Il Castello Sforzesco: ritorno al futuro

È una Milano in grande fermento quella che avrebbe voluto abbattere le mura del Castello, sul finire dell’Ottocento.

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Per approfondire:

http://www.cittametropolitana.mi.it/conosci_la_provincia/150anni/storia_provincia/storia_5.html

Stavano nascendo le prime industrie meccaniche, come la Breda, seguita poco dopo da Alfa, Pirelli e Falck, favorite anche dall’introduzione dell’energia elettrica.

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officine Breda

A Milano, infatti, fu realizzata la prima centrale termoelettrica europea, in via Santa Redegonda, dove oggi ci sono la Rinascente ed il cinema Odeon.

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centrale radegonda

Si andavano delineando, nella nostra città, grandi cambiamenti economici e sociali, che rendevano necessaria una ridefinizione degli spazi urbani. Nel contempo era in atto una spietata speculazione edilizia, che stava per colpire anche il Castello e quello che oggi è il Parco Sempione.

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Inoltre il grave degrado in cui versava il Castello, acquistato verso il 1890 dal Comune di Milano, lasciava spazio al desiderio di nuovo, da sempre presente nel DNA della nostra città.

parte della rokketta

Per di più il Castello, visto per secoli come una fortezza nemica in mezzo alla città, non era amato dai milanesi. Secoli di dominazioni straniere avevano lasciato il segno nella mente e nel cuore dei cittadini.

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feldmaresciallo Radetzky

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soldati austriaci durante le Cinque Giornate

Anche dopo l’avvento del Regno d’Italia, il Castello aveva continuato a servire da caserma per il Regio Esercito prima e per il corpo civico dei pompieri, poi.

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Il Sindaco di allora, socio anche di una società operante in campo edilizio, appoggiò un piano regolatore che prevedeva di smantellare una parte del Castello e degli spazi adiacenti, per realizzare un collegamento diretto tra corso Sempione e il Cordusio, con la creazione di nuovi quartieri.

Beltrami

Dello stesso parere erano anche diversi importanti personalità dell’epoca, come Cesare Correnti, che sollecitava la demolizione di quella “massa stupidamente vasta…, malinconicamente tetra”.

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“E allora, già che ci siamo, buttiamo giù anche il Duomo” con queste parole, in Consiglio Comunale, un giovane architetto, Luca Beltrami, scuote Milano.

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La sua provocazione ottiene risultati insperati: era sì necessario costruire nuovi quartieri, ma anche far prendere coscienza  alla città della propria memoria, arte e cultura.

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Il comitato civico, del quale fa parte il Beltrami, ottiene che il Castello sia dichiarato monumento nazionale; viene così salvato dalle picconate insieme a quello che oggi è il Parco Sempione, un tempo antica riserva di caccia dei Visconti e degli Sforza, e diventato una grande piazza d’armi.

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Il Sindaco deve lasciare e Beltrami entra nella nuova giunta. Può iniziare così la ricostruzione del Castello nelle mura e, soprattutto, nel cuore dei suoi concittadini.

Per approfondire:

Fai clic per accedere a 15_Studi_Ricerche_03.pdf

I testi e le informazioni  cui attingere per questa impresa di ricostruzione erano pochi. Beltrami osserva e studia altri castelli sforzeschi, come quelli di Vigevano e di Cusago.

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castello di Cusago

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castello di Vigevano

Cerca, va a caccia di tutto ciò che potrebbe servire per ricostruire il Castello. In particolare studia come poteva essere fatta la Torre del Filarete, distrutta nel corso del 1500, durante un temporale.

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L’architetto trova un dipinto di scuola leonardesca, noto come “Madonna Lia”, dal nome del collezionista, Amedeo Lia, che l’aveva acquistata.

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Sullo sfondo di questo dipinto appare un castello turrito dalle caratteristiche simili a quello Sforzesco, dal quale Beltrami trae ispirazione.

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Una sera, poi, raccontò lo stesso Beltrami, mentre era in atto un violento acquazzone, trovò riparo sotto i portici della Cascina Pozzobonelli.

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Cascina Pozzobonelli 2

Da alcuni disegni posti sotto il porticato, vide emergere dall’intonaco rovinato. l’immagine di un castello con molti particolari che lo indicavano come quello Sforzesco. Che incredibile, meraviglioso caso: la Torre era stata distrutta durante un temporale e si fa ritrovare sempre durante una “bomba d’acqua”.

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La ricostruzione della Torre apre la strada a importanti ritrovamenti e riscoperte.

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Contemporaneamente, via via, le sale ducali, coperte da intonaci e suddivise in camerate, dischiudono il loro splendore. Vengono “ritrovate” la Cappella Ducale, la Sala delle Colombine, amata da Bona, la Sala Verde e, soprattutto, la Sala delle Asse, affrescata da Leonardo. Sono restaurate la Sala del Tesoro, la Loggia di Galeazzo Maria Sforza, lo scalone, la Ponticella del Bramante, la Rocchetta.

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ponticella prima del restauro

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esterno della Rocchetta

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torre di Bona

“L’arte è di tutti” sosteneva il Beltrami e, negli anni a seguire, i milanesi fanno a gara nelle donazioni a quello che sta diventando museo a cielo aperto e raccolta di opere d’arte; tra gli altri Achille Bertarelli fece dono al Comune della sua enorme collezione di stampe e disegni, che oggi possiamo visitare al Castello.

