La chiesa di San Celso: un antico seme di fede, arte e vita milanese

È stata la bella mostra “Portraits” di Francesco Diluca, a farci rivisitare la chiesa di San Celso, in corso Italia. Nell’austero spazio di questa basilica, infatti, erano “presenti” una trentina di figure realizzate in filo di ferro, rame e oro zecchino.

In queste sculture l’uomo sembra nascere da radici; farfalle, foglie e fiori diventano organi, pelle, nuova vita in un richiamo all’energia vitale della natura.

Sono immagini piuttosto forti, che spiccano, ancora di più, nello spazio vuoto e spoglio di questa chiesa, diventata, dopo i restauri, quasi una galleria d’arte.

San Celso è antichissima e, nel corso dei secoli, ha cambiato più volte aspetto. Non è facile ricostruire come fosse in origine; ha, invece, una lunga storia di leggende, fede, miracoli come fosse un seme che, piantato da Sant’Ambrogio, ha fatto crescere nel tempo fiori e frutti.

Andiamo dunque un po’ a scavare nella storia, o per chi preferisce, nella leggenda. Il 10 maggio del 395 (o 396), Ambrogio, già Vescovo di Milano, ispirato da un segno divino, trovò in questa zona i corpi dei Santi Nazaro e Celso, che avevano subito il martirio nella nostra città, sembra, nel I secolo d.C.

Questo miracoloso ritrovamento, da parte di Sant’Ambrogio, era avvenuto in un periodo di lotte teologiche tra cristiani e ariani, questi ultimi sostenuti dall’Imperatrice Giustina.
Il Vescovo diede quindi alle reliquie dei martiri una grandissima importanza come simbolo di estremo sacrificio per la fede. Sempre seguendo segnali divini, ritrovò anche i corpi di Gervaso e Protaso, che ora gli si trovano accanto nella cripta della sua basilica.

 

Le reliquie di San Nazaro riposano nella basilica a lui dedicata a Porta Romana, una delle quattro volute da Sant’Ambrogio.

Il corpo di San Celso, invece, venne ospitato in una chiesetta della quale sappiamo poco e che si trovava dove ora sorge la chiesa attuale. Sul luogo del ritrovamento, invece, venne fatto costruire da Sant’Ambrogio un piccolo muro (forse una stele o una piccola edicola) con l’immagine della Madonna col Bambino, molto venerata dai fedeli e protetta, visto che probabilmente si trovava all’aperto, da un velo.

Se le notizie riguardanti la prima chiesetta sono piuttosto scarse, sappiamo invece che nel X secolo l’Arcivescovo Landolfo da Carcano fece ampliare la chiesa di San Celso che divenne a tre navate con la facciata in stile romanico. Accanto ad essa fece costruire il bellissimo campanile, uno dei più antichi di Milano, che vediamo ancora oggi.

È conosciuto come “campanile dei sospiri” perchè il suono delle sue campane ha raccolto le speranze e le emozioni delle giovani spose milanesi che per secoli qui portavano il loro bouquet per ottenere la benedizione delle proprie nozze. Oggi questo campanile è visitabile con visita guidata.

Il 30 dicembre 1485 avvenne un miracolo. Durante una terribile pestilenza, mentre i fedeli erano riuniti in preghiera, una donna, Caterina Galanti, scorse una luce provenire dal dipinto. Tutti i fedeli, poi, videro due angeli scostare il velo e la Madonna sporgersi per benedire i presenti. Il giorno successivo la peste cominciò a calare. La notizia del miracolo si diffuse e grandi folle giunsero per pregare la Madonna. Con le offerte raccolte si iniziò la costruzione del grande santuario, Santa Maria dei Miracoli presso San Celso.

Erano, e sono, due chiese affiancate. San Celso, poi, che aveva accanto un monastero benedettino, venne rifatta una prima volta a metà del XVII secolo in stile barocco. Due secoli dopo venne rimpicciolita e accorciata creando un cortile antistante dove sono inseriti reperti di epoche diverse.

Nella facciata, rifatta in stile romanico da Luigi Canonica a metà Ottocento, sono stati inseriti il portale originale, sul quale appare un bell’affresco del XVII secolo, il rosone e gli architravi sopra le porte, risalenti, pare, al XII secolo.

L’interno è spoglio e austero. Nella grande abside semicircolare come altare c’è un sarcofago che un tempo aveva contenuto le spoglie di San Celso, ora nella chiesa adiacente di Santa Maria.

Notevoli sono l’acquasantiera in pietra e, soprattutto, la Madonna con Bambino risalente al XI secolo.

Il nostro breve itinerario continuerà andando a visitare l’adiacente chiesa di Santa Maria dei Miracoli che, con San Celso, rappresenta uno dei luoghi più venerati e artisticamente interessanti della nostra città. Il seme gettato da Sant’Ambrogio secoli fa è ancora vivo.

A presto…

Il CAI per Milano: il Sentiero 101

Ecco una proposta insolita per conoscere la nostra città percorrendo un “sentiero urbano”, primo in Italia e tra i pochi in Europa. Inaugurato recentemente dal CAI – Club Alpino Italiano, unisce centro storico e periferia, collegando piazza Duomo al Monte Stella (la “montagnetta di San Siro”).

Viene indicato dal CAI come “sentiero 101”, ma la segnaletica è ancora carente e sarà completata entro la fine dell’anno. Per ora buona caccia!

