Itinerario sulle tracce di antiche storie: da piazza Sant’Ambrogio a via Ariberto

Perchè a Milano ci sono ancora tanti ricordi legati ad eresie medievali o alla lotta contro di esse? Iniziamo il nostro secondo itinerario partendo dalle Colonne romane davanti alla basilica di San Lorenzo, dove si trova una copia della statua di Costantino, l’Imperatore che, con l’Editto di Milano del 313 d.C., diede libertà di culto, cioè di “scelta”, in campo religioso. Teniamo presente che la parola greca Hairesis, da cui “eresia”, significa appunto “scelta”.

Ancora oggi, però, sappiamo come la convivenza di credi diversi (che spesso sono anche alibi per interessi non religiosi) sia difficile e motivo di dolorosi e drammatici scontri. Quando, nel 374 d.C., Giustina, madre del giovane Imperatore Valentiniano II, diede ordine di cedere una basilica della nostra città ai fedeli del teologo “eretico” Ario, di cui era una seguace, trovò la vittoriosa opposizione del vescovo Ambrogio. Alla fine i soldati imperiali, che avevano assediato la chiesa, dove il vescovo aveva radunato i fedeli per non consegnarla agli ariani, si ritirarono. Alla Pinacoteca Ambrosiana si trova un interessante dipinto del Bramantino che celebra la vittoria di Ambrogio su Ario accostata a quella di San Michele Arcangelo sul demonio.

Il nostro santo Patrono viene talvolta raffigurato mentre impugna uno staffile per il suo spirito combattivo, non solo contro gli eretici. Pensiamo anche ai suoi leggendari scontri con l’Imperatore Teodosio, reo dell’eccidio di Tessalonica, e persino contro il diavolo che ricacciò agli inferi, con un poderoso calcione, attraverso la mitica colonna, che ancora oggi conserva i segni delle corna del demonio.

La nostra città ha sempre avuto desiderio di autonomia e di scelta? Pensiamo proprio di sì. A ben guardare la Diocesi di Milano ancora oggi osserva il Rito Ambrosiano, che si discosta da quello Romano tradizionale nella liturgia, nel calendario e perfino nella forma dell’ostensorio.

Un altro Vescovo importante fu Ariberto da Intimano (1018 – 1045), che aveva combattuto gli eretici di Monforte. Fu uno strenuo difensore dell’autonomia (e dei privilegi) della nostra città nei confronti dell’Impero e del Papato. Siamo intorno all’Anno Mille e Ariberto, tra l’altro, rivendicò l’ “anzianità” della Chiesa milanese, fondata da San Barnaba (quello del “Tredesin de Marz“) nel 51 d.C., rispetto alla Chiesa romana, fondata da San Pietro solo qualche anno dopo. Durante le lotte comunali contro l’Impero fece mettere sul Carroccio un altare con il Crocifisso e le insegne cittadine.

A questa figura, guida delle armi e delle anime dei ribelli milanesi, è dedicata una via che parte da corso Genova e arriva in via Olona. Ci sembra una via molto “ambrosiana”. Inizia con un grattacielo, un tempo sede dell’INAIL e passa poi alle spalle dell’antica chiesa di San Vincenzo in Prato.

In questa chiesa, dalla storia secolare e insolita, si conserva la pietra (ora trasformata in fonte battesimale) che, secondo la tradizione, serviva a Sant’Ambrogio per salire in groppa alla mula Betta.

Infine segnaliamo, al numero 10, un esempio della Milano del fare: qui c’è la sede del Gruppo di Volontari della San Vincenzo, attivissimo nel campo della solidarietà verso chi ha bisogno. Ricordiamo che dal 6 all’8 e poi dal 20 al 23 novembre ci saranno due mercatini benefici dove fare acquisti di abbigliamento vintage di qualità e affari nel campo dell’oggettistica, visto che è frequentato anche da parecchi antiquari. Con i proventi verranno finanziati progetti per famiglie e giovani in difficoltà.

Milano, per fortuna, è anche questa; non manchiamo.

A presto…

Tanti auguri, Presepe!

Il 25 dicembre si festeggiano gli 800 anni del Presepe, realizzato a Greccio da San Francesco nella Notte di Natale del 1223. Viene considerato il primo presepe vivente vero e proprio, voluto perchè tutti potessero “vedere con gli occhi del corpo”, come disse il Santo, la nascita di Gesù.

 

Nel corso dei secoli le persone sono state sostituite da statue, di materiali diversi, grandi e piccole, ciascuna con un proprio significato e differente simbologia.

 

Per ricordare questo importante anniversario, alcune chiese del Centro Storico di Milano propongono un “cammino” per visitare i presepi allestiti al loro interno. Potremmo così riscoprire anche la loro bellezza, ammirare le opere d’arte contenute e, magari, risentire quella meraviglia che abbiamo provato da piccoli, aspettando Gesù Bambino, di fronte alla bellezza e alla magia del presepe.

 

In ogni chiesa, che partecipa a questo evento, è disponibile gratuitamente una piccola guida con orari, indirizzi e qualche piccola informazione. L’ingresso è libero e senza prenotazione on-line. Qualcosa di veramente insolito ai giorni nostri.

 

Anche il percorso è libero, come liberi sono i pensieri di fronte al messaggio che ci viene proposto. Le chiese che fanno parte di questa iniziativa sono le seguenti:

 

Nella basilica di Sant’Ambrogio ci sono esempi di Natività attraverso i secoli: uno, un “antenato” del presepe, è scolpito nel celebre Sarcofago di Stilicone, un altro è stato realizzato da militari italiani internati in un campo di concentramento tedesco nel 1944, un terzo, infine, tradizionale, è di oggi.