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Achille Bertarelli

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Le pietre, cariche di storia, del Castello subiscono anche i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e molti tesori finiscono sotto le macerie.

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Anche questa prova fu superata, anzi, in pieno dopoguerra, i milanesi vollero acquistare, con una sottoscrizione pubblica, la Pietà Rondanini, ultimo capolavoro di Michelangelo.

Per saperne di più:

http://archiviostorico.corriere.it/2011/ottobre/05/1952_Pieta_Rondanini_sale_sul_co_7_111005016.shtml?refresh_ce-cp

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L’opera, rimasta incompiuta per la morte del Maestro, si trova oggi nell’antico ospedale spagnolo del Castello, restaurato in occasione di Expo.

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Questa scultura, una Deposizione così diversa dalle altre, è un abbraccio di pietra, immagine di un dolore infinito e senza fine, tra le mura del Castello.

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Il Castello ora ospita al suo interno musei e opere di straordinario valore; non solo: la rocca di un tempo è un luogo aperto alla città, con diverse iniziative, anche rivolte ai più piccoli.

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Ora il Castello è nel cuore della città; passato e presente sono davanti a noi quando alziamo gli occhi.

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La vista

Forse un’antica dama, in una sala del Castello, sta leggendo con noi Passipermilano.

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La lunga notte del Castello sotto le dominazioni straniere

Le porte del Castello, che si aprono a tradimento alle truppe francesi, spalancano la strada ad un’epoca, per Milano, di dominazioni che durerà circa 350 anni.

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Le sale che avevano visto lo sfarzo e lo splendore della vita di Corte ai tempi del Moro, diventano stalle, i tesori vengono depredati, il Castello diventa il ventre del potere che pullula di soldati nemici. Così un cronista dell’epoca, Marin Sanudo, scriveva: “in Castello esser gran sporzizie;…francesi pissano in le camere, cachano in corte e in salla“.

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Il Castello, che si apriva alla città, ora è rivolto contro di essa, per controllarla e per difendersi, anzichè difendere Milano.

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il Castello nel XVI secolo

Del breve dominio francese abbiamo due ricordi: la distruzione della Torre del Filarete ed il monumento funebre di Gaston de Foix, nipote del Re e comandante del Castello, così bello e lontano nella sua compostezza ultraterrena.

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Misteriose e intriganti sono le cause che hanno provocato il crollo della Torre, diventata, durante l’occupazione francese, armeria e deposito di esplosivi. Errore umano di un soldato, che ne causò l’esplosione, o un fulmine che la colpì durante un violento temporale nella notte di fine giugno 1521?

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“Era una notte buia e tempestosa” , direbbe Snoopy…

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Alcune voci dell’epoca, al di là delle versioni ufficiali, parlarono di una statua d’angelo decapitata e della vendetta di un artigliere svizzero, avvenuta quella notte.

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mercenario svizzero

La versione popolare sosteneva che il governatore francese di Milano, da qualche tempo non riuscisse a dormire per il cigolio che faceva la statua di San Michele in cima al campanile di San Gottardo.

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san gottardo angelo

Qualcuno gli suggerì di farla saltare, come per errore, con un colpo di bombarda.

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Fu incaricato, in cambio della libertà, un mercenario svizzero al soldo degli Sforza, detto “il Bombarda”, che era stato catturato e fatto prigioniero insieme alla sua donna. Il Bombarda sparò e San Michele fu decapitato.

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Mentre si trovava ancora sulla torre dalla quale aveva sparato, il mercenario vide, nella piazza d’Armi, la sua donna subire violenze dalla soldataglia francese.

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da “La ciociara”

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muro delle bambole a Porta Ticinese – contro la violenza sulle donne

Senza esitare, mirò di nuovo e colpì la Torre del Filarete, piena di esplosivo. Il boato fu tremendo, la Torre distrutta e 300 soldati morirono nell’esplosione. Si dice che ancora oggi ci siano 300 spiriti che vagano senza pace in piazza d’Armi, nel giorno dei Morti.

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Dei due amanti non si seppe più nulla.

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Il Castello, mutilato nella sua torre centrale, continuò la sua vita da caserma anche sotto la dominazione spagnola, ospitando fino a 3.000 soldati.

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Al suo interno: due chiese, osterie, botteghe, stalle, pollai, alloggi, cucine, mense, persino un ospedale per gli appestati (che oggi ospita la Pietà Rondanini di Michelangelo) quasi una cittadella del potere spagnolo a carico delle tasse dei milanesi.

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Pietà Rondanini – antico Ospedale spagnolo

All’esterno 3 chilometri di bastioni avevano circondato la Ghirlanda, antica fascia protettiva del Castello.

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Sono anni bui per il Castello e per Milano, con rivolte popolari e gravi pestilenze, descritte anche ne “I promessi sposi”.

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la rivolta del pane

Nel Castello è conservata ancora la lapide che ricorda la tremenda fine di Gian Giacomo Mora, presunto “untore”, torturato e ucciso con l’accusa di aver diffuso la peste.

lapide GG. Mora

Quando il Ducato di Milano venne ceduto dalla Spagna agli Asburgo d’Austria, per il Castello non cambiò molto e continuò ad essere caserma e stalla per la guarnigione austriaca, sotto lo sguardo della statua di San Giovanni Nepomuceno, suo protettore, che ancora oggi, campeggia nella piazza d’Armi.

statua san giovanni nepomuceno

La storia incontra sempre le pietre del Castello: la meteora napoleonica aveva fatto grandi progetti per Milano, tanto da prevedere anche un’impegnativa trasformazione della zona intorno al Castello. che si sarebbe trovato al centro di una grande piazza circolare, della quale ancora oggi rimane Foro Buonaparte.