All’Infopoint di piazza Duomo, al quale abbiamo chiesto notizie di questo nuovo sentiero, erano, ahimè, un po’ in difficoltà. Il CAI Milano, però, ci ha fornito gentilmente notizie e materiale scaricabile dal sito.

Questa iniziativa è troppo bella per non essere subito vissuta. Percorrere un “sentiero” di 9,5 chilometri, attraversare piazze, tre parchi, strade e grattacieli, guardando le diverse facce della nostra città sono passipermilano da fare subito, quando l’autunno veste di colori la vegetazione, non si soffre troppo il caldo e si ha voglia di passeggiare sentendosi ancora un po’ in vacanza.

Ecco in dettaglio il percorso del “sentiero 101 – MilanoInCima”, che sarà in seguito contrassegnato dagli appositi segnavia bianchi e rossi del CAI. Per ora affrontiamolo seguendo la mappa e il percorso segnalati dal Club Alpino.

Alla fine del percorso, arrivati al Monte Stella possiamo sostare un momento nel Giardino dei Giusti, dedicato a chi ha saputo mantenere la strada della propria umanità di fronte alle barbarie e alle ingiustizie.

Siamo pronti? Di corsa o camminando, zainetto in spalla, scarpe comode, bottiglietta d’acqua a portata di mano, facciamo una gita in montagna… pur restando in città. Buona passeggiata a tutti!

A presto…

Quattropassi nel Liberty: ancora la zona Magenta

L’ampia zona appena a nord di corso Magenta è una delle più ricche di edifici Liberty, eleganti pur nelle scelte architettoniche ardite, come l’ asimmetria e le facciate dipinte e molto decorate.

Tutti questi gli edifici, costruiti tra gli inizi del Novecento e il 1914, sembrano proporsi in una sfilata fatta per colpire chi guarda anche nei particolari di pregio come portoni, cancelli e androni.

In questi nostri quattropassi troviamo un altro tassello per capire il carattere della nostra città, che ha sempre cercato di vivere il suo tempo, senza invecchiare cristallizzata nel passato. Ecco un esempio di Liberty 2021, un bellissimo murale ispirato a Gaudì, apparso da poco su una parete dello stabile al numero 111 di corso di Porta Romana.

Tornando alla zona Magenta, lasciamo a chi lo vorrà il piacere di scoprire i particolari delle belle case di queste vie. Ecco alcuni suggerimenti.

via Mascheroni 19 – casa Berni (o Palazzo Troubetzkoy)

In via Ariosto ci troviamo immersi quasi in una rivista di architettura Liberty, ricca di atmosfera. Sfogliamo le diverse pagine: al numero 21 fermiamoci davanti a Casa Cavalli – Agostoni (1908), dove figure di donna, le quattro Stagioni, danno movimento tra decorazioni floreali e ferri battuti.

Altre case, ricche di elementi Liberty di grande impatto si trovano ai numeri 8, 10, 22, 24, 32 e 34 della stessa via. In particolare al numero 32 è interessante il contrasto tra le figure maschili della parte superiore (appena sotto il tetto) e la severità di quella inferiore.

Diversi palazzi hanno avuto un medesimo costruttore, ma architetti diversi. Uno di questi edifici si trova in via Tasso 8, fatto realizzare da Enrico Donzelli con l’architetto Zanoni (1912). Presenta linee semplici ma, improvvisamente, si è attratti dal busto di Torquato Tasso che sovrasta i suoi Armida e Tancredi “usciti” dalla Gerusalemme liberata.

Dello stesso costruttore sono anche le case di via Gioberti 1 e di via Revere 7, quest’ultima realizzata dall’architetto Ulisse Stacchini, che sarà poi l’autore della stazione Centrale. I bei balconi in ferro battuto sono del Maestro Mazzucotelli.

Sempre in via Revere, al numero 15, si trova la casa Castelli-Croff, che sembra quasi un’esposizione delle varie decorazioni Liberty.

Ed ora spostiamoci in via Mascheroni dove ci sono diversi edifici molto particolari. Al numero 18 colpisce l’assoluta asimmetria della facciata di Casa Carugati-Felisari (1908) quasi severa nelle sue linee.

casa Carugati Felisari

Completamente diverse sono al numero 20 Casa Tenca (1914) e di fronte, al numero 19, Casa Berni (o Palazzo Troubetzkoy) , imponente e mossa da un gioco di bovindi, come si può vedere nella foto più in alto.

Per riposare un momento, raggiunta piazza Tommaseo, fermiamoci in uno dei Giardini delle Donne, dedicato a Renata Tebaldi.

Di fronte a noi c’è la chiesa di Santa Maria Segreta, quasi “fotocopiata in 3D” dagli abitanti del Cordusio dopo che quella medievale era stata abbattuta per costruire il nuovo palazzo delle Poste.

Qui è conservata la statua del vecchio Angelo meteorologo che favoriva l’arrivo del caldo o del freddo. Forse potremmo chiedergli di intervenire in queste giornate di ritorno in città.

A presto…

Quattropassi nel Liberty: la zona Magenta

Il nostro viaggio nella Milano Liberty è iniziato dal Trianon dove è nata la “Mia bela Madunina”; poi, con un vecchio tram dell’epoca, ci siamo “recati” al quartiere dell’Umanitaria di via Solari, realizzato in occasione di Expo 1906, esempio un po’ sconosciuto di edilizia popolare dal sapore Liberty.