 

Visitare il bel presepe di San Vincenzo in Prato è anche l’occasione per rivedere questa chiesa dal passato molto travagliato (è stata persino una fabbrica di prodotti chimici, col campanile diventato ciminiera). Da vedere, oltre alla suggestiva cripta, il battistero, realizzato negli Anni Trenta da Paolo Mezzanotte: al suo interno si trova, secondo una leggenda, la pietra che serviva a Sant’Ambrogio per salire in groppa alla sua mula Betta.

 

La Natività è sempre presente nelle ore di buio e in quelle di luce: ce lo ricordano i presepi di San Simpliciano e San Nazaro con il cambio di luminosità dal giorno alla notte.

 

Il presepe può essere fatto con materiali diversi. Ecco due opere d’arte, il presepe di carta di Landonio (chiesa di San Marco) e la Natività scolpita su un sarcofago a Santa Maria dei Miracoli presso San Celso.

 

Molto bello è il presepe di San Vittore al Corpo. Dobbiamo guardare oltre le colonne per cogliere il messaggio davanti a noi.

 

Ed ora una piccola raccolta di presepi. Manca Gesù Bambino: nascerà tra poche ore!

A tutti un sereno e felice Buon Natale!

A presto…

La Strada delle Abbazie – Prima tappa: San Pietro in Gessate

Iniziamo il nostro itinerario dalla chiesa di San Pietro in Gessate a Milano per godere dell’esperienza piacevole di un turismo sottocasa, ricco di curiosità, di storie e di tradizioni tutte da ricordare perchè non vadano perdute. Ad esempio, se fossimo colpiti da un raffreddore o da un attacco di sciatica, accendiamo una candela a San Mauro (nella quarta cappella di destra); secondo una tradizione meneghina questo Santo ci aiuterà. 

 

San Pietro in Gessate si trova in corso di Porta Vittoria, davanti al Palazzo di Giustizia (costruito negli Anni Trenta del Novecento dall’architetto Marcello Piacentini), massiccio e imponente, come tanti altri edifici pubblici sparsi per il mondo.

 

Invece, la nostra chiesa è tutta lombarda, fatta di mattoni rossi, corposa e soffice quasi come un panettone, un po’ in disparte, separata dal via vai del corso da un acciottolato e protetta da due grandi alberi.

 

Il passato, sornione, riaffiora anche nel titolo “in Gessate” che ci riporta addirittura al tempo in cui i Romani non ci avevano ancora invaso. I due milanisti del nostro blog hanno scelto questa foto senza voler sentire ragioni. Ci rivedremo nel derby!

 

Si pensa che il nome “Gessate” derivi dalla tribù gallica dei Glaxiati, che si era insediata in questa zona. Secoli dopo, quando nel Duecento questa chiesa venne fondata dagli Umiliati (un Ordine tutto lombardo del quale parleremo in seguito), riprese il nome di quel borgo o, taluni dicono, della famiglia nobile che lo abitava. Poi, via via, “Glaxiate” divenne “Gessate”.

 

Anche la toponomastica ci riporta al passato celtico di questa zona. Via Chiossetto, infatti, che costeggia la chiesa, sembra derivi dal celtico ciosset o ciusset che significava “campo limitato da una siepe o da un muro”.

Perchè quella strana curva a gomito che c’è ancora oggi? Forse il campo finiva qui?

 

La nostra chiesa è stata fatta e rifatta molte volte nel corso dei secoli. I Benedettini, succeduti agli Umiliati, la rifecero nel XV secolo su progetto di Guiniforte Solari, autore anche di Santa Maria della Grazie.

 

Il convento adiacente, che per lungo tempo, dopo la soppressione degli Ordini religiosi a fine Settecento, ospitò i “Martinitt”, aveva anche due chiostri, dei quali uno, per fortuna, è stato salvato e ora fa parte del Liceo Scientifico Statale “Leonardo da Vinci”. E’ bello pensare che questa scuola abbia solide radici.

 

San Pietro in Gessate è a croce latina e tre navate, con cinque cappelle per parte e abside poligonali.

 

Diversi furono i mecenati che contribuirono alla sua costruzione e alle decorazioni: dai Portinari, banchieri fiorentini, dei quali vediamo lo stemma all’esterno dell’abside, ad altri nobili che gravitavano attorno alla corte sforzesca.

 

Tra questi la famiglia dei Grifi alla quale apparteneva Ambrogio, medico e notaio di corte, che qui volle la propria sepoltura. Nella sua cappella il viso della statua tombale ci introduce già ad un certo realismo artistico.

 

Nella stessa cappella, notevoli esempi della pittura lombarda del Quattrocento sono gli affreschi dedicati alla storia di Sant’Ambrogio, purtroppo molto deteriorati. Come in una graphic novel sono rappresentati diversi episodi della sua vita: la sua miracolosa apparizione a cavallo durante la Battaglia di Parabiago (1339), l’aver impedito all’Imperatore Teodosio l’ingresso in chiesa, la condanna di un eretico…

 

Nell’affresco in cui l’eretico è appeso alla carrucola del supplizio, è presente, in basso a sinistra, anche una scimmia. Forse simboleggia l’eresia? Curiosità e misteri della nostra città, culla di eretici.