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come doveva diventare il Castello

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progetto napoleonico

Foro Bonaparte

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attuale Foro Buonaparte

Mentre con una mano venivano rubate e trasportate in Francia opere d’arte, con l’altra furono costruiti edifici come l’Arco della Pace e l’Arena.

MILANO 20 Ott 2012 - ARCO DELLA PACE PRIMA DELLA CANCELLATA PROTETTIVA stella p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate - MILANO 2012-10-20 ARCO DELLA PACE PRIMA DELLA CANCELLATA PROTETTIVA ARCO DELLA PACE PRIMA DELLA CANCELLATA PROTETTIVA - fotografo: Gianluca Albertari / Fotogramma / Fotogramma arena

Una curiosità: il primo tricolore bianco, rosso e verde nacque a Milano, come stendardo militare della Legione Lombarda Cacciatori a Cavallo, un corpo di volontari a fianco di Napoleone, ed è conservato al Museo del Risorgimento di Milano.

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Caduto Napoleone, con la Restaurazione ed il ritorno degli Austriaci, il Castello riprese ad essere fortezza e prigione. Le sue segrete si riempirono, durante le Cinque Giornate, di prigionieri, i cui corpi furono trovati solo alla fine della dominazione austriaca.

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Con l’avvento del Regno d’Italia si pensò di demolire il Castello, ormai in grave stato di degrado, che era stato per troppi anni fortezza nemica dentro la città e simbolo dell’oppressione.

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il degrado del Castello

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a fine Ottocento

L’area occupata dal Castello stava per diventare preda ambita per l’espansione e la speculazione edilizia. Per l’antica dimora dei Duchi sembrava arrivata la fine, ma il Biscione, simbolo di Milano, aveva pronto l’uomo che avrebbe fatto rinascere il Castello.

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continua…

Il Castello e gli Sforza: la “Grande Bellezza”

Il Castello, sotto gli Sforza, entra nel suo periodo d’oro e diventa simbolo e immagine del Potere.

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Il passaggio del Ducato dai Visconti agli Sforza era stato malvisto da alcune delle grandi potenze europee, che vantavano diritti su Milano per via di matrimoni o di “fidanzamenti”. Anche Bianca Maria, ad esempio, era stata promessa a diversi pretendenti di illustri casate, ma il Biscione aveva preferito continuare la sua discendenza attraverso una stirpe di valorosi condottieri, veri “signori della guerra”, come Francesco Sforza.

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matrimonio tra Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti

Alla morte dell’ultimo Visconti era stata proclamata la Repubblica Ambrosiana e il Castello in parte abbattuto.

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vessillo della Repubblica Ambrosiana

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insegna della Repubblica Ambrosiana

In un clima di grande incertezza politica, Francesco strinse Milano in un assedio, come un serpente che avviluppa e stritola senza colpire.

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Milano si consegnò a Francesco; il nuovo Duca pensò subito in grande, per costruire un’immagine forte della città e di se stesso, capostipite di una casata con un blasone da legittimare.

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Mise mano agli ordinamenti statali e avviò la costruzione di grandi opere come il Naviglio della Martesana e la Ca’ Granda.

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Ca Granda

Anche il Castello subì interventi per “ornamento de la cità e sicurezza” (Francesco Sforza);  fu ampliato e rivolto verso Milano: vennero realizzate la Piazza d’Armi, le mura con le due torri circolari e quella centrale d’ingresso al Castello, nota oggi come Torre del Filarete.

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Infatti questa torre, che appare come simbolo del potere di uno solo, il Duca, che domina sul Castello e sulla città, fu progettata uno dei più famosi architetti dell’epoca, il fiorentino Antonio di Pietro Averulino, noto con lo pseudonimo di Filarete, al quale si deve anche la Ca’ Granda.

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il Filarete

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chiostro della Ca’ Granda

Il Castello divenne così famoso che persino nella lontana Russia, lo Zar pensò di rivolgersi ad architetti italiani per dare lustro al Cremlino, con mura e torri che ricordano quelle milanesi.

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il Cremlino

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il Cremlino

Alla morte di Francesco Sforza gli successe il figlio primogenito Galeazzo Maria, uomo avido e spregiudicato, che non esitò, persino, a far allontanare e, forse, avvelenare anche la propria madre Bianca Maria Visconti. Un vero serpente, degno del sangue dei Visconti!

Galeazzo M. Sforza

Galeazzo vive al Castello con la moglie Bona di Savoia. In poco tempo si arricchiscono di affreschi e decorazioni le sale, la Cappella e la Rocchetta; questa era la parte meglio difesa del Castello e sarà resa ancora più sicura con la torre cosiddetta di Bona.

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interno della Rocchetta

Bona di Savoia

Bona di Savoia

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esterno della Rocchetta e torre di Bona

Galeazzo venne ucciso sul sagrato della chiesa di Santo Stefano da alcuni congiurati, lasciando come erede, Gian Galeazzo Maria, un bambino di sette anni, sotto la reggenza della madre.