L’elegante signora di questa cartolina del 1906 ci “guiderà”, invece, a visitare una delle zone più belle e interessanti della nostra città, ricca di palazzi nello stile che aveva affascinato la borghesia dell’epoca: la zona Magenta.

Passeggiando in questa zona residenziale, tranquilla e riservata, con poca vocazione commerciale, ci troviamo immersi in una rivista di architettura Liberty.

L’intraprendente borghesia milanese di allora, volendo mostrare la propria ascesa economica e sociale, aveva visto in questo stile internazionale una ventata di novità e di apertura alle esperienze europee. Gli architetti più in vista del momento avevano sperimentato una grande libertà compositiva fatta per essere guardata e dare prestigio a chi vi abitava.

Tra queste strade, disegnate in modo ordinato e con ampie visuali, a volte appaiono sullo sfondo i grattacieli di CityLife. Ancora una volta, possiamo cogliere i contrasti, talvolta stridenti, della nostra città tutta da guardare e capire.

Iniziamo il nostro percorso dalla Casa Laugier (1906) alla fine di corso Magenta angolo piazzale Baracca, quasi una porta tra centro storico e nuovo quartiere.

Questo imponente palazzo d’angolo è ricco di decorazioni Liberty: decori in cemento, splendidi ferri battuti del Maestro Mazzucotelli, ceramiche di pregio. Al piano nobile teste di leone in cemento sembrano indicare prestigio e potenza.

 

Come altri edifici Liberty, Casa Laugier prevedeva negozi al piano terre. Non perdiamoci, dunque, la farmacia Santa Teresa, che mantiene intatto il fascino del tempo con l’insegna originale e gli interni in vetro e legno lucido.

La nostra passeggiata continua verso piazza Conciliazione, dove, al numero 1, troviamo Casa Binda (1900), considerata uno dei migliori esempi di Liberty di rito ambrosiano, dal momento che questo stile assunse caratteristiche un po’ diverse da nazione a nazione e a volte da città a città.

Il palazzo è molto grande, ma il volume è reso più mosso dalle curvature e dall’utilizzo di materiali diversi, tra cui il cotto, antico colore della nostra città. Decorazioni floreali in cemento e ferro battuto completano la facciata.

L’interno è spettacolare: ferri battuti, vetrate, colonne, soffitti a cassettoni.

Infine un’occhiata all’ascensore dell’epoca, ancora perfettamente funzionante: all’interno sembra un salottino Liberty con sedute in velluto. È da WOW!

La nostra rivista Liberty continuerà tra poco “sfogliando” i palazzi delle vie intorno.

A presto…

Quattropassi nel Liberty: il Quartiere Umanitaria di via Solari 40

Una fresca ventata di novità soffia su Milano con il Liberty che, in circa quindici anni (1900/1914), fa crescere fiori, frutti, decorazioni su nuovi edifici della nostra città utilizzando ferro, vetro, ghisa e cemento.

Milano, tra Ottocento e Novecento, era in grande fermento tra nuove fabbriche, lavori pubblici (acquedotti e fognature) e riqualificazioni urbanistiche; vennero demoliti vecchi quartieri, come il Cordusio, e create nuove strade, tra cui via Dante. Per questi lavori era richiesta molta manodopera, spesso proveniente dalla campagna, e di conseguenza erano necessari più alloggi, scuole per imparare nuovi mestieri (da contadini a operai) e adeguate risposte ai bisogni sociali crescenti. La nostra città si era messa in moto.

L’Esposizione Internazionale del 1906 le offrì la possibilità di confrontarsi con i Paesi d’Oltralpe e mostrare il meglio di sè. Il tema erano i trasporti, per l’apertura del Traforo del Sempione, che parlava di movimento e di scambio tra le nazioni, ma il movimento era soprattutto quello delle idee e delle iniziative per lo sviluppo.

Di questa Esposizione ci restano due strutture di sapore Liberty, molto diverse tra loro, ma che fanno parte dell’anima milanese: l’Acquario Civico e il Quartiere Umanitaria.

L’Acquario Civico

Due parole sull‘Acquario, del quale abbiamo già parlato. È stato uno dei primi al mondo e non poteva che essere così:  pur senza mare o grandi fiumi, la nostra è comunque una città d’acqua, presente nel suo DNA più profondo fino dai tempi della dea celtica Belisama

Il Quartiere Umanitaria

Se l’Acquario parlava di cultura e di nuovi interessi e conoscenze scientifiche, il Quartiere Umanitaria è un esempio della solidarietà civile e concreta tutta meneghina.

La storica Società che lo aveva voluto era stata fondata alla fine dell’Ottocento allo scopo “di mettere i diseredati, senza distinzione, in condizione di rilevarsi da se medesimi, procurando loro appoggio, lavoro e istruzione” (punto 2 dello Statuto della società). Per Expo aveva realizzato un proprio padiglione e il quartiere di edilizia popolare in via Solari.

https://archiviodelverbanocusioossola.com/2015/04/21/il-padiglione-dellumanitaria-1906-dallexpo-ad-anzola-dossola-%C2%A7-3/

Questo quartiere era stato costruito in un solo anno, primo esperimento milanese di housing sociale, su progetto dell’architetto Giovanni Broglio, che da piccolo muratore orfano era riuscito a studiare e a raggiungere alti livelli. Un’altra storia milanese.

