi Re Magi in Corte Regina”. Oggi il nome della chiesa viene ricordato da un moderno affresco dietro l’altare.


Questa chiesetta incontrò molti ostacoli sul suo cammino. A fine Settecento passò al Demanio, venne sconsacrata e diventò abitazione e deposito per i contadini della zona. Anche le bombe della seconda guerra mondiale contribuirono al suo declino, tanto che si parlava di abbatterla, sacrificata allo sviluppo edilizio.

Ma i Magi fecero il miracolo; la chiesetta venne donata al parroco della vicina parrocchia di San Giuseppe, che, grazie ad offerte di fedeli e benefattori, la fece restaurare, riconsacrare e riaprire il 6 gennaio 1967.

https://www.sangiuseppe.info/la-chiesa-dei-santi-re-magi/

Purtroppo è un po’ difficile visitare questo piccolo tassello della storia di Milano. Viene aperta solo il sabato pomeriggio alle 17 e nei festivi alle 9.30 per le Sante Messe. Come i Magi mettiamoci in cammino e andiamo a visitarla.

A presto…

Le foto che abbiamo scattato per voi tra artigianato e golosità

Ecco alcune immagini del piccolo itinerario raccolte passeggiando tra i banchetti del Chiostro in Fiera, al Museo Diocesano, e alla rassegna Milano-Sanremo del Gusto, alla Darsena.

La giornata è bellissima e il campanile di Sant’Eustorgio sembra saperlo mettendosi in posa nell’azzurro del cielo.

Le porte del Museo sono spalancate e il colpo d’occhio sui portici e sul prato del chiostro trasmette aria di festa.

Ecco alcune foto dei nostri quattropassi tra i banchi delle “stoffe” e delle altre creazioni artigiane.

I colori dell’autunno non sono certo grigi e tristi. Che ne dite?

I fiori dei vestiti copiano quelli della natura…

Non vi viene voglia di dire: “Sono pronta, prendo la borsa”… Ma quale?

I prodotti cosmetici naturali sembrano usciti dal calderone di Amelia, saranno magici?

Anche il gusto partecipa alla festa: preferite una tazza di tè con un racconto che dura il tempo dell’infusione (che bel regalo per l’amica English Style), o dei sapidi formaggi di qualità?

Infine una pausa al bistrot non è male.

Andando verso la Darsena siamo colpiti da un murale sotto la targa di corso di Porta Ticinese e vediamo che anche in piazza Sant’Eustorgio continua la festa.

Che dire, poi, dei negozi di fianco alla basilica? Ancora “stoffe”, fiori e golosità in locali pieni di charme.

Per chi ama la storia, ecco la lapide che ricorda il primo fonte battesimale di Mediolanum, voluto da San Barnaba, “quello” del Tredesin de Marz.

Infine raggiungiamo la Darsena dove è stato allestito il piccolo villaggio della Milano-Sanremo del Gusto.

Speravamo di assaggiare e comperare il basilico di Prà, l’aglio di Vessalico, la focaccia, i vini e i formaggi piemontesi, il buon riso di cascina lombardo o il salame d’oca di Mortara, ma…

Gli stand, secondo noi sono dedicati più alla teoria e all’informazione che alla pratica e alla gola.

Godiamoci un momento di relax nel salotto all’aperto e rifacciamoci il palato allo street food del mercato coperto appena più avanti.

Chiudiamo questo pomeriggio col tramonto sulla Darsena e quattropassi sui Navigli che si accendono di luci e di gente.

A presto!

Piccolo itinerario da cogliere al volo tra artigianato di qualità e sapori da gourmet

L’occasione che si presenta nel weekend del 7 e 8 ottobre 2017 è veramente bella e ghiotta: fare quattropassi tra Sant’Eustorgio e i Navigli per visitare Chiostro in Fiera e la rassegna Milano-Sanremo del Gusto.

La Mostra Mercato si trova nell’antico chiostro del Museo Diocesano, dove diversi artigiani esporranno le loro creazioni in tessuto, pietre e alta bigiotteria; inoltre ci saranno fiori di stagione e sapori di nicchia, anche per una pausa golosa.

http://www.museodiocesano.it

Più che un “mercato” è una festa all’aperto che si ripete durante l’anno a favore dell’attività del Museo Diocesano. L’ingresso è gratuito e può essere questa l’occasione per visitare anche il Museo Diocesano e quello di Sant’Eustorgio, con le loro raffinate opere.

Le foto di questo evento le aggiungeremo ovviamente la prossima settimana, dopo aver partecipato a questo appuntamento d’autunno e passeggiato tra i banchi.

Lasciato il chiostro, facciamo quattropassi lungo corso di Porta Ticinese per raggiungere la vicina Darsena. Che dire di quello che incontriamo in questa breve passeggiata? Passiamo accanto alla Basilica di Sant’Eustorgio, con la stella sul campanile, dando un’occhiata ai bei negozi e infine in piazza XXIV Maggio incontriamo uno degli alberi storici di Milano.

 

Ed ecco la Darsena, antico porto di Milano, oggi rimessa a nuovo.

In questo weekend vi si tiene la tappa finale della Milano-Sanremo del Gusto, in una sorta di villaggio nel quale incontrare i sopraffini, golosissimi prodotti gastronomici di Lombardia, Piemonte e Liguria.

Sarà una “corsa” a tutto sapore, tra assaggi, degustazioni, lezioni di alta gastronomia, laboratori…

Anche le foto di questo evento saranno aggiunte settimana prossima, ma i sapori e i profumi dei salumi e dei formaggi, del basilico di Prà e del delicato aglio di Vessalico, dei cocktail speciali, dei vini e degli oli DOP, del miglior gelato d’Europa, non potremo condividerli con voi. Meglio partecipare a questo evento di persona!

Un grande Slurp, pardon, Ciao a tutti!