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chiesa di Santo Stefano

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Bona, però, nulla potrà contro il cognato Ludovico, ultimo figlio di Francesco, detto “il Moro”, forse per il colore scuro della carnagione, forse per aver incrementato la diffusione delle piante di gelso (dette moron in dialetto), utilizzate per nutrire i bachi da seta, importante produzione del Ducato.

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Ludovico il Moro

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piante di gelso affrescate da Leonardo nella Sala delle Asse del Castello

Ludovico, di fatto, diventerà, via via, il signore assoluto di Milano, fino ad assumere il titolo di Duca alla morte del nipote Gian Galeazzo, avvenuta a venticinque anni, a Pavia, in una sorta di “esilio dorato” in mezzo a lussuosi “divertimenti”.

Gian Galeazzo Sforza

Gian Galeazzo Sforza

Ludovico deve legittimare ancora la casata e, soprattutto, la sua usurpazione del potere a scapito del nipote: l’immagine deve quindi essere sfarzosa e di “grande bellezza”.

Il Duca porta a Milano il Rinascimento. Chiama alla sua Corte grandi artisti ai quali affida grandi progetti. Le stanze del Castello vengono affidate  a personalità come il Bramante, a cui si deve anche la Ponticella e, forse, la Sala del Tesoro, il Bramantino e, soprattutto, Leonardo da Vinci.

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Donato Bramante

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la Ponticella

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il Bramantino

(2-20) Ludovico il Moro visita Leonardo alle Grazie (1)

Leonardo da Vinci

Il Maestro creerà, per la fama del Duca, e la propria, capolavori immortali, schizzi e progetti come quelli per la mai realizzata statua equestre dedicata a Francesco Sforza.

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cavallo leonardo

A Leonardo si deve anche la decorazione della Sala delle Asse, oggi appena restaurata, dove si svolgevano i ricevimenti del Moro, sotto rami di gelso dipinti, nel cui centro si trova lo stemma ducale.

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Al Castello c’era persino una sala per il gioco della palla, la Sala della Balla, dove oggi sono esposti gli Arazzi dei Mesi.

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Si dice che in questa sala sarebbe morta Beatrice d’Este, moglie del Moro, in attesa di un figlio, dopo una notte di danze.

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La Corte, come scrive Bernardino Corio, un cronista dell’epoca, “era splendidissima,…Ludovico, sino dalle estreme parti d’Europa, aveva condotto eccellentissimi uomini. Quivi eravi scuola di greco, risplendevano la poesia, la prosa latina, quivi i maestri nello scolpire…i più famosi nella pittura.”

Bernardino Corio

Le sale del Castello ospitavano dame e cavalieri, vestiti in ricchi broccati, che si dilettavano di musica, banchetti, balli, spesso sotto la regia di Leonardo, come la festa per le nozze del giovane Duca Gian Galeazzo, con Isabella d’Aragona.

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Isabella d’Aragona (?)

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festa di nozze

Solo Beatrice, in un solo anno, sembra si fosse fatta confezionare ben ottantaquattro abiti trapuntati d’argento e perle.

Beatrice d'Este

abito rinascimentale

Tutta la Corte viveva nel lusso; persino i cavalli avevano selle trapunte d’oro e staffe dorate.

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Sotto il Moro Milano cresce ed è la città più popolosa d’Europa; ci sono nuove strade, nuovi palazzi, si fanno progetti urbanistici; l’economia è solida.

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“Sforzinda” del Filarete

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Progetto di Leonardo

(13-1) Leonardo e Ludovico il Moro presso i Navigli (1)

Leonardo e Ludovico progettano Milano

(4-4) Leonardo mostra a Ludovico Sforza dei disegni di guerra (1)

Leonardo e Ludovico progettano Milano

Nubi, però, si addensano sul Castello in questi anni.

nubi sul castello

Ludovico, mentre vive in questo sogno di magnificenza, ribalta le alleanze. Le potenze nemiche incombono: per difendersi dagli aragonesi di Napoli, alla cui dinastia apparteneva Isabella, chiama in suo aiuto i francesi di Carlo VIII, prima discesa di eserciti stranieri in Italia da secoli. Purtroppo non sarà l’unica!

Carlo VIII

Successivamente divenne Re di Francia Luigi XII, cugino di Carlo. Egli, ritenendosi il legittimo Duca di Milano, in quanto discendente da Valentina Visconti, invase il Ducato.

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Siamo nel 1494, la situazione precipita: le porte del Castello vengono aperte a tradimento dal comandante, corrotto con terre e denaro; Ludovico è catturato e condotto prigioniero in Francia, nel Castello di Loches, dove morirà.

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Ma la storia del Castello Sforzesco continua

Benvenuti al Castello, una storia lunga 650 anni

È più vecchio del Duomo, è stato amato ed odiato dai milanesi, potenziato, abbellito, distrutto e ricostruito; tra i suoi tanti abitanti Signori e soldataglia, tra i suoi visitatori turisti, scolaresche in visita e fantasmi in attesa.

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turisti verso il castello

Come si può raccontare il Castello nei suoi diversi aspetti passati e attuali senza essere come frastornati dal pensiero di Ludovico e Leonardo che camminavano per queste stanze, davanti a tutte le opere d’arte che i suoi Musei contengono, esplorando i sotterranei e le vie segrete, pensando alle vite interrotte di chi è diventato fantasma e aspetta ancora pace?