Il complesso comprendeva ben undici edifici di quattro piani ciascuno, suddivisi in appartamenti da uno a tre locali, tutti dotati di acqua corrente, wc, condotto per l’immondizia e, sotto le finestre, di bocche d’aria regolabili per il ricambio senza dispersione di calore.

Innovativi anche gli spazi comuni: un asilo (metodo Montessori), luoghi di riunione, docce per l’igiene e persino una sala per l’allattamento.

Ovviamente l’architetto Broglio aveva lavorato con budget e, soprattutto, con finalità diversi rispetto a quelli degli eleganti palazzi Liberty del tempo. Le decorazioni erano prodotte in serie, ma il risultato è bello, armonioso e funzionale.

Questo quartiere si trova vicino alla stazione di Porta Genova, in una zona di ex-fabbriche diventata ora distretto per la moda e il design.

Mai come in questo caso il destino era già scritto: tra gli insegnanti dei vari corsi serali e domenicali che si tenevano all’Umanitaria, erano stati chiamati anche Rosa Genoni, la “sarta” che vide nella moda una cosa “seria” e Alessandro Mazzucotelli, l’artigiano artista liberty del ferro battuto. Quest’ultimo faceva parte anche della giuria del concorso indetto per la creazione di un arredamento “semplice, funzionale e di qualità” per gli appartamenti di questo quartiere.

Veduta della cucina-pranzo progettata da Augusto Ghedini da “L’Esposizione Illustrata del 1906”, Milano 1906
Veduta della camera da letto progettata da Emilio Dozio da “L’Esposizione illustrata del 1906”, Milano, 1906

Era nato il desing italiano che porterà al Salone del Mobile e agli eventi del Fuori Salone.

A presto…

Quattropassi nel Liberty: il Trianon

Il Liberty arriva a Milano agli inizi del Novecento in un periodo pieno di fermento sociale e creativo e di vigore economico e produttivo. La nostra città, sempre aperta alle novità e al rinnovamento, accoglie questo stile cosmopolita, già diffuso in America e in Europa, decisa a mostrare la propria modernità
Gli edifici Liberty milanesi erano in genere destinati al mondo economico, al commercio, allo svago e alle abitazioni dalle più semplici alle più eleganti e piene di fascino.


Faremo quattropassi in diversi quartieri per scoprire il frutto della creatività di architetti e artigiani del primo Novecento. Un altro piccolo tassello per conoscere, o riscoprire, la nostra città e le nostre radici più o meno lontane.

Il Trianon (piazza del Liberty 8)

La prima tappa di questo itinerario inizia, da milanesi DOC, dal luogo dove è nata la nostra canzone simbolo: “O mia bela Madunina“.

Corso Vittorio Emanuele, primi del Novecento: un tram elettrico sta passando tra due edifici Liberty, quasi dirimpettai, rispettivamente al numero 8 e al numero 15.

corso vitt emanuele vecchio

Cosa rimane oggi? Non più il tram, sostituito dalla metropolitana; e, finita la pandemia, la gente tornerà a riempire l’isola pedonale, senza la paura degli assembramenti.

Al numero 8 troviamo ancora la facciata con elementi Liberty in ferro, ghisa e vetro dell’edificio che  ospitò, a inizio Novecento, i Magazzini Bonomi. Era stato progettato ad uso commerciale con uffici e vetrine al piano terreno, che rimangono ancora oggi.

Costruito nel 1902, è stato ben inserito, negli anni Sessanta, in un isolato ad opera di Giovanni e Lorenzo Muzio.

Quasi di fronte, al numero 15, tra il 1902 e il 1904, venne costruito, invece, l’Hotel Corso, dalla bianca facciata Liberty di sapore un po’ parigino.

Era sorto dove si trovava il vecchio “Teatro Milanese”, nel quale, tra l’altro, il 30 settembre 1896, aveva fatto il suo esordio a Milano un filmato dei fratelli Lumière.

Anche nel nuovo Hotel Corso, al piano terra, fu realizzato un grande salone per gli spettacoli, il teatro “Trianon”.

Nel sotterraneo, poi, un locale notturno, il “Pavillon dorè”, offriva musica, ballo e champagne. Qui, nel 1934, durante una serata dedicata alla canzone romana e napoletana, un giovane musicista, Giovanni D’Anzi, intonò per la prima volta “O mia bela Madunina” che aveva composto poco tempo prima.

La nostra canzone simbolo, dunque, vide la luce in un locale notturno, immagine del nostro spirito milanese profondamente laico e religioso insieme. Da allora la Madonnina accompagna chi vive e lavora nella nostra città.

Venne la seconda guerra mondiale e le sue bombe fecero strage del nostro centro storico. Si salvò, ovviamente, la Madunina e fu risparmiata anche la facciata dell’Hotel Corso.

Perduto per sempre? No di certo! Come abbiamo già visto anche le pietre a Milano si spostano. La bianca facciata dell’albergo venne inserita, nel 1956, nel palazzo della Reale Mutua Assicurazioni nella nuova piazzetta che venne dedicata allo stile Liberty.

Se mettiamo a confronto una vecchia foto con una di oggi, vediamo alcune differenze. Un piccolo aiuto: contiamo le finestre della facciata, ma soprattutto …… andiamo a vedere la bellezza delle decorazioni Liberty.

A presto…

Il Biscione, simbolo di Milano, tra monumenti, storia e leggende

Il Biscione è uno dei simboli della nostra città, citato anche da Dante nel Purgatorio (… la vipera che Melanesi accampa…), eppure la sua origine resta tuttora oscura.