 

C’è, infine, in questa chiesa, anche un po’ di Cenacolo. Infatti ci sono dipinti del Montorfano, la cui Crocifissione si trova di fronte all’Ultima Cena di Leonardo a Santa Maria delle Grazie. Possiamo ammirare questi dipinti nella terza cappella di sinistra.

 

Chiudiamo questa “visita” con una speranza. Guardando questa foto scattata dopo i pesanti bombardamenti della seconda guerra mondiale, abbiamo pensato a quell’immagine terribile della bicicletta a terra durante gli orrori della guerra ucraina.

 

Nonostante tutto la chiesa è sopravvissuta e via via è tornata la vita. Che possa presto essere così dove ancora si soffre e si muore.

A presto…

L’antico rito della “Nivola” in Duomo

Un lunedì pomeriggio di metà settembre in piazza Duomo: milanesi di corsa, indaffarati come sempre, turisti che passeggiano in attesa della Fashion Week, suoni della quotidianità… Lontano pochi passi persone raccolte intente ad ascoltare antichi salmi: nella nostra Cattedrale si sta celebrando lo storico rito liturgico della “Nivola” che conclude il Triduo dell’Esposizione ai fedeli del Sacro Chiodo della Croce.

 

 

Secondo la tradizione, questo Chiodo, insieme ad alcuni altri, venne rinvenuto a Gerusalemme da Sant’Elena e donato al figlio, l’Imperatore Costantino, come prezioso morso per il suo cavallo.

 

 

Andato perduto, venne poi ritrovato a Milano da Sant’Ambrogio presso la bottega di un fabbro che inutilmente cercava di lavorarlo. La reliquia venne collocata prima nella basilica di Santa Tecla e, quando questa venne demolita, nel Duomo. Era molto venerato dai milanesi, tanto che nel 1575 San Carlo lo portò in processione alla chiesa di Santa Maria presso San Celso, per invocare la fine della pestilenza.

 

La preziosa reliquia è custodita, in una teca di argento e cristallo di rocca, a oltre 40 metri di altezza sopra l’altare maggiore, sempre illuminata da una piccola luce rossa.

 

 

A metà settembre di ogni anno, però, (il 14 settembre si celebra la ricorrenza liturgica) il Sacro Chiodo viene posto su una sorta di “ascensore” con quattro sacerdoti e fatto scendere fino all’altare maggiore. Qui, in un Crocifisso dorato, è esposto alla venerazione dei fedeli.

 

 

Al termine del Triduo, con una solenne cerimonia, la “nivola” lo riporta, in una nuvola d’incenso, alla sommità della navata per un altro anno.

 

 

Questa “nivola” (forse ideata da Leonardo) fu dipinta da Landriani nel 1612 con angeli e cherubini avvolti in soffici nubi. Al termine della cerimonia viene poi avvolta in teli e collocata sopra una porta laterale del Duomo. E’ un vero peccato che la si possa ammirare solamente “in azione” da lontano e durante il rito.

 

 

Purtroppo abbiamo poche foto, un po’ “rubate” durante la funzione religiosa, ma, se lo desiderate, non mancate il prossimo anno a questo appuntamento, forse un po’ dimenticato, di fede e tradizione milanese.

A presto…

 

 

 

 

Quattropassi intorno a Santa Maria dei Miracoli e San Celso…

Il santuario di Santa Maria dei Miracoli si trova in corso Italia accanto alla basilica di San Celso; sono appoggiate l’uno all’altra quasi fossero le pagine di un antico libro da sfogliare.

La storia che raccontano iniziò nel lontano 395 quando Sant’Ambrogio trovò in questa zona le spoglie dei martiri Nazaro e Celso e fece costruire all’aperto, sul luogo del ritrovamento, un muretto, o forse un’edicola, con l’immagine affrescata della Madonna con Bambino. Questo dipinto era protetto da un velo; negli anni successivi venne costruita intorno ad esso la piccola chiesetta di San Nazaro al Campo, ampliata poi sotto Filippo Maria Visconti nel 1430.

Copia in marmo del dipinto

Proprio in questa chiesa, durante la Messa del 30 dicembre 1485, la Madonna del muretto scostò il velo e si sporse per benedire i fedeli. Questo miracolo, avvenuto alla presenza di trecento testimoni e riconosciuto dalla Chiesa, richiamava folle di pellegrini così numerose che si decise, alla fine del Quattrocento, di costruire, con le offerte ricevute, un grandioso santuario, Santa Maria dei Miracoli.

Il muretto con l’immagine miracolosa si trova ancora oggi, all’interno del santuario, nella posizione in cui è sempre stato, pronto a raccogliere le preghiere e le speranze espresse nei secoli. Oggi il nostro pensiero è per la pace.

Il santuario è anche un importante esempio di architettura rinascimentale e contiene opere di grande valore religioso, artistico e storico. Lo vedremo con l’aiuto di molte foto in un prossimo articolo.

Oggi, invece, facciamo quattropassi intorno a questo santuario per cercare di leggere il suo contesto e percepirne il passato. Ai tempi di Sant’Ambrogio, questa zona, ricca di acque, era conosciuta come “ad tres moros”, cioè “ai tre gelsi”, come sono chiamate nel nostro dialetto queste piante. Tutto scomparso? Forse cambiato! Se andiamo sul retro delle due chiese, in via Vigoni, troviamo un bel giardinetto pubblico dal quale si vedono le absidi, al momento in ristrutturazione.