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Leonardo e Ludovico il Moro

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i sotterranei

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Michelangelo – Pietà Rondanini

L’invito è quello di lasciarsi andare, di “sentire” quello che vediamo visitando il Castello, le sue stanze, i suoi Musei, i suoi angoli carichi di arte, storia, aneddoti e suggestioni.

Quattro passi nel tempo: i Visconti

Facciamo quattro passi nella storia di questo Castello, così da leggere sulle pietre, che lo formano, un po’ di vita passata della città nella quale viviamo e lavoriamo adesso.

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I Visconti, un po’ serpenti, un po’ baüscia

Il Castello Sforzesco, uno dei luoghi-cartolina di Milano, non è sempre stato così e ha cambiato persino il nome.

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L’inizio della sua costruzione, dovuta all’amore per il potere che animava i membri della famiglia Visconti, risale alla seconda metà del 1300. Alla morte dello zio, Giovanni Visconti, arcivescovo e Signore di Milano, i suoi tre nipoti dovevano spartirsi il potere: Galeazzo e Bernabò si allearono tra loro uccidendo il fratello Matteo; poi si divisero potere e città.

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Giovanni

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Galeazzo II

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Bernabò

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Matteo

A Bernabò toccò la parte sud, a Galeazzo l’altra e, per difenderla, iniziò la costruzione di una fortezza a cavallo delle mura con la duplice funzione di consentire difesa e protezione di Milano e di garantire una eventuale via di fuga dalla città…e di se stesso dal fratello.

Questa rocca prese il nome di Castrum Portae Jovis, in quanto inglobava una porta, o meglio una pusterla, chiamata Giovia. Pertanto ancora oggi ci si riferisce al primo nucleo di quello che diventerà il Castello Sforzesco, come Castello di Porta Giovia.

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Secondo alcune versioni nelle vicinanze di questa rocca sorgeva, in epoca romana, un tempio dedicato a Giove. Proverrà da questo tempio la testa monumentale del dio, conservata al Museo Archeologico e ritrovata nei dintorni di piazza Cadorna?

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Stemma della famiglia Visconti è il Biscione, immagine talmente presente nel DNA di Milano da essere stata, per così dire, “adottata” da alcuni gioielli della città, come l’Alfa Romeo, Canale 5 e… l’Inter! (Anche nel nostro blog ci suddividiamo il tifo calcistico tra Biscione e Diavolo).

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Il significato del Biscione dei Visconti è molto controverso e ovviamente… misterioso. Forse risale all’impresa leggendaria di un cavaliere, divenuto capostipite della famiglia viscontea, che liberò le terre padane da Tarantasio, un enorme serpente dalla testa di drago, che infestava il Lago Gerundo e faceva strage soprattutto di bambini.

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drago Tarantasio

Il cavaliere uccise il serpente, che stava inghiottendo un bambino, e fece di questa impresa lo stemma della sua famiglia.

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La storia dei parenti-serpenti della famiglia Visconti fece molte altre vittime. Bernabò venne incarcerato a vita e avvelenato dal nipote Gian Galeazzo, che era anche suo genero, nel Castello di Trezzo.

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Gian Galeazzo

Bernabò è riuscito però a tornare da vincitore nel Castello Sforzesco: suo è il monumentale mausoleo, dove è raffigurato a cavallo, che ci accoglie nelle sale del Museo d’Arte Antica, dove è stato traslato dalla demolita chiesa di San Giovanni in Conca.

mausoleo bernabo

Milano era a quel tempo una città molto ricca: le marcite permettevano una raccolta di fieno due mesi prima di quella naturale, questo consentiva alla cavalleria viscontea di avere “carburante” per i cavalli in anticipo sugli altri e alle mucche di produrre più latte e quindi più alimenti per gli abitanti.

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erba e neve – una “marcita”

Cavalleria

L’industria bellica, fatta di armorari e di spadari, era fiorente. Il tutto produceva denaro, il denaro banche, le banche ulteriore ricchezza.

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Gian Galeazzo, con queste ricchezze, comprò, per centomila fiorini d’oro, il titolo di Duca di Milano dall’Imperatore e il Biscione si mise in testa la corona.

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incoronazione di Gian Galeazzo in Sant’Ambrogio

Biscione

Forse è un po’ il capostipite dei baüscia milanesi: dopo essersi comprato il titolo, voleva crearsi uno status di signore e mostrare, agli altri potenti, la ricchezza accumulata.

Per dare lustro ed immagine al nuovo blasone iniziò la costruzione del Duomo, in marmo pregiato.

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cave di marmo di Candoglia

data di inizio del Duomo

lapide commemorativa nel Duomo

Intraprese anche una politica di alleanze matrimoniali, dando, tra l’altro, in sposa la figlia Valentina a Luigi d’Orleans, accompagnata da una dote sontuosa di denaro e gioielli.

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Luigi

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Valentina

Milano era infatti all’avanguardia anche nel campo della gioielleria, come ci conferma l’Altare d’Oro di Sant’Ambrogio.