Non sappiamo come e quando sia giunto a Milano nè il perchè della sua immagine. Forse in questa nostra città piena di misteri, il Biscione ha trovato il posto in cui vivere, nascosto sotto un groviglio di leggende che lo proteggono.

Entriamo nelle sue spire per cercare di sciogliere qualche enigma che lo riguarda. Usciremo dalle sue fauci come Giona e Pinocchio dalla balena, o saremo inghiottiti dai suoi misteri?

Ed ecco il primo di questi enigmi: il Biscione sta inghiottendo l’uomo precipitandolo nelle sue viscere o lo sostiene mentre rinasce dal buio a braccia aperte?

Arcivescovado

Dove troviamo il Biscione a Milano? Lo andremo a cercare tra le strade e i monumenti della nostra città, anche se a volte compare quasi beffardo nella vita quotidiana.

Piazza del Duomo: la nostra ricerca non può iniziare che da qui. C’è un cucciolo strano che ci guarda sorridente, acquattato tra le foglie, accanto alla porta centrale della Cattedrale. Le sue zampe sono palmate, tipiche di un animale che vive anche sull’acqua. La nostra, d’altra parte, è terra di acque, sotterranee e di superficie. Il Biscione è forse nato qui?

Facciamo pochissimi passi e troviamo sulla porta Lombardi del Duomo (la prima a destra del portone centrale, verso piazzetta Reale) un pannello di bronzo che ci riporta ad una delle leggende sul Biscione.

Eccola: si racconta che un nobile Visconti, Ottone, era partito con 7.000 Milanesi per la Prima Crociata alla riconquista di Gerusalemme. Sotto la sue mura si svolse un epico duello all’ultimo sangue tra Ottone e un valorosissimo cavaliere saraceno, Voluce, che aveva come insegna un serpente che stava divorando un uomo dalla pelle chiara (un simbolo della cristianità?).

Il Visconti vinse e, dopo averlo ucciso, si impossessò delle armi del nemico e del suo logo, sostituendo però il cristiano con un uomo dalla pelle scura. Bonvesin de la Riva parla di un “vessillo su cui è dipinta in azzurro una biscia che inghiotte un saraceno rosso”. Se andiamo al Castello lo vediamo.

Un’immagine cruenta, da fumetto horror, si trova su una bifora della chiesa di San Marco. Qui un biscione stacca la testa a un uomo. È dunque un animale feroce?

Una “bissa” più tranquilla, e piuttosto misteriosa, si trova alla base della palma che rappresenta l’Albero della Sapienza nella chiesa di San Sepolcro.

Siamo nella cripta dove, vegliato da San Carlo Borromeo, è custodito un sarcofago che contiene un po’ di terra “santa” portata dai Crociati dalla Palestina. Si racconta che ci sia anche una ciocca di capelli della Maddalena, ma questo segreto riguarda i Templari.

Un’altra leggenda fa diventare l’immagine del Biscione quasi un ex-voto. Si narra, infatti, che un altro nobile Visconti, Azzone, si fosse accampato con il suo esercito nelle terre intorno a Pisa in una guerra contro Firenze. Durante una tregua si era tolto l’elmo e si era addormentato. Al momento di rimetterselo, vide uscire dal cimiero un vipera che, invece di attaccarlo col suo morso mortale, se andò pacificamente. Non sembra una serpe quella specie di cerchietto che ha sul capo?

Un episodio analogo era accaduto anche al Re longobardo Desiderio, che lo aveva considerato un segno di benevolenza divina, quasi un’investitura. Il Re era solito portare al collo, come amuleto, un Biscione azzurro.

Le  due leggende simili sono forse un tentativo da parte dei Visconti di creare un legame coi Longobardi e di accreditare così il loro dominio? Il Biscione è dunque simbolo di potere?

Loggia degli Osii – Piazza Mercanti

La “biscia”, però, aveva già “scelto” Milano prima delle Crociate. Era arrivata infatti all’inizio dell’anno Mille da Costantinopoli, come dono dell’Imperatore di Bisanzio al Vescovo Arnolfo. Ancora oggi la possiamo vedere nella Basilica di Sant’Ambrogio.

Come un totem, a metà della navata centrale, su una colonna, un serpente di bronzo nero, inquietante nella sua semplicità, disegna un cerchio con il suo corpo.

Risale, secondo la tradizione, ai tempi di Mosè che l’aveva forgiato di persona durante l’Esodo per salvare dalla morte chi era stato avvelenato dai morsi dei serpenti. Questa “bissa”, narra la leggenda, resterà a Milano fino al giorno del Giudizio Universale, quando prenderà vita, scenderà dalla colonna e tornerà nella Valle di Giosafat, da dove era venuta. Ci aiuterà ad uscire anche da questa pandemia?

Cesare Ligari – Pinacoteca Ambrosiana

C’è chi pensa che un’insegna con questa “bissa” fosse stata donata a Ottone Visconti in partenza per la Crociata e che, dopo la conquista di Gerusalemme, fosse stata aggiunta l’immagine del nemico vinto. Da allora il Biscione divenne l’emblema del potere, visconteo prima e sforzesco poi. La chiesa doppia dell’Incoronata, fatta costruire da Francesco Sforza e dalla moglie Bianca Maria Visconti, è il simbolo dell’unione tra le due casate sotto il segno del Biscione.