In questo piccolo spazio verde c’è una fontana (l’acqua!) e ci sono grandi alberi. Non sono gelsi, ma magnolie, olivi, persino un raro albero dei tulipani. Sinceramente non sappiamo quale sia; aspettiamo la fioritura con la speranza di riconoscerlo.

Torniamo davanti alle facciate delle nostre due chiese. Mentre quella di San Celso è visibile da corso Italia, il santuario di Santa Maria risulta parzialmente nascosto, agli occhi di un passante distratto, per la presenza del muro di cinta del quadriportico.

Da questo quadriportico possiamo anche vedere il piccolo giardino davanti a San Celso con i resti delle arcate che facevano un tempo parte della basilica. Infatti questa chiesa è stata abbassata e accorciata per fare più spazio al santuario, che diventava sempre più importante.

La folla dei pellegrini era infatti tale che Ludovico il Moro fece addirittura riaprire una porta cittadina (l’ex Pusterla di Sant’Eufemia che si trovava nelle mura ai tempi del Barbarossa) per permettere un passaggio più agevole dei fedeli diretti al santuario. In questa antica incisione vediamo le due chiese e la porta, purtroppo abbattuta nel 1827. Ne rimane solo il nome, Porta Ludovica, in onore del Moro.

Cercando i messaggi del tempo, che talvolta passano inosservati, guardiamo, in corso Italia, il campaniletto che si vede alla sinistra del porticato. Apparteneva alla chiesetta di San Bartolomeo, oggi scomparsa. Forse è sopravvissuto per detenere un record: sembra sia il più piccolo di Milano e ha anche una piccola campana.

Anche l’interno del porticato ci racconta storie, o leggende, di un tempo. Ecco la fontana dove, si diceva, le spose dovevano bere per imparare ad ascoltare.

Sul lato opposto. invece, c’è una strana meridiana senza gnomone, cioè l’asta tipica, piuttosto difficile da identificare. Incisi nel cotto e quasi invisibili, possiamo intravedere alcuni segni zodiacali (Scorpione, Sagittario, Capricorno, Acquario e Pesci); quindi la meridiana era utilizzabile da ottobre a marzo, quando il Sole è meno alto… Ci restano tanti interrogativi e il piacere della ricerca.

Ed ora guardiamo la bianca facciata del santuario. Iniziata a fine Quattrocento, è ricca di statue in parte autentiche, in parte copie per meglio conservarle.

Questa imponente chiesa fu progettata e realizzata, nel corso di diversi decenni, dai più illustri architetti dell’epoca (Dolcebuono, Solari, Amadeo, Cesariano, Alessi…), ma è l’interno che ci affascina, anche per le tante storie diverse che può raccontare.

 

A presto

La chiesa di San Celso: un antico seme di fede, arte e vita milanese

È stata la bella mostra “Portraits” di Francesco Diluca, a farci rivisitare la chiesa di San Celso, in corso Italia. Nell’austero spazio di questa basilica, infatti, erano “presenti” una trentina di figure realizzate in filo di ferro, rame e oro zecchino.

In queste sculture l’uomo sembra nascere da radici; farfalle, foglie e fiori diventano organi, pelle, nuova vita in un richiamo all’energia vitale della natura.

Sono immagini piuttosto forti, che spiccano, ancora di più, nello spazio vuoto e spoglio di questa chiesa, diventata, dopo i restauri, quasi una galleria d’arte.

San Celso è antichissima e, nel corso dei secoli, ha cambiato più volte aspetto. Non è facile ricostruire come fosse in origine; ha, invece, una lunga storia di leggende, fede, miracoli come fosse un seme che, piantato da Sant’Ambrogio, ha fatto crescere nel tempo fiori e frutti.

Andiamo dunque un po’ a scavare nella storia, o per chi preferisce, nella leggenda. Il 10 maggio del 395 (o 396), Ambrogio, già Vescovo di Milano, ispirato da un segno divino, trovò in questa zona i corpi dei Santi Nazaro e Celso, che avevano subito il martirio nella nostra città, sembra, nel I secolo d.C.

Questo miracoloso ritrovamento, da parte di Sant’Ambrogio, era avvenuto in un periodo di lotte teologiche tra cristiani e ariani, questi ultimi sostenuti dall’Imperatrice Giustina.
Il Vescovo diede quindi alle reliquie dei martiri una grandissima importanza come simbolo di estremo sacrificio per la fede. Sempre seguendo segnali divini, ritrovò anche i corpi di Gervaso e Protaso, che ora gli si trovano accanto nella cripta della sua basilica.

Le reliquie di San Nazaro riposano nella basilica a lui dedicata a Porta Romana, una delle quattro volute da Sant’Ambrogio.

Il corpo di San Celso, invece, venne ospitato in una chiesetta della quale sappiamo poco e che si trovava dove ora sorge la chiesa attuale. Sul luogo del ritrovamento, invece, venne fatto costruire da Sant’Ambrogio un piccolo muro (forse una stele o una piccola edicola) con l’immagine della Madonna col Bambino, molto venerata dai fedeli e protetta, visto che probabilmente si trovava all’aperto, da un velo.

Se le notizie riguardanti la prima chiesetta sono piuttosto scarse, sappiamo invece che nel X secolo l’Arcivescovo Landolfo da Carcano fece ampliare la chiesa di San Celso che divenne a tre navate con la facciata in stile romanico. Accanto ad essa fece costruire il bellissimo campanile, uno dei più antichi di Milano, che vediamo ancora oggi.