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altare d'oro

Al momento della morte, Gian Galeazzo controllava un territorio vastissimo, da Belluno ad Asti, da Bellinzona a Pisa, da Siena ad Assisi; forse la sua intenzione era quella di unire la penisola, o almeno il Nord Italia, in un’unica monarchiacartina ducato

Per mostrare una corte degna del casato, sotto i successori di Gian Galeazzo, il Castello di Porta Giovia venne ampliato in forma quadrata, con lati di circa duecento metri e una torre ad ogni angolo. Filippo Maria, figlio di Gian Galeazzo, divenuto Duca alla morte del fratello maggiore, vi trasferì in modo definitivo la propria residenza.

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Filippo Maria

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Alla sua morte, senza eredi maschi, venne proclamata la Repubblica Ambrosiana e il Castello, ritenuto simbolo della passata tirannia, fu saccheggiato e in parte distrutto. La città, dopo un assedio, si consegnò a Francesco Sforza, valoroso capitano di ventura, marito di Bianca Maria Visconti, figlia dell’ultimo Duca, Filippo Maria.

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Francesco Sforza

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Bianca Maria

Siamo nel 1450, l’Aquila si affianca al Biscione. Il capostipite della nuova casata ricostruirà il Castello, dandogli nome, lustro e fama.

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stemma degli Sforza

continua…

Mille passi da piazza Mercanti al Castello

C’è molta storia di Milano in questi mille passi tra piazza Mercanti ed il Castello, dall’epoca comunale all’Expo Gate.

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L’amata cinghialessa di Belisama è ancora là, sul colonnato di piazza Mercanti, e ci riporta alle origini della nostra città, quando Belloveso fondò Milano dove gli era apparsa una scrofa semilanuta.

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L’arte pop contemporanea non si è dimenticata di lei e le ha rifatto un po’ il look con…Ago, Filo e Nodo per cucire passato e presente, come si può vedere nella mostra tictig, che riaprirà a breve.

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“Ago, Filo e Nodo” di Oldengurg, in piazza Cadorna

Piazza Mercanti è un “gioiello di famiglia” un po’ troppo trascurato. A due passi dal Duomo, è piuttosto maltenuto, eppure qui, secondo noi, c’è stata tutta la forza della nostra città.

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Distrutta dal Barbarossa, era riuscita a riprendersi e si era data un nuovo palazzo della Ragione, iniziato nel 1233; qui era il cuore della vita civile di Milano, al primo piano c’era il Podestà con a fianco due Giudici che “rendevano ragione” nelle cause civili e penali. Loro simboli erano il cavallo ed il gallo per indicare la sveltezza e la vigilanza che dovevano avere nei processi; non ci sono più gli animali di una volta!

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Qui si adunavano i cittadini, ascoltavano i proclami letti dalla Parlera, lo storico balcone che ancora oggi vediamo nella Loggia degli Osii.

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Sotto il colonnato si riunivano mercanti e banchieri per trattare affari e creare lavoro e ricchezza. Le loro capacità erano note e apprezzate in tutta Europa.

http://palazzodellaragionefotografia.it/palazzo-della-ragione/

La piazza subì grandi cambiamenti: dapprima chiusa, venne aperto un collegamento verso il Duomo e verso piazza Cordusio, l’odierna via Mercanti.

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Ma lo spirito del lavoro non se ne andò mai: pensiamo che nella Loggia degli Osii, all’inizio del Novecento, c’era un grande negozio tessile e, nel primo dopoguerra, La Rinascente fece un deposito per le proprie merci accanto al Palazzo della Ragione.

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Sul lato della piazza il barocco Palazzo dei Giureconsulti, dominato dalla Torre dell’Orologio (il tempo è denaro…), ospita ora la Camera di Commercio.

Sopra il palazzo svetta la Torre Civica con la campana che segnalava l'ora del coprifuoco e gli eventuali incendi

Un altro simbolo di Milano, Sant’Ambrogio, posto in una nicchia alla base della Torre, benedice i passanti. È una statua un po’ transgender: rimaneggiata più volte nel corso della storia, il corpo ha forme femminili (inizialmente era la statua della Giustizia) mentre il viso è maschile. I milanesi DOC lo chiamano affettuosamente “el Sant’Ambroeus cont i tett”.

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Proseguiamo verso piazza Cordusio. L’antico conglomerato di vie e viuzze (contrada dei Fustagnari, del Gallo, delle Galline) è sparito. Ora su piazza Cordusio (da Curia Ducis, di epoca longobarda) si aprono ben sei vie: è uno snodo complicato da percorsi di tram e isole pedonali, come un lago in cui si immettono tanti torrenti.

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Molto trafficata lo è sempre stata. Al centro del crocicchio c’era la statua di San Carlo, fatta trasferire in piazza Borromeo da un governatore austriaco la cui carrozza aveva sbattuto contro.

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Al centro di piazza Cordusio, dal 1899, c’è il monumento a Giuseppe Parini.

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E siamo in via Dante: venne inaugurata il 29 settembre 1891, dopo che erano state abbattute le piccole costruzioni esistenti e costruiti palazzi di diversi, ma armonici, stili.

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I palazzi umbertini, di uguale altezza, sono come quinte di pietra che delimitano via Dante, in un lungo viale che conduce al Castello.

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Bei negozi di marche famose, bar con piacevoli dehors, bistrot si succedono in questa larga via sulla quale si apre di sbieco la famosa via Rovello.