I nostri passipermilano alla ricerca del Biscione non terminano qui. C’è ancora molto da scoprire!

A presto…

Ballate d’autore per raccontare l’Ortica

L’Ortica è uno dei quartieri più “cantati” di Milano, sia per le vecchie osterie dove i clienti, tra un bicchiere di vino e l’altro, facevano musica “live” intonando cori, sia per i diversi interpreti della canzone milanese che hanno composto delle ballate ambientate in questa zona.

Prendiamo spunto da quattro di queste per raccontare, in breve, un po’ di storia dell’Ortica.

“Faceva il palo nella banda dell’Ortica” (di Enzo Jannacci) è senza dubbio la ballata più nota che ricorda questo quartiere. Il povero balordo credeva che fare il “palo” fosse realmente “el so mestee” nella sgangherata banda di cui faceva parte.

Da dove nasce il nome Ortica? Nel nome un destino, dicevano gli antichi romani. Ed ecco la spiegazione di rito ambrosiano del nome del nostro quartiere: l’Ortica era un’osteria! E la tradizione continua …

Questo strano nome appare, infatti, la prima volta in un documento del 1696 tra le carte del Monastero di Santa Radegonda a Milano per indicare l’osteria che si trovava sui terreni di un abate, Cesare Gorani. di antica e nobile famiglia.

L’origine di questo borgo era però molto più antica (VI / VII secolo d.C.) ma allora si chiamava Cavriano, come risulta nelle mappe secentesche di Claricio. Era una zona di cascine, orti e ortaglie che forse avrebbero dato il nome all’osteria e successivamente a tutto il quartiere… o viceversa.

“Hanno ammazzato il Mario in bicicletta” (di Dario Fo) “...gli hanno sparato dal tram che va all’Ortica…“; un tram, il 24, anni fa collegava via Ripamonti con l’Ortica, che, nel 1923, era diventata parte del Comune di Milano, assieme a Lambrate, di cui era una frazione.

I mezzi di trasporto hanno segnato fortemente l’aspetto e la vita sociale di questo quartiere. Secoli fa ci passava la via consolare romana per Brescia; a metà dell’Ottocento fu poi costruita la ferrovia che collegava Milano con Venezia, le due capitali Lombardo-Veneto.

L’Ortica diventò via via sede di snodi ferroviari; i binari, sempre più numerosi, solcano, come rughe di espressione, il volto di questo quartiere.

La stazione, di fianco alla chiesa di San Faustino, è in disuso, ma è ancora lì in mezzo al quartiere; i muraglioni dei binari sono diventati affreschi, i sottopassi gallerie d’arte, le passerelle pedonali danno una pannellata di colore. Anche le rughe possono essere belle.

“Vincenzina e la fabbrica” (di Enzo Jannacci) Questa ballata è la colonna sonora del film di Monicelli “Romanzo popolare” (1974) girato per lo più a Sesto San Giovanni e all’Innocenti, al confine tra Lambrate e l’Ortica.

Nel dopoguerra il cuore agricolo dell’Ortica diventa industriale: sui campi crescono i capannoni della Richard Ginori e, al confine con Lambrate, quelli della Innocenti, dove è nata la mitica Lambretta.

Ci voleva più manodopera e tanta gente, come Vincenzina, ha lasciato il Sud e vede “solo la fabbrica”. È un’epoca di profondi cambiamenti sociali che investono tutti e tutto: ecco che la ragazza si toglie il foulard  (“…il foulard non si mette più…”)  e lascia i capelli liberi di muoversi.

E oggi? Le fabbriche ormai in disuso sono state trasformate in birrerie, locali, loft, abitazioni ristrutturate di grande pregio.

“La Rita de l’Ortiga” (di Nanni Svampa e Georges Brassens) è una ballata di origine francese rivista e ambientata all’Ortica.

…dopo el pont che va gio’ a l’Ortiga, dove ona volta gh’era on quaj praa, coi so’ pegor gh’era la Rita a faj pascolà…“. Giù dal cavalcavia Buccari, dove oggi ci sono altri murales, una ragazza pascolava le sue pecore attirando l’attenzione degli uomini del quartiere.

Siamo sulla via Cavriana nella zona ancora agricola dell’Ortica, dove si trova anche il centro sportivo Scarioni, nato nel 1925, sul cui muro di cinta sono immortalati tanti sportivi del Novecento.

Proseguiamo su questa via perchè ci aspetta una vera e propria sorpresa. Raggiunta la cascina Sant’Ambrogio, facciamo un tuffo nel passato così profondo che forse ci vuole una barca per non “perderci e naufragare”.

Anche qui c’è di mezzo il Barbarossa. In questa zona trovarono infatti rifugio le monache del Monastero di Santa Radegonda e sorsero cascine e una chiesa. L’abside romanica, che ancora rimane, è uno spettacolo di cui si può godere all’aperto in questi mesi di chiusura di musei e teatri.

Al suo interno, visitabile su appuntamento, ci sono dipinti murali molto deteriorati che rischiano di andare perduti.

https://artbonus.gov.it/116-8-restauro-abside-e-affresco-incoronazione-della-vergine-in-cascina-sant%E2%80%99ambrogio.html

C’è tanta voglia di fare però: la struttura, che appartiene al Comune di Milano, è stata affidata all’associazione di volontari “CasciNet” che si stanno occupando del recupero. Sono già presenti laboratori, un asilo, orti condivisi e spazi multifunzionali.