È conosciuto come “campanile dei sospiri” perchè il suono delle sue campane ha raccolto le speranze e le emozioni delle giovani spose milanesi che per secoli qui portavano il loro bouquet per ottenere la benedizione delle proprie nozze. Oggi questo campanile è visitabile con visita guidata.

Il 30 dicembre 1485 avvenne un miracolo. Durante una terribile pestilenza, mentre i fedeli erano riuniti in preghiera, una donna, Caterina Galanti, scorse una luce provenire dal dipinto. Tutti i fedeli, poi, videro due angeli scostare il velo e la Madonna sporgersi per benedire i presenti. Il giorno successivo la peste cominciò a calare. La notizia del miracolo si diffuse e grandi folle giunsero per pregare la Madonna. Con le offerte raccolte si iniziò la costruzione del grande santuario, Santa Maria dei Miracoli presso San Celso.

Erano, e sono, due chiese affiancate. San Celso, poi, che aveva accanto un monastero benedettino, venne rifatta una prima volta a metà del XVII secolo in stile barocco. Due secoli dopo venne rimpicciolita e accorciata creando un cortile antistante dove sono inseriti reperti di epoche diverse.

Nella facciata, rifatta in stile romanico da Luigi Canonica a metà Ottocento, sono stati inseriti il portale originale, sul quale appare un bell’affresco del XVII secolo, il rosone e gli architravi sopra le porte, risalenti, pare, al XII secolo.

L’interno è spoglio e austero. Nella grande abside semicircolare come altare c’è un sarcofago che un tempo aveva contenuto le spoglie di San Celso, ora nella chiesa adiacente di Santa Maria.

Notevoli sono l’acquasantiera in pietra e, soprattutto, la Madonna con Bambino risalente al XI secolo.

Il nostro breve itinerario continuerà andando a visitare l’adiacente chiesa di Santa Maria dei Miracoli che, con San Celso, rappresenta uno dei luoghi più venerati e artisticamente interessanti della nostra città. Il seme gettato da Sant’Ambrogio secoli fa è ancora vivo.

A presto…

Una moderna favola medievale: il drago dei Giardini Pubblici Montanelli

Mentre, chiusi in casa per la pandemia, cercavamo storie e leggende sul Biscione, ci siamo imbattuti in due racconti che narrano di un drago che sarebbe vissuto nel IV secolo a Porta Venezia, dove oggi ci sono i Giardini Pubblici.

Vogliamo condividerli: sono storie a lieto fine, come speriamo siano quelle di tutti noi dell’Era Covid. Gli autori sono il frate Domenicano Galvano Fiamma (1283-1344) e il superiore generale dei Gesuiti, Paolo Morigia (1525-1604), che raccontano, a secoli di distanza, la vicenda di questo drago e del valoroso cavaliere che lo sconfisse.

Si narra che, poco dopo la morte di Sant’Ambrogio, i milanesi che vivevano nei pressi della Basilica dei Profeti (poi diventata San Dionigi, della quale parleremo tra poco) erano terrorizzati dalla presenza di una mostruosa creatura che viveva in una caverna.

Questo orrendo essere col suo pestilenziale e mortifero respiro infettava i dintorni. C’era dunque un focolaio dovuto alla bestia.

Tutta la zona era “rossa”; nessuno usciva, migliaia di persone morivano e, via via, anche nella città stava arrivando il contagio. Se qualcuno, poi, si avventurava all’aperto o cercava di attaccare il mostro, veniva ucciso e divorato.

Che fare? Un antenato della nobile famiglia Visconti, Uberto, armato non tanto di ferro, quanto di “fortezza d’animo, destrezza e di ingegno, mosso dal suo naturale valore si espose a pericolo della vita per liberare la città” (P. Morigia).

Dopo due giorni di lotta, Uberto riuscì a uccidere il mostro, “prendendolo per la barba e colpendolo con una scure”: il nemico era sconfitto e il “morbo” finito. Da allora il terribile drago divenne l’emblema dei Visconti.

Ieri il drago, oggi il Covid… Certe storie non furono mai, ma in fondo accadono sempre.

Quattro parole sulla Basilica di San Dionigi

Questa è un’altra leggenda sull’origine del Biscione, ma contiene anche alcuni tasselli per ricostruire un angolo della nostra città. La storia raccontata si svolge, infatti, a Porta Venezia, nei dintorni della chiesa di San Dionigi, oggi scomparsa.

Era una delle quattro basiliche volute da Sant’Ambrogio fuori le mura della città.

Inizialmente era stata dedicata ai Santi Profeti, poi, come le altre tre basiliche, aveva assunto il nome di un Santo, in questo caso del Vescovo di Milano, Dionigi, morto in esilio in Cappadocia, il cui corpo, però, era stato fatto tornare e tumulare in questa chiesa.

Basilica dei Martiri – Sant’Ambrogio

Basilica degli Apostoli – San Nazaro

Basilica delle Vergini – San Simpliciano

Basilica dei Profeti – San Dionigi (scomparsa)

Questa zona, più o meno dove oggi sorge il Planetario, era stato da sempre un luogo sacro.

La leggenda racconta che il 13 marzo del 51 d.C. San Barnaba avesse trovato qui la pietra rotonda venerata dai Celti (che oggi vediamo ancora presso la chiesa di Santa Maria del Paradiso a Porta Vigentina) ed avesse iniziato l’evangelizzazione di Milano.