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Da diverso tempo isola pedonale, via Dante offre la splendida vista del Castello Sforzesco, ora, per la verità, un po’ nascosta dagli Expo Gate; ma Milano è fatta così: passato e presente crescono insieme.

expo gate e castello.

Attraversiamo un’altra trafficata piazza, largo Cairoli, al centro della quale il monumento equestre a Garibaldi fa da rotonda. Lo scultore è il palermitano Ettore Ximenes, unico nome nella toponomastica milanese che inizi con la X.

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Davanti al Castello ci accoglie la cosiddetta “Torta di spus”, la bella fontana. ripristinata di recente, che ricorda una torta nuziale.

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fontana degli sposi

Ed eccoci di fronte ad uno dei più importanti e imponenti monumenti cittadini, dal fascino antico, anche se in parte frutto di una ricostruzione: il Castello Sforzesco, che ha attraversato con Milano secoli di storia. periodi di luce e di ombre.

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San Giovanni in Conca, il “dente rotto” di piazza Missori – (dove)

Lo chiamano il “dente rotto”.

dente rotto

A ridurre così la chiesa di San Giovanni in Conca non sono stati i vandali o i bombardamenti dell’ultima guerra, bensì i cazzotti che ha preso dai progetti urbanistici che avrebbero voluto demolirla per realizzare ampie strade nel centro cittadino…riuscendoci quasi del tutto.

dente rotto

Sembra quasi che il cavallo del monumento di piazza Missori, senta tutto il peso e la stanchezza, non solo delle battaglie risorgimentali, ma anche dei mutevoli voleri che hanno continuamente cambiato faccia a questa piazza.

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la statua “el caval de brum”

Fortunatamente si è salvata, sotto il “dente”, la cripta dove ci sono radici romane e, probabilmente, quelle di un Mitreo, un luogo di culto sotterraneo dedicato al dio persiano Mitra.

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Anche il termine “conca” potrebbe far pensare a un avvallamento primitivo del terreno, una conca appunto, e questo potrebbe confermare l’ipotesi di un antichissimo Mitreo.

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https://www.youtube.com/watch?v=Xbe0OjxXYOA

Ancora oggi è visitabile, grazie ai volontari del TCI, la cripta romanica della chiesa, che contiene alcuni reperti di una Domus romana; altri sono conservati al Civico Museo Archeologico, come il bel pavimento decorato a mosaico con animali.

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La nostra chiesa sorse quindi sopra precedenti edifici e fu molto grande e importante: infatti serviva anche, nel primo periodo comunale, per le assemblee del popolo, che si tenevano preferibilmente in luoghi sacri e coperti.

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Ma le continue scosse del terremoto, che sconvolse per quaranta giorni Milano nel 1107, fecero ritenere più prudente riunirsi all’aperto, nei diversi, successivi Broletti.

Palazzo della Ragione con successivo sopralzo austrico

Broletto Nuovo di piazza Mercanti

 

San Giovanni in Conca fu una chiesa molto importante anche sotto l’aspetto religioso e politico. Venne dedicata a San Giovanni Evangelista che, secondo la tradizione, fu gettato in una conca piena di olio bollente, che però venne raffreddato da un improvviso, violento acquazzone, tanto che il Santo potè uscirne illeso. Da qui l’uso, che ricorda un po’ quello dell’acqua a San Calimero, di far bollire sul sagrato pentoloni di olio per propiziare la pioggia nei periodi di siccità.

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Questa chiesa ricoprì anche un importante ruolo ai tempi di Bernabò Visconti, Signore di Milano. Quando, verso la metà del 1300, si spartì la città col fratello, a Bernabò toccò la parte sud-est con l’intero sestiere di Porta Romana.

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Bernabò Visconti

Bernabò elesse la chiesa a cappella gentilizia, essendo molto vicina al suo palazzo, che divenne famoso col nome di Ca’ di Can (nel prossimo “Tanto Tempo Fa” racconteremo delle due passioni del Signore: le donne e i…cani).

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la chiesa e, a destra, la Ca’ di Can

All’interno della chiesa fece porre il proprio monumento funebre equestre, che oggi possiamo ammirare al Castello Sforzesco, proprio accanto all’altare, in quanto Bernabò si riteneva: “Papa et Imperator ac Dominus in omnibus terris meis”...un tantino bauscia!!

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Il nostro bel San Giovanni, poi, non fu risparmiato dagli interventi umani: dopo vari rifacimenti minori, venne sconsacrato e spogliato dei vari, preziosi arredi da Napoleone; il suo campanile fu utilizzato dal medico Pietro Moscati come osservatorio astronomico e meteorologico, per studiare gli effetti delle condizioni ambientali sulla salute. Il suo ritratto è conservato nella Quadreria dei Benefattori della Ca’ Granda di via Francesco Sforza.

campanile demolendo

moscati pietro

Divenne quindi prigione e poi “garage” per le carrozze del Vicerè austriaco, distrutte poi durante le Cinque Giornate.

carrozza 5 giorn

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A ridurlo un dente rotto, furono poi, come già detto, i piani regolatori di fine Ottocento e e di metà del Novecento; la chiesa venne dapprima accorciata, per aprire l’attuale via Mazzini, e venduta alla comunità Valdese.