Per saperne di più:

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Anche sul muro di cinta della cascina è stato realizzato un murale che ben rappresenta lo spirito dell’associazione: un’ape laboriosa simbolo di natura e socialità.

A presto…

San Faustino, il santuario della Madonna delle Grazie all’Ortica

C’è una farfalla dal nome gentile di donna, Vanessa Io, che in primavera depone le uova sotto le foglie dell’ortica. Sulle sue ali sembra ci siano quattro occhi, ma quelli che vedono non sono questi.

Quando andiamo a visitare il quartiere dell’Ortica abbiamo bisogno di “più” occhi per guardarlo e capirlo meglio: i bellissimi murales contemporanei attraggono immediatamente il nostro sguardo, ma tante tracce, meno appariscenti e più nascoste, lasciano scoprire vecchie storie e le raccontano sottovoce.

Cercheremo, quindi, di conoscere l’Ortica sotto diversi punti di vista per scoprire le tante sorprese che ci riserva passo dopo passo. Iniziamo dal cuore del quartiere, la chiesetta dei Santi Faustino e Giovita, conosciuta anche come Santuario della Madonna delle Grazie.

Risale ai tempi delle lotte col Barbarossa e fu poi riaggiornata dal Cinquecento. È molto piccola (poco più di una ventina di metri di lunghezza per poco meno di dieci), ha il tetto a capanna e una semplice facciata; le fa compagnia un bel campanile del Quattrocento.

I milanesi, dopo la distruzione della nostra città da parte del Barbarossa, furono esiliati e molti trovarono rifugio in questa zona, dove già passava la via consolare romana per Brescia, città i cui Santi patroni sono appunto i Santi martiri Faustino e Giovita. Proprio oggi, 15 febbraio, si festeggia San Faustino, protettore dei single. Auguri a tutti i cuori solitari!

La chiesetta è un piccolo gioiello della nostra storia, ricca anche di qualche mistero forse non ancora del tutto svelato. L’abbiamo rivisitata qualche settimana fa accolti da un piccolo Presepe che aveva fatto il nido sull’albero davanti al sagrato.

L’interno ha un’unica navata con le piccole cappelle di San Giuseppe e della Madonna delle Grazie, un affresco di gusto bizantino realizzato non prima del XII secolo, ora circondato da una cornice dorata.

Ed eccoci al primo enigma. Nel 1979, per salvaguardalo dalle diverse infiltrazioni che lo stavano minacciando, l’affresco con la Madonna venne staccato. Sotto di esso apparve uno strano graffito, quasi un rebus o un messaggio cifrato. Esaminato da diversi studiosi, è stato interpretato come una supplica alla Vergine in “scrittura carolina”, usata a quei tempi dai monaci e, forse, anche da quel “Silanus” che sembra aver firmato l’opera. Ecco il graffito con la sua traduzione “Questa preghiera è del 12 aprile dell’anno 1182 per avere la clemenza divina”.

Furono esauditi. Infatti, con la Pace di Costanza del 1183,  il Barbarossa, già sconfitto nella battaglia di Legnano (1176), fu costretto a riconoscere la completa autonomia dei Comuni Lombardi. La chiesa dei Santi Faustino e Giovita fu chiamata da allora anche Madonna delle Grazie e divenne meta di pellegrinaggi. Quasi otto secoli dopo il Cardinale Martini, nel 1982, ha scritto, per questa chiesa, una preghiera di supplica che viene recitata il 12 di ogni mese in onore della Vergine.

Per saperne di più:

Santuario Madonna delle Grazie

L’interpretazione dei disegni di questo misterioso graffito, non esposto al pubblico, lascia molti dubbi. Secondo la versione più accreditata le immagini mostrerebbero questa zona come ricca di pesci, di cacciagione (anatre selvatiche), di acque che rendono fertile la terra, quasi un piccolo Eden. La porta sulla destra (Porta Orientale?) esprimerebbe il desiderio di tornare a Milano dopo l’esilio.

Affascinati da questo graffito, ne abbiamo guardato la foto con attenzione, ponendoci parecchie domande: perché il tratto grafico di alcuni disegni sembra così moderno?  Perché l’uomo (che potrebbe anche avere tre corna sul capo) sembra ingoiare un pesce dalla coda?  Perché le cosiddette “anatre” sono così strane, con un becco diverso da quello vero e una tiene in bocca un uccello più piccolo? Cosa rappresenta quella sorta di “S” capovolta che viene interpretata come un corso d’acqua ma che sembra nascere dal cielo sopra le montagne? Anche le date storiche non ci tornano troppo… Questo enigma non è elementare, Watson!

Anche sul lato destro della navata c’è un dipinto poco tradizionale.

Sotto l’affresco del Cristo che porta la Croce, vediamo un “Ecce Homo” (quindi prima della Crocifissione) che ha già i segni dei chiodi sulle mani. Forse un prequel artistico?

La chiesa ha altri affreschi, purtroppo gravemente deteriorati ma molto interessanti, alcuni dei quali attribuiti alla scuola leonardesca con l’influenza di altri big come Cesare da Sesto, Bernardino Luini  e Bramantino.

Lasciando questa chiesa per andare a visitare la zona sud dell’Ortica, oltrepassando la ferrovia e la strada principale, ci siamo ricordati della leggenda secondo la quale esisterebbe un passaggio sotterraneo segreto, “el passagg scappapret” che avrebbe collegato San Faustino con l’oratorio di Sant’Ambrogio nella cascina omonima, sulla strada Cavriana.