La pietra venne custodita nella Basilica di San Dionigi fino a quando la chiesa non fu demolita. Già nel 1500, devastata dai lanzichenecchi, fu fatta ricostruire dal governatore di Milano (Antonio de Leyva, antenato della Monaca di Monza), spostandola entro le nuova mura spagnole, i Bastioni di Porta Venezia.

Infine la basilica venne demolita definitivamente quando, verso la fine del 1700, gli austriaci vollero creare uno spazio verde all’interno della città, i Giardini Pubblici.

Attualmente sono in corso scavi, dove è possibile, per cercare i resti di questa antica basilica, così importante per conoscere il nostro passato.

Quando faremo di nuovo quattropassi ai Giardini Pubblici, pensiamo su quanti secoli di storia stiamo camminando.

A presto…

 

Canto di Natale 2020 o 2.0? (Parte Seconda – Oggi e… Domani)

Con quale “Spirito” Milano vive oggi il Natale, al tempo del Covid? Una tavola preparata solo per due?

La tradizione milanese fa iniziare il periodo natalizio dalla festa di Sant’Ambrogio, il 7 dicembre. Si accendono le luminarie per le strade, si addobba la casa, si gusta la prima fetta di panettone, si parla della Prima della Scala.

 

Intorno alla nostra Basilica un tempo c’era la Fiera degli “Oh bej – Oh bej”, piena di gente, colori e profumi, dove si acquistavano qualche regalo e il firun di castagne, un primo assaggio delle Feste.

Ricca di devozione è sempre stata la visita all’Altare d’oro, lampo di luce preziosa nella severità del romanico lombardo. Si va per rendere omaggio alle reliquie del nostro Santo Patrono e ascoltare le parole dell’Arcivescovo alla presenza delle autorità cittadine.

Molto è cambiato, specialmente nello spirito, in questo Natale incerto, tra divieti, permessi e contraddizioni nel tentativo di arginare la pandemia e le sue conseguenze. Nel suo discorso alla città, quest’anno, Monsignor Mario Delpini ha parlato di “smarrimento… di un atteggiamento più incline alla rinuncia che alla speranza, a lasciare la terra incolta che a predisporla alla semina”.

Come per aiutare Milano, in corso XXII Marzo, quasi di fronte alla chiesa di Santa Maria del Suffragio, è stato appena realizzato un murale d’autore in cui Sant’Ambrogio benedice la sua città che ha bisogno di speranza in questi tempi intimoriti e fragili,.

È rappresentato circondato da api che sciamano. Il Santo, che ha il volto di un vero apicoltore del Parco Ticino, sembra dirci che ama e avrà cura ogni giorno delle proprie api, simbolo della Milano attiva e laboriosa. Come non pensare alla sua esortazione:

Rimbocchiamoci le maniche e ripartiamo dalle nostre radici, dal nostro umanesimo lombardo un po’ schivo e un po’ bauscia, fatto di lavoro, aperto alle novità, ma sempre col cor in man. Ancora una volta, in piazza del Duomo, c’è l’Albero del Dono, dove si raccolgono offerte per chi ha bisogno. Milano è ancora viva.

Il 7 dicembre è anche da molti decenni il giorno della Prima della Scala, avvenimento culturale e mondano per eccellenza.

Con teatri, cinema e musei chiusi per la pandemia, la nostra città ha voluto ugualmente onorare la tradizione con una spettacolare antologia dal titolo “A riveder le stelle”. Non è stata un’opera intera, ma assaggi di lirica, danza, recitazione, alta moda, scenografia e tecnologia, senza la presenza del pubblico ma dedicati solo alla platea televisiva.

Innovazione e tradizione convivono in questo Natale 2.0. L’e-commerce affianca gli acquisti nei negozi, le risorse della tecnologia, e la necessità, trasformano in on-line manifestazioni, mercatini e iniziative culturali, tradizionali e solidali. Eccone alcuni.

DIGITAL XMAS : il villaggio di Natale online, la magia delle feste direttamente a casa tua

Vacanze di Natale con il museo Diocesano. Incontri online gratuiti . Scopri il programma cliccando su home.

https://chiostrisanteustorgio.it/

Invitati a mantenere il “distanziamento sociale”, siamo orfani del calore della gente, dei quattropassi per la città in festa, del piacere di guardare e scegliere (o anche solo guardare).

Questo Avvento ci mette più che mai di fronte alla culla vuota che attende la nuova nascita, al bisogno di una stella che ci indichi la strada, alla ricerca, interiore e scientifica, per rivedere la luce.

Se il Presepe rimane un simbolo più intimo e privato, è l’Albero il protagonista di questo Natale a Milano.

Infatti nel progetto “Il Natale degli Alberi, Natale si dirama casa dopo casa” questo simbolo tradizionale si veste, grazie anche a diversi sponsor, di nuovi significati, di LED, di decorazioni sempre più sostenibili e a tema.

https://www.yesmilano.it/natale-degli-alberi

Questi Alberi sono diffusi per la città, ma non si può non notare come quelli più importanti e dedicati si trovino quasi tutti in Centro e nelle zone o luoghi di prestigio.

Questi, soprattutto quelli del Centro, sono illuminati come gli anni scorsi, con edifici e vetrine ricchi di addobbi che ci spingono a partecipare alla grande “giostra” delle Festività.

E i quartieri dove vive la maggior parte della gente? Spesso sono spenti e solo alcuni balconi, negozi e esercizi della ristorazione illuminano con coraggio qua e là le strade buie.