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S Giovanni in conca 1925

cartina

valdese corta

Nei primi anni Cinquanta, infine, fu deciso di abbatterla per aprire la via Albricci.

lavori per aprire via Carlo Alberto da piazza Missori demolizione S Giiovanni 1949

La facciata fu smontata e rimontata sulla nuova chiesa Valdese di via Francesco Sforza (dove si trova tuttora), mentre di San Giovanni si sono salvati solo la cripta sotterranea, l’unico esempio di cripta romanica originale esistente a Milano, e i pochi resti dell’abside, che vediamo nello spartitraffico.

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https://www.youtube.com/watch?v=Z-AwIwQ_ozY

E ora il “dente” è lì, carico di storia, in mezzo ai tram di piazza Missori.

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Ma se scendete nella sua cripta vi sembrerà di entrare in un altro mondo.

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Apertura dal martedì al sabato dalle 9.30 alle 17.30. Ingresso gratuito.

http://www.apertipervoi.it

La storia di Bianca Maria di Challant – (tanto tempo fa)

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Si chiamava Bianca Maria  Scapardone, nacque a Casale Monferrato verso l’inizio del Cinquecento, bellissima figlia di un ricco uomo d’affari e di una nobildonna di Alessandria. Giovanissima venne fatta sposare a Milano ad Ermes Visconti, ricchissimo, ma molto, molto più anziano. Poco tempo dopo il marito venne condannato a morte per cospirazione e la giovane donna ne ereditò le ingenti sostanze. Si trovò libera, ricca, giovane e bellissima; ebbe molti “fidanzati”,  si risposò con l’aristocratico valdostano Renato di Challant e  con lui visse per breve tempo nel Castello di Issogne.  Abbandonò presto il marito, secondo alcune fonti perchè questi parteggiava per il Re di Francia nel conflitto contro Milano, mentre lei era contraria a questa guerra contro la sua città adottiva; si trasferì a Pavia, considerata una città molto “vivace”. Qui ebbe numerosi amanti e iniziò un rapporto molto burrascoso con un nobile, un certo Ardizzino, che alla fine lasciò. Costui, non accettando la fine della loro storia, si vendicò facendola oggetto di voci infamanti.

Bianca Maria, per vendicare gli affronti subiti, indusse l’ultimo dei suoi amanti ad uccidere Ardizzino e a portarle il sangue come prova. Venne scoperta dopo che le sue due cameriere, torturate, una delle quali a morte, confessarono le colpe della padrona. Il 20 ottobre del 1526, infine, Bianca Maria fu decapitata nella torre del Castello Sforzesco.

La sua storia ha ispirato diversi artisti. Matteo Bandello, che l’aveva conosciuta di persona, scrisse una Novella sulla sua storia; Giuseppe Giacosa, molto tempo dopo, un dramma, “la Signora di Challant”, interpretato anche da Eleonora Duse.

Infine l’esecuzione di Bianca Maria fu ritratta da Bernardino Luini, che avrebbe assistito all’esecuzione, nella chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore, a Milano, per raffigurare il Martirio di Santa Caterina di Alessandria; secondo altre versioni, invece, Bernardino Luini la ritrasse come Santa Lucia, nella stessa chiesa. Pertanto, come afferma Matteo Bandello: “chi bramasse di vedere il suo volto ritratto dal vivo, vada nella chiesa del Monastero Maggiore, e là dentro la vedrà dipinta” 

 

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Martirio di Santa Caterina di Alessandria

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Santa Lucia (a destra)

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Santa Lucia – particolare del viso

Passate da quella chiesa e non dimenticate la storia di Bianca Maria.

Il Fantasma del Castello: Bianca Maria di Challant – (raccontaMI)

 

“Who wants to live forever” (Queen)

 

_Tra poco Antares sorgerà prima del Sole! Il tempo sarà senza tempo…È la Festa di Samhain. Le genti celebreranno lo sciogliersi dell’estate nelle brume invernali. In questa notte i morti incontreranno i vivi….

Perchè quel pianto disperato dal Castello Sforzesco laggiù? Donna, che avviene? Chi sei?

_O divina Belisama! Io fui Bianca Maria, contessa di Challant. Fui signora e donna. Mi fecero sposare a quindici anni con un uomo molto più anziano di me e venni a Milano; rimasi vedova, ma non sola nel mio letto. mi risposai col Conte di Challant e andai a vivere a Issogne, nella bella Valle d’Aosta. Cercavo serenità e pace, ma anche lì ero spesso sola; fuggii a Pavia; ero giovane, ricca, bellissima…quanto si paga la libertà di vivere!.  Ebbi molti amanti, ma uno mi derise. Lo feci uccidere e pretesi di vedere il suo sangue; perciò fui condannata a morte e decapitata in questo castello. Una lama, un attimo, il boia e divenni eterna…Ogni anno in ottobre rivivo il mio dramma: bevo il sangue del mio amante e la mia testa rotola dal corpo. Non c’è pace per me!  Vago disperata attorno a questo Castello… Non ho dimenticato tuttavia i miei giorni al Castello di Issogne. Se passate di lì nelle calde notti d’estate potreste incontrarmi e, se chi mi vede non fugge atterrito, sorrido e  lo sfioro con un bacio. 

 

Fossato del Castello Sforzesco di Milano

Fossato del Castello Sforzesco di Milano

I luoghi dove ritorno

I luoghi dove ritorno

Castello di Issogne - Fontana del Melograno

Castello di Issogne – Fontana del Melograno