Sarebbe una bella scorciatoia, ma per questa volta, restiamo all’aperto, tanto è una bella giornata!

A presto…

 

 

Vecchio e nuovo si incontrano all’Ortica: il quartiere museo

Nell’immaginario comune, Milano è vista come la città del fashion (moda e design), della nuova architettura, dell’innovazione nei diversi campi, delle tante opportunità. C’è molto di vero… Ecco alcuni esempi, molto differenti tra loro, che confermano o ci spingono in questa direzione.

scheggia – Porta Nuova

piazzale Loreto

piazza Resistenza Partigiana

piazza Resistenza Partigiana

Molti di noi milanesi, però, amano leggere o rileggere anche le “pagine” meno conosciute della nostra città che, come un libro, lascia scoprire a poco a poco una trama ricca di tanti capitoli e mille personaggi.

Ora che la pandemia ci ha tolto così tanto, coltiviamo la nostra resilienza andando a vedere l’Ortica, un quartiere che ha saputo affrontare le sue difficoltà in modo creativa e vitale.

L’Ortica è oggi conosciuta come quartiere museo per i suoi murales colorati  dipinti su anonimi muri che si trasformano in “gallerie” da vedere.

La street art è ormai riconosciuta come elemento per rigenerare spazi urbani “invecchiati” e il progetto Or.Me. (Ortica Memoria) ha fatto di questo quartiere uno dei più importanti in Europa per la riqualificazione delle periferie con i murales d’autore. Ecco una delle loro opere “firmata”.

https://www.raicultura.it/arte/articoli/2020/01/Un-nuovo-museo-permanente-di-street-art-a-Milano-726f097e-503d-42c9-94e9-102d85fca0c8.html

I murales sono stati realizzati nell’ultimo decennio su facciate di edifici, muri di cinta, cavalcavia e sottopassaggi ferroviari dagli street artists “Ortica Noodles” con la partecipazione anche di studenti e abitanti della zona.

https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/18_novembre_20/noi-orticanoodles-maestri-dell-arte-strada-che-abbiamo-dipinto-maxi-murales-la-musica-mondo-942f6c8a-ec96-11e8-9cc0-d189758894d5.shtml

Camminando per l’Ortica, guardiamoci intorno: colori e immagini riempiono il quartiere parlando di cultura, impegno civile, temi sociali, sport.

Molto bello è il murale realizzato sulla facciata della scuola di via Trentacoste, dedicato alle donne che hanno fatto grande la Milano del Novecento.

Tra queste c’è anche la nostra Alessandrina Ravizza, alla quale è stato dedicato il parco omonimo, uno dei Giardini delle Donne, monumento vivo alla capacità rosa di generare non solo figli.

Vicino a questa scuola il verde è stato “riqualificato”. In via San Faustino è stato da poco realizzato un giardino condiviso e curato da diverse associazioni del quartiere. Un angolo verde in divenire, dove sarà bello, speriamo presto, sostare durante il nostro giro alla scoperta dell’Ortica.

La facciata di una casa del centro storico del quartiere è affrescata con un tripudio di fiori e piante che ci riporta a “orti”, origine del nome di questo territorio.

Infine, continuando i nostri quattopassi, andiamo in via Pitteri, appena prima della caserma e del complesso dei Martinitt, altra istituzione nel cuore di tutti noi, che ha permesso a grandi personaggi come Angelo Rizzoli, Leonardo Del Vecchio e Edoardo Bianchi (quello delle biciclette!) di studiare e porre le basi per il loro lavoro… e con quale successo. Ora è un campus universitario.

Sulla facciata laterale di un edificio ci appare improvvisamente una navata del Duomo. E’ in scala 1 a 2 e misura 23 metri di altezza contro i 46 di quella della nostra cattedrale.

In questo nuovo progetto di murales verranno dipinte anche guglie, vetrate e statue. La prima non poteva essere che Lei: la Madunina, grande e quasi moltiplicata in fasce verticali per espandersi e proteggere ancora di più la nostra città.

Un muro di cinta unisce i due murales e fa, per così dire, da copertina al  Fashion Factory Hub di Martino Midali. Moda e cultura vanno ancora una volta a braccetto.

Un tempo chi viveva all’Ortica diceva, prima di prendere il tram per andare in centro, “vado a Milano”. Ora ci sono anche visite guidate per andare a vedere questo vecchio e, nello stesso tempo, “nuovo” quartiere della città.

Ecco dove si trovano i murales:
via CavrianaAntifascisti e deportati; Sport
via OrticaLavoro e movimenti dei lavoratoriOrti dell’Ortica
via San Faustino –  Movimento cooperativo milanese; Musica popolare; Human, sulle orme dei migranti
via PitteriDuomo e Madonnina dell’Ortica
via TrentacosteDonne che hanno fatto grande il ‘900
via Rosso di San SecondoLegalità

All’Ortica, però, non ci sono solo i murales da vedere… Vi aspetto!

sottopasso via S. Faustino

In questo quartiere ci sono pagine che raccontano oltre mille anni di storia, dal Barbarossa alla peste, da una economia agricola a una industriale con le relative trasformazioni urbane e sociali. E poi un pizzico di mistero potrebbe mai mancare parlando di Milano?

A presto…