Da dove può ripartire Milano? Da qualche vetrina dove la luce riesce ad uscire anche se imprigionata dalla saracinesca abbassata, da qualche casa come questa che riesce a portare il cielo al suo interno.

Ancora di più, quest’anno, dobbiamo avere la forza e la speranza di ripartire da ciascuno di noi e da noi insieme.

A volte bastano una stella luminosa, un filo di luce, qualche candela accesa, una vecchia sedia dipinta d’oro per dare un tocco di atmosfera e illuminare il nostro Natale magari con un sorriso in più.

Come sarà il Natale futuro? Ancora non lo sappiamo, dipende da tutti noi. Siamo certi, però, che Albero e Presepe ci saranno anche domani e ci aspetteranno sempre a braccia aperte!

Buon Natale a tutti!!!

A presto…

San Vincenzo in Prato: storia e storie di una chiesa millenaria

Poco lontano dal corso Genova, vivace e modaiolo, troviamo una chiesa millenaria dai bei mattoni rossi. È riservata e schiva, ricca di storia e di storie: San Vincenzo in Prato.

È tra le chiese più antiche di Milano, tanto che qualcuno pensa possa trattarsi addirittura della Basilica Vetus di cui parla Ambrogio alla sorella Marcellina (ricordate le Reliquie dei Magi di Brugherio?). Forse non è così. ma senz’altro testimonia come erano fatte le prime chiese milanesi.

Si affaccia su una piazzetta che sembra uscita dall’album di un’altra città. La storia di questa chiesa ha attraversato secoli e conserva diverse tracce di questo suo lungo cammino. Per scoprirla dobbiamo scendere alcuni gradini: la chiesa, infatti, si trova al di sotto dell’attuale piano stradale, a livello di quello dove sorgeva Mediolanum.

Sorse in una zona che ha visto succedersi fedi e preghiere differenti: era stata nemeton (bosco sacro) celtico, tempio di Giove, necropoli pagana e poi cristiana, chiesetta longobarda. Alcuni alberi lasciano intravedere dei reperti all’esterno della chiesa, sulla parete sinistra.

Anche all’interno ci sono elementi che arrivano dal tempo: capitelli di spoglio (origine romana e medievale) e una colonna romana che, stanca di reggere pesi gravosi , ora osserva i nuovi fedeli appoggiata alla parete di sinistra.

Infine scendiamo nella cripta di epoca romanica, posta sotto l’altare maggiore. Un tempo si diceva che qui ci fosse una fonte taumaturgica e infatti troviamo un piccolo pozzo tutto in pietra che se ne sta quasi  in disparte, ma l’acqua non sgorga più…

San Vincenzo raccoglie anche storie di altre chiese ormai distrutte. Guardiamo la Crocifissione, meglio nota come “Madonna del pianto” posta sull’altare maggiore.

Si trovava nella vicina chiesa di San Calocero (non Calogero!), demolita prima dalle bombe della seconda guerra mondiale e poi dalle scelte umane della ricostruzione.

La storia, o leggenda se preferite, racconta che nel 1519, quando Milano era ghiotta terra di conquista, la Madonna di questo dipinto abbia versato lacrime di sangue per tre giorni e tre notti. Il popolo era accorso e ciascuno le asciugava con panni da tenere con sè.

L’Arcivescovo di allora, però, mise fine a questo pellegrinaggio e fece raccogliere le lacrime in un’unica ampolla d’argento. Madornale errore: il nuovo padrone di Milano, Francesco I Re di Francia, prese il reliquiario e lo fece portare a Parigi. Avrebbe voluto portarsi via anche il Cenacolo… per fortuna era inamovibile.

Sulla navata destra di San Vincenzo troviamo anche le Madonna dell’Aiuto, un bell’affresco molto venerato nei secoli. Il volto della Vergine è giovane e quasi sbarazzino.

Da una porta sulla sinistra della chiesa si accede al Battistero ottagonale, realizzato nel 1932 dall’architetto Paolo Mezzanotte.

Vi si trova un particolare fonte battesimale ricavato dalla base di un’antica colonna dalla quale, si dice, Ambrogio abbia predicato. Una leggenda di sapore molto più familiare racconta, invece, che la pietra abbia fatto da gradino al nostro santo Patrono per salire sulla sua mula Betta cercando di sfuggire alla nomina vescovile.

Questa colonna proviene dalla chiesa di San Nazaro in Pietrasanta, demolita per realizzare via Dante. Ancora una volta Milano si rinnova ma conserva le tradizioni.

Le belle storie milanesi legate alla chiesa di San Vincenzo non finiscono qui, anzi… I decreti napoleonici la fecero sconsacrare riducendola a magazzino e caserma. Il “progresso” colpì poi pesantemente la ex-chiesa sotto gli Austriaci, tanto da farla diventare la “Casa del Mago”.

C’è poco esoterismo, però, questa volta. Infatti San Vincenzo fu venduta a privati che la utilizzarono come fabbrica di prodotti chimici. Luci, bagliori, fumi colorati e maleodoranti uscivano dalla chiesa e dal povero campanile diventato camino e ciminiera.

I milanesi, con la loro solita bonaria ironia, la chiamarono appunto la “Casa del Mago”. A questo proposito ecco alcune immagini tratte dalle opere di Luigi Conconi, un pittore della Scapigliatura milanese.

Finalmente nel 1884 la chiesa fu riscattata, riconsacrata e restaurata; il campanile venne abbattuto e rifatto.

Le bombe dalla seconda guerra mondiale, però, colpirono pesantemente tutta la zona e gli affreschi furono irrimediabilmente distrutti. Si decise allora di dipingere le pareti di bianco, così come le vediamo oggi.

L’acqua santa, la musica dei bei concerti d’organo e le luce delle candele, possiamo dire con un sorriso, sono tornate a San Vincenzo sconfiggendo i fumi e i bagliori di zolfo della vecchia Casa del Mago.

http://www.sanvincenzoinprato.it/concerti_1.htm

Il suono delle campane è tornato a diffondersi dal campanile, non più ciminiera.

A presto…

 

Nella calza della Befana 2019 troviamo… la chiesetta dei Re Magi di via Palmanova

È tempo di Epifania che tutte le feste porta via. Il magico periodo del Natale sta per terminare e si torna alla vita e ai problemi di tutti i giorni.

Abbiamo trovato nella chiesa di Santo Stefano un quadro dolcemente emblematico: la Famigliola di Betlemme, dopo l’incanto della Natività e l’accorrere di uomini buoni e semplici, è costretta, dopo poco tempo, a lasciare le proprie cose per sfuggire alla crudeltà di Erode.

L’Epifania, però, è anche tempo di Magi, figure misteriose, e secondo noi molto moderne, che ci parlano del rapporto tra Scienza e Fede (erano studiosi ai massimi livelli) e ci fanno anche riflettere sul senso della nostra vita.

Milano è da sempre legata ai Magi che l’avevano “scelta”, secondo la tradizione, come luogo dove fermarsi per sempre. I buoi che trainavano il carro con le reliquie si erano impantanati dove sorge ora la Basilica di Sant’Eustorgio, che venne eretta per custodire le spoglie dei Tre Re.

I Magi, però, avevano il cammino nel proprio destino e le loro spoglie vennero trafugate dal Barbarossa e portate a Colonia.

Infine una piccola parte delle reliquie tornò a casa, a Sant’Eustorgio, mentre altre reliquie (alcune falangi delle dita, invece) non hanno mai lasciato Brugherio, dove viveva Santa Marcellina che le aveva ricevute in dono dal fratello Sant’Ambrogio.

Sant’Eustorgio – Milano

S. Bartolomeo – Brugherio

Alcuni piccoli suggerimenti: in questi giorni è esposta, in Sant’Eustorgio, la teca con le reliquie e, nella mattina dell’Epifania si svolge il tradizionale corteo in costume (risalente al Medioevo) da piazza Duomo.

http://www.santeustorgio.it/corteo_dei_magi.html

Inoltre in questo periodo si possono ammirare due opere famose a Palazzo Marino e al Museo Diocesano.

Palazzo Marino

Museo Diocesano

Non solo: abbiamo scoperto che nella nostra città esiste un’antica chiesetta dedicata proprio ai Santi Re Magi. Si trova in una zona a Nord Est di Milano, vicino all’antico borgo di Crescenzago, in una frazione chiamata Corte Regina.

Siamo in via Palmanova, anzi, per la precisione, in via Regina Teodolinda. Dolce e severa nel suo gotico lombardo, la chiesetta ha un aspetto semplice, quasi un mattoncino rosso tra il klinker dei palazzi.

Sul portone ci accoglie una formella con Madonna e Bambino sotto una finestra circolare.

Le diverse finestrelle sulle pareti laterali ci riportano a tempi e stili diversi, così come il campanile a base romanica.

L’interno della chiesetta è altrettanto semplice: ad una sola navata, ha mattoni a vista e, sospesa, un’immagine di Cristo di grande impatto espressivo.

Una targa ci racconta la storia di questa chiesetta che fu fatta edificare nel 1352 ai tempi della Signoria di Bernabò Visconti, probabilmente su una preesistente chiesa più antica, descritta già nel XII secolo. Un’ipotesi è che sia stata voluta dalla moglie di Bernabò, Regina Della Scala, alla quale si deve anche la chiesa demolita per costruire il nostro massimo teatro che ne tramanda il nome.

Un tempo la chiesa dei Magi era dedicata alla Vergine e aveva intorno un Lazzaretto per il ricovero degli appestati, prima che fosse costruito quello di viale Tunisia a Porta Orientale.

La storia ci dice che i Borromei, in successive visite pastorali alla chiesetta di Corte Regina, vi incontrarono delle monache devote ai Re Magi. Così successivamente la chiesa fu intitolata ufficialmente ai “Santi Re Magi in Corte Regina”. Oggi il nome della chiesa viene ricordato da un moderno affresco dietro l’altare.


Questa chiesetta incontrò molti ostacoli sul suo cammino. A fine Settecento passò al Demanio, venne sconsacrata e diventò abitazione e deposito per i contadini della zona. Anche le bombe della seconda guerra mondiale contribuirono al suo declino, tanto che si parlava di abbatterla, sacrificata allo sviluppo edilizio.

Ma i Magi fecero il miracolo; la chiesetta venne donata al parroco della vicina parrocchia di San Giuseppe, che, grazie ad offerte di fedeli e benefattori, la fece restaurare, riconsacrare e riaprire il 6 gennaio 1967.

https://www.sangiuseppe.info/la-chiesa-dei-santi-re-magi/

Purtroppo è un po’ difficile visitare questo piccolo tassello della storia di Milano. Viene aperta solo il sabato pomeriggio alle 17 e nei festivi alle 9.30 per le Sante Messe. Come i Magi mettiamoci in cammino e andiamo a visitarla.

A presto…